giovedì 31 agosto 2017

Che cosa cerco? C'é gioia nel mio cuore?

La domanda posta nell'udienza di ieri è la stessa che pone Gesù ad Andrea e Giovanni: cosa cercate? I due futuri discepoli non gli chiedono nulla di astratto, ma pongono a loro volta una domanda: dove abiti? Gesù infine risponde con un invito: "Venite e vedete". A offerto loro un luogo dove stare. Questo luogo a livello sacramentale ed umano per me è il mio matrimonio e per quanto riguarda Cristo, ad un livello di appartenenza ecclesiale, per l'appunto la Chiesa e in modo particolare la fraternità di Comunione e Liberazione. Ho visto appena i volti belli degli amici di Elisabetta Colò nella sua bacheca ed ho visto come un popolo a Rimini ha saputo accogliere per esempio il cardinal Parolin e potrei raccontare tante cose belle che danno gioia al mio cuore. Vi è però una "mitologia" dell'unicità di CL nel panorama della Chiesa e del mondo che non mi convince, tanto più se giudicata nel luogo che è la rete ed in cui ora mi trovo a scrivere. L'aggressività di tanti cielllini o ex ciellini, dai famosi come il giornalista di Siena a quelli che vorrebbero essere famosi come un sacerdote di una "cultura cattolica" che non è la mia, di cui ieri si è parlato dai "Contadini di Peguy", a quelli che dicono di essere delusi da me perché ho delle preferenze che loro ritengono terribili, come per esempio il padre Dall'Oglio, mi fanno vivere la mia appartenenza in rete come sofferenza. È vero che l'estrema destra ciellina ha un "momento di verità", perché non vi è nulla di umano che non lo abbia, ma questi amori per dittatori (Assad, Putin) o folli (Trump) è spaventosa per chi cerca di seguire la Chiesa e il Papa, come si è espresso questa mattina in altra sede Bruno. Sono rarissimi gli amici di CL che mi sostengono in rete, ma ci sono e ne sono grato. Tantissimi si fanno solo vivi quando parli con il linguaggio "mitologico ciellino" se no, non esisti. Quello che mi sorprese 30 anni fa quando iniziò il cammino con mia moglie e che lei vedesse chi ero pur nella mia grande confusione. Il rapporto è nato nel 1987 quando ero ancora utopista blochiano. Infatti il primo libro che le regalai fu "Spuren" di Ernst Bloch. Dall'80 al 87 ero andato in percorso ateistico che è certamente nato quando nel 1978 le Brigate Rosse hanno ucciso Moro. Con Leonardo Sciascia ho pensato che i terroristi fossero uomini con cui si poteva trattare. Quell'uccisione mi fece capire come tutto il mondo politico cattolico aveva lasciato del tutto solo Aldo Moro ed una vera confessione di questo non l'ho ancora sentita. Capisco quindi che Padre Dall'Oglio, che ha scelto la democrazia e non il terrorismo, abbia ritenuto anche i terroristi uomini con cui si può dialogare. Perché loro hanno un momento di verità. Il mio ritorno nella Chiesa è sicuramente una grazia incredibile per me, mediata da grandi maestri, che non erano solo grandi per la loro teologia - penso per esempio a padre von Balthasar - ma per la loro disponibilità ad essere fedeli alla Chiesa fino al "sangue". Quando padre Balthasar accetta la nomina cardinalizia, sa che morirà, perché il cielo non voleva. Alla scuola di questi maestri ho imparato per prima cosa: ubi Petrus, ibi ecclesia; ibi ecclesia vita aeterna. Questa loro obbedienza aveva come unica motivazione l'obbedienza del Figlio nei confronti del Padre come assunzione libera del "sacrificio" - non vi è un percorso cristiano che non porti alla sequela della croce, come quella che sta portando il Padre Dall'Oglio nel suo sequestro. Detto questo rimane per me vero: cerco Cristo e lo riconosco in alcune persone autentiche. Il mio cuore è ancora pieno di gioia, anche se so so che la gioia cristiana passa attraverso anche la solitudine, quella che provo spesso in CL anche se è stata abbracciata dalla "fratellanza" di don Carrón.

lunedì 28 agosto 2017

Una mia lezione di filosofia su essere e tempo

LIPSIA — Mentre in Italia regnano ancora incontrastate le ferie scolastiche, nella Sassonia-Anhalt studenti ed insegnanti si trovano già nella quarta settimana del nuovo anno scolastico. Nei miei corsi di filosofia, prima di cominciare con la "storia della filosofia", faccio sempre una lezione iniziale in cui cerco di esprimere i pensieri sui quali rifletto giorno per giorno. Quest'anno mi sono ispirato ad un video dell'Associazione Antonio Rosmini di Padova in cui Massimo Borghesi affronta il tema del tempo nell'undicesimo capitolo delle Confessioni di Agostino e ad un articolo de La civiltà cattolica sullo stesso tema (Quaderno 4011-4012, 2017): "Nel 1905 Edmund Husserl, inaugurando un ciclo di lezioni Sulla coscienza interna del tempo, dichiarò che le riflessioni sul tempo sviluppate da sant'Agostino nel libro XI delle Confessioni restavano insuperate. Così come restava intatta la validità dell'affermazione relativa al tentativo di definire esattamente la natura del tempo: 'Si nemo a me quaerat, scio, si quaerenti explicare velim, nescio' (se nessuno me lo chiede lo so, ma se voglio dare ragione a chi me la chiede, non lo conosco). 

http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2017/8/29/SCUOLA-Quella-lezione-di-Agostino-che-ha-ancora-molto-da-dire-ai-giovani/780018/

domenica 6 agosto 2017

L'essere come amore. Commento filosofico alla prima lettera di san Giovanni. Dedicato a don Federico Picchetto

Dedicato a Don Federico Picchetto 

Giovanni 1

1


[1] Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita

[2] (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi),
[3] quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo.

[4] Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta. 


Testo greco: 

1Ὃ ἦν ἀπ’ ἀρχῆς, ὃ ἀκηκόαμεν, ὃ ἑωράκαμεν τοῖς ὀφθαλμοῖς ἡμῶν, ὃ ἐθεασάμεθα καὶ αἱ χεῖρες ἡμῶν ἐψηλάφησαν, περὶ τοῦ λόγου τῆς ζωῆς— 2καὶ ἡ ζωὴ ἐφανερώθη, καὶ ἑωράκαμεν καὶ μαρτυροῦμεν καὶ ἀπαγγέλλομεν ὑμῖν τὴν ζωὴν τὴν αἰώνιον ἥτις ἦν πρὸς τὸν πατέρα καὶ ἐφανερώθη ἡμῖν— 3ὃ ἑωράκαμεν καὶ ἀκηκόαμεν ἀπαγγέλλομεν καὶ ὑμῖν, ἵνα καὶ ὑμεῖς κοινωνίαν ἔχητε μεθ’ ἡμῶν· καὶ ἡ κοινωνία δὲ ἡ ἡμετέρα μετὰ τοῦ πατρὸς καὶ μετὰ τοῦ υἱοῦ αὐτοῦ Ἰησοῦ Χριστοῦ· 4καὶ ταῦτα γράφομεν ἡμεῖς ἵνα ἡ χαρὰ ἡμῶν ᾖ πεπληρωμένη.

Come nel Vangelo di san Giovanni siamo confrontati immediatamente con la parola "fin da principio" (Ὃ ἦν ἀπ’ ἀρχῆς). "Principio" non significa principio di Dio, perché Dio non ha principio né fine.  Principio è "origine del mondo" (cfr. commento di Bruno Maggioni). Quindi quel momento iniziale del dono dell'essere come amore (Ferdinand Ulrich). Vi è un'intimità tra il Logos che era in questo principio e il dono dell'essere. Giovanni nel suo Vangelo lo dirà esplicitamente: "il mondo è stato fatto per mezzo di lui"!! Che non vi sia "teologia senza filosofia" (Hans Urs von Balthasar) significa per esempio che non possiamo comprendere nulla del reale se separiamo definitivamente, in un dualismo fatale, creazione (dono dell'essere) e redenzione (azione redentrice di Cristo). 

Nella sua prima lettera Giovanni o chi per lui l'abbia scritta ci sottrae immediatamente da ogni tentazione "gnostica". La filosofia che è Cristo stesso (Hans Urs von Balthasar) non è gnosi, ma amore per la sapienza, che non è serva di nessun linguaggio epistemologico specifico, ma per l'appunto ancella dell'amore gratuito che viene donato nel principio e che l'autore della lettera e noi con lui, per esempio nell'incontro con determinati uomini, come per me Ferdinand Ulrich o Hans Urs von Balthasar, "abbiamo udito" (ὃ ἀκηκόαμεν), "abbiamo veduto con i nostri occhi"(ὃ ἑωράκαμεν τοῖς ὀφθαλμοῖς ἡμῶν), "abbiamo contemplato" (ὃ ἐθεασάμεθα), "abbiamo toccato con le nostre mani" (αἱ χεῖρες ἡμῶν ἐψηλάφησαν). Del Logos della vita (τοῦ λόγου τῆς ζωῆς) non si può parlare in modo "gnostico" - se ne può parlare solamente se abbiamo fatto esperienza del Logos incarnato. 

Giovanni ha vissuto con Maria e ci ricorda con la sua vita l'altro adagio romano cattolico, in vero cattolico tout court: ubi Maria ibi Christus! L'adagio di riferimento a cui mi riferisco è: Ubi Petrus ibi ecclesia, ubi ecclesia vita aeterna (Sant'Ambrogio). Nel principio c'è il si di Maria (Adrienne von Speyr), cioè dell'uomo al dono del Padre, che è per l'appunto l'essere come amore. Maria viene ontologicamente prima di Eva: il sì di Maria è il presupposto della possibilità della libertà di Eva di dire di no. L'obbedienza di Maria è il presupposto della disobbedienza di Eva. L'obbedienza di Maria è espressione della libertà compiuta dell'essere finito. Maria stessa è antropologia compiuta (2). 

