giovedì 4 maggio 2023

La filosofia dell'essere come amicizia - Meditazioni sul libro di Alver Metalli, Tierra Prometida, Bari 2023

 Meditazioni sul libro di Alver Metalli, Tierra Prometida. Storia di una storia, Bari 2023

Questo post raccoglie in senso cronologico inverso (a parte la prima lettera all'autore) alcune meditazioni sul libro di Alver Metalli, Tierra Prometida, Bari 2023 in cui viene raccontata la "storia di una corrente di amicizie" che ha attraversato l'oceano Atlantico, tra l'Italia e l'Argentina. Le nuove meditazioni verranno aggiunte appena scritte, nelle prossime settimane o forse mesi.


(4.5.23

Caro Alver, il tuo libro é finalmente arrivato ed ho cominciato subito a leggerlo; farò come ho fatto con „Epifanie. Racconti minimi di vita e di morte, Bari 2021“, lo mediterò, pian piano. La posta in gioco questa volta è molto alta, perché la mia appartenenza alla Fraternità è molto in crisi ed anche dalla lettura e meditazione del tuo libro dipenderà molto. Tu scrivi che il metodo educativo di don Giussani era centrato sul dialogo (cfr. Tierra Prometida, Bari 2023, 18); bene io in CL non ho fatto quasi mai questa esperienza, a parte negli anni dei „Contadini di Peguy“, che, però, mi sembra, non abbaino retto alla prova della pandemia e della guerra in Europa o alle porte dell’Europa. Non sono mai stato in America Latina, ma so che c’è un rapporto intimo tra di noi, tu in Argentina ed io in Germania, e che quindi faccio parte tra „questi rapporti di uomini in luoghi distanti“ (9). So di far parte di quella „corrente di amicizie che scava un solco nella più vasta storia degli uomini del nostro tempo“ (9), anche se l’anima benedettina e per me indissolubilmente legata con quella ignaziana e come figlio di Ignazio, in una delle zone più secolarizzate del mondo, spero che SPN (Sanctus Pater Noster, come lo chiamavano Adrienne von Speyr ed Hans Urs von Balthasar), mi tenga ben stretto, perché ho la sensazione che l’essere un „cittadino del nostro tempo“ (Schiller) alle volte mini la mia appartenenza a quel „solco“ di cui sopra. L’uomo che sta al centro della storia che narri io non l’ho mai incontrato personalmente, ma una volta, nel 2010 alla tomba di Balthasar, a Lucerna, l’avevo sentito tanto vicino e il suo abbraccio a Roma, durante un simposio voluto da san Giovanni Paolo II, tra Giussani e Balthasar, l’ho considerato sempre come la generazione della mia missione ecclesiale. Per quanto riguarda le suore di Vitorchiano, la prima canzone che ho cantato a mia figlia, quando me la diedero in braccio, dopo il taglio Cesario, nel 1995, è stato „Nel primo chiarore del giorno“. Tuo, Roberto 

Quando il mio commento era arrivato alla pagina 109, il 29.5.27, mi ha scritto Alver: Ciao Roberto, mentre ti ringrazio per l'attenzione a Tierra prometida, ti assicuro che seguo il tuo serrato confronto con il libro e le analogie che ti suscita. In questo senso non è una semplice lettura da critico, e anche critica quando ti sembri necessario, ma un corpo a corpo con i criteri e visioni, come deve essere. Magari ci sentiamo più avanti. Cari saluti. Alver 

(5.7.23) Caro Alver, eccomi giunto al termine di questo lavoro sul tuo lavoro. „Come in tutte le storie particolari da essa investite, la coscienza degli uomini lascia un’impronta che prende tanti rivoli, raggiunge profondità diverse e a volte si interra come un fiume carsico per poi riemergere dopo molto tempo là dove neppure ce l’aspettavamo“ (203). Ti scrissi all’inizio di questa avventura, il 4.5.23, che la posta in gioco era alta, perché mi trovo in una situazione di crisi rispetto alla mia appartenenza alla Fraternità di CL. Il tuo libro mi ha fatto almeno capire una cosa: io sono certamente uno dei rivoli di questa storia. Perché ho dedicato a due dei tuoi libri addirittura tutto un post nel mio blog? La risposta è molto semplice e si trova nel titolo del post dedicato a „Tierra prometida“: „la filosofia dell’essere come amicizia“. Io sento questa amicizia ontologica, non solo psicologica per te. In primo luogo per una cosa molto semplice: tu mi hai chiamato per nome; mi ricordo quando una volta a Rimini, vicino agli uffici del Meeting, dall’alto della balconata, mi giungeva il mio nome, dalla tua voce. Poi perché tu vivi nella villa miseria con don Pepe, insomma in un luogo altamente simbolico, per l’opzione preferenziale per i poveri e in fiducia ad un sacerdote della Chiesa; questo legame tra la tua laicità dedicata a Cristo e il sacerdozio, già presente nel tuo amore per don Giussani, mi sono proprie, fanno davvero parte della mia identità, sebbene dopo tanti anni di Germania, forse la laicità pesa un po’ di più che l’ordinazione sacerdotale, ma mai e poi mai metterei io in discussione la grazia di aver sacerdoti che vivono totalmente per Cristo e quando mancano, come accade in Giappone per secoli, il cristianesimo non smette di esistere, ma è sempre gioioso quando un sacerdote riappare, a concretizzare Cristo nell’eucaristia e nella confessione del peccato. Cosa dire sinteticamente della „storia di una storia“ che racconti? Forse la si può riassumere con una frase di san Alberto Hurtado sj: „Il giorno in cui non ci saranno più santi, non ci sarà più chiesa, eppure la santità non è obbligatoria. Che pensiero coinvolgente! La Chiesa non vive dell'adempimento del dovere, ma della magnanimità (= coraggio grande) dei suoi fedeli". In quel piccolo rivolo della mia storia ho imparato unicamente una cosa: „solo l’amore è credibile“ (Balthasar), è l’amore, per usare una parola tedesca, è „umsonst“ o non è amore. Umsonst significa allo stesso tempo gratis et frustra. Ed infine il coraggio grande dei fedeli della Chiesa è generato dal coraggio di Cristo che è diventato avvenimento salvifico per il mondo, fino a salire sulla Croce e discendere nell’inferno per gli uomini, che lui chiama „amici“ (Gv 15,15). Surrexit Dominus vere! Dein, Roberto 

