domenica 29 luglio 2018

L'amore gratuito non è mai un amore simmetrico - in dialogo con Ferdinand Ulrich

Lipsia. Per spiegare cosa sia l'amore gratuito Ferdinand Ulrich dedica tutto un libro filosofico per interpretare Lc 15, 11- 32. In verità sta dedicando tutta la sua vita a questo "tema". Il libro è intitolato: Gabe und Vergebung. Ein Beitrag zur biblischen Ontologie (Dono e Perdono. Un contributo sull'Ontologia biblica, Freiburg, 2006. Se si fa sul serio con l'amore gratuito, non ci si può aspettare una risposta simmetrica ai nostri bisogni da parte di chi amiamo. Il Padre della parabola di Luca non fa così, ma lascia andare il figlio, non nell'impotenza, ma nella "rinuncia" creativa di un amore che genera libertà...

Il figlio "identifica l'amore- vuoto del padre con il non potere e il non essere"(Ulrich) - questa è la tentazione della nostra società atea e libertina, trasparente e pornografica. L'amore del Padre viene considerato come "vuoto". "Vuoto" significa "povero" di quella povertà che è ricchezza e povertà allo stesso tempo. Come dice Methol Ferré: "Certo, l'ateismo libertino "perverte" la bellezza, perché "la separa dalla verità e dal bene, e quindi dalla giustizia". Ma – ammonisce Methol Ferré – "non si può riscattare il nucleo di verità dell'ateismo libertino con un procedimento argomentativo, o dialettico; meno ancora ponendo proibizioni, lanciando allarmi, dettando regole astratte. L'ateismo libertino non è una ideologia, è una pratica. Ad una pratica occorre opporre un'altra pratica; una pratica autocosciente, beninteso, quindi intellettualmente dotata. Storicamente la Chiesa è l'unico soggetto presente sulla scena del mondo contemporaneo che può affrontare l'ateismo libertino. Per me solo la Chiesa è veramente post-moderna" (Sandro Magister, 31.32014).


Così si comporta il padre della parabola. Risponde con una "pratica": l'amore gratis! Un amore che genera libertà. "Il padre non dice: "Sono tuo padre, perché tu sei mio figlio. Tu sei la causa del mio essere padre. La mia vita non ha più senso, se tu te ne vai". Il figlio non rappresenta una condizione esterna per il potere del padre. Non lo ha generato, per avere un figlio che confermi il suo dominio e lo continui dopo la morte del padre. Se fosse così non avrebbe donato in modo libero, senza condizioni e gratis e non avrebbe inteso l'altro come altro per se stesso, ma avrebbe cercato nel figlio solo il proprio futuro, cioè se stesso. Rimarrebbe così lo sterile e passivo servo del figlio" (Ferdinand Ulrich). 


I "genitori sindacalisti" (Polito, Carrón) dei propri figli non li amano dell'amore gratis, ma sono in fondo schiavi dei propri figli. Accenno solo un momento al motivo ultimo del disastro educativo che stiamo vivendo, ma vorrei seguire qui un altro percorso di pensiero. In questa citazione di Ulrich si trova spiegato il modo con cui Giussani prima ed ora Carrón vogliono guidare il Movimento di Comunione e Liberazione. Viene spiegato anche il mistero della "bellezza disarmata" che è quella del padre che genera davvero in modo libero il figlio. 


In questo post vorrei solo invitare a pensare sulla non simmetria dell'amore gratuito. Se la risposta all'amore gratis fosse simmetrica, allora saremmo nell'ambito di ciò che il Santo Padre chiama "proselitismo": voglio che mi si ami in modo tale che sia garantito il mio futuro. Non è così: "il padre lascia andare il figlio". Questo vuol dire che "bellezza disarmata" significa lasciar andare i figli, anche e soprattutto quelli che ritengono di sapere cosa il padre deve fare. "Tutto ciò che è mio è tuo. Il tuo andare via è abbracciato dal di sotto dal mio lasciarti andare, che va con te e ti lascia essere" (Ulrich): con il figlio che se ne va, non vanno i rimproveri del padre e le aspettative del padre, ma proprio l'amore gratis stesso che lo lascia andare! Non ha alcun senso provare a tenere il figlio che se ne vuol andare da casa
 in modo argomentativo: il padre è davvero "povero" e "ricco" solo del suo amore gratuito. "Il mio lasciarti andare è il mio sì che ti ama e questo sì sono io stesso come origine non originata in te" (Ulrich, 457). 

Non vi è alcuna "risentimento" o "rassegnazione" nel padre: "non hai corrisposto alle mie aspettative, fai quello che vuoi". Il padre lascia andare in forza dello "pneuma dell'amore gratuito", che genererà la risposta non simmetrica del figlio. 


La risposta non simmetrica del figlio all'amore del padre verrà dal profondo della crisi. Non può restituirgli il denaro né il tempo non passato insieme. A questa non simmetria del figlio il padre risponde con una non simmetria sempre più grande. 