La filosofia dell'essere come dono è interessata solamente ed unicamente al Logos della vita (1)! Non ha interesse per alcuna astrazione, gnostica o di altro tipo che sia. È interessata al dono del Padre che è vita. La filosofia dell'essere come dono annuncia la vita eterna che era presso il Padre ( ἀπαγγέλλομεν ὑμῖν τὴν ζωὴν τὴν αἰώνιον ἥτις ἦν πρὸς τὸν πατέρα). È interessata unicamente a questo "primerear" (Papa Francesco, che è forse il Papa più filosofo della storia della Chiesa), a questo dono gratuito che il Padre fa senza alcuna forzatura e senza alcuna condizione! Da questo dono nasce una "necessità", che Ulrich chiama "il senso necessario dell'essere", ma "necessario" per Ulrich non significa "costrizione", ma come la parola tedesca dice, ciò che è capace di superare la necessità, il bisogno, l'indigenza in cui si trova l'uomo per la disobbedienza sua propria. Il senso necessario dell'essere è il si di Maria al dono del Logos della vita e risposta di amore ad un atto d'amore! È il presupposto della libertà (cfr. Padre Wilhelm Klein SJ). 

Perché annuncia Giovanni tutte queste cose che ha visto ed udito, toccato e contemplato? "Perché anche voi siate in comunione con noi" ( ἵνα καὶ ὑμεῖς κοινωνίαν ἔχητε μεθ’ ἡμῶν·). Non si tratta di alcuna comunione di tipo sociologico, antropologico o politico, anche se tocca tutte queste sfere. Chi cerca il Logos della vita con un'intenzione sociale o politica se ne andrà scandalizzato (cfr. Gv 6,1-15 e il commento nell'omelia di don Stefano Alberto agli Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione del 2017). La comunione di cui parla Giovanni è trinitaria, anche se lo Spirito Santo qui non è menzionato esplicitamente: "La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo" (ἡ κοινωνία δὲ ἡ ἡμετέρα μετὰ τοῦ πατρὸς καὶ μετὰ τοῦ υἱοῦ αὐτοῦ Ἰησοῦ Χριστοῦ). Da questo "essere con" trinitario nasce l'essere degli esseri finiti in forza del dono dell'essere come amore! 

È commovente che Giovanni ci dica tutto questo perché "la nostra gioia sia perfetta" (ἵνα ἡ χαρὰ ἡμῶν ᾖ πεπληρωμένη.) Il cristianesimo non è sadismo né masochismo! Anche e soprattutto il mistero della Croce rivela l'amore gratuito assoluto del Padre nel Figlio! Sulla Croce tutto l'amore e la gloria di Dio sono visibili! Questo in nuce il contenuto della prima lettera che mi aveva scritto Hans Urs von Balthasar nel 1978. Il cammino per trovare la gioia vera è lungo, non privo di curve (come sa Paul Claudel della "scarpina di raso") il Padre paziente, il Figlio disponibile. Chiediamo di non tradire l'unica cosa che ci dovrebbe interessare: il dono dell'essere come gioia ed amore! 

(1) Vita è più di vita biologica e di fatto Giovanni non usa la parola bios, ma ἡ ζωὴ. Non si tratta di fare dei contrasti tra le due dimensioni, ma di esprimere anche linguisticamente l'esigenza di usare una parola che sia più che vita biologica. 

(2)  "Il Fiat divino, dopo il trionfo nella prova, fece prendere a Maria il possesso di tutte le proprietà divine, per quanto a creatura è possibile ed immaginabile. Tutto era Suo, cielo e terra, e lo stesso Dio, di cui possedeva la Sua stessa Volontà. Per questo posseditrice della santità divina, dell'amore, della bellezza, potenza, sapienza e bontà divina. Regina del Cielo e della terra!" (Massimiliano Tedeschi). 

Questo è vero ma in un senso "cronologico", a livello ontologico e teologico si tratta di un atto unico che viene prima di tutto. Maria ontologicamente è il presupposto perché Dio si lasci nell'avventura della libertà dell'uomo. Senza Maria la libertà sarebbe pura arbitrarietà. 

Su 1,1. Anche Adrienne (Le lettere cattoliche, Einsiedeln, 1961) sottolinea la similitudine tra l'inizio del Vangelo di Giovanni e la sua prima lettera, che Klaus Berger, con motivi precisi, data intorno al 55 dopo Cristo, a differenza degli altri esegeti. Per Adrienne è stata scritta da Giovanni, ma dopo il suo Vangelo, che Klaus Berger data verso il 68/69 anche contro la datazione posteriore degli altri esegeti. Adrienne fa notare che nella lettera vi è una "nota personale". Mentre però la mia "nota personale" è la nota di un filosofo ancora in ricerca, la "nota personale" di Giovanni è completamente trasparente a Cristo: "non vuole trattenere nulla per se stesso; egli ha sottomesso completamente la sua volontà alla volontà del Signore. Il suo io è pensabile solamente insieme a ciò che il Signore ha fatto penetrare in lui." Per questo ciò che dice Giovanni è "parola di Dio", è "teologia"! 
Essendo la filosofia dell'essere come dono assolutamente non individualistica, piuttosto espressione dell' "essere con" anche il filosofo in ricerca può senza nessuna difficoltà assumere la "nota personale" di Giovanni, per quanto ne sia capace, e cioè l'unità tra l'amore di Dio, l'amore del prossimo e la considerazione che tutti gli uomini incontrati sono fratelli e sorelle (anche quelli incontrati nella rete), figli dello stesso Padre. 
Come può essere il filosofo certo quando parla di un atto come il dono dell'essere di cui certamente ne è testimone presente, perché l'essere viene donato anche ora, ma che ha una dimensione "invisibile", il suo essere stato donato "nel principio". Anche qui Giovanni è di grande aiuto: si è certi del dono dell'essere al principio perché se no tutta l'esperienza dei doni particolari che viviamo sarebbe assolutamente incomprensibile, anzi di più: senza il dono dell'essere nel principio "ciò di cui Giovanni (e noi, rg) ha fatto esperienza non sarebbe potuto essere esperimentato" (Adrienne). 

Su 1,2 Mentre padre Klein SJ nei suoi commenti alla Parola di Dio al Germanicum negli anni 60 diceva con molta chiarezza che in Dio non c'è un "inizio" per cui la parola del Vangelo di Giovanni "in principio era il Verbo" non può essere intesa nel senso di all'inizio di Dio, Adrienne non specifica precisamente questo punto. Anche nel commento a questa prima lettera di Giovanni sottolinea, come dice anche il primo verso del Vangelo di Giovanni che il Verbo, il Logos era "presso Dio". Il secondo verso di questa prima lettera dice "presso il Padre". "La vita esisteva prima di essere rivelata, perché era fin dall'inizio dal Padre come Logos" (Adrienne) - qui sembra che Adrienne non pensi a ciò che diceva il padre Klein e cioè che non vi è inizio in Dio. Comunque è evidente che vi è un momento in cui il Logos non è stata ancora rivelato e che era "presso il Padre". Comincia a rivelarsi "quando il Padre permette al Figlio di mettersi al servizio della Sua opera" (Adrienne) e lo comincia a fare già nell'Antico Testamento con la voce dei profeti, che non fu compresa perché c'erano troppo pochi amanti. Troppe poche persone consideravano seriamene che l'essere è un dono d'amore di Dio. 
"Il peccato aveva fatto diventare tutto ciò che non poteva essere percepito con i nostri sensi astratto e non reale". Quindi anche la vita presso il Padre sembrava essere qualcosa di assolutamente astratto, come spiega bene ai bambini e non solo C.S.Lewis nell'ultimo volume delle Cronache di Narnia. 
"Quando Giovanni per primo annuncia che ha sentito, visto, contemplato e toccato il Logos della vita afferma in questo modo che tutti i suoi sensi sono stati usati nel Figlio in modo concreto, ma anche che la vita del Figlio dapprima non era differente dalla vita di tutti gli altri uomini" (Adrienne). Allo stesso tempo da subito ciò che ha visto era la vita come era presso il Padre, il Logos della vita come era presso il Padre. 
Questa vita è vita eterna. Non nel senso di un cattivo infinito che prolunga ciò che noi consideriamo vita. Questa vita era prima di ogni forma di vita. Ha a che fare con la nostra vita, ma come qualcosa che ci sorprenderà sempre. Una volta che si è sentito, visto, contemplato e toccato questa vita non si può che annunciarla e testimoniarla, perché è ciò che manca del tutto e di cui più di tutto abbiamo bisogno, pur nelle nostre astrazioni. 
Nella nostra epoca "dopo Gesù e senza Gesù" (Charles Peguy) vale ciò che Walker Percy ha visto nella figura di Binx, l'uomo che andava al cinema, in modo del tutto geniale: 
Binx, che bisogna ovviamente distinguere come io-narratore del romanzo da ciò che pensa Percy, concede che "eppure è impossibile escludere Dio completamente". Poi aggiunge: "L'unico punto di partenza è questo: il fatto strano che ognuno (!!!rg) di noi è prigioniero di un'invincibile apatia - tale che se le prove (dell'esistenza di Dio, rg) fossero confortate e Dio si presentasse di persona, non cambierebbe nulla. Questo è il punto più stano in assoluto". Ecco così Walker Percy riassume il punto strano e contemporaneamente assolutamente vero del nostro tempo. Forse Dio c'é, ma non centra nulla! Ciò che davvero conta per Walker Percy, meglio per Binx, è la "Ricerca", ciò che chiama la Ricerca. Una teologia senza "ricerca" sarebbe semplicemente una delle tante possibili astrazioni. E di fatto si può parlare teologicamente e praticare la pedofilia. Il caso del fondatore dei Legionari di Cristo è un'esempio in verità del tutto esemplare per il nostro tempo, che è un tempo dell'astrazione. Ne ho parlato oggi (12.8.17) in gruppo chiuso su Adrienne citando lo stesso Percy e parlando del tema dell'esclusività dell'amore erotico e ecclesiale nel "Cantico dei Cantici": La nostra società liquida, che va al cinema o naviga in internet ha difficoltà con questa esclusività. Walker Percy descrive senza alcun moralismo il fenomeno dell'astrazione dall'esclusività dell'amore erotico. Binx, il personaggio maschile principale di "L'uomo che va al cinema" sta portando fuori la sua terza segretaria, per avere un rapporto con lei. La va a prendere a casa e intravede la compagna di stanza di Sharon (la terza segretaria), Joyce, ed è colto da tristezza: "Se solo... se solo cosa? Se solo potessi mandare via Sharon e salire direttamente di sopra a guardare Joyce, un'estranea totale? Sí. Ma non proprio. Se solo potessi essere con tutte e due, con una casa piena di ragazze come loro (...) strapiena di sane ragazze americane con le loro facce banali e i loro magnifici culi tondi", (Milano 1989, 120-121). La differenza tra la pedofilia e questi amori eterosessuali di Binx è che quest'ultimi non sono perversi, ma "naturali".
Percy conosce anche tutto il disagio che provoca lo stile di vita di Binx: il "peccato" rende astratto il concreto e concreto l'astratto. L'intercambiabilità delle persone è una forma di astrazione del nostro tempo. Così il bel sedere e la faccia banale di una delle tante americane diventano più concreti che il Logos della vita, senza il quale non ci sarebbero né quella faccia né quel sedere.  
Per superare l'astrazione che non permette più di vedere il singolare dono dell'essere come amore, nelle concrete forme e nelle concrete persone che ci sono donate, Dio permette al Figlio di venire nel mondo: il Figlio è venuto al mondo come la vita eterna: "il Figlio è in perfetta unità il Logos, la vita eterna e colui che era presso il Padre". 
Se questa assoluta perdita di evidenza (un faccia e un sedere di una donna diventano più concreti che il Logos della vita) non ci sarà nessuna analisi che ci salverà. Solo la testimonianza concreta e continua del Logos che abbiamo udito, visto, contemplato e toccato può aiutare l'uomo a trovare ciò di cui ha bisogno. Senza questa testimonianza continua d'amore lo stile di vita di Binx non è certo la cosa più terribile che ci possa capitare. 

