lunedì 11 novembre 2019

Il Papa visto da Cuba - Roberto Méndez Martínez (Poeta, saggista, narratore e critico d'arte e letteratura)

Scrive Massimo Borghesi nel suo blog: 

Sono appena ritornato da l’Havana dove ho partecipato a una serie di incontri con la Chiesa locale, con intellettuali e giovani. Giornate davvero molto interessanti. Qui sotto pubblico l’intervento del dottor Roberto Méndez, uno degli intellettuali più illustri di Cuba, letto in occasione della presentazione del mio volume “Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intelectual” al Centro Bartolomé Las Casas de l’Havana, venerdì 1 novembre...

https://www.massimoborghesi.com/presentato-a-cuba-jorge-mario-bergoglio-una-biografia-intelectual/?fbclid=IwAR2FyeUFiGPE299ezVxW1hMXYSIzOsWJe8FPxiMpy18DnjlW7E5Lk30BzIM

NB: Puoi leggere qui la mia traduzione dell'intervento di Roberto Méndez Martinéz nei commenti qui sotto al post; traduzione fatta con l'aiuto di deepl.com. RG

Intervento di Roberto Méndez:

Quando Papa Francesco si recò a Cuba nel settembre 2015, l'isola aveva già ospitato altri due pontefici: Giovanni Paolo II (1998) e Benedetto XVI (2012). Ho "affreschi" nella mia memoria dei dettagli della visita. Gli sono stato molto vicino quando si è rivolto ai giovani davanti alle porte del vecchio edificio del Seminario di San Carlo e Sant'Ambrogio. L'ho visto rifiutare un ombrello che gli veniva offerto e ha deciso di immergersi nella pioggia cubana insieme a tutti noi. Durante i suoi viaggi ha messo alla prova i nervi di coloro che lo scortavano, rompendo continuamente il protocollo per salutare gli anziani, benedire i bambini o raggiungere le persone semplici che lo aspettavano sul ciglio della strada.

 Sia i giornalisti che il pubblico che partecipava a quei giorni, credenti o meno, non trovavano in lui il maestoso atteggiamento che si associava ai precedenti pontefici e, per buona parte dei cristiani cubani, le sue arie di semplice parroco erano molto attraenti, ricordandoci sacerdoti di spicco nella vicina storia dell'isola. La stessa cosa è successa con i suoi messaggi diretti, con i suoi discorsi spogliati di retorica. Qualche giorno dopo, ho scritto su questo tema un articolo per la rivista digitale La Jiribilla, del Ministero della Cultura, dove lavoravo all'epoca:

"Molte volte mi sono chiesto se Francesco sia un grande oratore. Se mi attengo alle convenzioni accademiche devo dire di no. Non ha la parola magnetizzata dalla poesia di Giovanni Paolo II, né l'equilibrio e l'eleganza di Benedetto XVI, i suoi discorsi non raggiungono mai l'altezza di un pezzo letterario. D'altra parte, posso assicurarvi che è un comunicatore eccezionale, parla in tono semplice, che cerca di raggiungere il pubblico più semplice, i suoi esempi sono presi dalla vita quotidiana e scommette più sul tono da conversazione che sull'elevazione dell'oratoria sacra tradizionale. Cita l'indispensabile, quasi sempre dai Vangeli, e non pretende di essere uno studioso. I suoi detti, aneddoti e lezioni morali sono molto simili a quelli che un buon narratore orale utilizzerebbe. In breve, è una parola che conquista molti, ma non è destinata ai gusti squisiti (degli intellettuali)."


 C'è un dettaglio che forse pochi hanno notato. Bergoglio, pur avendo un'ottima formazione teologica e umanistica, come chi è stato educato dai figli di Sant'Ignazio di Loyola, preferisce non esporlo. Inoltre, non ha paura di parlare la lingua elementare dei parroci popolari. Invece di sottigliezze dogmatiche, usa termini che sembrerebbero comuni al nostro mondo pragmatico di oggi.

Purtroppo, purtroppo, proprio quello che molti di noi consideravano un merito è stato visto come una mancanza. Molti dei suoi avversari, della Chiesa o lontani da essa, hanno insistito su temi come la sua "scarsa preparazione teologica", la sua presunta limitazione in campo filosofico o una sorta di pauperismo nella sua espressione che alcuni pensano sia un segno della sua adesione alla teologia della liberazione.