Per don Julián Carrón


Caro don Julían, 

mi hai scritto di "non trattenerti dal farmi avere suoi testi (di Balthasar) che ti colpiscono o che possono essere d'aiuto per il  cammino insieme". Ti segnalo oggi non un pezzo di Balthasar, ma forse del suo amico più vero, Ferdinand Ulrich, da Gabe und Vergebung. Ein Beitrag zur biblischen Ontologie (Dono e Perdono. Un contributo sull'Ontologia biblica, Freiburg, 2006, 452-458. Lo trovi dopo questa mia breve meditazione a partire da "Per don Julián Carrón". 
Tuo, piccolo amico di Gesù 

Ferdinand Ulrich

Lasciar andare. La "rinuncia" creativa dell'amore che rende liberi (vgl. Lc 15,11-32)

"Come risponde il padre a questa divisione compiuta dal figlio? Semplicemente lascia andare via il figlio. Da chi racconta, dal Figlio unigenito del Padre, dal Figlio dell'uomo, dal nostro fratello non ascoltiamo nulla che sia un rimprovero da parte del padre. Quest'ultimo ha fiducia, senza riserve, nell'estraniazione (Entäußerung) irreversibile del suo Sí paterno, della totale donazione del patrimonio (Vermögen) (1). Vive la sua fedeltà paterna al figlio ed ha fiducia dell'essere donato del dono nel figlio. Ama nel figlio, in mezzo al suo no, la sua vita passata, donata e distribuita. Ama la libertà che è il figlio stesso attraverso il padre che lo autorizza ad entrare in rapporto con lui. Nel suo potere paterno il Padre si è fatto in lui totalmente Parola (2).  Il Figlio è stato sempre Parola (Verbo) del Padre ed attraverso la sua autocomunicazione il Padre lo ha reso libero come Figlio, senza alcuna intenzione, al di la di ogni "per" e "perché". Nel suo essere proceduto dal Padre il dono dell'amore generante 
riposa nell "essere se stesso" del Figlio, attraverso il quale il Padre, che ha donato il suo patrimonio a Colui che ha generato, va con il Figlio, nascosto nel Pneuma dell'amore,  nell'estraneità. Porta nel suo Amore gratuito, nell' intimità della sua misericordia, nel silenzio, Colui che ha ricevuto il dono sul suo cammino: lo porta in forza del suo "amore- povertà", del suo altruismo paterno, nel grembo del suo creativo "amore - vuoto" che lascia andare l'amato, nello spazio libero e tenero in cui il Figlio è se stesso e può essere se stesso.   

Questo silenzio del Padre è il linguaggio sovra linguistico della sua fedeltà, nel quale si rivela, che tutto ciò che è stato donato, è un Sí assoluto e sincero: "Tu, che sei stato generato, puoi stare, nella fiducia di un essere stato donato a te stesso, sui tuoi propri piedi, puoi cominciare da te stesso; puoi vivere la Tua vita nella tua originalità che ti è stata donata e per questo ti appartiene senza riserve. Puoi compiere la tua esistenza da te stesso e quindi uscire e portare frutto. In questo modo ringrazi e sei libero.  Non ti devi sostenere su precondizioni che ti sono estranee, che ti vogliono ingannare, che stanno davanti a te solo oggettivamente così da essere costretto a vivere come un "altro da te stesso". Il primerear (Vorweg) (3) senza origine  del mio amore paterno è in te stesso la fonte del tuo essere te stesso. Visto che il mio patrimonio ti appartiene ("tutto ciò che mio è tuo"), così puoi, in forza del tuo essere stato donato, ciò che io posso: l'amore gratis! In questo amore puoi "essere perfetto come Tuo Padre", perché tu sei vita della sua vita". "Solus Deus est maxime liberalis" (Tommaso d'Aquino, S. Th, 44,4,1). 


A partire dal Padre il Figlio può lasciarsi andare totalmente nell' "Amore- vuoto", nel grembo del silenzio paterno che gli apre lo spazio creativo del suo poter esistere, dal quale si è risvegliato nel suo "essere se stesso" (Selbstsein). Ma il figlio scambia l' amore- vuoto del silenzio paterno, che è creativo, con l'incapacità impotente di parlare, insomma con una cattiva incapacità di sapersi esprimere. Identifica l'amore- vuoto del Padre con il non potere e il non essere. Si immagina questo amore come uno spazio sterile il cui centro è il suo io = io, che deve appropriarsi autonomamente del patrimonio come un inizio assoluto, causato dal vuoto paterno. E come identifica in modo perverso il Mistero dell'amore povero del Padre con il non essere di una mancanza, allo stesso modo identifica la pienezza della libertà donata, in cui si è risvegliato in forza dell'amore povero del Padre, con la pseudo ricchezza di un egoistico disporre di sé. Non vive il potere della sua libertà come dono, nato dal silenzio del Padre. Nel futuro sembrerà che il succedersi degli avvenimenti dipenda solo ed unicamente da lui senza che in questo impegno "assoluto" egli abbia ceduto, in modo fiducioso, al potere creativo del Padre, senza tener conto che è nato nel grembo del Padre. 


Il luogo vivo in cui il Mistero dell'identità tra vuoto e pienezza dell'essere viene compiuto come amore è la fiducia. Il silenzio di Dio è il suo Parlare (Verbo), dal quale procede il Figlio, dal quale il Figlio è. A partire dal Mistero dell'amore- povero accade la nascita in quanto "essere se stesso" di Colui che riceve il dono del Padre e che deve se stesso alla Povertà che lo lascia essere se stesso, perché sua origine non originata. La pienezza dell'amore povero di Colui che dona risveglia colui a cui è stato donato in un fiducioso cedimento di sé. Fa sì che giunga all'intimità di se stesso attraverso il suo assoluto essere amato e reso libero. Giacché l'amore povero e creativo del Padre, che in modo irreversibile ha donato il suo patrimonio, è la presenza nel Figlio, l'assoluto Sí verso e nella sua libertà, allora Colui che è stato generato a partire da una profonda gratitudine e da un'obbedienza amorosa può partire in una divisione dalla sua origine che nasce come frutto del suo amore- unità con il Padre. Questo è il Mistero della differenza ("non") come essere. 