1,3. "Giovanni non annuncia altro che ciò di cui ha fatto esperienza" (Adrienne). Anche la filosofia dell'essere come dono non annuncia altro che un'esperienza. Il dono dell'essere è un'esperienza. Un'esperienza che trova in Cristo il suo centro di fuoco. Noi non vediamo in modo cristallino, ma come nel crepuscolo. Essendo però amici di Cristo vediamo con grande chiarezza: "Cristo è l'amico perché il Figlio non è apparso per rimanere da solo sulla terra, per essere solo la parola di Dio che è nel Padre, ma per far partecipare, come uomo, alla vita le creature di suo Padre, per coinvolgere la propria vita divina nella vita delle creature e di farle partecipare così alla sua natura divina" (Adrienne). Il cardinal Parolin, segretario di Stato di Sua Santità Papa Francesco, ha spiegato la "chiesa in uscita" di cui parla il Papa, fondandola nell'  "uscita " del Figlio dalla Trinità. Lo scopo di questa uscita è l'essere con
Mi ha scritto un amico parlando di critiche che vengono fatte all'interno di Comunione e Liberazione. Queste critiche non riguardano  "solo la nostalgia di un passato. C'è anche l'accusa a CL di non giudicare più la realtà, anzi peggio, di essersi adattata al mainstream dominante. E quel l'altra terribile di essere diventato un movimento di 'formazione dell'io', che però non è più capace di esprimere un 'noi'. Sono critiche che io considero strumentali a una visione 'politica' dello scopo del movimento, ma estremamente diffuse nelle comunità, e che hanno fatto molta presa fra gli aderenti, corrodendo la stima e la fiducia in Carrón". Nel cristianesimo non vi è mai una formazione dell'io, senza una formazione del noi. Dove questo accade ovviamente non vi è più cristianesimo. Cristo, come nostro amico, esce dal noi trinitario per fondare il noi ecclesiale e per farci giungere al "Regno", già vicino!
Ritorniamo alla filosofia dell'essere come dono: Dio Padre donando l'essere, creando, ci ha dato anche la capacità di sentire e vedere ciò che ci donava. Non ci ha donato solo l'essere, ma anche la percezione dell'essere stesso. Comprendiamo nel fondo del cuore cosa sia l'amore disinteressato, l'amore gratis. A questa grazia naturale si aggiunge - sit venia verbo - quella sovrannaturale della Presenza di Cristo: senza questo dono non comprenderemo nulla di Cristo e del suo movimento kenotico, di cui ha parlato anche il cardinal Parolin, nel suo intervento al Meeting di Rimini sopra citato. Non comprenderemo nulla della sua scelta libera di cambiare la sua "elezione" con la sua "esclusione". Lui il Figlio eletto, a differenza di Isacco, sceglie il destino di esclusione di Ismael, come comprese in modo geniale Padre Paolo Dall'Oglio SJ - in questo motivo si trovano tra l'altro dimensioni esplosive per un dialogo con l'Islam, che forse con ragione non è stato visto all'inizio come una nuova religione, sebbene la categoria dell'eresia, con cui era stato interpretato, non sia sufficiente per comprendere il fenomeno.
Dio Padre donandoci il Figlio ci ridona le forze e i sensi che ci aveva donato donandoci gratuitamente l'essere. Quando Giovanni dice "ciò che abbiamo visto ed udito, non parla più come un semplice uomo naturale, ma come cristiano, che partecipa alla vita sovrannaturale, che è spostato nella vita del Figlio e che ha rinunciato per Cristo a tutti i suoi sensi, non perché Cristo veda con gli occhi di Giovanni ed ascolti, ma perché Giovanni in futuro veda ed ascolti solo in Cristo. Veda con gli occhi di Cristo e senta con gli orecchi di Cristo. Giovanni comprende il Signore talmente con i sensi del Signore, che in lui stesso è come cieco e sordo così che definitivamente ed irrevocabilmente non vuole più vedere e sentire che nel Signore" (Adrienne).
Per noi uomini non ancora santi deve essere sottolineato quel "in futuro". Ma per quanto noi siamo legati, anche con una certa ragione, a quel dono naturale dell'essere che non era "natura pura", ma già capacità di comprendere a partire dal dono dell'essere stesso e della sua logica, chi vorrebbe davvero dopo aver compreso o almeno intuito cosa sia l'amore gratis che Cristo rivela, fissarsi sulla sola dimensione naturale? Nessun potere politico o sessuale può donare quella soavità e tenerezza che solo il Figlio sa rivelare. E per quanto il bisogno si articoli a livello politico o sessuale il nostro cuore non trova in queste dimensioni la "pace" e la "felicità" che desidera

1,3b "Noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi". Giovanni conosce il "privilegio della sua vita": "la comunione visibile con il Signore". La comunità ecclesiale è anche una "comunità visibile". Giovanni ci invita a far parte di questa comunione e comunità. Sa che il "privilegio" che gli è stato donato implica un "impegno", un "dovere". Dal privilegio non nasce arbitrarietà. Il dono libero dell'essere come amore non genera arbitrarietà, ma ciò che Ferdinand Ulrich chiama "il senso necessario dell'essere". La "missione" (annunciare Cristo perché si faccia parte di questa comunione e comunità visibile) non è proselitismo, come con ragione non si stanca di dire Papa Francesco, ma non è neppure arbitrarietà. È un invito a fare parte di questo amore gratis che è l'amore del Padre, che dona l'essere e di Cristo, il Logos universale e concreto, attraverso cui il Padre dona l'essere. In fondo siamo solo invitati a prendere sul serio il dono che ci è stato fatto e che ci viene fatto ogni ora. "Giovanni non ci violenta con la sua richiesta, non pretende da chi la riceve una acrobatica spirituale. Devono semplicemente accogliere con i loro sensi, ciò che egli stesso ha accolto e in questo modo dare al Signore un'occasione di entrare in loro e ricolmarli con una vita sovrannaturale. Loro vedranno ed ascolteranno e il Signore regalerà loro la comunità (Gemeinschaft)" (Adrienne). Cristo non è venuto ad annunciare se stesso isolato da chi dona l'essere, dal Padre. E non pretende da nessuno un'acrobatica spirituale, ma semplicemente di assaporare con i propri sensi il dono dell'essere che non è mai astratto, ma sempre del tutto concreto e visibile e toccabile...
Giovanni è anche sacerdote, Adrienne dice: "il sacerdote per eccellenza". Mentre il Vangelo di san Giovanni finisce con il lascito di Cristo e cioè il rinvio all'autorità di Pietro (che Giovanni accetta con semplicità)  non senza però nel Vangelo stesso (capitolo 21) lasciar dire al Signore con severità a Pietro che il rapporto suo con Giovanni è appunto cosa sua, qui nella lettera parla del suo compito sacerdotale: "la missione di Giovanni e di ogni singolo sacerdote ha la sua fonte nell'origine, nell'incarnazione stessa, laddove il Figlio prende in consegna il suo ministero sacerdotale, il compito della redenzione, ma nella forma di una vita che si può contemplare pubblicamente: mentre Egli guarda il Padre, noi guardiamo lui" (Adrienne). Perché il Padre da cui tutto sorge nessuno lo ha mai visto, ma solo il Figlio che c'è lo rivela e ci rivela un metodo concreto di sequela: la visibilità della comunità che ha iniziato il Figlio e la visibilità dei suoi sacerdoti che devono sempre più scomparire nel loro compito: glorificare Dio, non se stessi! 

