venerdì 26 febbraio 2021

Per un assenso assoluto e incondizionato, ma non fanatico - in dialogo con J.H. Newman

 San John Hany Newman, Grammatica dell'assenso, Milano, 1980  

In un altro post mi ero confrontato a lungo con la vita di Newman, cioè con la sua conversione al cattolicesimo, questo è dedicato alla sua opera filosofica sull'assenso. Raccolgo qui le mie meditazioni che sono, come al solito, work in progress.  


(26.2.21) La filosofia si occupa di domande ultime (Robert Spaemann), per cui può sembrare strano che un filosofo si confronti con il tema delle affermazioni e in modo particolare con quel tipo di affermazione che è un assenso "assoluto e incondizionato". Il santo inglese, però, non afferma che ci siano solo affermazioni - ci sono anche domande e deduzioni logiche (inferenze). E lo spirito umano necessita tutte queste forme delle preposizioni. Come vi è un'apprensione (da "apprendere", che è uno stato incoativo del comprendere) reale ed una nozionale; la prima ha una priorità sulla seconda, ma l'uomo ha bisogno di entrambe. "Ambedue i modi di usare delle preposizioni hanno i loro meriti e demeriti. Esercitare l'apprensione nozionale significa possedere una mente ampia ma non profonda; l'esercizio dell'apprensione reale è per chi ha mente profonda, ma angusta" (ibidem, 21). 



Anche la frase: "Un uomo maturo adopera il linguaggio per comunicare fatti, il fanciullo per comunicare astrazioni" (ibidem, 14) deve essere interpretata in modo attento al fatto che se la maturità ha una priorità sulla fanciullezza , essa può divenire ostacolo a quel "diventare come bambini" di cui parla Gesù. Ed in genere vi è un modo di essere maturi che ostacola ogni tensione ideale. 

Certo vi è un differenza tra astrazione ed idealità - e il cammino verso la formalità astratta della filosofia contemporanea, non è certo un cammino di idealità, ed ha conseguenze gravi per la grammatica dell'assenso - sia  a livello quotidiano, sia a livello del lavoro intellettuale sia "per un atto di fede intensa ed operante" (cfr. ibidem, 22): "più la mente si concede alle astrazioni, più opaco e meno attivo sarà l'assenso che presta ad esse" (ibidem, 22). E tanto più sarà difficile quel "ritorno alle cose" di cui ha parlato il giovane Heidegger in "Essere e tempo".  

Una delle autrici laiche che più mi hanno aiutato a prendere sul serio la differenza tra "assenso alle nozioni e all'assenso alle cose" è Hannah Arendt. In un certo senso lei è un aiuto per comprendere quella che Ferdinand Ulrich chiama la "logicizzazione fittizia" e che è un grande ostacolo per comprendere l'ontologia del dono amoroso dell'essere, che è sempre sostanzialmente concreto.  Newman è anche un grande aiuto propio in questo senso, e a differenza di Hannah Arendt (sebbene lo stile del "pensare" è molto simile) non si ferma al mondo di ciò che appare e alla sua correzione che Arendt chiama "pensiero" e che non è da confondere con l'intelletto quotidiano e scientifico che risolvono, a livelli  differenti ma simili, problemi e cercano risultati. Non sembra esserci in Arendt un passaggio dal "pensiero" all'assenso definitivo ed incondizionato, perché con la morte il grande miracolo della nascita è per lei appunto finito. Con la morte si esce definitivamente di scena - mentre per Newman non è così. 

(Pomeriggio) La riflessione sulla differenza tra "assenso nozionale ed assenso reale" mi sembra di importanze decisiva per la questione di un assenso assoluto ed incondizionato, ma non fanatico. Vorrei comunque procedere lentamente, come lentamente procede Newman; egli è cosciente di scrivere dopo Kant e per questo dice: "Non credo di commettere un arbitrio ragionando in maniera che implica l'identificazione dell'apprensione col suo oggetto" (23) e specificando: "la forza dell'oggetto crea la forza dell'apprensione": pensa in modo antico come Goethe ed in certo senso Heidegger (ritorno alle cose), ma è pur cosciente che "dal punto di vista del ragionamento presente non conta la questione se sono gli oggetti a rendere forte l'apprensione, o è l'apprensione che fa maggior posto agli oggetti della mente"; insomma se abbia ragione Goethe (con la percezione della figura) o Kant (con la soggettività trascendentale) viene giudicato come irrelevante per la riflessione che ci preme su un assenso incondizionato ed ha dalla sua che per "nostra natura siamo più colpiti dal concreto che dall'astratto" (24) - e questo ovviamente vale anche per le formule del catechismo, che senza una corrispondenza concreta non aiutano particolarmente. 

Se quello che per noi conta sono solo "ragionamenti e loro conclusioni" (le inferenze) e se a forza di astrazioni non sappiamo (da sapere, nel senso latino di gustare) più che "le esperienze e loro immagini colpiscono ed occupano la mente, le astrazioni e loro combinazioni no" (24), insomma se siamo del tutto presi dalle nostre astrazioni pseudo logiche ci troveremo sulle sabbie mobile del nichilismo o sul ghiaccio sottile dello stesso, senza quello che i Salmi chiamano uno "spirito saldo", saremo indifesi, avremmo perso le evidenze (Carrón) e saremo in balia della variabilità arbitraria propria alle inferenze, all'eccessiva valutazione di un assenso puramente nozionale. Di quest'ultimo Newman ci offre una presentazione in cinque parti, la prima è quella che può essere chiamata una professione meramente nozionale - si ripetono le parole, anche quelle del catechismo o della scuola di comunità, ma non hanno a che fare con un'esperienza e con un assenso reale, così che alla prima difficoltà o al primo maestro più alla moda si diventa nemici acerrimi di ciò che prima avevamo asserito. Oppure si continua a ripetere quello che il vecchio maestro ci aveva insegnato, ma non come figli, piuttosto come allievi (Peguy) - se il vecchio maestro esistesse oggi, direbbe forse su alcune cose cose diverse, perché le cose sono cambiate. Non è cambiata l'esigenza di un assenso assoluto e incondizionato, ma è cambiato la modalità dell'assenso, se si vuole essere fedeli al reale e non a delle nozioni. 

Per quanto riguarda il mio maestro, Ferdinand Ulrich, io non cerco solo di ripetere ciò che lui ha detto, per esempio "sul medesimo uso di essere e "nulla"", ma cerco di verificarlo nella mia esperienza e di approfondirlo cercando di non ridurre l'assenso reale ad uno solo razionale. 

Infine per quanto riguarda ciò che Arendt chiama il "pensiero", essa non è tentata dalla riduzione nozionale, per questo motivo nel suo "The life of the mind", non si chiede perché pensiamo - questo è un fatto, almeno per alcuni. Ci sono delle persone che pensano, non solo strumentalmente, come ho spiegato sopra, ma proprio gratis. La domanda che le preme è: che cosa ci porta a pensare? Certo non solo il vantaggio, perché anzi spesso proprio perché pensiamo, veniamo isolati e nessuno ama esserlo, anche se dobbiamo imparare che si può servire il Signore anche nell'anonimato più assoluto. Nel capitolo 21 di Giovanni vengono citati per nome alcuni che vanno a pescare con Pietro, ma di altri non se ne menziona il nome e sono ugualmente a pescare. L'assenso assoluto ed incondizionato non ha necessariamente bisogno di un palcoscenico. 

Gli altri passi dell'assenso nozionale sono: la credenza, l'opinione, la presunzione e la speculazione, nelle loro modalità astratte. Il nostro cammino seguirà questo percorso.

(27.2.21) NB Su questo primo punto riguardante una professione da pappagalli, su cui ho scritto  ieri, vorrei precisare un aspetto che Newman spiega molto bene: per l'assenso a qualcosa è necessario un minimo di reale comprensione, ma se si è coscienti di non aver capito, è sufficiente anche solo l'obbedienza. Insomma vi è un assenso serio anche e forse soprattutto attraverso  l'obbedienza ad un'autorità riconosciuta come tale. Ascoltiamo direttamente la sua argomentazione: "Tale asserire in base ad un'autorità con un atto d'assenso solo preteso ("assenso da pappagalli", l'ho chiamato io; RG) è quel che si intende per formalismo. Mentre dire: "Non capisco questa preposizione, ma l'accetto in base ad un'autorità, non è formalismo, ma atto di fede: non costituisce assenso diretto alla preposizione, ma significa assenso all'autorità da cui la si accetta" Ibidem, 27). 

(27.2.21) La questione dell'assenso assoluto ed incondizionato in riferimento al reale è decisivo per un credente, anche se come uomo pensante, conosce anche la modalità del domandare ed argomentare o inferire a partire da una certa premessa per arrivare ad una certa conclusione. L'assenso assoluto ed incondizionato lo merita ovviamente solamente Dio: "Non avrai altri dei di fronte a me" (Ex 20,3); noi, però, abbiamo anche bisogno di un assenso assoluto ed incondizionato per preposizioni che riguardano il reale, per esempio nel caso di una promessa data. Dal titolo che ho scelto per questo post si vede che ho anche subito identificato un problema: quello del "fanatismo". Ma ovviamene vi è anche il problema contrario, quello del "relativismo". Newman lo analizza in due passi ulteriori dell'assenso nozionale: la credenza e l'opinione. L'opinione e la credenza nozionali sono "parenti", ma con una differenza: "l'opinione presta esplicito assenso alla probabilità di una proposizione, mentre la credenza è un implicito assenso alla sua verità" (ibidem, 37). 

Un uomo ben educato ha determinate credenze comuni per esempio con i suoi colleghi o con i cittadini della sua nazione ed ha un determinato numero di opinioni di cui si fida e che hanno per esempio le persone che leggono lo stesso giornale o si fidano di un determinato giornalista. Tutto ciò non è mai un assenso profondo e reale, ma piuttosto un accordo nozionale ed anche due amici possono avere due assensi nozionali differenti: per esempio uno si fida di più della lettura della New York Time sugli avvenimenti dell'aggressione al Capitol in Washington ed un altro più dell'interpretazione alternativa di Glenn Greenwald: trattandosi di due opinioni nella sfera della probabilità e non della realtà, due amici non dovrebbero mai bisticciarsi definitivamente per un tale motivo, anche nel caso in cui uno ritenga la propria opinione più probabile di della  del suo amico. 