(4.7.23) Siamo arrivati all’ultimo capitolo „La storia si condensa. Ottobre 1984“ (cfr. Alver Metalli, Tierra prometida, 195-200), poi c’è ancora da commentare „Ringraziamenti ed epilogo“, ma lo faccio separatamente, dicendo anche qualcosa sul titolo di questo post. Per quanto riguarda la data di partenza di CL in Argentina, posso solo dire che nel 1984 l’ultima cosa che avrei fatto sarebbe stata quella di allearmi con un movimento del genere che giudicavo, a torto, di essere integralista e privo di ogni „spirito dell’utopia“ (questo forse a ragione). Se CL fosse stato integralista, non avrebbe potuto entrare in dialogo con un paese come l’Argentina, appena uscito dalla dittatura e non sarebbe potuto sorgere in dialogo anche con i peronisti. Comunque è vero che il giovane che io ero non sarebbe stato affascinato, come lo è stato Jorge Vilas jr. dal fatto che i giovani di CL „erano maggioranza nei centri studenteschi delle università in Italia e che avevano creato cooperative  di libri e mense studentesche in gran quantità“ (196) - io i libri allora li rubavo come „espropriazione proletaria“ e mangiavo il meno possibile per comprare i libri che non potevo rubare. Detto questo c’è un punto di questa storia che mi avrebbe interessato allora e mi interessa adesso: „i sistemi di pensiero rigidi sono insufficienti per interpretare il mondo“ (199)  e con ragione il giovane Vilas commenta: „Fino al momento ragionavo ancora con schemi di destra e sinistra. Con lui (don Ricci) ho capito che il problema era la cultura contro l’ideologia“ (199). Proprio in questo anno di guerra ho compreso che in vero quasi nessuno ha compreso la critica del Papa alla logica di Cappuccetto rosso e quelli che invece l’hanno capita potevano essere indifferentemente di destra o di sinistra. Queste non sono categorie ultime, come imparai già negli anni 80 da Massimo Cacciari che dialogava anche con la „nuova destra“ e che leggeva attentamente Hans Urs von Balthasar. Con il progressismo esasperato o con il tradizionalismo esasperato non si può dialogare non perché siano rispettivamente di sinistra o destra, ma perché sanno già tutto: sono forme di gnosticismo esasperato…


(3.7.23) Nel capitolo „Il mandato. Settembre 1984“ (Alver Metalli, Tierra prometida, 189-1994) si vede molto bene come don Giussani agisca teologicamente „sub et cum Petro“! Non esiste un don Giussani vs Petrus! Dal Papa riceve con gioia un „mandato“: „Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace, che si incontrano in Cristo redentore“ (189). Questo significa anche „svuotare lo stivale“: „dobbiamo capovolgere l’Italia e fare uscire tutti per andare in tutto il mondo“ (190) e se capisco bene don Giussani non si tratta di fare proselitismo ciellino: „CL non vuole di per sé proporsi come CL, preoccupata della sostanza della proposizione dell’annuncio, cerca un’immedesimazione totale con le condizioni della gente cui si rivolge“ (191) - questa frase è il riassunto sintetico più pertinente che abbia mai letto di più di 20 anni di vita nella diaspora sassone-anhaltina. 

Nel capitolo viene discussa la domanda a riguardo di un movimento di massa e un movimento elitario, che è in sé interessante, ma che non mi riguarda, perché vivendo in una delle zone più secolarizzate del mondo, più secolarizzata della Cina, questa domanda non mi si è mai posta a livello di esperienza, invece mi interessa dare un giudizio su una frase di Don Giussani sul “dove“ Cl debba essere presente: „È legato alle occasioni che la Provvidenza propone. Non abbiamo un nostro progetto. Laddove l’occasione emerge viene valutata innanzitutto in base alle energie disponibili, e in secondo luogo, si preferisce quella situazione dove l’influsso culturale sembra promettere una maggiore fecondità“ (191). Trovo giusto che ci si fidi della provvidenza e che non si abbia un progetto ed è anche importante e realistico pensare un po’ alle energie disponibili. Così deve pensare un  padre. L’ultima frase sulla „maggiore fecondità“ è esattamente il contrario di ciò che ho imparato da Ferdinand Ulrich: l’amore cristiano (vale anche per l’amicizia) è sempre e solo gratis, e nel gratis è compreso anche il frustra. Poi devo dire, che anche se ci sono stati dei buoni tentativi da parte di alcuni amici della CL tedesca di appoggiare la nostra esperienza qui nell’est della Germania, con progetti solidi (come il „Fondo Papa Francesco“, per sostenere i poveri nella nostra scuola) e con la partecipazione al nostro viaggio nelle Dolomiti, dove abbiamo portato per decenni tante persone che per la prima volta erano confrontati con un’esperienza cristiana, non c’é mai stato, forse solo con un eccezione, un vero tentativo di parlare con noi per chiederci di che cosa ci fosse bisogno „per la proposizione dell’annuncio cristiano“ qui dove siamo. In questa nostra testimonianza siamo stati lasciati del tutto da soli, pur essendo in una situazione di estrema „esposizione“ alla mancanza di gratitudine pagana, in un mondo „dopo Gesù e senza Gesù“ (Peguy). 

Per quanto riguarda il futuro io desidererei che in CL si prendessero, da parte di tutti, del tutto sul serio, i nuovi mandati di Pietro: da una parte la decentrazione dal carisma (Marzo 2015) e la compagnia nelle tre profezie della pace, della salvaguardia del creato o della nostra casa comune, e della cura dei poveri (Ottobre 2022). Per esempio sulla decentrazione dal carisma, di cui nel 2015 si fece un vero e proprio gossip nella CL digitale e non, non ho mai sentito, neppure da parte di chi guidava e guida CL, una sola frase di approfondimento, piuttosto sempre e dovunque toni di auto esaltazione del carisma. E per quanto riguarda la profezia della pace vedo tanta ambiguità, anche ovviamente una disponibilità caritativa, di cui mi compiaccio, ma nessun approfondimento del giudizio di non usare la logica di Cappuccetto rosso per giudicare cosa succede in Ucraina. Il mio „diario notturno“ è stato un tentativo di farlo, ma mai nessuno di chi guida CL, mi ha mai sostenuto nell’intento, sebbene il mio diario, nel frattempo, è stato aperto quasi 9.000 volte. 