Così il Padre misericordioso è presente in colui che se ne è andato. Questo da parte sua interpreta però il silenzio paterno come impotenza e trasforma l'amore povero paterno rivelatosi nell'essere donato e ricevuto, in una sussistenza posta da lui e da lui posseduta. Nello sguardo piegato su se stesso vede in torno a sé solamente lo spazio vuoto e muto dell'origine, che non ha fatto altro che dargli ciò che gli è dovuto. Interpreta questo fatto come pegno e come dimostrazione che egli finalmente si è compreso nella sua piena ed inviolata identità con se stesso. Ma nel mezzo di questa perversione il silenzio del Padre rimane la fonte della misericordia per il figlio che va "in un paese lontano", l'offerta irremovibilmente fedele e liberante del ritorno per e in colui che si perde. E ciò non nel senso di un ritorno parallelamente simmetrico  di colui che si è perso nella direzione dell'origine (e del rimanere a casa) sulla stessa via in cui ha lasciato la sua origine, piuttosto  nel farsi strada asimmetrico di colui che si converte nella vera, libera dialogica differenza dall'origine che viene testimoniata attraverso l'amore della conversione, del rialzarsi, del ritorno e del rimanere nella casa del Padre, da parte di quest'ultimo e del fratello. Per questo motivo il Padre non tenta di annullare l'andare via del figlio contro il suo allontanarsi dall'origine. Non pone il rimanere contro la divisione, piuttosto aspetta nella pazienza dell'amore l'aprirsi di una strada della divisione- amore nell'amore- morte, aspetta il ritorno di colui che è rimasto senza Padre in forza del peccato sulle spalle di Colui che è stato abbandonato dal Padre (4) per amore e che ci racconta la parabola ( e in essa "se stesso") del figlio del Padre misericordioso. Il Padre spera nel libero rimanere del Figlio. Così come il dono del Padre nel figlio è irremovibile, così lascia andare via il figlio senza pentirsene.  


Il Padre non tiene legato a se stesso il figlio, quasi fosse costretto nel frutto da lui posseduto del suo amore di mettere di fronte a se stessa per osservarla in modo oggettivo la potenza del suo potere paterno, il dono della sua capacità personale e generativa. Il Figlio non funge come idolo della sua autoconferma della propria potenza paterna; non è il garante strumentalizzato del suo futuro. Egli ha posto in libertà l'altro come altro da se stesso e lo ha responsabilizzato per il rischio futuro di un amoroso diventare se stesso a partire dall'abisso della sua (del figlio) propria libertà, che è stato (5) in forza della sussistenza donata e ricevuta gratuitamente dal Padre.  "Il padre non dice: "Sono tuo padre, perché tu sei mio figlio. Tu sei la causa del mio essere padre. La mia vita non ha più senso, se tu te ne vai". Il figlio non rappresenta una condizione esterna per il potere del padre. Non lo ha generato, per avere un figlio che confermi il suo dominio e lo continui dopo la morte del padre. Se fosse così non avrebbe donato in modo libero, senza condizioni e gratis e non avrebbe inteso l'altro come altro per se stesso, ma avrebbe cercato nel figlio solo il proprio futuro, cioè se stesso. Rimarrebbe così lo sterile e passivo servo del figlio". 

Il Padre non "fa" il suo futuro nella forma del figlio. Non usa il figlio perché questo gli rispecchi davanti a se stesso la sua potenza di Padre. Il futuro che è stato generato non è il passato prolungato di Colui che genera. Se fosse così il Padre non avrebbe la forza di uscire da se stesso nella generazione del figlio, di donare se stesso e il suo patrimonio: la capacità di lasciare l'altro essere altro da se stesso. Chi dona in libertà conferma così colui che la riceve concedendogli l'assoluta libertà della risposta. Questo potere di concessione di una risposta libera è l'amore- povertà del Padre. Per questo permette che nasca nell'atto della generazione il futuro del suo dono donato, la sua vita e la sua capacità, cioè la sua sua volontà dal Mistero della singolarità dell'altro, a partire da se stesso, dall'abisso della sua libertà. Non aspetta se stesso (e la sua volontà) simmetricamente dal figlio, piuttosto attraverso l'abisso d'amore della differenza dialogica, in modo non simmetrico dalla profondità nascosta dell'essere già stato (Egli), insomma dalla libertà fondata in se stessa del Figlio. Il suo amore- povertà spera nel: Sí, Padre! Così riceve il figlio così come "da sempre piace al Figlio". Porta e sostiene in forza dell'Amore povertà, nel grembo della sua misericordia (in ebraico: "rechem": utero; "rachamin": misericordia), il "da se stesso" del Figlio. Rinuncia non in un senso rassegnato ("non hai risposto alle mie attese, allora fa quello che vuoi"), piuttosto nel senso del tutto creativo all' avere (possedere) il frutto del suo amore. Abbandona con fiducia il seme della sua parola ontologica nella terra materna e buona , che porta "il frutto da se stessa" (Matteo 4, 28: αὐτομάτη ἡ γῆ καρποφορεῖ). Non ha bisogno del frutto per completarsi o giustificarsi come Padre. "Sono Padre perché ho un figlio". No, Egli è Padre perché in se stesso, in forza del suo essere Padre , è capace del Figlio, perché Egli lo genera amando e questo amore, la paternità del Padre, è l'essere del Padre. Per questo può lasciar libero il figlio e lasciarlo andare. Egli stesso va attraverso la sua misericordia con il rimanere amato del figlio. Attraverso se stesso, attraverso il suo essere, in forza della sua paternità, gli è fedele: a casa e in un paese lontano. Ciò che succede fuori è "destino intimo" del Padre. La sua vita è in gioco fuori o dentro in colui che ama. Nel pneuma dell'amore si dona assolutamente all'altro, esposto in lui e attraverso di lui: e questo lo possiamo riconoscere, nella fede, nel costato aperto, nel cuore che fuoriesce dal Crocifisso in forza del colpo di lancia.  