Atti di fede nei confronti di preposizioni del tipo: "Cristo è morto ed è disceso all'inferno per i nostri peccati", "Opzione preferenziale per i poveri", "Fratelli tutti", "Rispetto per la nostra casa comune", non sono opinioni, neppure opinioni del Santo Padre e se io sono disposto a "tollerare" o meglio a "rispettare" che uno pensi che non è possibile che Cristo sia disceso all'inferno, non ha a che fare con un assenso nozionale ad un opinione, per cui una opinione e probabile come un'altra, ma con l'assenso ultimo, assoluto e definito al Dio che è amore e che "fa sorgere il sole sui cattivi e suoi buoni" (Mt 5, 45) e anche un po' con il fatto che non essendo Dio non posso neppure distinguere definitivamente chi sia cattivo e buono. Che Dio sia, però, Amore (Giovanni; e come spiega Adrienne von Speyr, non solo uno che ama) è oggetto di un assenso assoluto ed incondizionato e non un'opinione e proprio dal cuore di questo assenso nasce l'invito ad amare tutte le sorelle e i fratelli uomini, anche coloro che mettono in dubbio la differenza sessuale tra "donna" ed "uomo" o la mia appartenenza ecclesiale o religiosa. E questo assenso non fa neppure parte di quelle credenze che si hanno in comune con gli altri, perché non è bene mettere sempre tutto in discussione, non lo è neppure per il filosofo, che come dice giustamente Hannah Arendt non può essere tale 24 ore al giorno. 

(1.3.21Mese di san Giuseppe) Sulla presunzione nozionale 

Newman intende "presunzione" nel senso di ciò che si "presume" a livello nozionale; come insegnante di religione direi che la non chiarezza su questo punto è una delle difficoltà più gravi che ho incontrato nel mio lavoro. Se un ragazzo dice che lui non crede nella creazione, come è descritta nella Bibbia, ma nella teoria del Big-bang, perché quest'ultimo è un fatto, dice allo stesso tempo una cosa vera e una falsa. Vero è che si tratta di una "credenza" ed ancor più precisamente di una "presunzione", falso è che si tratti di un "fatto", controllabile nell'esperienza. Se poi i creazionisti rispondono che anche la Bibbia è una sapere basato su fatti, hanno ragione e torto allo stesso tempo. Con questo tipo di argomentazione si muovono nello stessa confusione di far passare una "nozione" o un' "ipotesi" per un fatto. Ovviamente hanno ragione a pensare che Dio ha davvero creato il mondo. Ma lasciamo ancora da parte la "teologia" - è importante far comprendere agli scolari che nozioni non sono esperienza, per quanto esse possano essere importanti. Credo che le "premesse" al "Senso religioso" di Luigi Giussani abbiano voluto educare un'intera generazione a non confondere esperienza personale con nozioni (di giornalisti, scienziati, etc.) ed esse sono anche ciò che più mi ha aiutato nel mio lavoro a scuola. 

"La scienza con le sue analisi mette ordine nella confusione apparente dei fenomeni" (Newman) ed in questo non è diversa, ma solo più sottile, dell'intelletto quotidiano, come spiega con ragione Hannah Arendt: anche il buon senso o l'intelletto quotidiano cercano di mettere ordine nella confusone apparente dei fenomeni". Su questo punto siamo allora in un ampio consenso, "ma non dobbiamo dire o sottintendere che ci richiamiamo all'esperienza" (Newman) - la teoria del Big-Bang non è un'esperienza! È un ipotesi di lavoro. Insomma in una spiegazione scientifica o in una quotidiana ci mettiamo a spiegare la mancanza di esperienza e lo facciamo mediante ipotesi di lavoro: "La confusione dei fenomeni è un fatto, mentre i processi razionali non sono fatti" (Newman), ma per l'appunto "spiegazioni" di cose di cui non abbiamo esperienza diretta. 

In questo ambito di problemi nozionali si trova anche la confusione tra "necessariamente" e "generalmente" e tra sequenza abituale e causa: la notte sovviene al giorno, ma non ne è la causa. Anche se dovesse accadere per tre volte che mentre vado a prendere un vino in cantina la squadra del  Lipsia segna un gol, questa piccola sequenza non ci insegna che il mio andare in cantina è la causa dei gol della squadra; etc. Vi sono certo determinate sequenze che si ripetono (se lascio cadere una pietra, non vola, ma cade) e per questo le spieghiamo con una legge generale , ma anche una legge non è "una causa, ma un fatto" (Newman) 

Per quanto ci riguarda una "causa" ha per noi uomini a che fare con una "volontà", anche se quest'ultima non raggiunge sempre ciò che vuole. Se mia moglie ed io abbiamo avuto dei figli e perché lo abbiamo voluto, ma non sempre quando lo abbiamo voluto sono venuti dei figli. Comunque è vero che se io non voglio avere un rapporto sessuale, non avrò un figlio. Quelli che poi hanno un figlio, pur non volendolo - vogliono solo il rapporto sessuale; beh, questi sono molto ingenui ed astratti e non tengono conto della realtà. 

(2.3.21) Sulla "speculazione" nozionale.

"Speculazione" ha nella lingua corrente un significato assai diverso da quello che ha per il filosofo: indica una congettura (...) il suo senso rigoroso è quello di una visione mentale o meglio della contemplazione di operazioni mentali o di conclusioni di operazioni mentali, per contrasto con l'esperienza. (...) Per me essa denota precisamente certi assensi nozionali, che sono i più espliciti, diretti e perfetti nel loro genere: quelli con cui preposizioni sono fermamente e consapevolmente accertate come vere. Il tipo include l'assenso ad ogni ragionamento o sua conclusione, alle proposizioni generali, alle norme di condotta, ai proverbi, aforismi, detti sentenziosi, alle riflessioni sull'uomo e sulla società" (Newman, ibidem 45). 

Questo tipo di assenso nozionale non è maltratto da Newman, ma preso per quello che è: insomma una speculazione nozionale e il santo filosofo inglese si chiede come far si che queste nozioni (tutti noi le usiamo) diventino un assenso reale. Molto brevemente: diventato reali, attraverso l'esperienza. "Il cammino al vero è un'esperienza" ha detto uno dei grandi "allievi", meglio "figli" di Newman: Luigi Giussani. 

Ognuno ha le sue nozioni: quotidiane, scientifiche, giornalistiche, teologiche ed è bene che le abbia, ma se si vuole arrivare alla "verità" non si potrà che passare per l'esperienza. Esempio: a livello nozionale non si troveranno molte persone che giustifichino la "tratta degli schiavi", "ma occorre un movimento organizzato, innumerevoli scritti e discorsi", fatti da uomini che avevano un'esperienza di cosa significhi essere "schiavi", perché la il no nozionale alla "tratta di schiavi" diventasse un no reale. 

Ci vorrà anche molto tempo perchè l'assenso nozionale (ed anche sentimentale) al Papa e ai suoi temi diventi un assenso reale, così che "chiesa in uscita", il "vangelo in tasca", il rispetto per gli anziani, la preferenza per i poveri, "Fratelli tutti", etc. diventino assensi reali. 

O un altro esempio: nella guida spirituale non ha senso anticipare i tempi. Certe frasi anche se le si dice a chi si guida, rimangono solo nozioni, fino a che colui/colei a cui le abbiamo dette ne fa esperienza. 

Lessi i "Minima moralia" di Adorno con 17 anni e non mi dissero nulla, li rilessi con 18 anni ed diventarono un testo geniale di riferimento: non era cambiato il testo, ero cambiato io. Mutatis mutandis vale anche per un testo biblico: solo attraverso l'esperienza, un dolore o una gioia forte, certi testi diventano realtà. 

(4.3.21) "Per quanto vividamente concepita, una proposizione può essere falsa. (...) Un'immagine può avere tutte le apparenze delle verità, può porsi alla nostra mente con estrema nitidezza ed eloquenza (...) e tuttavia non avere alcuna consistenza nella realtà obiettiva. (...) La mente umana è sempre in rischio di lasciarsi sedurre dalla veracità dei suoi concetti a spese del buon senso e della cautela. E più una mente è dotata e più essa rischia di deviare dalla via della ragione e del dovere" (Newman, ibidem 49-50). 

Conosco persone che hanno per esempio un'intelligenza politica molto più sagace della mia, ma che si innamorano talmente dei loro concetti, anche sostenuti da alcuni giornali rinomati, da non vedere che di fatto essi non corrispondono per nulla alla realtà obiettiva, che non sta mai, per le cose del mondo, solo a disposizione di alcuni o anche solo di me. L'innamoramento nella propria interpretazione dei fatti diventa pura impossibilità di prendere sul serio un'ipotesi diversa. 

L'esempio che fa Newman è quello della scuola filosofica di Hume che non vuole prendere sul serio neppure come ipotesi la possibilità di  un miracolo, poiché "l'uniformità dei fatti di natura a cui assistono ora per ora" è per loro "una legge necessaria, inviolabile" (Newman, 50). E di fatto quante volte le nostre preghiere non hanno portato al miracolo richiesto, così che  siamo oggi un po' tutti della scuola empiristica di Hume, senza saperlo. Ma se ciò fosse vero, allora, Cristo non si sarebbe mai potuto incarnare nel grembo della vergine Maria. 

Ma anche per quanto riguarda le cose del mondo (e non solo gli accadimenti religioni nel mondo) rimane il fatto che noi tutti siamo ricolmi di speranza, paura, simpatia, antipatia, appetiti, passioni, egoismo - questi affetti "guidano" i nostri argomenti, le nostre conclusioni logiche, senza che ce ne accorgiamo. Per questo è necessario che siamo sempre molto cauti nel dare il nostro assenso incondizionato a cose o persone che non lo meritano, non perché siano cattive, o per lo meno non più di altre, ma perché sono umane: come esempio citerei la nuova amministrazione americana di Biden, che certi cattolici contrari a Trump, hanno preso come l'avvento del bene. Un amico tedesco ha scritto nella mia bacheca che è irritato (l'irritazione era più specificamente nata perché il giornalista aveva messo a tema le censure "democratiche") che io pubblici gli articoli di Glenn Greenwald, che è molto scettico sulla nuova (si fa per dire, Biden è stato già vice presidente americano) amministrazione. In cosa consiste l'irritazione più in generale? Nel mettere in dubbio quanto vividamente viene concepito in certi ambienti cattolici. 

