mercoledì 14 agosto 2019

Come mai la cultura reazionaria e tradizionalista sta contribuendo al nichilismo attuale.

Lipsia. La risposta alla domanda è molto semplice. La cultura "cristianista" (per usare il linguaggio di R. Braugue) o della "cristianità" ( per usare il linguaggio di L. Giussani) ha perso o non ha mai avuto un accesso al senso ultimo dell'incarnazione del Logos divino, come esso è presentato nella famosa parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-32). Non ha mai avuto un senso per l'impotenza dell'amore potente di Dio, non ha mai avuto un senso per la "bellezza disarmata" (J.Carrón). Non ha mai avuto un senso dell'amore gratuito che è Cristo! Per questo non si accorge che la sua "civiltà cristiana", invece di essere un laboratorio dell'incarnazione del Logos (come lo è anche stata per secoli nella costruzione di cattedrali, monasteri...), è diventata un'ideologia di potere, che mai si accorgerebbe di trovarsi in quella situazione in cui ad un certo punto si trova il figliol prodigo:

Lc 15, [16] Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 

[17] Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 

[18] Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 

[19] non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 


Non ha alcun senso della sconfitta (P. Pasolini), ma è abituata a pensarsi sempre come vincente. Il filosofo tedesco Ferdinand Ulrich spiega questo punto vitale in cui si trova il figliol prodigo nel suo "Dono e perdono" (edizione tedesca, 2006, 577-578), spiega la modalità del rivolgersi del figlio al padre. Spiega il senso del "andrò da mio padre". 

"Nel genitivo paterno (come figlio del padre) si rivolge al (dativo) padre, il cui amore misericordioso è libertà per il figlio. Per questo motivo la formula "io voglio ritornare al padre" ("andrò da mio padre") del figlio non è contrassegnata dalla minima traccia di volontà-propria, nel senso di un' egoistica auto-imposizione. Il figlio può portare alla sua origine solamene il suo "nulla", ma non nella modalità del "solo-vuoto-della-brama", che è già morto in lui, ma in quella dell'amore-povertà della disponibilità obbediente a ricevere e compiere in modo fecondo la volontà del padre. Vuole chiedere perdono, in fiducia nella sua (del padre) misericordia donargli il proprio nulla, senza pretesa di un proprio diritto. Portando al padre il suo "nulla" dice senza usare parole: "questo è il "nihil" nel "pro nihilo" del tuo amore, che mi ama umsonst, "per nulla" e in cui io mi consegno pieno di fiducia. Ti appartiene".

Il "nulla" del suo amore-povertà è semplicemente lode della misericordia del padre: "Per mezzo di questa misericordia sono un semplice nulla, puro amore-povertà e ciò testimonia la verità che tu, padre, da solo sei sufficiente, che la tua grazia sola basta. Dammi solamente il tuo amore e la tua grazia e questo basta. Se la tua volontà si compie in me e in tutte le tue creature, non desidero null'altro". Consegna la sua impotenza all'amore del padre, si affida a lui, senza motivo; in una fiducia senza limiti, il cui impegno è già la vita del padre in lui, cioè il "senza perché" fecondo della sua libertà, la vita in pienezza del figlio. Non può giustificarsi da sé e così parte: umsonst, "per nulla", per amore. (Ferdinand Ulrich).

La cultura cristianista si serve anche di immagini cristiane e di devozione popolare, ma ad esse manca il senso ultimo del mistero dell'incarnazione di Cristo. Anche le apparizione di Maria non possono essere null'altro che un'introduzione a questo mistero dell'incarnazione; e non lo sono allora non sono apparizione di Maria. Il mistero dell'incarnazione viene spiegato bene da queste parole di Paolo:

Filippesi 2,

[5] Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, 

[6] il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; 

[7] ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, 

[8] umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. 

[9] Per questo Dio (!!!) l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; 

[10] perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; 

[11] e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
 


Ovviamente l'atteggiamento descritto da Ulrich e da San Paolo deve essere differenziato a secondo del carisma che si vive: la forma dell'amore-povertà di una suora che vive nel Carmelo è differente dalla forma in cui lo vive un laico impegnato nel mondo (tanto per fare un esempio. Un giovane di 25 anni avrà anche un altro modo di vivere lo stesso mistero che un anziano di 60 (per far un altro esempio), ma tutti dobbiamo pian pian consegnarci a chi solamente può donarci ciò di cui abbiamo bisogno e superare ogni forma di egoismo personale e collettivo. Che uno sia ministro degli interni o papa cambia solamente la modalità dell'ufficio e non l'obbedienza nei confronti del mistero dell'amore gratuito fattosi carne in Gesù Cristo!

Se non si serve il nulla dell'amore gratuito non si può che servire il nulla del nichilismo imperante, pur baciando rosari e cose varie!