Infine: non sono bravo a tenere un’agenda delle amicizie, come faceva don Ricci, ma credo che in una regione come la nostra, in cui la stasi controllava tutti i rapporti di amicizia e famigliari, una tale agenda sarebbe potuta essere anche interpretata in modo falso: abbiamo dovuto, per esempio regalando i volantoni di Natale e Pasqua per decenni, scommettere tutto sulla gratuità della comunicazione. Lo spazio e il tempo della fecondità li conosce solo il Signore! VSSvpM! 

PS Ho pensato di aggiungere questo PS alle meditazioni di questa mattina, anche se è una riflessione del tutto in statu nascendi (work in progress). Da quello che capisco della lettura che fa Alver della nascita di CL in America Latina, mi sembra, che essendo CL nato li in dialogo con peronisti e sindacalisti democristiani, ma anche con anarchici convertiti, etc. abbia una connotazioni molto differente da realtà in cui CL è stata in dialogo con addirittura abbia generato persone come Formigoni e Berlusconi… Non voglio dare un giudizio univoco sulle due personalità, perché il primo come governatore della Lombardia e il secondo come premier dell’Italia, tra l’altro con la durata di governo, senza soluzione di continuità, più lunga del dopo guerra abbisognerebbero di un giudizio che supera la mia competenza. Era per me, per esempio,  una novità sentire che l’impegno di Berlusconi in politica estera sia stato di mediazione tra gli imperi, comunque entrambi i politici appartengono o hanno appartenuto all’aera di „destra“ o „centro destra“ della politica italiana, cosa che non mi sembra si possa dire dei politici interessati a CL nell’America Latina. 

Per quanto riguarda la Germania vorrei fare due esempi, con cui se ne può chiarire l’identità. Per quanto riguarda la DDR mi sembra che un ciellino tedesco pensi semplicemente che sia stato uno stato dittatoriale come quello nazista e che non vi sia una cronologia di questa dittatura: insomma una specie di notte in cui tutte le vacche sono nere. È chiarissimo che dopo vent’anni Sassonia-Anhalt, anche se ho preso solo un po’ sul serio l’assioma di don Giussani: „un’immedesimazione totale con le condizioni della gente cui si rivolge“, io non potrei mai fare osservazioni del genere, che nascano da un’idea di chiesa che si difende dal comunismo. Secondo esempio: un amico del Movimento mi ha mandato un documento con con lui si identificava, come giudizio sul sinodo, che fondamentalmente era solo una „reazione“ al progressismo della sinistra elitaria nella chiesa cattolica in Germania. Anch’io ho più simpatia per un vescovo come Stefan Oster, che è critico del sinodo tedesco, ma solamente perché, come allievo ed amico di Ferdinand Ulrich, so che il vescovo di Passau non è inscatolatile nella dialettica fatale, all’interno della chiesa, tra destra e sinistra. Io penso similmente al mio padre confessore agostiniano, Jeremias Kiesl, che non bisogna chiudere tutte le porte ai temi di riforma del sinodo tedesco, perché vi sono momenti di verità in esso che devono essere presi sul serio: radicale critica ad atteggiamenti di collisione o difesa della pedofilia; radicale critica al ruolo subalterno della donna nella chiesa, etc.  

(30.6.23) Nell’agosto del 1984 a Rimini si tenne un Meeting con il tema „America/Americhe“ (cfr. Alver Metalli, Tierra prometida, 177- 188). A Rimini ci sono tanti latino-americani importanti: Alberto Methol Ferré, Abelardo Ramos, Lucio Gera, Carlos Castillo, a cui dobbiamo „un dialogo straordinario con il poeta messicano Octavio Paz, Luis Meyer…ma ci sarà anche, Hans Urs von Balthasar, che tenne una conferenza, dal titolo „Se Cristo non fosse più follia per uomini e popoli“, di cui non parla Alver nel capitolo citato. Balthasar ha un giudizio articolato sulla realtà latino-americana, che riporto: „Nell’America del Sud (aveva appena parlato dell’America del Nord, con la sua tolleranza religiosa senza verità; r) incontriamo un razionalismo totalmente diverso. E’, e qui bisogna semplificare, la lotta fra due forme razionalistiche e politiche di comprensione del cristianesimo. Non vale la pena insistere sul cosiddetto cattolicesimo dei cosiddetti oppressori, che potrebbe quasi sempre ridursi a una forma di tradizionalismo che permette ad una classe dirigente l’espressione classica di una fede cattolica limitata alla recita di un Credo e alla pratica dei sacramenti. Da tutto questo, scandalo e follia sono esclusi. Mentre cattolicesimo e diritto politico sono intimamente congiunti. Il contrario di questo amalgama è più difficile da definire ed è noto come teologia della liberazione. Il problema è sapere in che senso si tratta di una teologia cristiana propriamente detta o di un movimento sociologico che si serve, a ragione o a torto, del Vangelo. Non metto assolutamente in dubbio la buona fede di molti, perfino della maggior parte di quei teologi che si riconoscono nella teologia della liberazione. Ma la domanda terribilmente scottante è un’altra: con che diritto si servono del Vangelo e del suo scandalo per fare politica? L’opzione per i poveri può essere detta centrale nell’atteggiamento di Gesù, ma vi vede Egli solo i materialmente poveri o tutti i poveri diavoli non piuttosto indigenti o ricchi che falliscono la loro entrata nel Regno dei Cieli? C’è, certamente, la difficoltà dei ricchi di passare per la cruna dell’ago, e la forza di testi simili. Ma non sono né la ricchezza né il potere politico che per Gesù separano il Regno in due campi. Il povero che non possiede alcun comfort in terra è più aperto alla Buona Novella del ricco pieno di preoccupazioni economiche. Ma bisogna forse aiutare il povero ad acquisire una parte di questo benessere? C’è, senza dubbio, un limite molto stretto fra miseria, che deve essere in tutti i casi soppressa, e povertà, che può essere una grazia che ci avvicina al Regno. Charles Péguy con molta ragione ci ha inculcato questa distinzione, egli non fa altro che seguire la parabola del Samaritano. Ed è la carità cristiana, essa sola, che ci deve animare a seguirlo, una carità che ispira una politica, ma che non si identifica con essa. Fra le due c’è una differenza livello. Due gesuiti francesi ce lo dicono sotto ogni punto di vista: P. Fracou che lavora in Cile e che ci ha dato quel libro dal titolo famoso: “Prima (di tutto) il Vangelo”, cioè prima della politica. Esso ristabilisce lo scandalo della Croce unica di Cristo e vieta di confonderlo con quello della miseria umana. P. Pierre Ganne, mio vecchio amico durante gli studi teologici, che purtroppo è morto, nel suo nuovo libro sullo Spirito Santo ci inculca: concetto di Alleanza è che solo l’uomo libero è capace di stabilire dei rapporti veri, è l’uomo libero che diventa giusto e non l’uomo giusto che diventa libero. L’Esodo comincia con la liberazione; dopo, all’interno di questa liberazione (operata da Dio), si può chiedere al popolo di stabilire dei rapporti giusti. La decisione di giustizia parte dall’uomo; se il suo cuore è schiavo, egli non può avere il concetto di rapporti giusti guardate Lenin. Non ci sono esempi di rivoluzioni che non abbiano rafforzato il regime amministrativo e poliziesco. Non dimentichiamo che Satana si traveste da angelo di luce. Le nostre illusioni sono spesso a base di generosità. La libertà degli altri non è qualcosa che io scelgo. Non ne sono la fonte. La perversione del paternalismo porta a proclamare: Io scelgo il tuo benessere, la tua felicità. Ora, il mondo è pieno di questa pretesa, di scegliere la nostra felicità, è perfino un tema politico. In questo mondo il Vangelo è inintelligibile. Leggete tutto il libro, pubblicato da ‘Centurion’, 1984. La politicizzazione della carità è quindi un altro modo di pervertire la follia della Croce. Ma lasciamo ai latino-americani la loro chance di trovare nella loro situazione estremamente difficile l’equilibrio che permetta di unire teologia e politica senza identificarle“. (Balthasar, nella traduzione del Meeting). Il giudizio è articolatissimo e non è per nulla paternalistico (la follia di pensare di essere creatori della felicità degli altri, per parlare con padre Ganne SJ), infatti invita i latino-americani stessi ha dare un loro giudizio sulla loro realtà, che non cada nella „teologia politica“, ma che cerchi una „teologia della politica“ e che si muova tra i due estremi, senza cadere nel loro tentazioni, quello del progressismo e quello del tradizionalismo. Balthasar sa che nessuna giustizia umana genera libertà e comunione, quest’ultime sono dono e che per quanto si debba lottare contro la miseria, differenziandola dalla povertà (Charles Peguy), la salvezza non è un progetto politico, ma ci è stata donata dalla sofferenza vicaria di Cristo per amore! Questo è lo scandalo e la follia: c’è Uno che ama così tanto e così gratuitamente che sale sulla croce e scende nell’inferno, dove in vero nessuno ci vuole andare, pro nobis! 