Su 1,3c:  "La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo" ( καὶ ἡ κοινωνία δὲ ἡ ἡμετέρα μετὰ τοῦ πατρὸς καὶ μετὰ τοῦ υἱοῦ αὐτοῦ Ἰησοῦ Χριστοῦ). La filosofia dell'essere come dono gratuito d'amore a differenza della filosofia del non essere ancora dell'essere (Ernst Bloch) non vede un'inimicizia tra il Padre (AT) e il Figlio (NT). Non vede nel Padre un tiranno da cui ci libererebbe il Figlio. "Nel passaggio dall'Antico al Nuovo Patto è visibile come il Nuovo abbia nell'Antico il suo fondamento, l'Antico non come era prima dell'incarnazione, ma come elemento della comunione tra il Padre e il Figlio. Prima il Figlio era la promessa del Padre. Ora il Figlio è la vita del Padre. L'Antico Patto lo ha aspettato, il Figlio ha portato il compimento" (Adrienne, Commento alla prima lettera di san Giovanni), Nella semplicità e completezza del dono dell'essere c'era già tutto ciò che ci voleva donare il Padre, tanto ché da sempre c'è lo ha donato nel Figlio (senza del Figlio non vi sarebbe nulla di ciò che c'è, dice il Prologo del Vangelo di san Giovanni), l'uomo però non si era aperto completamente a questo dono. Non lo ha potuto però distruggere completamente perché il dono nella sua semplicità e completezza non poteva esserlo. Ma essendo in sé non sussistente (la rosa è sussistente non l'atto del donarla), essendo appunto amore gratis l'uomo ha pensato che un particolare dell'essere (la mela) potesse dargli ciò che il dono non avrebbe potuto dargli. Senza la non sussistenza del dono dell'essere (senza la gratuità di questo dono) nulla di ciò che è sussistente nel creato rivelava più Colui che aveva donato l'essere nella sua semplicità e completezza. Dio non ha lasciato da solo l'uomo ma ha scelto un popolo concreto per rivelare il suo Patto teso ad un Patto definitivo (in un certo senso non ha nessun senso parlare di due patti, ma in vero della promessa e del compimento dello stesso patto). Ha scelto questo popolo, Israele, non senza tenere vivo un equilibrio divino tra la scelta (Abramo, Sara, Isacco) e l'esclusione (Abramo, Agar, Ismael), perché per quanto Dio si fosse coinvolto in una storia particolare è e rimane Dio, Padre di tutto l'essere. L'Islam con il suo sorgere dopo la definizione definitiva di Dio nel Figlio ci rivela proprio questo. Credo di poter interpretare così l'intuizione di Padre Dall'Oglio SJ. che per trent'anni in Siria ha condotto un monastero in cui vivevano e pregavano mussulmani e cristiani. 

La filosofia dell'essere come dono gratuito non è un punto di vista che si trovi al di fuori di questa storia di Dio con gli uomini, ricolma dell'invito di far parte della "comunione con il Padre e il Figlio": "non possiamo stare in punto all'infuori di questa comunione, da cui si potrebbe osservare questa comunione, ma viviamo in mezzo a lei, per ricevere così quotidianamente nuovamente il compimento. Nell'Antico Patto c'era una posizione in qualche modo stabilita al cospetto del Padre. Nel Nuovo non si sta più al cospetto di, ma all'interno, tra il Padre e il Figlio" (Adrienne). Non possiamo non lasciarci non coinvolgere in questa intimità dell'amore gratuito, quasi ci fosse una definizione dell'altro e di sé "neutrale". Tutto accade nell'intimità del dono gratuito dell'essere nella forma in cui c'è lo rivela definitivamente il Figlio e che è quella dell'annichilamento - non del nulla relativista, ma del nulla dell'amore gratuito che non considera neppure l'essere come un tesoro geloso. Il Figlio ci porta definitivamente nel vortice dell'amore gratuito tra il Padre e il Figlio, non nel senso che l'intimità trinitaria sia stata ferita, ma noi siamo stati gratuitamente "consacrati" a farne parte e a vedere, e sentire, e toccare e giudicare tutto da questo dono assolutamente gratuito dell'essere con cui possiamo e dobbiamo incontrare tutto. Una volta che si è nell'intimità del Dio misericordioso non vi è nulla, tanto meno la storia di Israele (come è successo nel nazionalsocialismo) e neppure la storia dell'Islam (come sta succedendo ora in forme ultra tradizionaliste cristiane) che accada al di fuori di questa intimità dell'Amore gratis di Dio. Tutte le persone che incontriamo, ogni persona ci parla del Mistero del Dio misericordioso: riconosciamo in lei il Signore, "uno che è in cammino verso il Signore e che il Signore ci manda" e che è comprensibile solamente nel Signore, che è il Logos universale e concreto come amore gratuito. È possibile che uno non faccia parte di una certa forma in cui l'amore gratis si incarna, ma non che sia fuori dell'intimità assoluta e gratuita che è Dio! 

Da questa posizione filosofica nasce anche il commento che ho scritto l'altro giorno commentando un passo degli Esercizi della fraternità di Comunione e Liberazione: "che non ci fosse Cristo, questo sarebbe la vera disgrazia". Ecco il mio commento: 


Cristo non appartiene a nessuno! 
Questa frase (che ho riportato qui sopra: "che non ci fosse Cristo, questo sarebbe la vera disgrazia") si trova negli Esercizi della fraternità di Comunione e Liberazione, 2017, 57. Ieri nella mia ora di religione nella dodicesima classe ho scritto alla lavagna, interpretando il famoso disegno in cui don Giussani spiega il rapporto tra il mistero (x) e le varie religioni (frecce che dal basso cercano di raggiungere questa x): Cristo non appartiene a nessuno! I "suoi" sono "suoi" per grazia. In questo sono del tutto ed esplicitamente luterano (mentre tanti tradizionalisti sono protestanti senza nemmeno accorgersene) #Diarioscolastico. Cristo è quella x, ma i suoi non lo sono. Questa identificazione è adolescenziale. La mia verità è meglio di quella degli altri. Sto diluendo la fede in Gesù Cristo? ho chiesto ai ragazzi. No, perché io confesso che Cristo è la verità definitiva che il Cielo ha pensato per noi e sono d'accordo con la frase di don #Carrón: "Che non ci fosse Cristo, questa sarebbe la vera disgrazia". Cristo è Dio fatto uomo! Non fatto "cristiano"! Questa frase degli Esercizi è stata detta per spiegare la "povertà". Secondo me la prima povertà di un cristiano è di non possedere Cristo! Cristo non è un mio possesso! Dall'idea di Cristo come mio possesso nasce una cultura come difesa contro gli altri. L'unico vero muro e l'unica vera difesa è la povertà stessa, che non ha bisogno di difendere nulla e di non inventarsi disperatamente nulla. Mentre del cristianesimo dice Peguy é rimasto solo questo: Dopo duemila anni di cristianesimo è rimasto solo il tentativo di inventarsi ciò che non c'è. Viviamo di uno sforzo titanico: inventarsi ciò che non c'è. Questa è la cultura! Inventarsi ciò che non c'è! L'alternativa a ciò è la presenza presente di Cristo. La speranza della Sua presenza. Povertà e speranza si generano reciprocamente e ci permettono di essere liberi come spiega don #Carrón alle pagine 57 e 58 degli Esercizi. Non sto difendendo la "santa ignoranza" (Oliver Roy), una religione senza cultura, ma cerco di essere critico fino in fondo (che è certa un'esigenza della cultura): a me interessa ciò che vive, non un'astrazione culturale che si inventa ciò che non c'è! Mi interessante le storie concrete, gli uomini concreti e i loro bisogni! Se Cristo non ci fosse, "significherebbe che non c'è possibilità di risposta a tutta l'attesa che abbiamo. Cristo è una presenza presente". Solo così mi sorprendo libero e lieto, a volte in forza di tutto, a volte nonostante tutto!

1, 4  Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta (καὶ ταῦτα γράφομεν ἡμεῖς ἵνα ἡ χαρὰ ἡμῶν ᾖ πεπληρωμένη.) - Scritto oggi sul tema della gioia e della povertà, nel giorno del cinquantesimo anniversario della salita al cielo di #AdriennevonSpeyr 

Siamo ora arrivati ad un punto decisivo della filosofia dell'essere come dono. La gioia! Il dono dell'essere ci riempie di gioia. Non sempre di quella psicologica, ma sempre di quella ontologica. L'essere donato non è un'azione arbitraria: con il dono stesso viene donato il "senso necessario dell'essere" (#FerdinandUlrich). Adrienne, di cui oggi si ricorda il 50esimo anniversario della morte e salita al cielo, parla della gioia e del "compito". La gioia di Giovanni è gioia in una totale e gratis dedizione di sé, come l'essere stesso è donato radicalmente e gratis. Da questa gioia si comprende il "compito", come dalla gioia del dono gratuito dell'essere si comprende il "senso necessario dell'essere", che è risposta gratuita ma non arbitraria a questo atto di donazione da parte di Dio Padre. 
Il compito di cui parla Giovanni è il compito di svegliare tutti (!!!) gli uomini a questa gratuità dell'amore. Questa gratuità non può essere venduta come moneta politica spicciola. Non vi è nessuna legittimazione di qualsiasi "teologia politica" (Massimo Borghesi) (1) a partire da questa gratuità dell'amore per tutti gli uomini. Così come dalla gratuità della bellezza divina non nasce una "teologia estetica". Come dice Walker Percy: la bellezza ricercata di per sé è una "puttanata". Un influsso politico ricercato di per sé è corruzione. 

"Il Figlio è venuto per compiere l'opera della redenzione nella sua interezza e per riportare il mondo al Padre" (Adrienne) - il mondo che ha perso il senso del dono gratuito del Padre deve essere riportato al Padre. Il Figlio può sentire una gioia perfetta solo se il compito è adempiuto, il compito che ha ricevuto dal Padre è quello di riportargli tutti gli uomini, perché a tutti gli uomini è stato donato l'essere gratuitamente. Anche tutte le nostre azioni nell'ambito di una "teologia della politica", nel rispetto e nell'impegno democratico come lo abbiamo imparato da Padre Dall'Oglio SJ sono finalmente "teologia" perché sono da inserire in questa ultima meta: il ritorno nel grembo dell'amore assoluto e gratuito del Padre. 

Per questo cammino è necessaria una "povertà assoluta" come quella che ha spiegato don Carrón negli Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione commentando la lettera del Papa a CL sulla povertà. Non si è poveri quando non si possiede nulla o poco, afferma Adrienne, si è poveri in quella lotta quotidiana in cui ci si spoglia o espropria e in cui ci si lascia espropriare dal Signore, così come non si è casti perché non si ha più una "sensualità". A seconda del carattere avremmo un'attrazione più o meno forte dei sensi; la vera domanda è se siamo disponibile a farsi espropriare anche in questo ambito dall'amore gratis di Cristo. "La mia gioia è completa solamente se tutto ciò che ho e sono lo sono e lo ho attraverso il Signore" (Adrienne). Nel cristianesimo tutto deve (nel senso del "senso necessario dell'essere") essere donato, perché ultimamente non vi è una "proprietà privata" di ciò che ci dona il Signore. E non vi è neppure un "ritmo puro" nel dono e nel ridonare tra il Signore e il credente: "Tra il dono e il ridonare vi è una dimenticanza, così che non nasce mai un paragone tra questi due atti. Questa è la natura della povertà cristiana" (Adrienne). Ciò che il Signore ci dona quando tentiamo di donare tutto a Lui è "qualcosa di assolutamente nuovo e sorprendente" (Adrienne). Può essere anche un "dolore" (malattia, incomprensione...) ma tutto viene dal grembo trinitario dell'amore gratuito: "solo la nostra comprensione può essere incompleta, fino a quando non abbiamo la completa povertà dello spirito" (Adrienne, tutte le citazione sono dal suo commento alla prima lettera di san Giovanni).  