(8.3.21) L'assenso reale è di carattere personale - sul discernimento delle cose che dicono i nostri maestri.

"Gli assensi reali sono di carattere personale, nel senso che ognuno ha i suoi e ne è contrassegnato. Altro è delle nozioni: l'apprensione nozionale è un atto ordinario della nostra natura comune" (Newman, ibidem 51). Attraverso l'astrazione nozionale è possibile che giovani che hanno spesso in comune solo l'anno di nascita, incomincino lo studio di giurisprudenza e lo portino a termine.

Quindi queste astrazioni nozionali non sono oggetto di un "insulto", nel senso: solo chi fa delle esperienze personali fa cose buone. Anzi il pericolo delle esperienze personali è questo: il rinchiudersi nella propria casa. Esperienze personali ed assensi reali sono "troppo legati alle individualità e al loro carattere accidentale"  (ibidem, 51).  Allo stesso tempo senza un adozione personale delle nozioni, si cade nel formalismo ed una reale simpatia tra gli uomini nasce da un assenso comune non solo nozionale. Direi che "credenze, convinzioni, certezze" (54) implicano il coraggio di un'esperienza che superi la tentazioni di chiudersi nella propria casa. 

Detto questo è chiaro anche che l'accidentale giudizio di Newman su fenomeni come l'Islam, può essere del tutto sbagliato, perché legato appunto ad una sua esperienza e giudizio personale. Newman nel 1870 parla di "errore maomettano" e Robert Benson nel 1907 nel suo famoso romanzo, che è piaciuto sia a Benedetto XVI che a papa Francesco, prevede la fine dell'Islam per mancanza di  fede e che sarebbe rimasta solo la Chiesa cattolica in grado di affrontare il tempo apocalittico incombente. Questi giudizi personali sono sbagliati e di fatto papa Francesco, pur ritenendo sotto certi aspetti il romanzo di Benson degno di lettura (per la questione della omologazione culturale), ha incontrato il grande Ajatollah al-Sistani come grande testimone di fede. Questo è solo un'esempio per dire che quando si ha un "maestro" è necessario distinguere ciò che è davvero centrale nella sua esperienza di fede dalle sue peculiarità individuali: sebbene io ritenga Balthasar infinitamente più grande di me, il suo giudizio su Gaddafi (solo per fare un esempio) era probabilmente del tutto unilaterale, come tanti giudizi miei si riveleranno come del tutto accidentali e sbagliati. Allo stesso è chiaro che non si diventa "maestri" per delle nozioni, ma per un cammino al vero nella dimensione dell'esperienza. Questo però ci deve invitare ad un'accortezza nel discernimento e a non trasformare un maestro in un guru.  

(9.3.21) Mi ha scritto un amico, che usa sempre le lettere grandi: 

Ma ti rendi conto che scambi GESÙ con il PAPA!

Nessuno è proprietario dell' ESCATON; PERCHÉ L'ESCATON è la NEGAZIONE DI QUESTO MONDO IN TOTO E IL COMPITO DELLA CHIESA NON È DIALOGARE CON AL-SISTANI O CON CHI ALTRO, MA ANNUNCIARE L'ESCATON! DIRE CHE IL PAPA È LA FIGURA UMILE E TRASPARENTE DI GESÙ SIGNIFICA NEGARE L'ESCATON. L'EVANGELO NON È UN'IMMAGINE BUONA DI QUESTO MONDO, MA LA FINE DI QUESTO MONDO, NESSUNA OGGETTIVAZIONE DI ESSO IN ESSO STESSO COME TU PRETENDI. NESSUNO PUÒ RIPETERE GESÙ, IL SOLO PENSARLO È LA FINE DELL'ESCATON!

L'ESCATON È LA LIBERAZIONE DELL'UOMO DA SE STESSO. L'ATTO DI FEDE È UNA DECISIONE ESCATOLOGICA! LE SEQUELE FANNO PARTE DELLA STORIA DEL PECCATO, NON HANNO NULLA A CHE FARE CON LA DECISIONE ESCATOLOGICA!

DIO NON PATTEGGIA CON NOI, CHIEDE UNA RINUNCIA RADICALE A NOI STESSI! A TUTTO QUELLO CHE NOI SIAMO! DUM VIVIFICAT FACIT ILLUD OCCIDENDO! NON ESISTE STORIA DELLA GRAZIA! LA GRAZIA È LA FINE DELLA STORIA!

Mi sono chiesto leggendo queste righe se si trattasse di frasi "nozionali" o davvero "reali". Pur nella non verità ultima di queste frasi gridate, vi è anche in esse un momento di verità. Secondo me c'è una storia della salvezza, ma è vero che non vi è una storia della grazia, perché quest'ultima è sempre del tutto libera, sorprendente. Ed è anche vero che noi dobbiamo morire al mondo, negare il mondo e che nessuna sequela, neppure al papa, può sostituire il nostro si personale a Cristo: in questo senso si tratta di una decisione realmente escatologica. Anche Ulrich mi ha sempre detto: Roberto, abbia il coraggio di uccidermi. Ma la fine della storia non è un atto eroico, che accade una volta per tutte, ma una testimonianza di ogni giorno: quando piano piano o improvvisamente non possiamo fare quello che facevamo da giovani e dobbiamo imparare a dire si a Cristo con meno forze, con il tinitus o il ginocchio che non funziona. Questa testimonianza quotidiana fa della "fine della storia" di cui parla il mio amico non una nozione, ma un assenso reale.  

(Pomeriggio) Prima di proseguire il lavoro con il testo di Newman vorrei fare una nota, che nasce perché sto traducendo l'ultimo testo di Ferdinand Ulrich sulla fecondità della verginità, che non è stato ancora pubblicato nell'edizione definitiva. La grande prostituta Babilonia, la madre di tutte le perversioni, sociali, politiche, economiche, umane, non è una "nozione" e l'assenso a questa preposizione non è di tipo nozionale, come non lo è il grande finale del "Padrone del mondo" di Benson. E come non lo sono le immagini dell'Apocalisse. L'Apocalisse è una questione massima di assenso reale; che essa venga usata per teorie complottiste, queste davvero solo "nozionali", fa parte del grande mistero per cui il vero pericolo per la Chiesa non viene dai fanatici "umanistici" descritti da Benson o per lo meno non solo da essi, ma è dentro la Chiesa, nella quale, la grande prostituta ha agito in modo spaventoso, come abbiamo visto negli scandali di pedofilia e in quelli economici. Si tratta dello stesso mistero per cui noi non sappiamo distinguere in modo univoco tra Babilonia e Gerusalemme. La somiglianza fisica tra il padrone del mondo e il papa è forse una delle intuizioni più geniali di Benson. Papa Francesco viene accusato di essere quel padrone del mondo umanistico e pacifista descritto da Benson, ma ciò è una pura follia nozionale, come l'accusa al Papa di essere un schiavo massonico. Per il Papa prega Gesù, per cui in vero non dobbiamo farci alcuna preoccupazione, solo unire la nostra preghiera, per la sua persona, come ci chiede instancabilmente il Papa, a quella di Gesù. La pandemia non è invenzione di un complotto massonico globale, ma può essere un momento di reale conversione: a chi diamo il nostro assenso reale? In questo tempo, in cui le follie che non avremmo mai creduto possibili, sono diventare di nuovo attuali (cfr. Alessandro Banfi), quelle di chi segue in modo nozionistico, come spiegato in questo post, ma anche in modo fanatico, le proprie spiegazioni del fenomeno pandemico, abbiamo davvero l'occasione di un assenso davvero reale e personale all'Unico che salva noi e il mondo - così come ci ha insegnato per due mesi l'anno scoro il Santo Padre nelle sue prediche e nelle sue preghiere all'inizio della Pandemia o ora nel suo viaggio iracheno. Tanto per fare qualche esempio. 

(10.3.21) Il testo di Newman porta molti frutti così che mi ha anche aiutato a confessarmi domenica. O nella meditazione di questa mattina che ho presentato in un "gruppo chiuso" che dedico ad Adrienne von Speyr in Facebook. Qui riporto la meditazione di questa mattina. 