„Sono uomo: duro poco ed enorme è la notte. / Ma guardo in alto: le stelle scrivono. / Senza capire comprendo: anch’io sono scrittura/ e in questo stesso istante qualcuno mi sta decifrando“ (Octavio Paz, citato in Alver Metalli, 183, nota 23). Il poeta stesso che ha cercato la verità in Oriente, ma che a differenza del Buddismo pensa che „qui ci giochiamo tutto, non ci sono altre vite“, non arriva al mistero di Cristo, ma cerca e intravede L“Uno di Plotino, una realtà che sta prima dell’essere e del non essere. Forse questo Uno può essere quello che mi decifra. Ma di lui non possiamo dire nulla…“(Paz, citato in Metalli, 183). Per grazia, invece, si può dire qualcosa: quell’uno che decifra non ci chiama più servi, „ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi“ (Gv 15,5). Ci farà conoscere anche l’abbandono del Padre, non oggettivo, ma sentito in tutta la sua forza soggettiva, quando sulla Croce grida: „Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?“ e nella discesa all’inferno, viene risucchiato da tutta la mancanza di speranza e di fede e di amore, provocata dal peccato dell’uomo, nei campi di concentramento, nei Gulag, nelle cliniche borghesi, nel Mare Mediterraneo, nelle guerre assurde, nella manipolazione della natura, nel nostro egoismo e nella nostra incapacità di amare! Che cosa ha udito Cristo dal Padre? Il suo amore gratuito per noi, concretizzato nel dono dell’essere, che è „amicizia“. 


(27.6.23)  „Il crocevia uruguaiano. Luglio 1984“ in Alver Metalli, Terra prometida, 170-176 è per me molto importante per due motivi; anch’io vivo in una realtà altamente secolarizzata ed anch’io, in quegli anni 80, giudicai il Movimento di CL come  pericolo „conservatore“; ed anche oggi vedo nella CL tedesca, quella che conosco di più, una tendenza „conservatrice“ che la rende quasi improponibile nella realtà altamente secolarizzata della Sassonia-Anhalt dove vivo. La differenza è che io non penso quasi mai all’interno della dialettica progressista-conservatore e quindi credo mi sia possibile capire il momento di verità anche di un movimento, che forse può essere ridotto da alcuni a conservatorismo reazionario, pur dove venga sempre insistito sul fatto che si tratta di „un’esperienza di fede in Cristo  fatta di un’amicizia allegra, libera, attrattiva ed aperta“ (cfr. 173). A me sembra che il movimento di verità in Cl si trovi in modo esemplare nella frase: „la coerenza è un dono di Dio e non un atto della volontà“ (174). Questa frase, se presa sul serio, è davvero ultra rivoluzionaria al cospetto di ogni forma di moralismo e legalismo „cristiani“. Per quanto riguarda il porre „l’evento di Cristo come centrale è assoluto nella storia“, che costava a don Giussani il sospetto di essere settario ed in fuga dalla lotta contro la dittatura o altre forme di pericolo politico, in vero esso corrisponde alla pretesa evangelica che Cristo stesso pone: o con me o contro di me (cfr.anche l’interpretazione di ciò nella „Teodrammatica III“ di Balthasar); che poi questo evento centrale della storia possa essere interpretato in modo inclusivo o esclusivo è un altra questione; come ho imparato da Padre Paolo Dall’Oglio SJ si può tener fermo a ciò, pur essendo innamorato dell’Islam  - qui solo come esempio, nel mio blog c’é un lungo post, in cui mi confronto più approfonditamente con la figura di questo grande gesuita, che ha passato la sua vita in Siria, in un convento cristiano-mussulmano e che da dieci anni è scomparso, per via di un rapimento, dalla palcoscenico del mondo. 