 Per questo motivo, sono stato felice di leggere il libro del professor Massimo Borghesi: Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale. Dialettica e mistica. In essa, il suo autore mostra, in modo sistematico e ben argomentato, le principali fonti che hanno alimentato il pensiero del giovane gesuita, divenuto poi arcivescovo di Buenos Aires, prima di arrivare al pontificato. Ci mette davanti agli occhi la diversità delle sue fonti, che provengono dai campi della teologia, della filosofia, del pensiero sociale, della storia e della letteratura, così come il modo in cui ha saputo estrarne gli strumenti essenziali per formare un pensiero ricco e originale, in cui è riuscito a coordinare con cattolicità universale, senza provincialismo o superficialità, ciò che è proprio della sua patria e di un intero continente.

L'autore del libro ci conduce con rigore investigativo e sistematicità pedagogica in ciascuna delle principali correnti: prima di tutto, la traccia degli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola, perfettamente spiegabili in un figlio della Compagnia di Gesù, ma approfonditi dall'assimilazione della loro interpretazione da parte del francese Gaston Fessard SJ, che sottolineava la dialettica degli opposti nella spiritualità ignaziana, non perché si sottometteva alla dialettica hegeliana, dalla quale si allontanò pur essendone un conoscitore, ma segue il cammino del discepolo di Maurice Blondel, per creare una tensione tra i poli che può essere risolta in armonia, senza che sia necessario annullare uno degli opposti; questo modi di pensare Francesco lo ha approfondito, dal punto di vista metodologico, nei suoi scritti, non solo per il suo insegnamento sulla vita spirituale, ma anche per spiegare alcuni dei problemi più urgenti del nostro tempo, nella natura e nella società.

 Se le pagine dedicate a mostrarci come questa dialettica polare sia stata alimentata anche dall'opera di Romano Guardini, che viene a smentire ancora una volta la presunta mancanza di conoscenza teologica di Bergoglio, sono importanti, a mio avviso è molto più importante lo spazio dedicato alle influenze locali che hanno contribuito a formare alcune opzioni del suo pensiero, ad esempio, il discernimento che ha dovuto fare in gioventù, in un'Argentina divisa dalla violenza, in cui alcuni credenti sostenevano i governi militari, mentre altri erano inclini alla lotta armata dei gruppi di sinistra, in alcuni casi alimentati dalla "teologia della liberazione" che cercava di conciliare il materialismo dialettico con il messaggio evangelico. Come egli stesso affermò anni dopo: "Rimase nella fede per arricchire da essa la politica".

Gli insegnamenti della pensatrice Amelia Podetti, profonda conoscitrice delle filosofie di Husserl e Hegel, lo aiutarono in questo cammino. Lei, dalla critica di quest'ultima (la filosofia di Hegel), ha potuto rivendicare per l'America Latina "una rinnovata autocoscienza" e, proprio come le Lettere del Nuovo Mondo avevano acquisito una dimensione universale, spinte dal boom del romanzo latinoamericano, un salto analogo era necessario nella produzione filosofica di questo lato dell'oceano. Partendo dal suo pensiero, Bergoglio ha potuto sottolineare una nuova interpretazione della Città di Dio di Sant'Agostino, concepita come l'altro polo - opposto a Hegel - della filosofia della storia, che serve a respingere le "teologie imperiali" di destra o di sinistra, poiché il vescovo di Ippona è sia "legale" che "rivoluzionario" e non identifica la sua Città Santa con alcuno stato (1).

Tuttavia, l'impronta che più spicca nel volume è quella lasciata nel gesuita dall'intellettuale uruguaiano Alberto Methol Ferré. Questo teologo ed esperto di scienze sociali, considerato il laico meglio preparato del suo tempo nel continente americano, ha seguito un percorso che lo ha fatto convergere con il gesuita argentino. Già decenni prima della sua salita al pontificato, Bergoglio ebbe frequenti incontri con colui che si definiva "neotomista selvaggio" e che, di fronte alle dicotomie fondamentaliste - illuminismo, tradizionalismo-secolarizzazione, scommette sulla categoria "risurrezione" per applicarla alla Chiesa in America, il che implicava un dialogo critico con il moderno e una rivalutazione del cattolicesimo popolare, secondo la tradizione del barocco americano.