Possiamo mentire anche dicendo le frasi che ha detto il Signore! In dialogo con Etty ed Adrienne.
Adrienne von Speyr, Discorsi polemici. Commento al Vangelo di Giovanni, capitoli 6-12, Einsiedeln 1949 (I discorsi polemici, Milano 1989, traduzione di Carlo Danna)
Preghiera (io ho scelto questa, che è fondamentalmente quella che Ignazio di Loyola chiede di ripetere sempre all'inizio di una giornata di esercizi; il santo spagnolo ci tiene che la preghiera sia sempre la stessa, però per te che leggi non deve essere questa mia).
Da Te, o Dio, nostro Signore chiedo la grazia, che tutte le mie intenzioni, azioni ed tutti i miei interessi, siano ordinati semplicemente al Tuo servizio e per la gloria della Tua divina maestà e del Tuo divino amore.
Amen!
Gv 8, 13-14"Gli dissero allora i farisei: "Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera". Gesù rispose loro: "Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo e da dove vado"."
Testo greco: 8, 13 Εἶπον οὖν αὐτῷ οἱ Φαρισαῖοι· σὺ περὶ σεαυτοῦ μαρτυρεῖς· ἡ μαρτυρία σου οὐκ ἔστιν ἀληθής. 14 ἀπεκρίθη Ἰησοῦς καὶ εἶπεν αὐτοῖς· κἂν ἐγὼ μαρτυρῶ περὶ ἐμαυτοῦ, ἀληθής ἐστιν ἡ μαρτυρία μου, ὅτι οἶδα πόθεν ἦλθον καὶ ποῦ ὑπάγω· ὑμεῖς δὲ οὐκ οἴδατε πόθεν ἔρχομαι ἢ ποῦ ὑπάγω.
I farisei di tutti i tempi si sentono come gli specialisti della spiritualità e di tutti gli altri camp del sapere, insomma sono dei "tuttologi", che hanno però solo un sapere "formale", "nozionale". E come sto spiegando in un post nel mio blog su Newman, questo tipo di sapere non è in sé male, ma ha dei forti limiti. L'unico assenso reale che i farisei esprimono riguarda se stessi. "Rispondono a tutto solo con se stessi" (Adrienne, commento a questi versi del Vangelo di Giovanni); "e se tu dai tanta importanza a te stessa, ti agiti e fai chiasso, allora ti sfugge quella grande, potente ed eterna corrente, che è appunto la vita" (Etty, Diario, 12.12.41). La vita anche per Gesù è una "corrente": "egli viene dal Padre e ritorna al Padre. Si tratta del programma più semplice pensabile, e poiché è l'essenza del suo essere e del suo insegnamento e si lascia ridurre a questa mera preposizione, verrebbe da pensare che qualsiasi bambino potrebbe capirlo" (Adrienne), ma non è così, forse perché non siamo bambini ma facciamo troppo chiasso intorno al nostro ego.
Certo anche il nostro io ha un suo compito: "vivere dando ascolto al ritmo che ci portiamo dentro" (Etty, ibidem). Al ritmo della vita in tutta la sua ampiezza per Etty, al movimento dal Padre al Padre per Adrienne. E per entrambe queste due donne straordinarie del XX secolo ci vuole tanto amore e tanta umiltà per ascoltare il ritmo della vita e non far chiasso con il proprio ego.
Il peccato per Adrienne è un ostacolo all'ascolto del ritmo della vita dal Padre al Padre. Ed esso infondo è menzogna, che può consistere nel ripetere le frasi di Gesù solo come "parole", come "nozioni" (in fondo le persone che non hanno più queste nozioni da un certo punto di vista hanno più possibilità di incontrare davvero il Signore). Così anche all'interno della Chiesa la fede diventa non autentica, non genuina. Manca dell'amore gratis, che solo è credibile. Forse Etty più di Adrienne ci rende anche attenti a ciò di cui non possiamo sentirci in colpa, mentre Adrienne più di Etty ci conduce in quel processo di verità ed amore che è Cristo stesso.
Etty dice con ragione che a volte la quiete raggiunta, "questo senso di gran respiro e dolcezza", può anche aver a che fare e ciò non importa con "le sei aspirine prese ieri a causa di un forte mal di testa, o alla musica suonata da Mischa, oppure al corpo caldo di Han nel quale mi sono completamente seppellita stanotte" (ibidem). O ad una visita dallo psichiatra ben riuscita o da uno di quei gesti che i "farisei" guardano con sospetto, perché non corrispondono alla legge astratta che hanno in testa.

Dobbiamo diventare davvero liberi nel giudizio, anche per confessare con sincerità le nostre colpe ed in modo particolare quella del ridurre le parole di Gesù in sole "proposizioni nozionali". Quelle che non ci permettono di comprendere che il contenuto della corrente della vita e del percorso dal Padre al Padre "è appunto l'amore, l'amore divino, integro, completo ed indiviso. Nessun tratto è stralciabile da tale cammino, per essere compreso da solo" (Adrienne).

(11.03,21) Ulteriore approfondimento del confronto tra assensi nozionali e reali (cfr. Newman, ibidem 54-59) - come educare un popolo.

Abbiamo per ora trascurato di approfondire la questione delle "inferenze", che sono degli assensi nozionali, che funzionano nella modalità delle conclusioni logiche, come per esempio i sillogismi. Esempio noto: "Se la mortalità caratterizza ( = A) tutti gli essere umani ( = B) e se tutti gli ateniesi ( = C) sono essere umani, allora ne consegue (con necessità) che la mortalità (= A) caratterizza tutti gli ateniesi  (= C). Questa conclusione logica è senz'altro vera, ma è un assenso nozionale, in forza del quale, ci insegna Newman, non nasce il martirio (come testimonianza e come offerta della propria vita). Nessuno diventa martire per un sillogismo, e certo non è qualcosa che nei momenti difficili ci aiuta a vivere, sebbene sia un ottimo esercizio intellettuale.

Noi non possiamo educare un popolo con "conclusioni logiche". Tanto meno il "popolo santo e fedele di Dio"; l'idea di Goethe di educare un popolo con il teatro, tra le proposte mondane, mi sembra la più adeguata, "perché la vita è fatta per l'azione" (Newman, ibidem 58) e il teatro è azione. La scienza, per quanto necessaria, funziona come l'Intelletto quotidiano, sebbene sia più sottile ed acuta (Hannah Arendt): cerca di mettere ordine nel caos e di rivelare ipotesi migliori di altre per chiarire le cose o permette che cose che non sono evidenti lo diventino. Come ha detto la cancelliera Merkel, un anno fa non era per nulla evidente quale  vaccino ci avrebbe aiutato contro il Covid 19, ora invece ne abbiamo alcuni. Queste scoperte sono utili per l'umanità, ma non servono per educare un popolo, "perché di solito il cuore non è raggiunto attraverso la ragione, ma attraverso l'immaginazione, mediante dirette impressioni, la testimonianza di fatti, l'evocazione storica, le descrizioni" (Newman, 56-57). Che le persone si vaccinino per una considerazione logica è un fatto di minoranza. 

Quindi per Newman, né la scienza né la letteratura, possono sostituire una vera educazione al senso religioso, cioè al senso di tutta la realtà. Questo lo può solo una rivelazione (più Newman) ed un'esperienza (più Giussani). Per me come filosofo è necessario anche il "pensiero" (Arendt), ma il pensiero non è, a differenza di quanto pensasse Hegel, un attività della ragione scientifica o quotidiana. Il pensiero nasce dallo stupore che vi sia qualcosa, invece che niente (Parmenide, Platone, Leibniz, Heidegger, Balthasar, Ullrich, tanto per fare qualche nome). Quando Balthasar dice che non vi è teologia senza filosofia, intende il "pensiero", non inferenze logiche. Ed il grande opus di Ulrich, l'Homo Abyssus (1961) è un'opera di pensiero che nasce dallo stupore che l'essere venga donato come atto di amore gratuito. Ed è un'opera di discernimento che ci aiuta, che aiuta il filosofo, a non ridurre l'amore in un atto di logicizzazione fittizia, cioè in un assenso solo nozionale. 

Infine bisogna dire che anche gli assensi reali non sono "diretti", anche questi accadano a livello della mente. La scuola di comunità di un movimento religioso è di per se anche un atto intellettuale e mentale, anche se vuole educare ad un assenso reale. Bisognerà ricordarsi di questo limite, se non si vuole ridurla in ripetizione di "nozioni". Essa è credibile perché il maestro da cui nasce è credibile. Questo vale anche per un filosofo come Ulrich, che non è per nulla un filosofo "che non può non dirsi cristiano" (Croce, Vattimo) e che non invita ad essere un cristiano implicito (cfr. Newman, ibidem 57). Sebbene un "cristianesimo anonimo" (Rahner) non abbia alcun senso, vi sono certo anche "cristiani anonimi" (De Lubac), ma il pensatore cristiano parte sempre da un assenso reale ad un rivelazione dell'amore gratuito in Gesù Cristo. Da esso nasce l'educazione al senso religioso e al discernimento filosofico. Questo vale anche ed in modo esemplare per il modo con cui il Papa ci educa.      

(21.03.21; inizio della primavera)

Ogni volta che leggo Newman mi accorgo che è davvero uno degli autori che mi sono necessari e congeniali.  Già la sua autobiografia mi aveva del tutto conquistato, perché la sua conversione non era frutto di proselitismo e non aveva un carattere trionfalistico, ma del tutto discreto. Direi che fino a quando ha potuto vedere che la "una, santa, catholica ed apostolica" era tale anche nella chiesa anglicana è rimasto la dove si trovava. Poi ha dovuto fare il passo romano e per questo passo ha sacrificato anche la sua amata Oxford. 

Ora con la "grammatica dell'assenso" mi trovo di nuovo totalmente "a casa"; in primo luogo perché come credente hoi bisogno di un assenso incondizionato a Dio e il mio desiderio che esso non sia fanatico non sposta di uno iota l'esigenza di un tale assenso. Come dice Etty Hillesum dobbiamo avere il coraggio di pronunciare il nome di Dio e la grammatica dell'assenso di Newman è un aiuto grandissimo per dare questo assenso in modo ragionevole. Inoltre Newman non cade nel fanatismo dell'assenso solo reale versus quello intellettuale. Non ho mai sopportato la critica agli intellettuali, fatta perlopiù da intellettuali. Ne credo che si debba mettere in contrasto l'assenso religioso con quello teologico e proprio per i motivi che ci offre Newman. Vi è una priorità dell'assenso reale su quello intellettuale o nozionale , ma senza il secondo si scade in un puro assenso sentimentale, come ovviamente senza quello reale si scade in un assenso solo formale. Ed anche se a me convince più Etty, quando poco prima di essere stata arrestata, ci ha invitato al coraggio di pronunciare il nome di Dio, che una serata accademica su Dio, la teologia di Etty non è precisa abbastanza per soddisfare il mio bisogno nozionale e reale (teologico e religioso). Dio non è solo la parte profonda di me - è anche questo: nel senso dell' interior intimo meo - ma è anche il "totalmente altro": onnisciente, onnipotente, etc. 