Per me la soluzione del dubbio o il superamento del pericolo di conservatorismo si trova nella frase di don Giussani stesso: „Comunione e Liberazione è tanto più se stessa, quanto più è Chiesa“ (174). Ovviamente sub et cum Petro! Ed in vero, se devo essere sincero, la persona che ha compreso più di tutte don Giussani mi sembra oggi essere Papa Francesco! Mentre da tante cose che ho letto nei social, a me sembra che tanti ciellini, esplicitamente contro la guida prima di don Carrón ed ora di Prosperi, fanno solo del gossip delle parole del Papa. 

Comunque sia essere Chiesa in una delle regioni più secolarizzate del mondo, non significa fare delle stranezze: la meditazione quotidiana, la preghiera personale, l’adorazione eucaristica, la Santa Messa e gli altri sacramenti sono la via normale di un cristiano, in qualsiasi regione egli viva (alcune di queste cose sono possibili ovviamente solo se ci sono sacerdoti a sufficienza, in Giappone si visse per secoli senza Santa Messa…), ma il giudizio personale sul mondo deve essere del tutto coraggioso e libero, anche dove ciò significhi allontanarsi dai giudizi storici di Don Giussani: in un certo senso penso che Carriquiry avesse fatto bene a tradurre la frase di don Giussani: „il totalitarismo sovietico era il più atroce di tutta la storia“ con un  „il totalitarismo sovietico era uno dei più atroci di tutta la storia“ ed è interessante che questo aiuto venisse da un uomo che Giussani considerava come il suo più grande amico, sebbene non facesse parte di CL. 

Solo una filosofia dell’essere come amicizia, al di là di ogni analisi, gnosi del pensiero, permette di superare ogni riduzione del cristianesimo, di cui quella conservatrice, è solo una delle possibili. 

(22.6.23) So, più per quanto riguarda „Communio“, fondata nel 1980 da Hans Urs von Balthasar, quanto sia importante il nascere e diffondersi di una rivista. Così capisco l’importanza della pagine di Tierra prometida (Passaggio di testimone.1982-1982), 161-169, a riguardo dalla rivista „Nexo“, il cui lettore più famoso è Bergoglio, e dell’amicizia tra Alberto Methol Ferrè e Horacio Vignolo. Per quanto riguarda le riviste citate sarebbe necessaria più competenza di quanto io abbia, per formularne giudizi sintetici utili. Credo che l’intenzione di „Communio“ (in cui ho scritto tre articoli, due filosofici nell’edizione americana ed uno pedagogico in quella tedesca) fosse quella di pensare l’eredità del Concilio Vaticano II, non come adeguamento al mondo, ma come sale e luce del mondo  - il primo numero riguardava la „sofferenza vicaria“ di Cristo. Per quanto riguarda „Nexo“ Methol Ferrè, ne parla così: il Concilio Vaticano II è considerato „il quadro di riferimento della nostra epoca ecclesiale contemporanea, l’ultimo grande Concilio coniato dall’Europa occidentale, specialmente delle chiese franco-tedesche, e il primo concilio strettamente mondiale, da cui ebbe inizio la grande mobilitazione delle chiese latino-americane, attraverso le pietre miliari di Medellín e Puebla“ (citato in Alver, 164-163). L’altra idea di „Nexo“ è quella dello stato-continente latino-americano, o detto altrimenti dell’ „unità latino-americana“. Idea questa molto importante perché sarà sviluppata dal papa nell’idea del „poliedro“ vs la „sfera“, nella concezione del potere, idea così importante per la „profezia della pace“ - questa della profezia della pace è tra l’altrio l’idea più importante del mio „diario notturno“, pubblicato nel mio blog: „Diario di Roberto Graziotto“.

Ora mi preme sottolineare l’importanza di un’amicizia come quella tra Methol Ferré e Vignolo. Da una tale amicizia può nascere un giudizio comune che diventa come una roccia nel movimento caotico del mondo e che spesso mette in questione quello che pensa il mainstream. Per un certo periodo di tempo i „Contadini di Peguy“ sono stati per me questo (mentre in CL si faceva del gossip su ciò che diceva il Papa, i „Contadini“ lo seguivano con grande amore ed interesse), ma a livello personale l’amicizia che più assomiglia a quella dei due amici latino-americani è quella che mi lega con il filosofo californiano Adrian Walker e che per me ha significato una vera e propria rivolta di giudizi su quello che il mondo (in modo specifico le élite politica statunitense) pensa, in cui il nemico numero uno è Donald Trump (primo posto ora messo in discussione da Vladimir Putin). Quest’ultimo non è certamente il mio ideale di politico, ma egli non è per nulla un politico neoconservatore, corrente di pensiero oggi più presente nella amministrazione Biden che in quella passata e forse futura di Trump (cfr. Glenn Greenwald nel mio „diario notturno“ di ieri). I neocons hanno due „credi“: la guerra infinita e le bugie per legittimarla, come riassume con grande competenza Greenwald e come mi aveva fatto capire in dialoghi approfonditi Adrian. È questa ideologia è davvero il nemico che potrebbe distruggere il mondo. Il neo-conservatorismo nella sua forma „bipartisan“ (Bush Jr allora, Biden ora) sono i pericoli più grandi della profezia della pace che Papa Francesco ci ha chiesto (a noi di CL, nell’ultimo incontro in Vaticano) di sostenere e che implica il superamento di una concezione sferica del potere, da sostituire con una poliedrica, che non crede alla logica di Cappuccetto rosso per comprendere i conflitti imperiali: nella concezione poliedrica vi è spazio sia per un sano nazionalismo sia per l’idea assolutamente geniale degli stati-continenti. La profezia della pace si trova in legame intimo con le altre due profezie di cui ha parlato il Papa nell’incontro con CL (15.10.2022): la profezia della salvaguardia della nostra casa comune e quella dell’opzione preferenziale per i poveri. 