Methol ha lavorato alla preparazione della Conferenza di Puebla (1979) e ha contribuito non da ultimo al suo scambio di idee. Egli riteneva che fosse possibile una sintesi del barocco con l'autocoscienza dell'uomo moderno, che superasse la lunga contraddizione tra la Chiesa conservatrice e la modernità intesa in chiave positivista. Ma, a differenza di Gustavo Gutiérrez, ad esempio, ha respinto la soluzione proposta da una parte importante della teologia della liberazione di utilizzare la metodologia marxista per la comprensione critica della società e che spesso è servita da legittimatore della violenza come soluzione ai conflitti sociali. La sua opera intellettuale era più orientata allo studio della storia e della cultura latinoamericana per scoprire i semi di una rinascita religiosa in quello che Paolo VI chiamava "il continente della speranza". L'idea era di contestualizzare e aggiornare gli insegnamenti del Concilio Vaticano II da questa parte del mondo, con il sostegno di una cultura umanista che non era separata dall'elemento popolare, ma senza un'identificazione pura con le correnti ideologiche della modernità, il che significava allontanarsi dalla filosofia della storia di Hegel, così come dal Capitale marxista o dall'Etica protestante e dallo Spirito del Capitalismo di Max Weber.

 E ', tra l'altro, la prima volta che si riconosce che un arcivescovo e poi successore di Pietro, è stato direttamente influenzato da un teologo laico, quando la cosa abituale era che sono stati accettati solo come consiglieri e teologi ispiratori chi portava un collare e una tonaca.

E' difficile per me evidenziare tutto ciò che mi sembra meritorio o importante in questo libro di Massimo Borghesi. Confesso di aver apprezzato la scoperta del Bergoglio responsabile del Colegio Máximo di Buenos Aires che rivede i programmi di formazione e, insieme allo studio della letteratura europea, pretende di inserire i modelli argentini, da Martín Fierro a Borges, sapendo che esigeva che sapessero "di gauchos e caudillos, e non solo di treni e telegrafi".

È la stessa mente inquieta che, per criticare l'astrazione rivoluzionaria che antepone l'ideologia alla realtà, può contare su una lettera scritta nel 1834 da Juan Manuel de Rosas a Facundo Quiroga, entrambi signori della guerra argentini, ampiamente denigrata dal discorso del liberalismo moderno. Colui che è in grado di riferirsi alla trasmutazione del barocco portato dai gesuiti nel Nuovo Mondo e che cita lo scrittore cubano Alejo Carpentier sul rapporto tra geografia e barocco americano. Sono esempi di un pensiero che, come il poliedro, ha molteplici sfaccettature ed è carico di potenzialità di trasformazione.


Non bisogna dimenticare che tutto il quadro teologico-filosofico del pensiero di Francesco è coronato dalla mistica, non da quella dello spiritualismo disincarnato, che ignora i problemi del mondo per rifugiarsi in una sorta di alienazione, ma da uno spiritualità molto diversa, basata sul mistero dell'Incarnazione, affinché la vita spirituale non sia separata dall'esperienza sensoriale: il vedere, toccare il prossimo, il sentirsi in comunione con lui, sono essenziali. In essa azione e contemplazione non si contrappongono ma si completano a vicenda, così come la misericordia nella sua pienezza non sostituisce la verità, ma l'una si nutre dell'altra. E tutto raggiunge la sua pienezza nell'unità dei trascendentali: verità, bellezza e bontà.

Un avvertimento deve essere dato ai potenziali lettori cubani. In tutto il libro ci sono abbondanti riferimenti alle circostanze storiche latinoamericane tra gli anni '60 e il presente, che differiscono radicalmente dalle circostanze cubane. Ad esempio, dal 1961 in poi, il marxismo nella sua variante leninista fu assunto come ideologia ufficiale dello Stato, che ben presto entrò in conflitto con la Chiesa, per cui non si cercò, in ambiti ecclesiali, di seguire le orme della "teologia della liberazione", ma ne emerse una forte prevenzione. Allo stesso modo, solo un numero minimo di chierici e un numero ancora minore di laici conosceva l'esistenza di Alberto Methol. È vero che la conferenza di Puebla è stata l'ispirazione per l'ENEC, nella cui relazione finale c'è la volontà di dialogo e di apertura alla cooperazione in alcuni campi con le autorità, ma la Chiesa è rimasta legata all'urgenza di sopravvivenza, con un concetto di unità proprio di una fortezza assediata, che spesso ha rovesciato l'equilibrio - come è avvenuto in Polonia - verso il tradizionalismo e il conservatorismo. Sebbene le riforme liturgiche del Concilio siano state applicate all'epoca, alcune novità contenute nei suoi documenti, come il vero ruolo dei laici nella Chiesa e nella società, rimangono a Cuba una questione in sospeso.