Se prendiamo in considerazione la figura di un papa come Papa Francesco, cioè di un papa più "religioso" (assenso reale) che "teologico" (assenso intellettuale), vedremo che la religiosità di Papa Francesco da il suo assenso anche e soprattuto al dogma cattolico e non solo ad una religiosità generale. Insomma il suo assenso è un assenso reale al dogma. E poi dobbiamo anche stare attenti a non perdere di vista, per la sua umiltà, il suo grande lavoro teologico e filosofico, come ci è stato presentato da Massimo Borghesi nella sua vita intellettuale di Jorge Mario Bergoglio. Vicinanza, compassione e tenerezza non sono per papa Francesco categorie generali, ma nascono dallo sguardo al Crocifisso, come ha sottolineato nell'odierno Angelus. Quindi anche per lui vale quello che vale per Newman che è stato santificato nel suo pontificato: "La stessa formula che contiene un dogma per per il teologo, fornisce al fedele un oggetto per il suo culto. Mi sembra ovvio ... che in religione l'immaginazione e gli affetti devono essere sempre controllati dalla ragione. La teologia può rimanere una scienza valida anche senza la religiosità che le dà la vita; ma la religione non regge senza teologia" (Newman, ibidem 73). 
Vorrei fare ancora un paragone, anche se non è del tutto calzante, perché sia Adrienne von Speyr che Etty Hillesum hanno dato un assenso reale a ciò che hanno detto; ma è vero che la teologia di Adrienne è più precisa di quella di Etty. Insomma Adrienne è più teologa ed Etty più "religiosa". Per questo un cristiano farebbe bene a leggere entrambe queste donne straordinarie. In Adrienne ci si troverà più nel grembo della teologia cattolica e in Etty forse di più nel grembo di una riflessione che lascia uno spazio all'esperienza, senza che essa venga integrata in una teologia  (comunque spesso integrata nella preghiera). Certo il diario "Cielo e Terra" di Adrienne fa vedere che anche in Adrienne vi è un grande spazio per l'esperienza (così come la sua attività medica...), ma i diari sono stati curati da un teologo e questo si vede. Etty è una ragazza giovane con tutta la sua esuberanza anche erotica e così la trovo sempre un aiuto per non cadere in maschere teologiche. Maschere che non ci sono in Adrienne (e neppure in Balthasar), ma spesso in chi parla in modo solo teologico. 
Infine la questione dell'assenso incondizionato non pone solo la questione teologica, ma anche quella morale. Io ritengo che Newman abbia ragione a vedere la coscienza come quel principio che collega Dio con le sue creature. Gli atti mafiosi e di corruzione fanno male alla nostra coscienza, perché sono contro l'ordine morale voluto da Dio. Certo a volte pesano sulla nostra coscienza cose che non hanno a che fare nulla con Dio, tanto meno con un Dio della vicinanza, della compassione e della tenerezza, o pesano su di noi elementi del subcosciente, ma detto in una formula: mi fido più di Newman che di Freud. La nostra coscienza ci mette davvero in contatto con la volontà di Dio. E nessun "Es" e nessun "Superego" può mettere in crisi definitivamente questa struttura morale, se non quando si è malati. 
(8.4.21) Trinità e coscienza 
Quando si parla della Trinità si potrebbe pensare che abbiamo a che fare con la "teologia", insomma con dei "concetti", con delle "nozioni". Necessari per lo sguardo d'insieme, ma uno sguardo da e per teologi. Newman pensa con ragione che abbiamo a che fare anche con la "devozione", con la "religione" e che si tratta di proposizioni che riguardano tutti. Ma dobbiamo prenderle una per una. Come noi nella nostra giornata non possiamo far altro che fare un'azione dopo l'altra. Il presunto "sguardo d'insieme" ci potrebbe solo far perdere l'equilibrio. Anche in questo giorno mi muovo verso il Padre che dona l'essere, ma ciò accade nella "piccola via" di piccole azioni e pensieri. La frase: "Nell'eucarestia ci viene donata la communio trinitaria, perché la riceviamo per la vita" (Marc Ouellet, Er liebte sie bis zur Vollendung, Freiburg 2020, 57) è chiara, ma forse lo è solo per teologi. Con ragione egli l'ha detta ad una comunità, un istituto secolare che porta il nome Communio Jesu. Ma credo che i passaggi singolari che hanno portato a questa affermazione generale siano più chiari, non per l'assenso teologico, ma per quello reale. Facciamo l'esempio di ciò che dice il cardinale canadese di Cristo:  "Il Figlio è accoglimento eterno dell'amore del Padre, che è vissuto come una risposta perfetta e grata - Eucarestia - al dono del Padre" (Marc Ouellet, ibidem 56). Comprendiamo che il Figlio risponde al Padre in modo grato, quindi in modo eucaristico. Comprendiamo che la sua risposta è perfetta e che accoglie e non rifiuta l'amore del Padre, etc. Noi non siamo capaci di risposte perfette, ma analogicamente comprendiamo che ad un atto di amore si risponde con un atto d'amore e che questo atto d'amore non è generale, ma fatto di mosse concrete. E questo amore non è per noi solo un concetto, ma qualcosa che richiede da noi un assenso reale. 
Annunciare la dottrina trinitaria nei suoi passaggi concreti è annunciare il Vangelo che non contenere teorie trinitarie, ma tante frasi (per esempio in Giovanni e Paolo) che ci rimandano a questo mistero e che in sé non sono misteriose, ma comprensibili e necessarie alla nostra salvezza: "Orbene, sono io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre, che mi ha mandato, mi dà testimonianza" (Gv. 8,18) - i giudei mettono in dubbio questo e il "giudeo in noi" lo mette in dubbio a sua volta. Perché forse ci sentiamo più gettati nell'essere che "mandati": Gesù, però, vuole che impariamo proprio questo: come lui è stato mandato da Padre, anche noi siamo nel mondo come mandati e dobbiamo imparare la risposta eucaristica all' amore che il Padre di dona nei singoli passi della nostra vita. E l'unico mediatore tra noi e il Padre è il Figlio! La "singolarità" del quale, anche se non in una piena confessione, è presente anche nel Corano. 
"La coscienza è il principio che collega la creatura con il creatore" (Newman). Dobbiamo tenere aperta la "polarità" di queste due frasi: Cristo è l'unico mediatore tra il Padre e le creature; "la coscienza è il principio che collega la creatura con il creatore". Un progetto etico che sostituisca Cristo con la coscienza non è quello di Papa Francesco, ma quello di Hans Küng. Il Papa riesce ad integrare anche agnostici nella sua idea di "Fratelli tutti", perché non è un'idea. La coscienza non è perfetta, mentre Cristo lo è e solo lui ci può portare al Padre. Cristo con la sua morte in Croce attira tutti! Non essendo noi Cristo e non essendo Cristo un sistema da cui noi siamo capaci di dedurre tutto, non possiamo far altro che usare quel principio di collegamento di cui parla Newman, la coscienza, quando abbiamo dubbi nell'agire e nel pensare - solo essa può evitare quelli che Küng chiamava gli scismi con la gente normale, non un progetto di adeguamento al mondo. La coscienza nel suo bisogno di amore assoluto e gratuito cerca Cristo non il mondo, perché "tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste" (Gv. 1.3). 
(24.4.21) Sull'importanza della teologia e della dogmatica per un assenso reale a Cristo. 
È vero che non basta avere una conoscenza nozionale di teologia per dare un assenso reale a Cristo, ma è anche vero che una teologia che non sia in accordo con la Chiesa non permette a priori un reale assenso a Cristo. E questo vale sia per il contadino che per il teologo. Quindi non è indifferente quale teologia abbiamo o non abbiamo. 
Anche un movimento come Comunione e Liberazione che da molto valore alla verifica dell'esperienza studia, nella sua scuola di comunità, un "percorso" di fede ricolmo di asserzioni teologiche riguardanti Dio, Cristo e la Chiesa. Newman ci aiuta a comprendere che i dogmi o la buona teologia si basa su frasi che sono del tutto comprensibili. Anche se non vi è necessità che io dia un assenso esplicito a tutto, basta quello implicito. Fidandomi della Chiesa e non di un'altra autorità (di una comunque ci si fida) dico di si implicito anche ad asserzioni teologiche che non ho ancora incontrato. Nello scontro tra Alessandro ed Ario l'imperatore Costantino taglia corto - ma non nel senso di Peguy, cioè del fare il cristianesimo - dicendo che i due devono vivere insieme in pace perché solo i teologi capiscono quale sia l'oggetto del loro contendere. Il Concilio di Nicea non la pensava così ed ha proposto a tutti, contadini e teologi, panettieri e filosofi il "consustanziale" - ed è vero che una persona con scarsa preparazioni nozionale non capisce bene cosa significhi questa parola, ma tutti comprendono che vi è differenza se penso e credo o non penso e non credo che "Cristo è realmente tutt'uno con il Padre" (Newman, ibidem 87).  
Nel mio post sulla "Civitas Dei" avevo proposto un approccio diverso all'Islam: alla scuola di Christian de Chergé e Paolo Dall'Oglio. Quest'ultimo desiderata un passo ulteriore a quello del Vaticano II, che riconosce una certa verità all'Islam e il primo desiderava vedere i mussulmani come li vede Dio Padre. Newman dice: "supponiamo che qualche vescovo o prete, oggi, si dia ad insegnare che il credo islamico o quello del Buddismo è direttamente o immediatamente rivelato da Dio: la Chiesa sarà tenuta ad usare dell'autorità che Dio le ha dato dichiarando che una tale preposizione non è compatibile con il Cristianesimo e chi l'abbraccia non appartiene al corpo della Chiesa, sarà tenuta a notificare tale sua asserzione al gruppo delle persone che hanno fatto propria la nuova preposizione, così che se non si ricredono vengono separate dalla comunità cattolica come si sono separate dalla fede cattolica" (Newman, ibidem 90). Essendo Cristo, nella sua singolarità, la rivelazione diretta ed immediata di Dio, è chiaro che l'Islam o il Buddismo non lo sono, ma in un certo senso non lo è neppure un cristianesimo che si sostituisca a Cristo e alla sua logica di amore. Con riferimento a Gen 21, 8-21 padre Dall'Oglio fa vedere che la logica di Dio, che Cristo rivela in modo singolare e definitivo, è quella che anche l'esclusione è inclusione: Ismaele è escluso, ma anche a lui viene promesso di essere padre di un grande popolo che, anche se in modo meno diretto ed immediato, confessi Dio, padre misericordioso. 
Per quanto riguarda l'obiezione teologica che Vito Mancuso ha fatto alla proposta del Santo Padre di pregare il rosario, nel mese di maggio, per superare il Covid 19 e che si sta discutendo in questi giorni:  "Chi crede ancora che la spiritualità autentica sia fatta di queste cose? Cioè di una preghiera per ottenere da un Dio onnipotente quello che Egli, con un solo pensiero, potrebbe realizzare? Non è tutto un po’ troppo imbarazzante?", dicevo per quanto riguarda questa obiezione, non so se abbia il formato di una eresia a cui la Chiesa debba rispondere, visto che in una discussione teologica "il rifiuto dell'errore è assai più fruttuoso dell'asserzione del vero" (Newman, 89). Forse, no! Ma certo è che con quel "imbarazzante", Mancuso mette in dubbio una cosa ben più grave e cioè che alla Chiesa sub et cum Petro, "sono commesse la custodia e l'interpretazione della rivelazione. La parola della Chiesa è la parola della Rivelazione" (Newman, ibidem 92). Sul tema stesso è Cristo che ci chiede di chiedere! Con la sua proposta il Santo Padre ci educa ad un assenso reale a Cristo, come l'unico che può davvero salvarci, dalla pandemia ed anche dalla pandemia dopo la pandemia.
(4.9.21) "L'argomentazione verbale non è il principio motore della nostra intima convinzione" (J. Newman)
Come filosofo sono certamente interessato all'inferenza, cioè al ragionamento che porta ad un'accettazione condizionata di determinate asserzioni, ma come uomo che cerca di pensare il dono gratuito dell'essere sono fermamente convinto che vi è un' assenso incondizionato che non dipende da "inferenze" o "ragionamenti" o "argomentazioni verbali" di qualsiasi tipo esse siano. E questo assenso incondizionato non è il frutto di un'inferenza né una sua duplicazione.
L'amicizia, per esempio, per partire da una delle cose più importanti dell'essere umano, può nascere in determinate circostanze (un progetto comune, una storia comune), ma se è vera amicizia (e questo lo è per grazia) allora essa non dipende da queste circostanze, né dalla durata, ma da un'intensità che è corrispondenza del cuore. E ciò non ha nulla a che fare con l'irrazionalità: "L'assenso a ragionamenti non dimostrativi è un atto troppo universalmente accetto perché lo giudichiamo irrazionale, se più non crediamo irrazionale la stessa natura dell'uomo" (Newman, ibidem 108).
Questo assenso incondizionato è a livello della conoscenza ciò che il dono dell'essere gratuito è a livello ontologico. In gioco è ciò che solo può corrispondere al desiderio ultimo dell'uomo. La superiorità di certe di verità teologiche come il sacrificio redentivo sulla Croce di Cristo non dissolve l'incondizionatezza di questi assensi nella piccola via della nostra vita, ma li invera. 