(20.6.23) Nel commentare il capitolo „Costruttore di ponti“, in Alver Metalli, „Tierra prometida, 153-160, comincio da un contenuto filosofico, per poi passare a qualche nota personale sul costruttore stesso, Guzmán Carriquiry. Carriquiry è stato anche il ponte su cui è passata l’amicizia di Augusto Del Noce e Alberto Methol Ferrè, che avevano un comune giudizio filosofico: „Per strade diverse entrambi avevano rintracciato e svolto un filo conduttore che passava per pensatori cattolici, che erano riusciti nel corso degli ultimi secoli, a trascendere la tenaglia di un illuminismo sempre più lontano dalle sue radici cristiane, ed in definitiva decadente, ed un fondamentalismo cattolico che idealizzava il „premoderno“. Si sono così ritrovati nella comune opposizione tra cattolici conservatori che sognavano un cristianesimo medievale e cattolici progressisti che finivano per assimilarsi ai criteri di una modernità sulla via del nichilismo“ (Tierra prometida, 159). La nuova lettera apostolica su Blaise Pascal di Papa Francesco di cui ho parlato ieri nel mio diario è una risposta a questo dilemma della pseudo tensione tra cattolicesimo tradizionalista e progressista. Ieri ho annotato nel mio „diario notturno“: Il Santo Padre ha pubblicato una nuova lettera apostolica, „Sublimitas et miseria hominis“, in occasione del quarto centenario della nascita del filosofo francese Blaise Pascal. Il cardinale José Tolentino de Mendonça, che ha presentato il testo, come scrive Stefania Falasca ne „L’avvenire“, sottolinea che Pascal ci insegna il vuoto e il nulla che minacciano l’uomo, ma allo stesso tempo l’importanza della fede „per trovare cammini di speranza nel cuore dell’uomo“. Il mio lavoro di traduzione dell’opera massima di Ferdinand Ulrich, „Homo abyssus“ (sono arrivato alla pagina 347 dell'edizione tedesca, Freiburg 1998) è un tentativo filosofico di dare una risposta alla medesima questione del nulla e del vuoto, a partire da un „nulla“ ancora più grande, ancora più profondo, ancora più disarmato, che è quello dell’amore gratuito, che ci fa fare le cose „per nulla“. Senza una ricompensa“ (Roberto Graziotto, „Diario notturno“). E proprio da una frase di Ulrich cerco di commentare quella di „Tierra prometida“, citata qui sopra: „Solo il pensiero che parte dalla tradizione pensa, perché ringrazia e rivela che tutto il futuro-in-arrivo dell’essere e con esso il futuro del pensiero nella sua interezza è reso possibile dal già-passato“ (Ferdinand Ulrich, Homo Abyssus, edizione tedesca, 347) - questo è il momento di verità del pensiero tradizionalista. Ma vi è anche un pensiero, che sognando un ritorno al Medioevo, diventa „rigidità astratta e immediata, (che) spinge l’uomo nella frustrazione della realizzazione, dalla quale ricade continuamente, come il „colpevole“, nel tragico „non-ancora““ (Ferdinand Ulrich, ibidem, 348) - questo è il momento di verità del pensiero progressista, che vuole liberare l’uomo dalla sensazione di colpevolezza continua. La filosofia dell’essere come dono di amore gratuito propone una terza via, come hanno fatto Methol Ferrè e Del Noce, al di là della pseudo tensione tra tradizionalismo e progressismo. 

Per quanto riguarda Guzmán Carriquiry, vorrei solo dire che l’ho conosciuto qualche anno fa a Rimini e mi disse che gli amici di Massimo Borghesi, che con la sua „legittimità critica del moderno“ si trova nella tradizione di pensiero di Del Noce e Methol Ferré, erano anche i suoi amici. In seguito il professore uruguaiano ha risposto a qualche mia E-Mail, che gli avevo mandato, all’indirizzo elettronico della Commissione pontificia per l’America Latina, che ora non funziona più e così non gli ho potuto mandare questo post a commento di „Tierra prometida“, come desideravo e che cerca di proporre un dialogo serrato tra l’America Latina, dove vive Alver e la Germania, dove vivo io. VSSvpM! 

(19.6.23) Una delle accuse che si facevano a Papa Giovanni Paolo II nel 1983, anno del giubileo, 1950 anni dopo la morte e resurrezione di Cristo, „era quella di privilegiare i viaggi internazionali e non occuparsi del governo della Chiesa“ (Alver Metalli, Tierra prometida, 151, nota 8). Alberto Methol-Ferré e Luigi Giussani, che si incontrarono a Rimini in quel anno del giubileo vedono la causa di quelle critiche, „nel distacco popolo-intellettuali“ (Methol-Ferré) e nella non comprensione che „l’impeto missionario del Papa non solo non esclude, ma caratterizza una posizione di governo tanto chiara nella direzione che assume, quanto paziente per far evolvere dall’interno la coscienza dell’ecclesiasticità di coloro che guidano o esprimono la vita della Chiesa“ (Giussani, citato in Alver, 151). Qui solo due note al margine: in primo luogo sono d’accordo con Methol-Ferré, che il „popolo è molto più sottile degli intellettuali“, sia nella comprensione del linguaggio che il papa usa nel suo viaggio in Messico, sia nell’amore che dimostra per la gente che incontra. Nella percezione dell’amore ciò è chiaro, perché di questo amore il popolo né ha più bisogno degli intellettuali, ma anche nelle osservazioni linguistiche, che dovrebbero essere un ambito primario di interesse dell’intellettuale. Penso al tassista indio che dice a Methol Ferrè: „il papa parla sempre meglio lo spagnolo“ (Alver, 151, nota 8). Per quanto poi riguarda la frase di don Giussani: un governo della Chiesa senza missione è tradizionalismo puro, che in fondo non è obbediente al desiderio di Cristo stesso: Mt 28, [19] „Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, [20] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". 

Il secondo aspetto che lego a quegli anni 80 e al nome di Methol Ferré è la teologia della sessualità e della famiglia di San Giovanni Paolo II.  Methol Ferré nota in un simposio, invitato da Angelo Scola, che „l’auto-comprensione ecclesiale del matrimonio ha vicissitudini di secoli, maturazioni che meravigliano per il lungo tempo che richiedono per manifestarsi“ (Alver, 149). Paragonarmi con questo aspetto e con la catechesi del Papa „Dio li creò, maschio e femmina li creò“ è per estremamente importante. In primo luogo i fatti: da trentuno anni vivo, come dono, un matrimonio che ha la caratteristica di ciò che San Giovanni Paolo II espresse in quella catechesi: matrimonio indissolubile tra un uomo ed una donna, sensibile alla tenerezza tra gli sposi ed aperto alla figliolanza. Questo rimane vero anche se io, in dialogo preferenziale con Etty Hillesum, che non si sentiva legata alla forma monogamica del matrimonio, quando esprimo dei pensieri su una filosofia dei sessi, mi occupo di più della dimensione „bassa“ del sesso. Non penso che non sia possibile una teologia del corpo e non penso che non sia legittimo pensare nella modalità di una teologia della Trinità, ma di questo parlano a sufficienza ed a volta a iosa i teologi, io sono più interessato ad una fenomenologia che tenga conto del fatto che „un'auto-interrogazione senza fine per stanare ogni fornicazione segreta che si annida nei recessi più reconditi della mente“ (Matt Crawford) non aiuta ad essere fedeli nel matrimonio. È vero che c’è un adulterio intimo nel cuore, ma è anche vero che non è possibile nella nostra società trasparente giudicare ogni fantasia erotica, ogni perversione polimorfa, come un tale adulterio. Infine anche se non è possibile legittimare l’adulterio come necessità, è secondo me del tutto irresponsabile non tenere conto, tanto più se si insiste sull’indissolubilità del matrimonio, che le esigenze sessuali di una coppia di sposi possono essere così differenti, che non viene aiutato nessuno con frasi che sanno di fondamentalismo ed astrazione teologica, piuttosto che di aiuto di un Dio che è tenero, vicino e compassionevole! 