Se il Padre desse la prova di essere Padre solamente con il rimanere a casa del figlio, allora non avrebbe preso realmente sul serio l'atto della generazione amorosa del figlio, nella quale trova le sue radici la libertà dell'altro. Avrebbe sostituito la mancanza di un amore che rende liberi con il disporre del figlio ("mio figlio"). Egli compenserebbe come Es (6) la sua incapacità di "preferire" (ver-mögen) l'amato altro da sé stesso attraverso la presa di possesso dell'altro e per mezzo della presenza constata oggettivamente del tu coprirebbe la sua impotenza (un cattivo vuoto, non l'amore- vuoto, che è "vuoto della pienezza"): "io sono ciò che ho". Come Padre generante del (genitivo personale) figlio, egli è già da sempre in lui, nell'altro reso libero, e per questo non è costretto ad affermarsi in modo regressivo, in forza della degradazione del figlio a mezzo. Il figlio non compare al suo cospetto come uno che esige dall'esterno, come una Legge che stimola l'azione. Il figlio non è un contenuto, di cui il Padre abbia bisogno per rassicurare se stesso di possedere il proprio potere: è l'altro, libero e singolare. 

Il Padre lo lascia andare. Considerata dall'esterno, dal punto di vista spazio temporale, la distanza tra i due diventerà sempre più grande. Considerata dal punto di vista del Padre l'allontanarsi del figlio non accade ovviamente come un ingrandimento di una distanza spazio temporale. Alla presenza del Padre si rivela la distanza originaria come mistero della differenza personale di Colui che ama e di colui che è amato ( e che nel suo essere amato è reso libero). Il Padre vive la divisione che si esprime nella dimensione spazio temporale come la figura (Gestalt) intima del suo Sí, come Parola di fedeltà sovra linguistica per il figlio: "Tutto ciò che mio è tuo. Il tuo andare via è abbracciato dal di sotto dal mio lasciarti andare, che va con te e ti permette di essere. Il  mio lasciarti andare è il mio Sí amoroso per te e questo Sí sono io stesso come l'origine non originata in te". Per questo il Padre per così dire si nasconde nella totale tranquillità (Gelassenheit) del suo essere se stesso, non contro, ma per il figlio. Il suo nascondersi paterno, il suo silenzio è Ia misericordia del suo andare "con". Il Figlio unigenito che ci racconta la parabola è la misericordia fatta persona del Padre: nella estraneità senza padre (7). Comprendiamo la parabola solamente se Lo ascoltiamo nello spirito della misericordia e del perdono. 

Il Padre rimane, "riposa" nel suo podere e lascia andare il figlio. In questo rimanere, in questo apparente non fare nulla, si esprime come libertà che testimonia ed è presente "solamente attraverso la sua esistenza". Il suo (della libertà che il Padre è) apparente non fare nulla è azione viva. Un azione libera che non corre dietro al figlio, ma guarda nel mezzo di questo abbandono, il dono donato gratuitamente dell'origine, il Figlio unigenito, in forza del quale egli vive. Questo sguardo non constata una volta per tutte un fatto valido, una Legge essenziale, attraverso la quale il figlio è determinato e secondo questa determinazione percorre il suo cammino nell'estraneità. Piuttosto è uno sguardo pieno di speranza, un guardare che aspetta nell'amore e nella cui luce misericordiosa può rinascere e si può rivelare la vera figura del figlio, nel suo essere perso e ritrovato, in forza della sua conversione. 







Note

(1) La parola "vermögen" significa anche: capacità, facoltà e contiene la parola "mögen": amare, preferire (RG). 

(2) Qui Ulrich passa dal rapporto tra padre e figlio nella parabola di Luca al rapporto tra il Padre e il Figlio. Questa "oscillazione" di termini la rendiamo con la minuscola e la maiuscola. Quello che viene detto del Padre e del Figlio, vale anche per il padre e il figlio, ma non viceversa. A parte che anche nel rapporto tra padre e figlio si tratta del Padre (RG). 

(3) Traduco il "ciò che viene prima" tedesco con la parola di Papa Francesco, ormai divenuta famosa. Non è l'unico contatto tra Ulrich e Papa Francesco; entrambi sono figli di Ignazio. (RG)

(4) Il grande tema della teologia del venerdì e Sabato Santo di Balthasar e von Speyr che qui Ulrich fa suo. Il Figlio ci salva dal  nostro abbandono di Dio peccaminoso in forza del suo abbondano amoroso (RG).

(5) Non solo il figlio ha avuto, ma è stato questa libertà. (RG)

(6) "Es" in Freud è la dimensione dell'istinto che rende l'uomo non più un "Egli" ma un "esso". 

(7) Nel linguaggio di Luca: "nel paese lontano". 

11.8.18 : L'attesa piena di amore del Padre (Lc15), che si fida dell'esperienza nella lontananza dei figli (sia die quello che se ne va, sia di quello che resta), che non anticipa nessuna soluzione, ma che è reale presenza nel pneuma d'amore, reale bellezza disarmata, impotenza potente, un rimanere inchiodato alla Croce l'ho vista solo in poche persone: Ferdinand Ulrich, mia moglie, Papa Francesco e don Julián Carrón.
#Breviaforismi

11.8.18
Libertini come il figlio che se ne va di casa o come quello che rimane a casa (cfr. Lc 15)?

Ultimamente pensando alle persone che dicono ogni sconcezza sul Santo Padre o per quanto riguarda noi di CL del presidente della Fraternità mi sono chiesto se non si trattasse di libertinismo incapace di ogni forma reale di obbedienza. E quindi neppure capace di reale libertà: perché obbedienza e libertà sono comprensibili solamente in un "medesimo uso".

Ho pensato dapprima che in fondo sono come il figlio che se ne va, solo che non se ne vogliono andare. In verità sono appunto come il figlio che resta e che accusa il Padre di non dar loro ciò che eccede la necessità, qualcosa per festeggiare con gli amici.