Tali circostanze spiegano che non ci sono stati, come in alcune parti del continente americano, dissensi su alcune concezioni sociali e politiche di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Tuttavia, insieme alla simpatia per la figura di Francesco, rimangono nelle nostre sacrestie alcuni dubbi sulla sua opera di riforma ecclesiale.

Non dimentichiamoci nemmeno un fatto storico, solo nel periodo 1898-1901 la Chiesa locale si separò dal Patronato Reale Spagnolo e iniziò il suo lento processo di cubanizzazione. Quindi, è innegabile che la Chiesa di Spagna era il nostro specchio, e ancora oggi abbiamo più contatti con essa che con quella del Messico, di El Salvador o dell'Argentina, e nello stesso tempo bisogna sottolineare che, dato l'alto numero di parrocchiani cubani emigrati negli Stati Uniti, i contatti con un settore piuttosto conservatore del cattolicesimo nordamericano, ancora poco studiato, sono in crescita.


Un ultimo dettaglio, nella storia coloniale di Cuba, è emerso nei primi decenni del XIX secolo una versione particolare dell'Illuminismo, che ha unito in alcuni dei suoi illustri esponenti, il liberalismo e la fede cristiana, la ricerca di libertà e il messaggio evangelico. È il caso del venerabile padre Felix Varela, sacerdote e patriota esemplare, che, tra l'altro, nelle sue Lettere a Elpidio ha interpretato La città di Dio di Agostino in un senso simile a quello di Methol e Francesco. Ma questo significa che tra noi il termine Illuminismo non ha il sapore dell'inimicizia e dell'ostacolo che possiede per il laico uruguaiano.

Proprio a causa di tutte queste peculiarità della nostra isola, c'era urgente bisogno di un libro come questo, che facilita una lettura più proficua dei testi papali e ci permette di valutare quanto ci sia di un sano rinnovare nell'opera del Papa.


Nell'aprile 2013 ho scritto un articolo per la rivista "Palabra Nueva" dedicato all'inizio del suo pontificato. Ho iniziato riferendomi a come nella Messa della sua installazione decine di persone portavano manifesti con l'invito che Dio fece in sogno a San Francesco d'Assisi: Francesco, va', ripara la mia casa. Dopo aver tracciato un parallelo tra le circostanze storiche che hanno segnato l'esistenza dei due Francesco, ha concluso: Dopo la sua elezione, ho sentito molte persone, cristiane o meno, chiedersi ad alta voce: Francesco sarà davvero in grado di risolvere tutti i problemi che la Chiesa ha? Onestamente, penso che ci sia molta ingenuità in quella frase. Nessun pontefice, nemmeno un santo come quello di Assisi, può risolvere tutti i problemi della Chiesa, siano essi interni, motivati dal peccato personale dei suoi membri, o dai loro rapporti con il mondo, perché cesseranno solo con il secondo avvento di Nostro Signore Gesù Cristo. La sua missione è di guidarla con saggezza e di aiutarla a santificarsi con la grazia speciale dello Spirito Santo.

Un lustro più tardi potrei confermare queste parole. Solo che sono convinto, e il libro del professor Borghesi mi è giunto a confermarlo, che le novità che scandalizzano così tanti sono parte di quella riforma delle strutture ecclesiali che è iniziata con il Concilio Vaticano II e che ora continua, segnata dal ritmo ascendente del barocco americano, drammatico, spettacolare, con il suo lato sanguinante nella rappresentazione di Cristo e di quegli angeli "arcabuccali" che spaventano i "timoratos" nei pomeriggi di tempesta.