Per quanto riguarda questo tema vorrei ricordare un lavoro fatto da Adrienne von Speyr (1902-1967) sulla „teologia dei sessi“, di cui ne avevo tradotto ed inviato all’ editrice fondata da Balthasar, la Johannes Verlag, quando era ancora viva Cornelia Capol, circa la metà. Più o meno 40 anni prima della catechesi di san Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo, la teologa, mistica e medico svizzera formulerà una „teologia dei sessi„ che non è stata ancora recepita; con la sensibilità di un medico formula pensieri che dovranno essere approfonditi, per esempio sull’analogia tra la donazione di sé nell’atto sessuale e la donazione di sé eucaristica di Cristo. Già all’inizio dell’opera Adrienne ci ricorda che Cristo è morto nudo in croce e che la benda c’é la messa la Chiesa davanti ai suoi genitali. Infine la sua idea che sacerdoti o seminaristi dovrebbero avere la possibilità di assistere ad un parto, la trovo molto sensata, anche per avere un’idea meno romantica del sesso.

(16.6.23) „CL è un’esperienza seriamente impegnata nel tentativo di esprimere l’ecclesialità che, per propria natura, è cattolica. E l’efficacia della testimonianza delle comunità del movimento che sono presenti in contesti completamente diversi da quello italiano ci conferma in questa convinzione“ (Luigi Giussani, citato in  Alver Metalli, Tierra prometida, 147). Io non so bene come si possa misurare l’efficacia di un’esperienza cattolica, ma sono del tutto d’accordo con don Giussani che ciò che definisce nel profondo CL è la cattolicità e ciò significa un’ incarnazione dell’esperienza del movimento in „contesti completamente diversi“; per quanto riguarda la Germania devo dire che essere in Sassonia-Anhalt è qualcosa di completamente diverso che essere in Renania o in Baviera. In un certo senso, a più di trent’anni dalla caduta del muro, è cosa del tutto scandalosa, ma ha ragione il professore di letteratura di Lipsia, Dirk Oschmann, esperto di Kafka, nel suo libro: „L’Est un’invenzione della Germania dell’ovest“ , 23.2.23), che si tratta di due realtà del tutto diverse. Le strutture di pensiero del movimento nella Germania dell’ovest non servono, secondo me, a comprendere cosa significhi una presenza missionaria (non di proselitismo) nell’Est e ciò vale sia per la realtà ecclesiale che per quella civica. La cosa più disastrosa è se giudizi dell’ovest vengono applicati acriticamente alla realtà dell’est: è la cosa più disastrosa perché quasi tutti i giudizi dell’ovest sono di un’arroganza da far spavento (sul passato della DDR, sulla scelta del 30% di persone nell’est di votare la AfD, sul fenomeno dell’ostalgia…). Una presenza missionaria liberante nell’est implica un discernimento serio sui temi dell’aggressione economica, politica e culturale (cfr. Nota 17, pagina 146). Temi molto cari questi al sindacalista  latino-americano Emilio Maspero che parlò a Rimini nell’agosto del 1982. L’invasione capitalista che ha portato al collasso non solo della DDR, ma anche delle esperienze di socialismo riformato, ha implicato tra l’altro una posizione sul lavoro in cui l’uomo non è soggetto, ma solo oggetto di esso. Per quanto riguarda questa realtà dell’est della Germania sarebbe del tutto importante riprendere la terza via proposta da san Giovanni Paolo II nella „Laborem exercens“ .

Credo, anche se come semplice insegnante di latino, filosofia e religione, di essere uno dei pochi intellettuali che qui nell’est, ha saputo parlare del papa anche a persone che non hanno alcun legame con il cattolicesimo romano. Per esempio nel mio insegnamento di religione ho trasmesso da decenni il senso della frase di sant’Ambrogio: „Ubi Petrus, ibi ecclesia; ubi ecclesia vita aeterna“, che un’allieva per esempio ha citato l’altro giorno a memoria nell’esame di maturità in Religione. In questi venti anni, almeno un centinaio di persone ha scelto per la prova orale della maturitá l’insegnamento di religione. E una metafora come quella di Papa Francesco, della piramide invertita, mi ha permesso di comunicare anche il senso della struttura gerarchica della Chiesa…In un certo senso propria la teologia del popolo di Dio di un Lucio Gera sarebbe davvero importante per la nostra regione, ma credo che mia moglie ed io abbiamo solo seminato un pochino e che i frutti forse ci saranno fra decenni…