Ma in verità il figlio che resta non ha nessuna voglia di festeggiare. Vuole sicurezza e per ottenerla è disposto a tramutare il Padre, di cui non si può fidare, per la sua esagerata misericordia, nel "esso" del patrimonio. Ulrich lo spiega bene nel libro "Dono e perdono", 463-466).


#Breviaforismi

Rossella Viaconzi mi ha mandato un testo corretto che ho integrato nella mia versione. Lei è per me come una maestra di italiano e la ringrazio di cuore. Qui di seguito le sue correzioni: 


Lipsia. Per spiegare cosa sia l'amore gratuito Ferdinand Ulrich dedica tutto un libro filosofico per interpretare Lc 15, 11- 32. In verità sta dedicando tutta la sua vita a questo "tema". Il libro è intitolato: Gabe und Vergebung. Ein Beitrag zur biblischen Ontologie (Dono e Perdono. Un contributo sull'Ontologia biblica)Freiburg, 2006Se si fa sul serio con l'amore gratuito, non ci si può aspettare una risposta simmetrica ai nostri bisogni da parte di chi amiamo. Il Padre della parabola di Luca non fa così, ma lascia andare il figlio, non nell'impotenza, ma nella "rinuncia" creativa di un amore che genera libertà...

Il figlio "identifica l'amore - vuoto del padre con il non potere e il non essere"(Ulrich) - questa è la tentazione della nostra società atea e libertina, trasparente e pornografica. L'amore del Padre viene considerato come "vuoto". "Vuoto" significa "povero" di quella povertà che è ricchezza e povertà allo stesso tempo. Come dice Methol Ferré: "Certo, l'ateismo libertino "perverte" la bellezza, perché "la separa dalla verità e dal bene, e quindi dalla giustizia". Ma – ammonisce Methol Ferré – "non si può riscattare il nucleo di verità dell'ateismo libertino con un procedimento argomentativo, o dialettico; meno ancora ponendo proibizioni, lanciando allarmi, dettando regole astratte. L'ateismo libertino non è una ideologia, è una pratica. Ad una pratica occorre opporre un'altra pratica; una pratica autocosciente, beninteso, quindi intellettualmente dotata. Storicamente la Chiesa è l'unico soggetto presente sulla scena del mondo contemporaneo che può affrontare l'ateismo libertino. Per me solo la Chiesa è veramente post-moderna" (Sandro Magister, 31.32014).


Così si comporta il padre della parabola. Risponde con una "pratica": l'amore gratis! Un amore che genera libertà. "Il padre non dice: "Sono tuo padre, perché tu sei mio figlio. Tu sei la causa del mio essere padre. La mia vita non ha più senso, se tu te ne vai". Il figlio non rappresenta una condizione esterna per il potere del padre. Non lo ha generato, per avere un figlio che confermi il suo dominio e lo continui dopo la morte del padre. Se fosse così non avrebbe donato in modo libero, senza condizioni e gratis e non avrebbe inteso l'altro come altro da se stesso, ma avrebbe cercato nel figlio solo il proprio futuro, cioè se stesso. Rimarrebbe così lo sterile e passivo servo del figlio" (Ferdinand Ulrich). 


I "genitori sindacalisti" dei propri figli 
(cfr. Polito, Carrón) non li amano  i loro figli dell'amore gratis, ma sono in fondo schiavi dei propri figli. Accenno solo un momento al motivo ultimo del disastro educativo che stiamo vivendo, ma vorrei seguire qui un altro percorso di pensiero. Accenno anche che In questa citazione di Ulrich si trova spiegato il modo con cuiGiussani prima ed ora Carrón, vogliono guidare il Movimento. Viene spiegato anche il mistero della "bellezza disarmata" che è  . La bellezza disarmata è quella del padre che genera davvero in modo libero il figlio

In questo post vorrei solo invitare a pensare sulla non simmetria dell'amore gratuito. Se la risposta all'amore gratis fosse simmetrica, allora saremmo nell'ambito di ciò che il Santo Padre chiama "proselitismo": voglio che mi si ami in modo tale che sia garantito il mio futuro. Non è così: "il padre lascia andare il figlio". Questo vuol dire che "bellezza disarmata" significa lasciar andare i figli, anche e soprattutto quelli che ritengono di sapere cosa il padre deve fare. "Tutto ciò che è mio è tuo. Il tuo andare via è abbracciato dal di sotto dal mio lasciarti andare, che va con te e ti lascia essere" (Ulrich): con il figlio che se ne va, non vanno i rimproveri del padre e le aspettative del padre, ma proprio l'amore gratis stesso che lo lascia andare! Non ha alcun senso provare 
ditenere il figlio che se ne vuol andare da casa in modo argomentativo : il padre è davvero "povero" e "ricco" solo del suo amore gratuito. "Il mio lasciarti andare è il mio  che ti ama e questo  sono io stesso come origine non originata in te" (Ulrich, 457). 

Non vi è alcuna "risentimento" o "rassegnazione" nel padre: "non hai corrisposto alle mie aspettative, fai quello che vuoi". Il padre lascia andare in forza del "pneuma dell'amore gratuito" che genererà la risposta non simmetrica del figlio. 


La risposta non simmetrica del figlio all'amore del padre verrà dal profondo della crisi. Non può restituirgli il denaro né il tempo non passato insieme. A questa non simmetria del figlio il padre risponde con una non simmetria sempre più grande. 