(7.10.21) Sulla gioia serena della certezza. 
Come a livello ontologico vi è una gioia ultima nel considerare l'essere come dono d'amore, così a livello gnoseologico, nell'assenso vi è una gioia della certezza, che fa parte dello spirito umano, ancora più radicalmente della gioia della ricerca o del dubbio. Questa gioia della certezza non ha bisogno in primo luogo di ripetizioni, che in sé, se non sono modalità di una liturgia o di un rituale, sono piuttosto noiose, ma non nega l'importanza di un lavoro di "indagine", di approfondimento: "la ricerca implica il dubbio mentre l'indagine non lo implica; chi assente ad una dottrina o ad un fatto né può indagare la credibilità senza contraddirsi, ma a rigore non ne può revocare in dubbio la verità" (Newman, 116). Anche il lavoro di verifica per la propria vita di una determinata proposta non ha la modalità del dubbio, ma per l'appunto dell'indagine nel senso spiegato da Newman.
Facciamo qualche esempio concreto. Io credo che il vescovo di Roma sia il vicario di Cristo sulla terra, su questo punto ho come cattolico una "gioia serena della certezza" - non ho però il bisogno fondamentalista di affermare che il vescovo di Roma in certe decisioni, che non riguardano il dogma o la moralità ultima dell'agire umano, non si sbagli. Per esempio nella sua prima percezione della situazione in Cile, Papa Francesco si è sbagliato, come potrebbe anche essersi sbagliato nella sua prima percezione del caso del cardinal Becci (come suppongono Galli della Loggia e Farina). Un indagine su questa questione è possibile, senza mettere in questione la gioia serena della fiducia nel vescovo di Roma come vicario di Cristo, per cui in primo luogo Cristo stesso prega. Un eccessiva polemica nell'indagine non è segno di serenità e come dice san Newman: "Non è, certo, entrando in polemica che abbandoniamo la nostra credenza" (115) - l'eccessiva polemica, non solo per gli inglesi e per i tedeschi, non è mai d'aiuto "quando ci disponiamo a convincere qualcuno di qualcosa su cui egli dissente da noi" (ibidem).
O per fare un altro esempio: la mia fiducia nel discorso scientifico, non significa che non possa criticare anche una possibile strumentalizzazione della scienza per scopi politici e di potere e quindi non ho bisogno di dare dello stupido a chi non riesce a dare il suo assenso ad una certa ipotesi di lavoro scientifica (vaccinarsi e meglio che non vaccinarsi). Etc.
Questa è anche la debolezza del modo di scrivere Greenwald, mi ha fatto notare un'amica. Anche tenendo conto del modo differente di scrivere in America o in Europa, ed anche tenendo conto dei diversi stili di scrittura, vi è il rischio che nella sua analisi critica della narrazione liberale di sinistra, che tra l'altro è criticata anche da una persona di sinistra come Sahra Wagenknecht (a parte il fatto che anche Greenwald è di sinistra), c'è il rischio di un eccesso di polemica che non aiuta l'altro a cambiare la propria opinione, anche se questa fosse un pregiudizio. Di fatto noi tutti abbiamo bisogno di certi assensi "semplici", che non vogliamo mettere in discussione, anche se si tratta di "assensi effimeri e distratti" (125). E poi bisogna tener conto che "spesso gli uomini dubitano di proposizioni vere; ma non sono spesso certi di proposizioni del tutto false" (119) - quindi anche nella narrazione liberale di sinistra vi sono momenti di verità, di cui si dovrà tenere conto, senza fare compromessi con fake news, che sono l'oggetto della critica di Greenwald ai "media corporate".
Il capitolo l'"assenso complesso" (113-127) su cui sto riflettendo qui contiene più elementi di quanto possa tenere conto in questo momento. La stessa differenza tra assenso semplice ed assenso complesso è rimasta in ombra. Gli assensi semplici (la Gran Bretagna è un'isola; esiste un continente che chiamiamo America Latina, anche se non ci siamo mai stati...) sono piuttosto incoscienti - insomma li presupponiamo, senza aver fatto per esempio un giro in barca intorno alla Gran Bretagna. Quelli complessi devono passare attraverso un assenso cosciente e indagato: la narrazione della sinistra liberale su "Black Live matter" è unilaterale o altri esempi che ho fatto in questa riflessione non sono oggetto di un'assenso semplice. Etc.
(9.1.24) (Notte) Come Ulrich mi è maestro in questioni ontologiche, cioè riguardanti l’essere, Newman me lo è a riguardo delle questioni della conoscenza, cioè dell’assenso e della certezza. „Gli errori del nostro raziocinio sono lezioni, ammonimenti non già a non ragionare più, ma a ragionare con maggior cautela““ (Grammatica dell’assenso, edizione italiana citata, 140). Ed anche il fatto che a volte sono erroneamente certo di qualcosa (un certezza che si rivela essere stata un pseudo certezza), non significa che non vi sia una certezza veritiera, senza la quale non potremmo per nulla vivere o scrivere queste righe. La mia certezza che Dio sia amore o che l’essere sia un dono di amore gratuito non significa che io sia infallibile in tutto ciò che dico. Per questo per cose storiche uso spesso la parola narrazione e quest’ultima è verosimile, non necessariamente vera. Una frase ontologica non è una narrazione, che muta a seconda del tempo o della prospettiva. L’uomo deve essere cauto, ma non insicuro e a volte basta l’intuizione e non un lungo lavoro filosofico per essere certi, come ci insegna un martire cristiano, che offre la sua vita nel hic et nunc. L’importanza dell’atto di certezza non ha a che fare per nulla con il fanatismo. „Nessun caso di certezza erroneamente nutrita, dunque, vale a far prova che di per sé la certezza è una perversione, una violazione della natura umana“ (142) - vero è piuttosto il contrario. Sono certo che mia moglie sia il dono più grande della mia vita e senza questa certezza non potrei affrontare il giorno, ciò non mi rende né infallibile in tutto né mi lega in modo perverso a mia moglie quasi che fosse Dio… 
(10.1.24) (Notte) San Newman ci offre un criterio di importanza vitale: ci sono delle persone che "non credono nell'infallibilità della Chiesa". Credono "nella veridicità della dottrina, ma non nella sua infallibilità" (Grammatica dell'assenso, Milano 1980, 151). In questo modo fanno crollare una certezza che è conditio sine qua non dell’appartenenza ecclesiale. Il santo inglese procede, nel suo giudizio di uno che si fa cattolico e poi in seguito rinnega la sua fede cattolica, nel seguente modo: „prima di essere accolto nel corpo della Chiesa gli viene richiesto se credeva in tutto ciò che è insegnato dalla chiesa, ed egli risponde di sì, perché credeva gli si chiedesse se sposava le particolari dottrine che la Chiesa insegnava in quel momento, e non già (come si intendeva chiedergli) se accettava ciò che la chiesa insegnava o avrebbe insegnato in futuro. Costui dunque non ha mai abbracciato la fede indispensabile ed elementare dei cattolici; non era nelle vere condizioni per venire ricevuto in grembo alla Chiesa. Così, il giorno in cui viene proclamata la definizione dell'Immacolata Concezione egli si trova di fronte ad un'esigenza che esula dall'impegno preso facendosi cattolico, e abbandona la sua professione. Molti diranno che gli ha perduto la certezza nella divinità della fede cattolica, ma in realtà egli non l’ha mai avuta“ (San Newman, ibidem 151-152). Un altro punto importante è la „principale differenza intesa in termini filosofici, tra cristianità nominale e cristianità vitale, quest’ultima ha per un cattolico un criterio e garanzia ultima che Ambrogio riassume così: „Ubi Petrus, ibi ecclesia, ubi ecclesia vita aeterna“. Con ragione Newman dice che abbiamo bisogno di certezze: l’infallibilità della Chiesa sub et cum Petro è una tale certezza, da cui dipende anche il nostro - di noi cattolici - amore di Dio e del prossimo: „ uomini lucidi e sensati o che si considerano tali, ma che non comprendono che cosa significa amare Dio al di sopra di tutto, si accontentano di concedere alle verità religiose quel grado di probabilità che serve loro nelle occorrenze quotidiane“ (ibidem 146), o in quelle che ritengono loro essere le risposte valide per le sfide del nostro rempo. È vero che il matrimonio tra uomo e donna fa parte di queste certezze, ma ciò non significa che non si possa anche benedire altre forme, anche imperfette, dal punto di vista cattolico, di rapporti umani…faccio sempre l’esempio di Glenn Greenwald che ha perso suo marito con una malattia drammatica: se avesse voluto una benedizione per questo tempo di malattia, solo un prete senza misericordia avrebbe potuto rifiutarla. Solo l’amore è credibile! Buona notte! 
(11.1.24) Newman ci insegna a distinguere „certezze“ da „partiti presi“ - a me sembra che tante obiezioni che vengono fatte al pontefice attuale siano „partiti presi“ ed e molto interessante che siano proprio i tradizionalisti che confondano la certezza della dottrina con un partito preso. Di fatto citano qualche frase del pontefice, ma non mi danno per nulla la sensazione che le loro frasi reggerebbero ad un esame scrupoloso (cfr. La grammatica dell’assenso, 155) del senso di queste frasi. Ed è anche molto interessante che la differenza di cui ho parlato sta notte, tra veridicità della dottrina e infallibilità della Chiesa sembra non toccarli per nulla (sostengono che riguarda solo il cardinal Fernandez e il Papa), cosa che mi fa pensare che non abbiano alcun discernimento né un senso dell’esistenza storica. Pensano insomma che le deviazioni siano sempre uguali: Newman parla del dogma dell’Immacolata Concezione, che loro non mettono in dubbio, ma questa è solo un’incapacità di vedere che le sfide del XIX secolo non sono le stesse di quelle de XXI secolo, etc. La loro ostilità è talmente grande che pensano di difendere certezze antiche, mentre soffrono di un eresia moderna, quella di chi mette la protesta sopra la fiducia nell’infallibilità della Chiesa; i tradizionalisti sono insomma i modernisti del nostro tempo…