(1) 
(1) Analogamente alla differenza tra "estetica teologica" e "teologia estetica" penso alla differenza tra "teologia politica" e teologia della politica". Balthasar ha scritto un'estetica teologica e non una teologia estetica. Massimo Borghesi nella sua "critica della teologia politica" fa vedere come mai sia legittimo scrivere e pensare una "teologia della politica" evitando i sensi unici di una "teologia politica" che non può che diventare fanatica e fondamentalista. Massimo Borghesi: La distinzione di Ratzinger, preziosa, non significa l’apoliticità della fede. Nel caso del cristianesimo la connessione con la storia è essenziale. Questo non porta, però, ad una teologia politica ma ad una teologia della politica. «Nella sua concezione propria la fede cristiana è essenzialmente metapolitica; è politica nelle sue conseguenze. E’ politica in quanto la civitas Dei, secondo l’immagine suggerita dalla Lettera a Diogneto, è anima della polis, vive in essa pur senza identificarvisi, si prende cura del suo bene. Non realizza se stessa, però, attraverso la politica. La sua è una teologia della politica, non una teologia politica. Ciò significa che non raggiunge il politico direttamente ma attraverso la mediazione etico-giuridica. Non realizza l’identità con il politico. Lo impedisce la riserva escatologica, lo scarto tra grazia e natura. La teologia politica, al contrario, è “dialettica”. Per essa il momento teologico si realizza attraverso il politico e il politico tramite il teologico. Nel passare “attraverso”, nel realizzarsi attraverso altro-da-sé, i due momenti vanno incontro ad una metamorfosi. E’ in questo senso che la teologia politica rappresenta una formula della secolarizzazione: del teologico, che identifica la civitas Dei con la civitas mundi; del politico allorché, nel senso di Löwith o di Voegelin, diviene religione politica»[2]. Nel passaggio dalla teologia politica alla teologia della politica il modello dialettico, fondato sull’idea del reciproco “inveramento” tra teologico e politico, cede il posto ad un modello “polare”. Teologia e politica si rapportano in una irriducibile differenza, in una tensione mai risolta.

http://www.rosminipadova.it/il-conflitto-politico-religioso-14-anni-dopo-l11-settembre/



"Tutto in Dio è come ebbro di luce e di gioia" (Adrienne)



I, [5] Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. 

Testo greco: Καὶ ἔστιν αὕτη ἡ ἀγγελία ἣν ἀκηκόαμεν ἀπ’ αὐτοῦ καὶ ἀναγγέλλομεν ὑμῖν, ὅτι ὁ θεὸς φῶς ἐστιν καὶ σκοτία ἐν αὐτῷ οὐκ ἔστιν οὐδεμία.

Nella nostra esistenza percepiamo spesso il dramma della libertà, ma vi è qualcosa che viene prima e che non può essere scosso a livello ontologico da nessun dramma: Dio è luce e gioia e in quanto tale dona l'essere. Il dono dell'essere non è frutto di un "dovere morale", di un'esigenza di superare la noia, ma è frutto di un ebrezza di gioia e di luce! "Tutto ciò che è viene illuminato dalla luce e donato" (Adrienne). La nostra malattia mortale comincia nel momento in cui non abbiamo più accesso a questa verità prima. In vero Dio è luce proprio e in primo luogo - per noi - in questa promessa espressa da San Paolo: "Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione ci darà anche la via di uscita e la forza per sopportarla" ((1 Con 10,13). Dio è fedele perché è luce e gioia. In Lui non vi sono tenebre, anche in noi, se siamo ciò per cui siamo stati creati: coloro che liberamente dicono di sì al dono d'amore dell'essere, non vi sono tenebre. 

Che cosa sono le tenebre allora? "Se attraverso la luce si vedono le ombre, queste non sono contenute dalla luce, ma da esse gettate. La colpa che ci siano delle ombre non è nella luce, ma nell'oggetto che le si contrappone. La luce rivela la contrapposizione. Trae tutto a sé ciò che può essere illuminato, ma tratteggia con chiarezza i luoghi dove non può arrivare. E perché la comunità (ecclesiale; rg) possa dire di sé di essere in comunione con il Padre, con il Figlio e lo Spirito Santo deve resistere nella prova della luce" (Adrienne). Proprio nella luce che dona il Padre donando l'essere, nella stessa luce che getta il Figlio su questo dono, nella luce dello Spirito Santo che è oggettiva manifestazione di questa luce d'amore tra il Padre e il Figlio in sé e nel dono dell'essere si manifesta se siamo in comunione con questa luce e gioia o sé prevale il "rifiuto e la resistenza contro la luce". "La luce è sempre e dappertutto perfetta. È gioia perfetta, annuncio perfetto, missione, comunità" (Adrienne). Non esistono delle missione ecclesiali solo "critiche", vi sono certo missioni profetiche che più di altre vedono le ombre presenti anche nella comunione ecclesiale, ma chi vede solo ombre non è figlio della luce, ma delle tenebre ed in Dio non vi sono tenebre! 

Solo un oggetto è in grado di non porre resistenza alla luce, ma di rivelarla: la Croce! Questa è il criterio in cui si manifesta tutta la gloria del Padre, come mi scrisse nella sua prima lettera Hans Urs von Balthasar. 


Che cosa significa "non mettiamo in pratica la verità?" (οὐ ποιοῦμεν τὴν ἀλήθειαν·)


1, [6] Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità.
Testo greco: ἐὰν εἴπωμεν ὅτι κοινωνίαν ἔχομεν μετ’ αὐτοῦ καὶ ἐν τῷ σκότει περιπατῶμεν, ψευδόμεθα καὶ οὐ ποιοῦμεν τὴν ἀλήθειαν·

Qui siamo in un punto decisivo (uno dei tanti punti decisivi di questa lettera) che vorrei riflettere dapprima filosoficamente e poi più a livello letterario ed esistenziale.

Filosoficamente. Se diciamo di essere in comunione con chi ha donato l'essere, che è "luce" come abbiamo visto antecedentemente commentando il verso cinque, e viviamo nelle tenebre, cioè essendo ingrati del dono dell'essere, mentiamo (ψευδόμεθα) e non mettiamo in pratica la verità (οὐ ποιοῦμεν τὴν ἀλήθειαν·); insomma diciamo ma non facciamo la verità! Questa però è una "sequela imperfetta", come commenta Adrienne: "Un'affermazione cristiana non si esaurisce mai nell'esprimere una parola, perché la parola di Cristo non viene mai mandata per un compito semplicemente orale". Questo vale anche per la filosofia, perché nella tradizione dei Padri, come ci ha ricordato Hans Urs von Balthasar <(Saggi teologici): ipsa philosophia Christus est! Il Logos incarnato è incarnazione della filosofia stessa. Così vale anche per la filosofia ciò che dice Adrienne della teologia di Giovanni: vi è un "compito dell'amore" che non può essere ottenebrato da nessun realismo e da nessuna considerazione pastorale. Ci troviamo qui in quel "punto dell'assoluta comunione tra Padre e Figlio, dell'eterno divenire del Figlio dal Padre. In questo punto sorgono anche la missione e la vita cristiane" (Adrienne). La filosofia dell'essere come dono non può fare alcun compromesso con nessuna riduzione psicologica, sociologica, pedagogica, pastorale, giornalistica, etc. dell'affermazione che l'essere è donato per amore e che per amore nella "pienezza dei tempi" viene ricucito quello strappo che vi è stato al cospetto della gratuità della donazione dell'essere e che ciò accade ora in una "contemporaneità" all'avvenimento di Cristo.  La redenzione non è memoria di un avvenimento passato, ma avvenimento che accade ora. 

Letteralmente. C'è una frase di Walker Percy che mi ha sempre colpito, la fa dire al personaggio di "amore in rovina". Qui la cito per il momento solo in tedesco, ma ne faccio un breve riassunto, perché l'autore si richiama proprio a questo verso della prima lettera di san Giovanni: "Ich bin römischer Katholik, obschon ein schlechter. Ich glaube an die heilige katholische apostolische und römische Kirche, (an) Gott, den Vater, an die Auserwähltheit der Juden, (an) Jesus Christus seinen Sohn unsern Herrn, welcher die Kirche gegründet hat auf Petrus, seinen ersten Vikar, welche dauern wird bis ans Ende der Welt (...) Ich glaube an Gott iund den ganzen Kram, aber Frauen liebe ich am meisten, dann Musik und Wissenschaft, dann Whisky, Gott an vierter Stelle und meinen Nächsten fast überhaupt nicht. Im allgemeinen mache ich, was ich will. Ein Mann, schrieb Johannes, der sagt, er glaube an Gott, und seine Gebote nicht hält, ist ein Lügner. Wenn Johannes recht hat, dann bin ich ein Lügner. Trotzdem, ich glaube noch." (Walker Percy). L'autore americano dice che crede in Dio, ma che donne, musica, scienza e whisky antecedono il suo amore per Dio e che se Giovanni ha ragione nel dire che chi non osserva i comandamenti di Dio è mentitore, allora lui è un mentitore, ma crede ancora a Dio e a tutto il resto. Ho sempre letto questa frase di Percy come un reale "atteggiamento di confessione", come "un mettere in pratica la verità", non si tratta di quel realismo clericale, di cui parla Adrienne commentando questo verso, che stempera ogni cristallina chiarezza dell'affermazione di Giovanni muovendosi in una "pseudo evidenza" (menzogna), ma una affermazione assolutamente cristallina. Tutti pecchiamo e tutti ci comportiamo come dice Percy, ma non lo ammettiamo. Quando poi siamo in un vero cammino di verità e santità sappiamo immediatamente che non è un merito nostro. Ogni merito cristiano è sempre "secondario" alla grazia del Suo amore gratuito. Infine la chiarezza di questa frase non può essere ridotta neppure al suo livello moralistico. In gioco nella parola di Dio non è mai il "moralismo", ma l'ontologia dell'essere come dono nella persona concreta che ci sta di fronte o nell'animale o pianta concreti. Non si può usare la logica dell'amore gratuitamente donato per giustificare il peccato, ma il peccato vero è proprio è sempre solo "ontologico": sto agendo come richiede l'essere gratuitamente donato  o agisco per un mio tornaconto egoista e menzognero? 
Mettere in pratica la verità è agire in modo sempre più adeguato al dono dell'essere come amore.  