Informazioni sull'autore

Roberto Méndez Martínez (Camagüey, 1958) Poeta, saggista, narratore e critico d'arte e letteratura. Laurea in Sociologia all'Università dell'Avana (1980) e dottorato di ricerca in Scienze dell'Arte all'Instituto Superior de Arte de La Habana (2000). Professore e Capo del Dipartimento di Storia e Cultura dell'Istituto di studi ecclesiastici "Padre Félix Varela" dell'Avana. Membro dell'Accademia Cubana di Lingua e Corrispondente dell'Accademia Reale Spagnola. Consulente del Pontificio Consiglio della Cultura della Santa Sede dal 2008. Ha pubblicato una quarantina di volumi di case editrici di Cuba, Messico, Venezuela, Spagna e Stati Uniti, tra i più recenti sono i saggi Placido y el laberinto de la ilustración (Editorial Letras Cubanas, Colección Premio Alejo Carpentier, 2017) e Una noche en el ballet. Guida per gli spettatori di buona volontà. (Ediciones Cumbres, Madrid, 2019). Ha ricevuto a Cuba, tra gli altri, il Premio di Poesia "Nicolás Guillén", 2000; i Premi Saggio "Alejo Carpentier", 2007 e 2017; il Premio Romanzo "Alejo Carpentier", 2010 e il Premio Romanzo Ítalo Calvino (Editorial Unión-ARCI, Italia), 2014 e in sei occasioni il Premio Annuale di Critica. Anche i vincitori internazionali: José María Heredia International Bicentennial Essay Prize (Toluca, Messico, 2004), "Mariano Picón Salas" International Essay Prize (CELARG, Venezuela, 2011) e l'International Cervantine Essay Contest Prize (Museo Iconográfico del Quijote-Fundación de Estudios Cervantinos e Instituto Tecnológico de Monterrey, Guanajuato, Messico, 2014).


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(1) Rinvio al lavoro che sto compiendo in questi giorni sulla "De civitate Dei" di Agostino. 

(9.11.19) Come abbiamo sottolineato nel titolo del post: "Nessun ambito sulla terra è univocamente Babilonia, nessuno univocamente Gerusalemme". Balthasar, 1960, sulla "Civitas Dei" di Agostino, come dal punto di vista della percezione dell'uomo non è del tutto chiaro chi sia davvero dentro e chi sia davvero fuori dalla città di Dio, ma ciò non significa una prolificazione di città, non vi sono quattro città: due buone per gli angeli e gli uomini buoni e due cattive, per gli angeli e gli uomini cattivi, ma per l'appunto due città; in quella di Dio ci sono gli uomini e soprattuto (per quanto riguarda la gerarchia del valore, se ho capito bene Agostino) gli angeli. E nell'altra c'è il Nemico! Tutte le creature sono state create da Dio, il Nemico non ha creato nulla. L'unico creatore è Colui che è Eternità, Verità ed Amore. Per quanto riguarda la loro "natura" tutte le creature sono creature di Dio, ma alcune, per loro volontà e desiderio, hanno proiettato eternità, verità ed amore su stessi: si sono inebrianti con un pseudo potere. In Agostino il male non è una "necessità" come per Hegel. Chi sceglie il male scambia l'eternità per una sopravvalutazione oscura di se stessi; una verità certa per una furbizia senza senso ultimo; non si fa guidare più dall'amore gratuito di Dio, ma dall'arroganza, dall'inganno e dall'invidia. Tutto ciò che si fa nel male non è causa efficiens, ma deficiens. Insomma chi fa il male non fa il male, ma non fa il bene!

La grande scelta a cui ci invita Agostino, come ho già detto, consiste nell'adorare Colui che solo è buono, solo è felice e il nostro compito di uomini e di appartenere e dipendere da Lui. Io, piuttosto sto con Hans Urs von Balthasar, nella Teologica I e non farei come Agostino che traccia un "confine" nella creazione tra chi ha coscienza e sensibilità e chi non c'è l'ha. Direi piuttosto che, certo in una forma minima, anche una pietra ha una sua intimità e partecipazione all'Unico bene. Comunque sia, Agostino ha ragione quando dice che vi è un solo bene immutabile, Dio stesso; noi siamo un bene relativo a quel bene unico, ma siamo mutabili e lo siamo perché a differenza di Dio siamo stati creati "dal nulla"; sarebbe importante fare alcuni passi nella comprensione di questo "nulla", che non è il nulla dell'amore gratuito, ma una contrapposizione all'essere; Dio non ha bisogno di nulla per essere e di fatto è da sempre l'Immutabile (l'origine senza origine di tutto), non ha bisogno neppure di un "nulla sostanziale" per creare; la creazione "dal nulla" non è una contrapposizione dialettica; Dio crea pur non avendone bisogno, crea "per nulla", non solo e non primariamente "dal nulla"; cosa è allora questo "dal nulla": infondo si tratta del fatto che nella creazione dell'uomo o di un angelo Dio non presuppone qualcosa, se non se stesso e la sua volontà di creare ( e in un certo senso anche colui che vuole creare, una sua idea per esempio). Infondo quel "dal nulla", significa "per nulla", se non nel caso in cui in un processo di estraniazione da Dio il nulla diventa un "nulla sostanziale" che contraddice l'essere come amore, come dono. In quel momento il "nulla" diventa espressione del nichilismo.