Per don Julián Carrón


Caro don Julían, 

mi hai scritto di "non trattenerti dal farmi avere suoi testi (di Balthasar) che ti colpiscono o che possono essere d'aiuto per il  cammino insieme". Ti segnalo oggi non un pezzo di Balthasar, ma forse del suo amico più vero, Ferdinand Ulrich, da Gabe und Vergebung. Ein Beitrag zur biblischen Ontologie (Dono e Perdono. Un contributo sull'Ontologia biblica, Freiburg, 2006, 452-458. Lo trovi dopo questa mia breve meditazione a partire da "Per don Julián Carrón". 
Tuo, piccolo amico di Gesù 

Ferdinand Ulrich

Lasciar andare. La "rinuncia" creativa dell'amore che rende liberi (vgl. Lc 15,11-32)

"Come risponde il padre a questa divisione compiuta dal figlio? Semplicemente lascia andare via il figlio. Da chi racconta, dal Figlio unigenito del Padre, dal Figlio dell'uomo, dal nostro fratello non ascoltiamo nulla che sia un rimprovero da parte del padre. Quest'ultimo ha fiducia, senza riserve, nell'estraniazione (Entäußerung) irreversibile del suo Sí paterno, della totale donazione del patrimonio (Vermögen) (1). Vive la sua fedeltà paterna al figlio ed ha fiducia dell'essere donato del dono nel figlio. Ama nel figlio, in mezzo al suo no, la sua vita passata, donata e distribuita. Ama la libertà che è il figlio stesso attraverso il padre che lo autorizza ad entrare in rapporto con lui. Nel suo potere paterno il Padre si è fatto in lui totalmente Parola (2).  Il Figlio è stato sempre Parola (Verbo) del Padre ed attraverso la sua autocomunicazione il Padre lo ha reso libero come Figlio, senza alcuna intenzione, al di la di ogni "per" e "perché". Nel suo essere proceduto dal Padre il dono dell'amore generante 
riposa nell "essere se stesso" del Figlio, attraverso il quale il Padre, che ha donato il suo patrimonio a Colui che ha generato, va con il Figlio, nascosto nel Pneuma dell'amore,  nell'estraneità. Porta nel suo Amore gratuito, nell' intimità della sua misericordia, nel silenzio, Colui che ha ricevuto il dono sul suo cammino: lo porta in forza del suo "amore- povertà", del suo altruismo paterno, nel grembo del suo creativo "amore - vuoto" che lascia andare l'amato, nello spazio libero e tenero in cui il Figlio è se stesso e può essere se stesso.   

Questo silenzio del Padre è il linguaggio sovra linguistico della sua fedeltà, nel quale si rivela, che tutto ciò che è stato donato, è un Sí assoluto e sincero: "Tu, che sei stato generato, puoi stare, nella fiducia di un essere stato donato a te stesso, sui tuoi propri piedi, puoi cominciare da te stesso; puoi vivere la Tua vita nella tua originalità che ti è stata donata e per questo ti appartiene senza riserve. Puoi compiere la tua esistenza da te stesso e quindi uscire e portare frutto. In questo modo ringrazi e sei libero.  Non ti devi sostenere su precondizioni che ti sono estranee, che ti vogliono ingannare, che stanno davanti a te solo oggettivamente così da essere costretto a vivere come un "altro da te stesso". Il primerear (Vorweg) (3) senza origine  del mio amore paterno è in te stesso la fonte del tuo essere te stesso. Visto che il mio patrimonio ti appartiene ("tutto ciò che mio è tuo"), così puoi, in forza del tuo essere stato donato, ciò che io posso: l'amore gratis! In questo amore puoi "essere perfetto come Tuo Padre", perché tu sei vita della sua vita". "Solus Deus est maxime liberalis" (Tommaso d'Aquino, S. Th, 44,4,1). 


A partire dal Padre il Figlio può lasciarsi andare totalmente nell' "Amore- vuoto", nel grembo del silenzio paterno che gli apre lo spazio creativo del suo poter esistere, dal quale si è risvegliato nel suo "essere se stesso" (Selbstsein). Ma il figlio scambia 
il

l'amore creativo amore- vuoto del silenzio paterno con l'incapacità impotente di parlare, insomma con una cattiva incapacità di sapersi esprimere. Identifica l'amore- vuoto del Padre con il non potere e il non essere. Si immagina questo amore come uno spazio sterile il cui centro è il suo io = io, che deve appropriarsi autonomamente del patrimonio come un inizio assoluto, causato dal vuoto paterno. E come identifica in modo perverso il Mistero dell'amore povero del Padre con il non essere di una mancanza, allo stesso modo identifica la pienezza della libertà donata, in cui si è risvegliato in forza dell'amore povero del Padre, con la pseudo ricchezza di un egoistico disporre di sé. Non vive il potere della sua libertà come dono, nato dal silenzio del Padre. Nel futuro sembrerà che il succedersi degli avvenimenti dipenda solo ed unicamente da lui senza che in questo impegno "assoluto" egli abbia ceduto, in modo fiducioso, al potere creativo del Padre, senza tener conto che è nato nel grembo del Padre. 


Il luogo vivo in cui il Mistero dell'identità tra vuoto e pienezza dell'essere viene compiuto come amore è la fiducia. Il silenzio di Dio è il suo Parlare (Verbo), dal quale procede il Figlio, dal quale il Figlio è. A partire dal Mistero dell'amore- povero accade la nascita in quanto "essere se stesso" di Colui che riceve il dono del Padre e che deve se stesso alla Povertà che lo lascia essere se stesso, perché sua origine non originata. La pienezza dell'amore povero di Colui che dona risveglia colui a cui è stato donato in un fiducioso cedimento di sé. Fa 
 che giunga all'intimità di se stesso attraverso il suo assoluto essere amato e reso libero. Giacché l'amore povero e creativo del Padre, che in modo irreversibile ha donato il suo patrimonio, è la presenza nel Figlio, l'assoluto Sí verso e nella sua libertà, allora Colui che è stato generato a partire da una profonda gratitudine e da un'obbedienza amorosa può partire in una divisione dalla sua origine che nasce come frutto del suo amore- unità con il Padre. Questo è il Mistero della differenza ("non") come essere. 