La luce di Dio non è proprietà privata dei cristiani


1, [7] Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato. 

Testo greco: ἐὰν ἐν τῷ φωτὶ περιπατῶμεν, ὡς αὐτός ἐστιν ἐν τῷ φωτί, κοινωνίαν ἔχομεν μετ’ ἀλλήλων, καὶ τὸ αἷμα Ἰησοῦ τοῦ υἱοῦ αὐτοῦ καθαρίζει ἡμᾶς ἀπὸ πάσης ἁμαρτίας.

Non è per nulla chiaro se camminiamo nella luce, ma se camminiamo nella luce siamo in comunione l'uno con l'altro. Cosa significa camminare nella luce? Cosa significa per noi che non siamo la luce? "Ogni luce che non siamo, ma in cui camminiamo e che irradiamo, è la luce del Padre" (Adrienne nel commento a questo verso). Ma quale è la luce del Padre per noi se non il dono dell'essere gratuito? "In tutto ciò che dice il Signore annuncia in continuazione il Padre"(Adrienne). Annuncia Colui che dona l'essere gratuitamente. Questo annuncio non è privato, ma genera "comunione": "Per essere viva la Parola non deve essere solo ascoltata da un singolo, ma attraverso di lui deve essere raccontata ad altri per riempire ogni orecchio, come la luce riempie tutti gli occhi". Nella rete, nella nostra esistenza offline tutto di noi deve trasmettere solo questo messaggio originario: l'essere è dono! Tutto intorno a noi deve diventare luce: "L'amicizia di Dio con le sue creature non si esaurisce in un rapporto personale. Come gli 'amici del mio amico diventano miei amici, Dio include nella sua amicizia con noi tutti coloro che ci stanno vicini, che sono il nostro prossimo (...) Nessuno può isolarsi, per aver cura da solo della sua comunione con Dio, a parte nel caso che Dio stessa lo esiga, ma anche nella solitudine con Dio in un convento vi è una comunione tra i singoli che vivono nella solitudine con Dio. Un rapporto io-tu esclusivo con Dio non è in nessun caso qualcosa di cristiano. Dio ci rimanda o nella comunità naturale della famiglia, dell'amicizia o di un compito con altri uomini o nella comunità sovrannaturale come quella che consiste nella stato di vita di un ordine religioso" (Adrienne). La comunione con Dio non ha mai la modalità di un "gruppo esoterico", ma si apre a tutti. La comunione cristiana è luce. "Questo è un altro motivo per cui per cui essa non può essere mai esclusiva, ha la proprietà della luce di diffondersi in eccedenza". Questo vale anche per il "dialogo religioso", tanto più con una religione come l'Islam che è luce per più di un miliardo di persone. E ciò vale in primo luogo anche per Israele - la luce che Dio ha donato ai profeti del popolo di Israele è rimasta attiva, la luce non smette mai di diffondersi. 

Nel verso si rimanda al sangue di Cristo e si tiene conto del fatto che esso ci purifica del peccato. Come è un fatto che Dio dona l'essere a tutti, è un fatto che il sangue di Cristo purifica i peccati di tutti: "Un fatto che ha la stessa assolutezza, come la luce e la comunione sono incondizionati. E in questo fatto non vi è nulla che possa intromettersi come una sua relativizzazione, per esempio il racconto dei nostri peccati o il peso che essi hanno" (Adrienne). In fondo dobbiamo solo accogliere l'essere come dono gratuito da parte del Padre per avere la garanzia che il sangue di Cristo ci purifichi dal peccato. Non si parla ancora dei sacramenti. Ci muoviamo in una luce ontologica che mette in contatto il peccato e la croce, il peccato e il sangue offerto come l'essere è offerto a tutti. Ontologia significa che tutto ha "l'irradiazione e la necessità dell'inizio" (Adrienne, Ulrich). Come ciò accade non è il problema che si ha in questa luce ontologica. 

Il dono dell'essere non è solo "universalità", come il sangue di Cristo non è solo "universalità", ma il suo sangue specifico del Logos universale e concreto. Senza specificità del suo sangue non potrebbe offrire nulla di proprio e così non potrebbe essere davvero povero. Povertà non è non possedere nulla, ma offrire ciò che vi è di più proprio in noi. In un certo senso si avvera in me ciò che dice la preghiera del Suscipe: "prendi in eccedenza tutto di me". Vi sono ancora resistenze, ma vedo che egli comincia a prendermi sul serio. "Amorem tui cum gratia mihi dones, ac dives sum satis, nec quidquam ultra posco". 


"Dare un peso al proprio io significa togliere un peso alla grazia" (Adrienne)

1 Giovanni 1,8: "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi". 

Testo greco: ἐὰν εἴπωμεν ὅτι ἁμαρτίαν οὐκ ἔχομεν, ἑαυτοὺς πλανῶμεν καὶ ἡ ἀλήθεια οὐκ ἔστιν ἐν ἡμῖν.

Il filosofo parla non parla di sé, ma del dono dell'essere come amore gratuito e in modo "distinto", ma non "separato" da esso, parla, in dialogo con il teologo, del dono della redenzione, in cui il Figlio ci vuole donare di nuovo un accesso gioioso al dono del Padre. 

Concentrarsi sul nostro peccato piuttosto che sul dono dell'essere significa cadere nella tentazione "di fare un affermazione su di sé e in questo modo di essere improvvisamente fuori dal nostro compito" (Adrienne). Anche quando parlo della vita, della mia vita l'intenzione non è parlare di me: "perché dal momento in cui siamo cristiani tutto ciò che diciamo deve trovarsi all'interno del nostro compito; noi lo serviamo come un recipiente". Quando smetto di dialogare non lo faccio perché io pensi che il dialogo non sia importante, ma quando vedo che si parla solo di noi stessi, fosse anche mia la colpa. Allora bisogna avere il coraggio di interrompere. 

Anche come filosofo non ho da confessare me stesso, ma Dio, come Colui che dona gratuitamente l'essere. Tutta la verità, anche di questa affermazione ontologica, deriva da Dio. "Se irradiamo la luce irradiamo la luce di Dio e non la nostra luce. Vi è solo un criterio: il nostri compito, su questo criterio viene misurato ciò che è vero e ciò che è falso".

L'insistenza nel discorso sull'io che si registra nel Movimento di Comunione e Liberazione, ha una sua legittimità, per dire che si tratta di noi e non di un formalismo. Solo che ciò che davvero conta per l'io cristiano e il suo compito e non il suo io biografico. "Tutto il peso giace sulla grazia e sulla comunità. Dare un peso al proprio io significa togliere un peso alla grazia" (Adrienne) e significa creare un'astrazione. Un io separato dalla comunità è un io astratto. Per il cristiano la comunità non è in primo luogo il "discorso pubblico", ma la Chiesa come percorso di santificazione. 

Il filosofo è interesado a ciò perché sa che l'essere come dono gratuito è un dono di comunione, tra una comunione, quella di Dio e la comunione tra gli uomini. Per il filosofo "santificazione" significa essere sempre più trasparenti al dono dell'amore gratuito. 

Continua. (Forse la prossima domenica)  

Che cosa è l'atteggiamento di confessione? 

Ha scritto oggi il Papa in Twitter: "La Chiesa ha bisogno di chi annuncia il Vangelo con entusiasmo e sapienza, di chi accende la speranza e genera la fede". Stiamo commentando il verso della prima lettera di Giovanni:  "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi". Facciamo con Adrienne il secondo passo del commento che ho cominciato la domenica scorsa e riflettiamo su quel "inganniamo noi stessi" ( ἑαυτοὺς πλανῶμεν). La Chiesa non ha bisogno di chi annuncia se stesso, ne di chi inganna se stesso, ma di chi annuncia il Vangelo. Il primo inganno è se ci lasciamo "sedurre a fare un'affermazione riguardante noi stessi" (Adrienne). Non solo è grave per Adrienne che affermiamo che siamo senza peccato, ma che affermiamo qualsiasi cosa su noi stessi. Con "comunicazioni su se stessi" non si può fare nessun dialogo. È un atto di misericordia interrompere certi dialoghi. Dobbiamo annunciare il Vangelo, non noi stessi. A don Federico che dice: "Cerca persone che quando non ci sono ti manchino e che quando ci sono ascolti e rispetti" Adrienne risponderebbe che ciò è possibile solamente se uno non si lascia sedurre a fare asserzioni su se stesso. Si può ascoltare e rispettare solo chi non lo fa. Per questo fa bene ad insistere il giovane sacerdote ligure, cui sono dedicate queste pagine, che il "perdono" non deve essere una "cosa straordinaria", "da dare o pretendere ma l'unico modo di volersi bene" (bacheca in Facebook  del 4.11.17). 

L'atteggiamento di confessione non è un atto individuale, ma sempre comunitario e non consiste nel fare affermazioni su se stessi. Questo è possibile solo nel sacramento dalla confessione, cui il cristiano partecipa come uno dei tanti cristiani. La grazia che riceve nella confessione è la grazia che viene donata a tutti coloro che si confessano. Indirettamente la confessione dal sacerdote è confessione davanti a tutta la comunità, non nel senso che si dica a tutti i propri peccati - questo è solo stancante. Il fatto che ci si vada a confessare è una cosa pubblica, non ciò che si dice nel confessionale. Per il semplice fatto che "privato" non è una categoria cristiana. 