(Pomeriggio) Continuo il mio dialogo intimo con Newman. In primo luogo gli sono infinitamente grato per la frase: „La vera certezza non dispone d’un mezzo pronto ed esauriente per essere distinta dalla certezza falsa“ (La grammatica dell’assenso, 156); insomma in una discussione dobbiamo essere attenti ed ascoltare e mettere in moto il discernimento per comprendere se si tratta di una certezza o di un partito preso: senza certezze non possiamo vivere! O cadiamo in depressioni! Sono certo che mia moglie e i miei figli mi amano, etc. I criteri che offre Newman sono davvero molto forti: „ direi, insomma, che per la certezza si danno tre condizioni: che consegua all'esame e alla prova, che l'accompagni uno specifico senso di soddisfazione e distensione mentale, e che sia irreversibile. Se l'assenso è prestato senza base razionale, è un giudizio malformato, una fantasia, un partito preso; se non lo accompagna il senso di aver raggiunto un terreno fermo, e poco più che inferenza; se non dura, non era che è una convinzione“ (La grammatica dell’assenso, 158). Non si vive di sole convinzioni ed inferenze (processi induttivi o deduttivi attraverso i quali una preposizione viene derivata da una certa premessa), abbiamo bisogno di certezze. Gli esempi che fa Newman sono interessanti, ma forse il primo basato sull’esperienza è più forte di quello esegetico con Adamo. 1) Sono certo che mio papà non suonerà alla porta fra dieci muniti, perché è morto e il suo corpo è  stato bruciato. 2) Tra l’origine da Adamo o da un „gorilla, o scimpanzé o orangutan o babbuino“ l’ipotesi biblica mi sembra più ragionevole della seconda, ma la mia certezza consiste nel fatto che Dio ha donato gratuitamente l’essere ed ha creato l’uomo, la modalità di questa creazione è descritta molto bene nei due racconti biblici di Genesi, ma mi sembra per l’appunto un racconto da non prendere alla lettera, nel senso fondamentalista del termine. E poi comunque anche Newman dice con ragione: „le scoperte della scienza non possono contraddire la Rivelazione divina“. Poi con ragione, afferma che nelle discussioni con posizioni che riteniamo false non dobbiamo né difenderci né mettersi in discussione…

(13.1.24) Mi scrive un amico ha proposito di una frase di Martin Buber citata dal Cardinal Zuppi (sul cercare le cause dei conflitti dapprima in sé, non negli altri: „Per quanto riguarda i conflitti individuali, sono ampiamente d'accordo con Buber. Certamente l'affermazione non è del tutto trasferibile ai conflitti tra gruppi sociali (controversie di lavoro) o addirittura alle guerre di aggressione, perché questo giustificherebbe quasi di nuovo l'attacco. È tutto molto complesso, soprattutto a Gaza“. A questa parte del discorso non ho risposto, perché per discutere di una cosa del genere, bisognerebbe tenere ben conto una doppia lezione di Newman: „L’inferenza logica manca di prove in materia concreta perché non ha il pieno controllo dei suoi oggetti: ammette le proprie premesse e niente di più“ (Newman, La grammatica dell’assenso, 165). Qui abbiamo tanta „materia concreta“ (i conflitti individuali, quelli sociali, le guerre di aggressione…). Secondo punto: tanti aspetti che noi riteniamo essere un’argomentazione logica, sono solo „convinzioni già formate in ciascuno di noi, radicate nella nostra natura o comunque nella nostra forma personale“ (ibidem, 169). Ovviamene ci sono scuole giornalistiche  e letture storiche più affidabili di altre, ma è anche vero che in questo tipo di discussioni, come nella questione dell’edizione di una frase di Shakespeare di cui parla Newman, si sono inseriti „numerosi miti, pie menzogne ed altre cose siffatte che ci trascinerebbero in una sylva intricata di primi principi e nudi fatti“ (169). Se si parla di una guerra di aggressione spesso si cade nel mito o favola di Cappuccetto rosso, in modo particolare se sono coinvolti imperi, come è accaduto nel caso della guerra in Ucraina, per la quale, in forza della mia posizione, lo stesso amico mi aveva accusato di propagare gli argomenti di Putin; mentre, e questo è interessante, si è più disposti a ragionare non mitologicamente su Gaza (cioè accettare la lezione che non c’è solo un lupo), sebbene qui i „nudi fatti“ (il massacro di più di 20.000 persone per vendicarne 1.400), sono ben più chiari della situazione ucraina. La frase che mi ha inviato l’amico è un capolavoro labirintico: con Buber l’amico è d’accordo ampiamente, non del tutto e questo è legittimo, ma a che fare con la sua personalità (non sempre disposta a cercare le cause di un conflitto in sé) e non con la logica. Il più grande capolavoro nelle sue righe è quello di insinuare a chi si vuole mettere nella prospettiva dell’altro di legittimare aggressioni ingiuste…Alla fine direi che in questa sopravvalutazione delle inferenze si nasconde la non volontà di porre la questione della „certezza“, non in questioni culturali, giornalistiche e storiche, ma li dove essa ha il suo posto: il nostro cuore! 

(15.1.24) La frase di Alexis Carrel citata da don Giussani nel „Senso religioso“ (capitolo primo: Una premessa: realismo), „Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità“ (Senso religioso, 11), che avevo criticato qualche tempo fa, è del tutto vera, se con ragionamento si intende una „inferenza logica“: questo tipo di ragionamento, che è l’inferenza logica, dice con ragione Newman, è condannato all’imprecisione (cfr. „La grammatica dell’assenso, 170), se ci riferiamo a „cose sensibili“: „nella sfera sensibile abbiamo molto più a che fare con cose che con nozioni“ (ibidem, 170). Dobbiamo però specificare di che tipo di ragionamento stiamo parlando? Una riflessione ontologica che parta dal „fatto“ (meglio atto) del dono dell’essere come amore gratuito è tanto quanto, anzi molto più precisa di qualsiasi osservazione! Quando ragioniamo possiamo farlo per ampliare la nostra conoscenza delle cose  e dei fatti che non devono a noi i loro attributi“ (Newman, 170). L’atto del dono dell’essere in modo eccellente non deve a noi nulla di sé e delle proprie proprietà, ma se ci limitiamo solo all’osservazione di fatti è anche possibile un’ampliamento non della sapienza, ma di un cumulo di sapere assolutamente inutile e non amoroso. Se siamo alla ricerca di qualcosa, diciamo il pianeta Nettuno, che è l’esempio fatto da Newman, l’inferenza logica, qui nella modalità della matematica, deve sempre tener conto di un „margine di errore“; giustamente spiega Newman: „il successo  (cioè l’avere trovato il pianeta Nettuno in forza di un calcolo) non sarebbe parso tanto trionfale se non ci fosse stato un rischio di insuccesso“. Insomma ripeto ciò che ho già detto nei giorni passati: un’inferenza sillogistica, matematica, giuridica, etc si muove sempre nell’ambito del verosimile, non del vero, del probabile, non del certo! Ciò non significa che il verosimile sia inutile, per l'appunto è vero-simile. Non significa che un'inferenza matematica sia inutile, eccetera. L’errore che dobbiamo evitare è quello di applicare i cosiddetti universali alle cose singole. Newman fa degli esempi molto buoni (rinvio alle pagine, 170-176). Il fatto che io faccia parte degli uomini e che si possa dire in generale che l'uomo è un animale politico, non fa di me, quel Roberto particolare, un animale politico…anche l'argomento astratto che una persona che conosca bene la matematica a livello accademico la insegni meglio a degli adolescenti di un insegnante che a livello accademico la conosca non così bene, è solo un’ astrazione, che conduce all’errore. „ Le leggi generali non sono verità intangibili; tantomeno sono cause necessarie“  (Newman, 171) - in questo senso hanno ragione sia Newman che Giussani. Ma la riflessione ontologica di cui parlavo non è l’applicazione di una teoria generale ai fatti, ma la percezione del cuore dei fatti stessi, che per l’appunto non possono essere solo osservati, ma amati. Il realismo non consiste nell’osservazioni di fatti, ma nella scoperta „intima“ direi che in ogni fatto ed in ogni persona vi è un momento di gratuità, che non è arbitrarietà, ma la traccia del dono gratuito d’amore che è la donazione dell’essere. Questa critica alla generalità astratta di Newman vale anche per le narrazioni generali. Newman fa questo esempio: „ Vediamo ad esempio questo argomento deduttivo: „L'Europa non potrà avere pace finché non saranno ridotte le ingenti forze armate dei singoli suoi paesi, perché un grande esercito mobilitabile già da solo provoca la guerra“. Qui la conclusione indica solo una probabilità, perché forse nessuno dei singoli paesi questa idea si realizza, anzi in ciascuno di essi, di fatto, certe circostanze politico o sociali possono annullare il pericolo astratto“ (Newman, 173-174). Anche la frase: „non ci sarà pace fino a quando non smetterà di produrre le armi“, è molto astratta, forse un desiderio pio, ma di fatto non si sa mai se mentre un certo paese smette di produrre armi, un altro invece le produce ancora di più. Ma per non sembrare che stia facendo una critica al Papa o al desiderio di pace - chi ha letto il mio diario sa che non l'ho mai fatto - vorrei anche dire che anche la teoria o narrazione generale che un aggressore possa essere fermato solamente con le armi, e per l'appunto solo una teoria. Che ha forse un momento di probabilità, sicuramente non di certezza. La nostra certezza consiste davvero nella „profezia della pace“, senza per questo essere degli ingenui, cioè senza ridurre la profezia in una teoria generale o in un sillogismo… Piuttosto è vero che una guerra, mai e poi mai corrisponde all’unico realismo che sia davvero reale e cristiano: quello del dono dell’essere come amore gratuito! 