Così il Padre misericordioso è presente in colui che se ne è andato. Questo da parte sua interpreta però il silenzio paterno come impotenza e trasforma l'amore povero paterno rivelatosi nell'essere donato e ricevuto, in una sussistenza posta da lui e da lui posseduta. Nello sguardo piegato su se stesso vede in torno a sé solamente lo spazio vuoto e muto dell'origine, che non ha fatto altro che dargli ciò che gli è dovuto. Interpreta questo fatto come pegno e come dimostrazione che egli finalmente si è compreso nella sua piena ed inviolata identità con se stesso. Ma nel mezzo di questa perversione il silenzio del Padre rimane la fonte della misericordia per il figlio che va "in un paese lontano", l'offerta irremovibilmente fedele e liberante del ritorno per e in colui che si perde. E ciò non nel senso di un ritorno parallelamente simmetrico  di colui che si è perso nella direzione dell'origine (e del rimanere a casa) sulla stessa via in cui ha lasciato la sua origine, piuttosto  nel farsi strada asimmetrico di colui che si converte nella vera, libera dialogica differenza dall'origine che viene testimoniata attraverso l'amore della conversione, del rialzarsi, del ritorno e del rimanere nella casa del Padre, da parte di quest'ultimo e del fratello. Per questo motivo il Padre non tenta di annullare l'andare via del figlio contro il suo allontanarsi dall'origine. Non pone il rimanere contro la divisione, piuttosto aspetta nella pazienza dell'amore l'aprirsi di una strada della divisione- amore nell'amore- morte, aspetta il ritorno di colui che è rimasto senza Padre in forza del peccato sulle spalle di Colui che è stato abbandonato dal Padre (4) per amore e che ci racconta la parabola ( e in essa "se stesso") del figlio del Padre misericordioso. Il Padre spera nel libero rimanere del Figlio. Così come il dono del Padre nel figlio è irremovibile, così lascia andare via il figlio senza pentirsene.  

Il Padre non tiene legato a se stesso il figlio, quasi fosse costretto nel frutto da lui posseduto del suo amore di mettere di fronte a se stessa per osservarla in modo oggettivo la potenza del suo potere paterno, il dono della sua capacità personale e generativa. Il Figlio non funge come idolo della sua autoconferma della propria potenza paterna; non è il garante strumentalizzato del suo futuro. Egli ha posto in libertà l'altro come altro da se stesso e lo ha responsabilizzato per il rischio futuro di un amoroso diventare se stesso a partire dall'abisso della sua (del figlio) propria libertà, che è stato (5) in forza della sussistenza donata e ricevuta gratuitamente dal Padre.  "Il padre non dice: "Sono tuo padre, perché tu sei mio figlio. Tu sei la causa del mio essere padre. La mia vita non ha più senso, se tu te ne vai". Il figlio non rappresenta una condizione esterna per il potere del padre. Non lo ha generato, per avere un figlio che confermi il suo dominio e lo continui dopo la morte del padre. Se fosse così non avrebbe donato in modo libero, senza condizioni e gratis e non avrebbe inteso l'altro come altro per se stesso, ma avrebbe cercato nel figlio solo il proprio futuro, cioè se stesso. Rimarrebbe così lo sterile e passivo servo del figlio". 

Il Padre non "fa" il suo futuro nella forma del figlio. Non usa il figlio perché questo gli rispecchi davanti a se stesso la sua potenza di Padre. Il futuro che è stato generato non è il passato prolungato di Colui che genera. Se fosse così il Padre non avrebbe la forza di uscire da se stesso nella generazione del figlio, di donare se stesso e il suo patrimonio: la capacità di lasciare l'altro essere altro da se stesso. Chi dona in libertà conferma così colui che la riceve concedendogli l'assoluta libertà della risposta. Questo potere di concessione di una risposta libera è l'amore- povertà del Padre. Per questo permette che nasca nell'atto della generazione il futuro del suo dono donato, la sua vita e la sua capacità, cioè la sua sua volontà dal Mistero della singolarità dell'altro, a partire da se stesso, dall'abisso della sua libertà. Non aspetta se stesso (e la sua volontà) simmetricamente dal figlio, piuttosto attraverso l'abisso d'amore della differenza dialogica, in modo non simmetrico dalla profondità nascosta dell'essere già stato (Egli), insomma dalla libertà fondata in se stessa del Figlio. Il suo amore- povertà spera nel: Sí, Padre! Così riceve il figlio così come "da sempre piace al Figlio". Porta e sostiene in forza dell'Amore povertà, nel grembo della sua misericordia (in ebraico: "rechem": utero; "rachamin": misericordia), il "da se stesso" del Figlio. Rinuncia non in un senso rassegnato ("non hai risposto alle mie attese, allora fa quello che vuoi"), piuttosto nel senso del tutto creativo all' avere (possedere) il frutto del suo amore. Abbandona con fiducia il seme della sua parola ontologica nella terra materna e buona , che porta "il frutto da se stessa" (Matteo 4, 28: αὐτομάτη ἡ γῆ καρποφορεῖ). Non ha bisogno del frutto per completarsi o giustificarsi come Padre. "Sono Padre perché ho un figlio". No, Egli è Padre perché in se stesso, in forza del suo essere Padre , è capace del Figlio, perché Egli lo genera amando e questo amore, la paternità del Padre, è l'essere del Padre. Per questo può lasciar libero il figlio e lasciarlo andare. Egli stesso va attraverso la sua misericordia con il rimanere amato del figlio. Attraverso se stesso, attraverso il suo essere, in forza della sua paternità, gli è fedele: a casa e in un paese lontano. Ciò che succede fuori è "destino intimo" del Padre. La sua vita è in gioco fuori o dentro in colui che ama. Nel pneuma dell'amore si dona assolutamente all'altro, esposto in lui e attraverso di lui: e questo lo possiamo riconoscere, nella fede, nel costato aperto, nel cuore che fuoriesce dal Crocifisso in forza del colpo di lancia.  