Ciò che si confessa nel sacramento ha senso solamente se si rinuncia ad ogni "diritto di peccare". Certamente peccherò ancora, ma non ne ho diritto. Tutti i diritti, in modo particolare quelli nuovi: diritto al matrimonio per omosessuali, etc. sono tutti una sovra accentuazione della dimensione privata e  in questo senso sono molto simili a quel "diritto a peccare" di cui sto parlando e che non è cattolico. 

Dobbiamo fare ancora un passo per quanto riguarda la domanda sul cosa sia l'atteggiamento di confessione di cui spesso parlo. Ovviamente non si tratta dire che siamo senza peccato, ma neppure di sovra accentuare l'attenzione al nostro peccato. Che siamo peccatori è ovvio. Il vero atteggiamento di confessione diventa confessione di un'annuncio che non si occupa di dire quanto siamo vicino o lontani dall'amore gratuito di Dio. L'annuncio dell'Amore gratis di Dio e dell'impegno di Dio per il mondo peccatore è oggettiva confessione del peccato, ma ancor più confessione del Suo amore gratuito. Il compito del cristiano è ciò che esprime il Papa in twitter ed egli non deve farsi distrarre da nessuno, tanto meno da una continua difesa di se stessi. Ripeto: è una tentazione il parlare di se stessi. Quando si aiuta il fratello con la correzione fraterna ci si può anche sbagliare, ma questo non è cosi decisivo. Decisivo è accettare la correzione senza difendersi: poi è chiaro che solo noi stessi conosciamo noi stessi (con l'aiuto di Dio). 

Infine quando a volte ho lamentato la mancanza di "atteggiamento di confessione" nella mia comunità non ho mai pensato ad un continuo blaterare dei propri peccati, ma a quell'atteggiamento di umiltà che ci ricorda Papa Francesco nei punti 97 e 98 della AL. Be riporto solo un passo: "Chi ama, non solo evita di parlare troppo di sé stesso, ma inoltre, poiché è centrato negli altri, sa mettersi al suo posto, senza pretendere di stare al centro. La parola seguente – physioutai – è molto simile, perché indica che l’amore non è arrogante. Letteralmente esprime il fatto che non si “ingrandisce” di fronte agli altri, e indica qualcosa di più sottile. Non è solo un’ossessione per mostrare le proprie qualità, ma fa anche perdere il senso della realtà. Ci si considera più grandi di quello che si è perché ci si crede più “spirituali” o “saggi”. Paolo usa questo verbo altre volte, per esempio per dire che «la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore edifica» (1 Cor 8,1). Vale a dire, alcuni si credono grandi perché sanno più degli altri, e si dedicano a pretendere da loro e a controllarli, quando in realtà quello che ci rende grandi è l’amore che comprende, cura, sostiene il debole. In un altro versetto lo utilizza per criticare quelli che si “gonfiano d’orgoglio” (cfr 1 Cor 4,18), ma in realtà hanno più verbosità che vero “potere” dello Spirito (cfr 1 Cor 4,19)".


Qual sia il grado del peccato, questo è incluso nel potere di perdono di Cristo. 

1,[9] Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa. 

Testo greco: ἐὰν ὁμολογῶμεν τὰς ἁμαρτίας ἡμῶν, πιστός ἐστιν καὶ δίκαιος ἵνα ἀφῇ ἡμῖν τὰς ἁμαρτίας καὶ καθαρίσῃ ἡμᾶς ἀπὸ πάσης ἀδικίας. 

La filosofia dell'essere come dono gratuito non mette in dubbio che vi sia una colpa o che vi sia il peccato. Il peccato è tutto ciò che mette in discussione questa gratuità del dono dell'essere. È mancanza, come si vede nell'a privativo del testo greco di quella giustizia e fedeltà propria a Dio. Il dono della redenzione è un atto di ancor maggior gratuità e che non può essere dedotto con un atto di rigida metafisica neppure dall'ontologia dell'essere come dono stesso. Essendo però la redenzione riconduzione di tutto l'essere al Padre non ha una struttura totalmente differente. Come il dono della confessione non è solo dono al singolo individuo, ma a tutta la comunità, così il dono dell'essere non è solamente individuale, ma è sempre dono di comunione. 

Anche se la filosofia dell'essere come dono sottolinea che non vi è "aliud inter Deum et creaturas" (Tommaso d'Aquino) non mette in discussione la struttura sacerdotale della confessione come necessità del riconoscimento del proprio peccato. Come non vi è un dono puro dell'essere che non si contamini (anzi che in un certo senso la sottintenda ) con la sostanza donata - questo tipo di essere è solo astrazione filosofica - così non vi è riconoscimento del peccato senza passare attraverso il riconoscimento del peccato attraverso l'altro sacerdotale. Ciò sta in analogia con il "sacerdozio universale" ma non è identico con esso. Il sacerdote quando si mette a reale disposizione di Dio come colui che a sua volta confessa i suoi peccati e in qualche modo anche quelli della sua comunità non è un"aliud" tra Dio e colui che si confessa, ma un puro strumento dell'immediatezza del rapporto, che senza il sacerdote sarebbe davvero alla mercé dell'altro (aliud): del proprio istinto o del possibile egoismo a due tra due che spontaneamente si raccontano il proprio peccato. 

La necessità della confessione, come spiegata da Adrienne, non è un presupposto del gratis dell'amore. Anzi la fedeltà e la giustizia  di Dio sono il "primerear" della possibilità di confessarsi. Perché Dio é fedele, dice Adrienne, è permesso al peccatore di avvicinarsi a lui con l'intenzione di confessarsi. Ha ragione Papa Francesco quando dice che l'eucarestia non è un privilegio per fedeli eccezionali, ma una medicina di cui abbiamo bisogno. Adrienne fa notare che Giovanni non differenza tra peccati mortali e veniali. "Non possiamo accertare il grado del peccato" (Adrienne). "Il segno della purificazione continua è l'eucarestia; è lei che compie l'opera di perdono, la confessione". Eucaristia e confessione sono entrambi al servizio della purificazione. "Ricevendo l'eucaristia diventa chiaro in modo definitivo, che riceviamo ciò che è Suo, e in nessun modo ciò che è nostro, cosi che se dopo di essa attraverso di noi si irradia qualcosa di positivo, può irradiarsi solo ciò che è Suo" (Adrienne). L'eucaristia così non è un premio per un nostro merito. Ecco la sequenza: perché lui è giusto (δίκαιος) ci è possibile confessare la nostra colpa (ἀδικίας) e come dono di un dono possiamo ricevere l'eucaristia come continua purificazione di ciò che abbiamo chiesto nella confessione.  

L'aprisi davvero del peccatore nella confessione e la piccola simbolica espiazione che ci da il confessore presuppongono che Dio in Cristo abbia aperto sulla Croce le sue braccia per confessare il peccato del mondo ed abbia davvero espiato il peccato. Sulla Croce Dio instaura il senso ultimo della confessione: la sua confessione del peccato del mondo è il presupposto della nostra confessione. Il suo dono eucaristico del suo corpo e del suo sangue è presupposto del nostro rivedere la confessione. Ed in un certo senso, lo dico io, non Adrienne, l'eucaristia presuppone la confessione sulla Croce. L'idea che senza confessione non si può partecipare all'eucaristia presuppone che noi siamo in grado di accertare il peso del nostro peccato e questo non è vero. 


Dalla "communio peccatorum" alla "communio sanctorum" attraverso la croce di Cristo

Don Federico Picchetto ha raccontato nella sua bacheca una storia in occasione della colletta alimenta compiuta dal Movimento di Comunione e Liberazione in tutta Italia: 

In quelle grigie giornate di novembre i pensieri non smettevano più di frullare per la testa. Le tasse da pagare a fine mese, i genitori che erano quel che erano, il lavoro sempre più incalzante e quegli orari - uno dietro l’altro - che facevano diventare obbligatori anche i momenti più piacevoli. Perché perfino la passeggiata e il caffè si sarebbero potuti svolgere tra l’una e le due. Non si era mai visto che si potesse passeggiare alle undici e mezza o alle tre e un quarto del pomeriggio. Tutto era una gabbia. E quella gabbia prevedeva che oggi, dalle due alle quattro, dopo essere passati dalla zia, si dovesse fare la spesa. All’ingresso del supermercato oggi c’erano due omini con una specie di pettorina gialla. Chiedevano di comprare qualcosa per i più poveri... ecco ci mancava anche questa: ma è possibile che nemmeno al supermercato si possa più quietare? E poi che cos’hanno da sorridere e da essere allegri? Non lo sanno che qui ci viene gente che ha da fare e che non vuole essere disturbata? Poi chissà dove vanno queste “cose per i poveri”... si sa com’è l’Italia... la gente tiene le cose per sè, ci fa la cresta, sono corrotti. Scommetto che tra qualche mese alle Iene scopriranno che giro c’è dietro questa roba... ma a me non fregano, io non ci casco... Così l’uomo iniziò altero e sicuro di sè a fare la spesa. Prima la frutta e la verdura, poi la pasta, un po’ di carne, qualche cosa per pulire piatti e pavimenti. Ma tant’è ogni volta che rivedeva quel giallo della pettorina, fosse su un’etichetta o su uno di quei diavoli di volantini con cui avevano tappezzato l’intero supermercato, non riusciva a smettere di pensare, di rivedere il loro sorriso e la sua tristezza. Improvvisamente gli era tornata alla memoria quella giornata che tanto tempo prima aveva fatto con i nonni sulla neve: la cioccolata, le cadute, il sonno sulla via del ritorno. Allora stava bene, era voluto bene, era felice. I suoi occhi si posarono su una scatoletta di tonno. La guardò, la fissò e poi - come se rubasse - la prese. Tutto d’un tratto dentro di lui c’era silenzio. Silenzio in coda alla cassa, silenzio mentre faceva i sacchetti e pagava il conto, silenzio e quasi attesa, quasi tremore. Si avvicinò ai tipi con la pettorina e diede loro la scatoletta. Non ne era certo, ma qualcosa dentro voleva farlo, aveva bisogno di farlo. La ragazza con la pettorina gli sorrise, lo ringraziò. E lui, senza che nessuno se ne accorgesse, si commosse. Era di nuovo sulla neve, c’erano di nuovo i nonni. Non sapeva che cosa fosse successo in quel pomeriggio uggioso di fine novembre. Sapeva soltanto che aveva comprato qualcosa per i poveri. E che il povero che ne aveva più bisogno - ma questo non ditelo a nessuno - era proprio lui.