(17.1.24) Non mi sembra esservi dubbio, sebbene questa affermazione sia abbastanza divertente, in riferimento all’oggetto di cui parleremo, che „La grammatica dell’assenso“ sia una delle fonti delle premesse del „Senso religioso“ di Don Giussani e che per esempio nel capitolo „L’inferenza concreta“, l’esempio con l’insularità della Gran Bretagna corrisponda alla domanda che pone don Giussani, sulla dimostrabilità dell’esistenza dell’America hic et nunc: „ la capacità di mostrare è un aspetto della ragionevolezza, ma il ragionevole non è la capacità di dimostrare“ (Giussani, „Seconda premessa. Ragionevolezza“  nel „Senso religioso“, 25). Don Giussani cita un suo dialogo con un collega: „ professore, io non sono mai stato in America, ma le posso con certezza assicurare che l'America c’è. Lo affermo con la stessa certezza con cui dico che lei si trova davanti a me in questo momento. Trova questa mia certezza ragionevole?“ (Senso religioso, 27). Il collega per la dinamica del discorso, si trova costretto a rispondere di no; commenta don Giussani: „ io ho un concetto di ragione per cui ammettere che l'America c'è senza averla mai vista può essere ragionevolissimo, al contrario di quel professore il cui concetto di ragione gli fa dire che non è ragionevole. Per me la ragione è apertura alla realtà, capacità di afferrarla e affermarla nella totalità dei suoi fattori. Per quel  professore ragione è “misura“ delle cose, fenomeno che si avvera quando c'è una diretta dimostrabilità“ (Senso religioso, 28). Insomma don Giussani ha un concetto di ragione come apertura e fiducia; poi prosegue il suo discorso con la „diversità di procedimenti“; ai mi allievi lo presento così: è ragionevole se mia moglie mangia la torta che ho preparato per il suo compleanno e non sarebbe ragionevole se pretendesse una dimostrazione chimica che nella torta non vi sia alcun veleno; mentre se faccio un esperimento chimico non posso dire alla professoressa che mi fido di lei e che non è necessario che faccia parte di questo esperimento. I procedimenti della ragionevolezza sono diversi, etc. Newman si concentra sulla differenza tra inferenza logica astratta e l’inferenza non formale e procede in modo più lento di Don Giussani. La frase di don Giussani sopra citata: „ la capacità di mostrare è un aspetto della ragionevolezza, ma il ragionevole non è la capacità di dimostrare“, è comprensibile nel suo discorso, ma forse Newman fa comprendere meglio che anche il metodo corretto con cui si affrontano quesiti concreti non si sostituisce „all’inferenza logica, ma fa con essa un tutt’uno“ (Newman, La grammatica dell’assenso, 179). Probabilmente nelle sue esposizioni sulla „diversità di procedimenti“ (Senso religioso, 28-29),don Giussani dice la stessa cosa, ma parlando in dialogo con studenti del liceo e non facendo un ragionamento „universitario“ forse mette in evidenza troppo velocemente la soluzione del problema, rinviando all’apertura della ragione e alla fiducia. In questi anni direi che senza l’aiuto di don Giussani non avrei avuto il coraggio di affrontare alcuni argomenti con i ragazzi a scuola, ma allo stesso tempo il lento procedere di Newman corrisponde di più alla mia sete filosofica. Gli esempi che fa Newman riguardanti il presente, il passato e il futuro (l’insularità della Gran Bretagna, l’esistenza di alcuni autori classici e la domanda: „ quali ragioni mi rendono sicuro che io, proprio io, morirò?“ (Newman, 183) mi sembra che permettano al santo inglese di insistere sulla probabilità delle inferenze logiche, una probabilità ben necessaria, ma che non può mai sostituire il „buon senso“; Newman come Giussani vogliono con tutte le forze evitare che ci vengano date „parole invece di cose“ (Newman 183). È da buon inglese Newman cerca di evitare „quello che Locke chiama un surplusage, un eccesso delle credenze sulle prove. Però, dove fallisce la logica riesce il mio pensiero naturale, il mio buon senso - cioè il modo sano in cui funziona la mia mente (anche se non sono in grado di tradurlo in parole adeguate: sicché (per quanto riguarda il terzo esempio) io rimango nella convinzione più precisa, più piena, che un giorno morirò“ (Newman, 184); e questo vale anche per il mio essere nato, etc. Non vi è alcuna contraddizione tra Giussani e Newman, forse solo nella lentezza dell’argomentare del secondo, che mi permette di approfondire più precisamente la questione della certezza, che non è una questione di „pertinenza della logica statistica“ (184), che non è riducibile alla sola inferenza logica, ma suppone una „correlazione tra certezza e prova implicita“ (cosa che don Giussani ben sa!). Mi sembra insomma che Newman mi aiuti ancor meglio a non mettermi sotto lo stress di dover dire con delle parole, ciò che le parole non permettono, tanto meno permettono esse un passo continuo e senza salto tra la certezza e la fiducia che c’è l’America e la certezza del cielo. Parlando della possibile conversione di un protestante al cattolicesimo, Newman dice con ragione, che ciò sia impossibile con un argomentare logico o sillogistico, ma lo diventa possibile con un „atto rapido ed illuminato“ (Newman, 179), che non ha bisogno necessariamente di essere espresso in parole…

(19.1.24) Sempre sul tema dell’argomentare logico astratto (inferenza) e la concretezza degli eventi, Newman mi fa fare alcuni passi nuovi, di cui gli sono molto grati. Uno su un argomento che interessa più a me che a lui, sebbene lui stesso faccia l’esempio: „Avremmo la guerra in Europa perché la Grecia ha audacemente sfidato la Turchia“ (La grammatica dell’assenso, 186); tento un transfer: „Avremmo la guerra in Europa perché la Russia ha audacemente sfidato l’Ucraina“ , ma possiamo prendere anche un’altra frase: „Avremmo la guerra in Europa perché Zelensky si è messo in testa di vincere la Russia“. Per giudicare su questi „perché“ abbiamo bisogno di una competenza: diplomatici, politici, giornalisti hanno determinate spiegazioni per convincerci del loro „perché“; dovrebbe essere evidente che su temi storici concreti dovrebbe essere possibile un dibattito, senza che la posizione che non corrisponde alla tua propria o al mainstream venga immediatamente accusata di essere „cattiva“. Si può cercare di formulare in modo più rigoroso la nostra posizione. „Un gesto di sfida rivolto all’Ucraina dalla Russia non può che produrre una guerra in Europa; tale è il comportamento della Russia, ergo…“; ma ciò vale anche per l’altra frase: „Zelensky si è messo in testa di vincere la guerra con la Russia e questo non può che provocare un’estensione della guerra, e visto che si sta comportando così come abbiamo sentito anche a Davos, ergo…“. Ripeto con Cicerone, che tutto ciò sta nell'ambito del verosimile, non del vero e su questo mi sembra che sia d'accordo anche Newman. Infondo quando accade e come accade l'assenso a un determinato giudizio? Per me come filosofo è importante che il giudizio abbia una certa complessità, che le narrazioni vengano prese sul serio non solo in una in una direzione, ma in fondo ed infine la narrazione che riterrò vera ha a che fare con la fiducia in chi l'ha formulata o in chi ci ha consigliato una tale fonte. Certamente non nascerà da un sillogismo astratto, da una logica astratta, neppure e tantomeno se questa è logica poi la logica del mainstream. Si può anche dare il caso che due miei amici sostengono posizioni contrapposte, alla fine si imporrà la fiducia più grande, che non è solo una questione di sentimentalismo, ma di una „oggettività“ anche a questo livello dell’amicizia.

L’altra cosa che ho imparato ha a che fare con un tema religioso come quello del miracolo ed in genere della credibilità del cristianesimo nella sua interezza; anche in questo ambito non si imporrà come vero (qui è il caso di parlare del vero e non solo del verosimile) il risultato di una logica astratta. Su un tale tema più che mai avremo bisogno di una certezza e questa si da se siamo „guidati da un processo concreto del pensiero“ (190) e dal coinvolgimento di tutta la nostra persona: „occorre un vivo impegno della mente, adeguato ad un grande problema obbiettivo. Dobbiamo fare appello a tutte le nostre migliori risorse se lo vogliamo affrontare in modo degno della sua dignità, e non con l'animo di chi voglia fare un saggio letterario“ (188). Dobbiamo tenere conto della grandezza e dignità dell'oggetto su cui stiamo ragionando e che, se siamo un po' leali riconosceremo che supera la nostra intelligenza e quindi coinvolge una dimensione più alta. Certamente non ci aiuterà la logica nella sua astrattezza…e infine bisogna tenere conto ancora di una cosa molto importante: argomenti che riguardano il senso religioso possono essere approfonditi solamente se ci serviamo della forza individuale nostra e di coloro che ci stanno ascoltando e non della forza dei sillogismi. Per questo motivo il lavoro di un maestro Cristiano e anche quello dell'attesa, dello sviluppo della forza di giudizio dell’altro, che non cade dal cielo come la pioggia, ma è il frutto di un grande lavoro. Giussani nel „Senso religioso“ parla della „moralità nel conoscere“ (Senso religioso, 46). Quest’ultima implica „ l'amore per la verità dell'oggetto più di quanto si sia attaccati alle opinioni che già ci siamo fatti su di esso“ (47). Implica un lavoro basato sulla fiducia, ma come esperienza di giudizio personale ed esistenziale che non possiamo delegare ad altri, perché in questo caso non si tratterebbe più di fiducia, ma di alienazione…