In cosa consiste la città di Dio (civitas Dei)? Nella dipendenza da Dio; appartiene a questa città chi dipende da Dio e può dire con il Salmo 73:

[28] Il mio bene è stare vicino a Dio (è dipendere da Dio):
nel Signore Dio ho posto il mio rifugio,
per narrare tutte le tue opere
presso le porte della città di Sion.

"Tutti coloro che partecipano a questo "bene"formano con Colui da cui dipendono e tra di loro una santa città (civitas, comunità), una civitas Dei" e questa comunione, dice Agostino vale in primo luogo per gli angeli. Mi spiego questa cosa così: gli angeli che hanno scelto Dio guardano sempre Dio e dipendono del tutto da noi; noi invece pur dipendendo, dipendiamo nella carne anche da altro (e questo non solo in senso negativo), per esempio da un buon bicchiere di vino.


(11.11.19. San Martino) Chiediamoci ora più precisamene che cosa sia la "civitas Dei"? Essa non è identificabile con uno stato, neanche con uno stato in cui vi sia una maggioranza di cristiani (Jorge Mario Bergoglio, Albero Methol Ferré, Felix Varela...) e neppure con la Chiesa che cammina sulla terra. Agostino dice che esso è composto dalla Chiesa che è in cielo e da quella sulla terra, nello loro essere centrare in Dio: 

 "Sei tu il mio Signore, 
senza di te non ho alcun bene" (Ps 16,2) - nella traduzione dell'antologia di 
Balthasar: "Sei tu il mio Signore, perché non hai bisogno dei miei beni". Il culto principale della città di Dio è la giustizia. "Dove manca la giustizia non vi è certamente un'unione di uomini uniti da un'uguaglianza di diritti e di interessi", come lo deve essere la civitas Dei. La città di Dio è caratterizzata dai comandi di Dio, che vengono realizzati attraverso la sua grazia. Il culto liturgico e di giustizia ha solo Dio come suo ultimo senso. Mancando la giustizia le persone che fanno parte di questa città, non ne fanno parte davvero, per mancanze del corpo (mancano di governo corporale), dell'anima (mancanza di governo dell'anima) o della spirito (mancanza di un adeguato si alla missione che Dio ci ha dato). La città di Dio vuole che i suoi cittadini siano come un solo uomo che ama Dio in sé e il prossimo come se stesso. 

Nella città di Dio vige una differenza tra il sacerdozio di Melchisedec  che è eterno e quello di Aronne, che finisce con questo evo. Non saprei al momento come dividere bene i due ambiti. Sarei tentato di dire, ma non ho ancora tracce sicure in Agostino, se non la sua insistenza sulla giustizia come vero sacrificio, che il sacerdozio di tutti i fedeli in Cristo è eterno, mentre quello clericale finisce, con la fine di questo evo. 


L'unico mediatore tra Dio e l'uomo è Cristo, che è venuto nella sua "forma di servo" - credo che sia importante sottolineare ciò in modo particolare per il dialogo con l'Islam, che a sua volta conosce una singolarità di Gesù, anche se non come figlio di Dio. Per fare parte della città di Dio, bisogna portare il peso leggero della croce quotidiana e morire alla brame di questo mondo (sarà necessario distinguere tra brama e desiderio, forse più di quanto faccia Agostino). L'insistenza sui peccati sessuali secondo me non fa bene ad una reale comprensione, nel nostro mondo secolare, di cosa significhi "non adeguarsi al mondo". Per fare un esempio: ci sono giovani che non seguono il consiglio della chiesa di non praticare il sesso prima del matrimonio, che sono molto meno mondani di giovani tradizionalisti che seguono questo consiglio. Perché il sesso oggi è piuttosto una modalità per vedere se si é amabili, che una questione di volontà di potenza, mentre quest'ultima può esprimersi molto più nella brama di carriera. Etc. 

 https://graziotto.blogspot.com/2019/10/nessun-ambito-sulla-terra-e.html?fbclid=IwAR1fQtz-8CZc8zS_giu1bWyb8GSoF_YLkiQ_sT_o6F7Z9aizQCk84VuQTdk

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