Se il Padre dasse desse la prova di essere Padre solamente con il rimanere a casa del figlio, allora non avrebbe preso realmente sul serio l'atto della generazione amorosa del figlio, nella quale trova le sue radici la libertà dell'altro. Avrebbe sostituito la mancanza di un amore che rende liberi con il disporre del figlio ("mio figlio"). Egli compenserebbe come Es (6) la sua incapacità di "preferire" (ver-mögen) l'amato altro da sé stesso attraverso la presa di possesso dell'altro e per mezzo della presenza constata oggettivamente del tu coprirebbe la sua impotenza (un cattivo vuoto, non l'amore- vuoto, che è "vuoto della pienezza"): "io sono ciò che ho". Come Padre generante del (genitivo personale) figlio, egli è già da sempre in lui, nell'altro reso libero, e per questo non è costretto ad affermarsi in modo regressivo, in forza della degradazione del figlio a mezzo. Il figlio non compare al suo cospetto come uno che esige dall'esterno, come una Legge che stimola l'azione. Il figlio non è un contenuto, di cui il Padre abbia bisogno per rassicurare se stesso di possedere il proprio potere: è l'altro, libero e singolare. 

Il Padre lo lascia andare. Considerata dall'esterno, dal punto di vista spazio temporale, la distanza tra i due diventerà sempre più grande. Considerata dal punto di vista del Padre l'allontanarsi del figlio non accade ovviamente come un ingrandimento di una distanza spazio temporale. Alla presenza del Padre si rivela la distanza originaria come mistero della differenza personale di Colui che ama e di colui che è amato ( e che nel suo essere amato è reso libero). Il Padre vive la divisione che si esprime nella dimensione spazio temporale come la figura (Gestalt) intima del suo Sí, come Parola di fedeltà sovra linguistica per il figlio: "Tutto ciò che mio è tuo. Il tuo andare via è abbracciato dal di sotto dal mio lasciarti andare, che va con te e ti permette di essere. Il  mio lasciarti andare è il mio Sí amoroso per te e questo Sí sono io stesso come l'origine non originata in te". Per questo il Padre per così dire si nasconde nella totale tranquillità (Gelassenheit) del suo essere se stesso, non contro, ma per il figlio. Il suo nascondersi paterno, il suo silenzio è Ia misericordia del suo andare "con". Il Figlio unigenito che ci racconta la parabola è la misericordia fatta persona del Padre: nella estraneità senza padre (7). Comprendiamo la parabola solamente se Lo ascoltiamo nello spirito della misericordia e del perdono. 

Il Padre rimane, "riposa" nel suo podere e lascia andare il figlio. In questo rimanere, in questo apparente non fare nulla, si esprime come libertà che testimonia ed è presente "solamente attraverso la sua esistenza". Il suo (della libertà che il Padre è) apparente non fare nulla è azione viva. Un azione libera che non corre dietro al figlio, ma guarda nel mezzo di questo abbandono, il dono donato gratuitamente dell'origine, il Figlio unigenito, in forza del quale egli viveQuesto sguardo non constata una volta per tutte un fatto valido, una Legge essenziale, attraverso la quale il figlio è determinato e secondo questa determinazione percorre il suo cammino nell'estraneità. Piuttosto è uno sguardo pieno di speranza, un guardare che aspetta nell'amore e nella cui luce misericordiosa può rinasce e si può rivelare la vera figura del figlio, nel suo essere perso e ritrovato, in forza della sua conversione. 







Note

(1) La parola "vermögen" significa anche: capacità, facoltà e contiene la parola "mögen": amare, preferire (RG). 

(2) Qui Ulrich passa dal rapporto tra padre e figlio nella parabola di Luca al rapporto tra il Padre e il Figlio. Questa "oscillazione" di termini la rendiamo con la minuscola e la maiuscola. Quello che viene detto del Padre e del Figlio, vale anche per il padre e il figlio, ma non viceversa. A parte che anche nel rapporto tra padre e figlio si tratta del Padre (RG). 

(3) Traduco il "ciò che viene prima" tedesco con la parola di Papa Francesco, ormai divenuta famosa. Non è l'unico contatto tra Ulrich e Papa Francesco; entrambi sono figli di Ignazio. (RG)

(4) Il grande tema della teologia del venerdì e Sabato Santo di Balthasar e von Speyr che qui Ulrich fa suo. Il Figlio ci salva dal  nostro abbandono di Dio peccaminoso in forza del suo abbondano amoroso (RG).

(5) Non solo il figlio ha avuto, ma è stato questa libertà. (RG)

(6) "Es" in Freud è la dimensione dell'istinto che rende l'uomo non più un "Egli" ma un "esso". 

(7) Nel linguaggio di Luca: "nel paese lontano".

Aggiungo ancora un articolo che ho scritto il 19.8.18 in dialogo con Ferdinand Ulrich: 

Lipsia. Questo articolo è scritto nella convinzione che la filosofia è la massima azione dell’uomo! Quindi massimo servizio! La filosofia come la „serva“ di tutte le scienze e tutte le arti! In questo senso è un articolo per filosofi. Non nel senso, però, che sia un articolo accademico. È scritto per chi pensa che il percorrere un sentiero di pensieri possa cambiare il suo cuore ed in un certo senso anche la storia. Non è scritto per uomini del potere, non è scritto neppure nella credenza che queste „forze superiori della società“ (Servais) che si esprimono nel potere dominante, possano essere sconfitte. Come dice padre Jacques Servais in un articolo su Hans Urs von Balthasar und Paul Claudel in fondo al loro cospetto si può solo „resistere“. È un articolo, nato in dialogo con le persone della redazione dei „Contadini di Peguy“, sul populismo e sull’io isolato della nostra società liquida e trasparente ed è a loro dedicato!