Questa storia spiega il verso che commentiamo questa mattina: 

1, [10] Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi. 

Testo greco:ἐὰν εἴπωμεν ὅτι οὐχ ἡμαρτήκαμεν, ψεύστην ποιοῦμεν αὐτὸν καὶ ὁ λόγος αὐτοῦ οὐκ ἔστιν ἐν ἡμῖν.

Nel supermercato di don Federico si rivela tutto il dramma della libertà dell'uomo al cospetto del dono gratuito dell'essere che è un dono comunitario e al cospetto della redenzione che lo è altrettanto. Noi siamo quel uomo che vuole fare la spesa da solo. 

Cristo, rappresentato carnalmente da "due omini con una specie di pettorina gialla", "è venuto per tutti, perché tutti hanno bisogno della sua redenzione" - anche quelli vestiti in giallo - "ed ognuno di noi è membro della comunità dei peccatori redenti. E giacché noi apparteniamo a questa comunità di peccatori, non abbiamo bisogno di delimitare i nostri peccati reciprocamente fin nei più piccoli particolari", tanto meno pensando che solo gli altri sono peccatori (nella storia pensando che non ci possono essere persone che agiscono davvero in modo gratuito). "È per noi sufficiente sapere che siamo tutti membri della stessa comunità di peccatori e come tali parteciperemo alla redenzione che è prevista per tutti" (Adrienne).

Dire che non siamo peccatori vuol dire affermare che non abbiamo bisogno di Cristo. In questa idea di communio, che attraverso la Croce e la discesa all'inferno, è diventata da comunità di peccatori in comunità di santi, vi è un pericolo che è gravissimo: "tutto è così comunione che ogni persona ha perso il diritto di valutarsi da solo o soppesare da solo e descrivere il proprio ruolo da solo". Con questo "da solo" viene distrutta l'amicizia cristiana che è sempre consapevolezza della "comunione" nel peccato e nella redenzione. Questo è anche il limite di ogni considerazione psicologica, che non può che essere "individualista", ma il mistero dell'essere è e rimane solo comunionale. 

Anche nella confessione del Credo, afferma Adrienne commentando questo stesso verso, non esiste una confessione individualista. "Non possiamo affermare che Cristo vive in noi è allo stesso tempo riservarci la decisone su cosa noi vogliamo credere e ciò che non vogliamo": "chi si distanzia da una frase del Credo dichiara tutta la rivelazione come falsa" (Adrienne). 

Nella realtà ecclesiale vi è, come sanno Romano Guardini e Papa Francesco (vedi i commenti che sto facendo giornalmente nella mia bacheca e nei Contadini al libro di Massimo Borghesi sulla biografia intellettuale del Papa o ancor meglio il libro stesso) vi è un insieme di posizioni "opposte", ci sono delle tensioni feconde, che non possono essere eliminate in modo fondamentalista ed elitario, ma "il Logos non sopporta alcuna contraddizione in se stesso"(Adrienne). 

Ciò che realmente conta in tutto e in modo particolare nell'amicizia tra cristiani e non rendere bugiardo Cristo dicendo di non aver peccato o differenziando da soli il peso del nostro peccato. Ciò che veramente conta è rimanere in Cristo, per esempio anche semplicemente facendo la spesa al mercato. 


La confessione è il contrario della psicanalisi 


[1] Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto.

Testo greco: Τεκνία μου, ταῦτα γράφω ὑμῖν ἵνα μὴ ἁμάρτητε. καὶ ἐάν τις ἁμάρτῃ, παράκλητον ἔχομεν πρὸς τὸν πατέρα Ἰησοῦν Χριστὸν δίκαιον. 

Adrienne commenta: La confessione del peccato non "non va nella direzione del retroscena dell'anima peccatrice, ma si allontana dal peccatore attraverso il padre confessore verso il Signore e a partire da lui, l'avvocato (παράκλητος), si muove verso il Padre (πρὸς τὸν πατέρα). In questa direzione la confessione è il contrario della psicoanalisi". Quest'ultima poi non ci permetterebbe neppure di conoscere il nostro peccato, perché dal suo punto di vista, con una certa ragione, non c'é vero e falso. Credo che solo quando si vede il percorso della vita come un movimento dal Padre al Padre, attraverso il παράκλητον si può un po' comprendere cosa è il peccato. 

Adrienne dice che il peccato è "un'estraniazione dal Padre" è un allontanarsi da quella logica ultima che è lo spirito del dono gratuito dell'essere. 

Don Federico in un suo video per l'ultima domenica dell'anno liturgico parla della polarità dell'amore per se stessi e dell'amore per gli altri. Amore per se stessi non è però "psicoanalisi". Non abbiamo bisogno di "sostare nel peccato" (Adrienne) e neppure di farne un'approfondita analisi di retroscena. Ci basti sapere che siamo "figlioli" (Τεκνία) e che ci è data da Cristo che vuole riportare il mondo e noi al Padre la possibilità di non peccare e che se abbiamo peccato ci basti sapere che abbiamo un'avvocato presso il Padre. 

Non credo che si possa definire i bisogni dei maschi e delle femmine, nella loro differenza, come peccato, perché il Padre ci ha creato anche come chimica e biologia, ma credo che noi possiamo installarci nel pensiero che in vero Cristo non possa trasformare l'acqua dei nostri bisogni nel vino del desiderio del Padre, donatore dell'essere in modo gratuito. Questa "installazione" è il peccato! Questo non credere davvero che vi è un legame più forte del sangue, della chimica, della biologia. Questo legame è quello della sua Parola, che ci dice che il mondo passerà, ma essa no! L'unica parola che non passerà è quella della gratuità dell'amore divino. 

Che il Signore, il Logos universale e concreto, che rivela l'intenzione ultima del Padre, come dono definito del suo amore, ci permetta di confessare in modo pieno e semplice come i bambini, tutto ciò che di volgare ci avvolge e trasforma i nostri bisogni in peccato, Confessione integrale del peccato e confessione integrale della fede sono due facce della stessa medaglia. Non l'inferno è infinito, ma la Sua consolazione (di Cristo) e la speranza che esso, l'inferno, alla fine sia vuoto! 

 Cosa significa "espiazione"? 

2, [2] Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. 

Testo greco: καὶ αὐτὸς ἱλασμός ἐστιν περὶ τῶν ἁμαρτιῶν ἡμῶν, οὐ περὶ τῶν ἡμετέρων δὲ μόνον ἀλλὰ καὶ περὶ ὅλου τοῦ κόσμου.

Sembrerebbe che non vi sia tema più distante da una filosofia dell'essere come amore, da quello della "vittima di espiazione" (ἱλασμός). Non si è mai ἱλασμός per una questione giuridica, ma per amore. Solo l'amore sa che quando si ferisce qualcuno si deve essere disponibile, in modalità che non determiniamo noi, ad essere ἱλασμός. 

Per quanto riguarda l'ordinario, don Federico Picchetto ci ha mostrato l'importanza delle feste dell'epifania e del battesimo del Signore. "Inizia così il tempo ordinario, il tempo delle cose ordinarie, e la provocazione diventa drammaticamente commovente: lasceremo ciò che desideriamo in balia di noi stessi o permetteremo a Cristo di sfiorarlo?" Se permetteremo a Cristo di sfiorarlo scopriremo nella quotidianità la gioia delle feste, ma saremmo anche disponibili a portare la croce quotidiana e cioè ad essere  ἱλασμός. 

Adrienne ci ricorda che la Chiesa no è la Chiesa dei "giusti", ma di coloro che amano! Adrienne lo spiega in un modo che anticipa misteriosamente il pontificato di Papa Francesco: "Il Signore prende, come il Figlio vivente, su di sé i peccati nella loro oggettività, non i peccatori stessi, mentre la Chiesa oggettiva non accoglie la "giustizia" dei singoli peccatori, ma i soggetti viventi" (Adrienne). La Chiesa può accogliere i singoli soggetti, perché c'é uno che è diventato  ἱλασμός per tutti! 

Come ha spiegato Massimo Borghesi in un'intervista a Andrea Tornielli Papa Francesco agisce sempre in modo missionario, non per difendere bastioni. Adrienne spiega il verso della lettera di san Giovanni che stiamo spiegando: "Tutti gli uomini devono essere condotti all'Una Sancta, senza differenziare la loro dignità o non dignità, le loro proprietà e i loro desideri; solo quando esiste la comunità può giungere il compito specifico per ogni membro". Ognuno riceve dal Signore la sua missione particolare: filosofica, giornalistica, infermieristica, etc...

Vi sono compiti specifici (tra l'altro anche nella quotidianità, per cui i passi di amore non hanno solo il carattere dell'invito generale, ma rispettano leggi specifiche molto precise) molto duri e cioè quando si fatti per sequela a Cristo in modo radicale  ἱλασμός per tutta la Chiesa e il mondo. Come è successo ad Adrienne, che se pur come medico e donna sposata avrebbe avuto già a sufficienza un compito da offrire al Signore,  prende su di sé il mistero della discesa agli inferi. Di fronte a queste missioni particolari la Chiesa, se pur in ritardo, ha il dovere di prenderne atto con gratitudine. Nessuna missione attiva nel mondo: in Facebook, come filosofo, come medico, come giornalista, etc. può sostituirsi al mistero dell'amore gratuito è del suo farsi per tutti  ἱλασμός. 

Il mistero più grande è quello di Cristo stesso: "ogni peccato deve approdare all'espiazione, ma non in una qualsiasi, ma nell'espiazione del Figlio" che ci permette di comprendere che noi siamo peccatori singoli, ma allo stesso tempo in comunione con tutti gli altri. Non vi è una barriera tra un peccato e l'altro, tra l'imbecillità mia e quella dell'altro. Per questo è bene ricordarsi delle parole profondamente cristiane di Martin Luther King vitate dal Papa nel numero 118 dell'Amoris laetitia: "L'uomo che più ti odia ha qualcosa di buono in sé".