Per quanto riguarda il Meeting di Rimini, dove ho conosciuto Alver Metalli, trovo giusto il giudizio di Giussani: „qualcosa in cui tutta l’esperienza di CL trova espressione paradigmatica“ (citato in Alver, 143). Lo dico anche se un lavoro culturale che prenda sul serio la specificità di Comunione e Liberazione in Germania, secondo me, non è stato ancora fatto e non so se il Meeting di Colonia abbia la statura per prendere sul serio una specificità tedesca, che forse trova ne „L’ Eletto“ di Thomas Mann una vera e propria metafora. Io non so cosa significhi „protestantizzazione della Chiesa“; credo che in Giussani abbia una dimensione teologico-scientifica (cfr. la sua tesi di dottorato sul protestantesimo americano), come insulto non ha alcun significato. Anche perché non è per nulla chiaro cosa significhi essere protestante: è un luterano protestante? Lutero ha avuto certamente una missione ecclesiale, che si è persa per la cattolicità e non credo solo per colpa di Lutero. Per quanto riguarda Thomas Mann, il grande romanziere tedesco ha il coraggio di parlare di un „rapporto incestuoso“ e di metterlo in correlazione con il cattolicesimo romanio, mentre nella chiesa di sesso, incesto, perversione polimorfa se ne parla in modo del tutto dogmatico e moralista, sebbene la chiesa stessa è stata palcoscenico di oscenità varie. „Io ed Egli (Cristo). Il cristianesimo non è una dottrina astratta, non è una raccolta di dogmi, prescrizioni e comandamenti…Il cristianesimo è Egli“ (San Alberto Hurtado, 1901-1952). Il cristianesimo è Cristo, Cristo che è in dialogo con tutti: pubblicani, prostitute…Con la proposta di leggere Etty Hillesum, anche se spesso si leggono in CL solo le citazioni pie e teologiche, CL ha avuto il coraggio di proporre un’autrice, purtroppo uccisa da Hitler, che ha saputo tenere seriamente conto dell’inconscio dell’uomo (C.G. Jung). VSSvpM! 


(15.6.23) „Giussani rispondeva che CL era innanzitutto l’esperienza di una comunione, di un’amicizia, e che l’aspetto organizzativo era qualcosa di leggero“ (Alver Metalli, Tierra prometida, 140) - questo per me è importantissimo. La risposta la da Giussani a delle persone, provenienti dalla politica, per cui „potere ed organizzazione“ erano sottesi „ad ogni riflessione“. In questo momento vivo questa esperienza di amicizia con Alver, lui in Argentina ed io in Germania, dove mi confronto in modo serrato con il suo libro, come mi ha chiesto lui stesso di fare. La vivo anche con Renato Farina, con cui ci scambiamo spesso messaggi Whatsapp, lui a Milano ed io qui in Sassonia-Anhalt. Dei tantissimi messaggi di Gianni Mereghetti, ne colgo a volte alcuni. Ho letto tutto il „Percorso“ di don Giussani e le sue premesse al senso religioso le ho spesso usate come aiuto pedagogico notevole nel mio insegnamento di religione, sia prima in Baviera che ora in Sassonia-Anhalt. Nel momento non mi è possibile fare di più a livello istituzionale, ma comincio quasi ogni giorno il mio giorno con la meditazione o su testi biblici o, negli ultimi mesi, sull’antologia del padre Servais, che raccoglie pressoché tutti i testi di Hans Urs von Balthasar sugli Esercizi di SPN. 

Dal libro di Alver mi accorgo che Comunione e Liberazione in America Latina (Cile, Argentina…) si è interessata di temi che sono per me importanti: come quello della democrazia, della rappresentatività e della sussidiarietà (Alver, 138). Credo che la politica abbia sempre a che fare con volti di politici, di cui ci si fida, ma i temi non sono indifferenti. Il mio politico preferito, per fare una battuta, ma non tanto, è il candidato a sindaco della città di Oakland in California, Seneca Scott, che parla di sé in questo modo: „Oakland's Neighbor. Post-Partisan Warrior in the Garden & Goat Dad“; a me piacciono politici che davvero hanno l’odore delle persone che rappresentano, che sono vicine ad esse, che non si sentono legati ad un fronte (democratico o repubblicano) e che sono dei veri e propri combattenti, in primo luogo contro le oligarchie che stanno svuotando dall’interno il senso della democrazia. E poi che si sentono padri di una capra. Per questo vedo con simpatia una persona come Robert F. Kennedy, Jr,  candidato alla presidenza degli Stati Uniti 2024, con un sostegno per ora di circa il 20 % dei democratici, che sulla guerra in Ucraina ha avuto il coraggio di dire: "Dobbiamo guardare al ruolo degli Stati Uniti e alla serie di provocazioni USA, senza le quali questo conflitto probabilmente non sarebbe mai avvenuto. Noi e i neo-conservatori della Casa Bianca, siamo in gran parte responsabili di questo conflitto". Questo significa criticare le oligarchie in modo fecondo.

Per me è un motivo di grande gioia che CL sia nata in Cile basandosi sulle forze democratiche e senza alcuna simpatia per la dittatura di Pinochet. In Italia vi è stato invece un seme, all’interno del movimento o per lo meno di chi era impegnato in politica, che è stato colluso con forme varie di corruzione. Non so giudicare se la simpatia che molti ciellini del nord Italia hanno avuto ed hanno per una persona come Silvio Berlusconi sia stata una cosa positiva, perché a parte qualche storia romantica non mi sembra che Berlusconi abbia avuto „una solidarietà con i più poveri“ (cfr. Alver, 140). In questi giorni, da fonti interessanti (Thomas Fazi, Renato Farina…), imparo a vedere una parte dell’eredità politica di Berlusconi che non conoscevo e che mi sembra di enorme importanza: il suo impegno multilaterale e il suo impegno per la pace. Comunque ritengo uno dei frutti di miopia politica paragonare Trump o Berlusconi con Hitler. Questi paragoni non servono assolutamente a nulla, se non a rendere impossibile una fratellanza tra cristiani. Detto questo, in questi giorni, nel mio „diario notturno“ ho citato anche fonti molto critiche nei confronti del cavaliere italiano. Ed anche nel rapporto con Farina non ho mai avuto alcuna tentazione ad avere una captatio benevolentiae sul tema Berlusconi.

 I criteri di appartenenza per un cristiano li ha riassunti con precisione don Giussani: l’incontro con Cristo è l’unico metodo „per forgiare un nuovo popolo“; è il „tema dell’amicizia“ è il tema che permette che un popolo che necessariamente pensa in una democrazia cose diverse, non si azzanni, come fa il mondo. Renato ed io siamo amici anche se lui pensa in modo molto positivo di Berlusconi, mentre io ne vedo solo qualche momento di verità. La cosa che meno mi scandalizza del ex premier italiano è il bisogno di sesso, ma io ritengo essere „anello del potere che deve essere distrutto“ ogni forma di monopolio politico, senza per questo forzare paragoni assurdi. Non è possibile che un giudizio politico sia così pesante, da mettere in crisi quel „vieni e vedI“ che don Giussani vedeva come un criterio decisivo! Dobbiamo potere dire: vieni e vedi amici che sono amici, anche se hanno un giudizio politico differente. Posizioni di adulazione estrema o di critica estrema non sono cristiani. Ed anche nella sua intervista a Radio Radicale su Berlusconi, Farina dice che un giornalista che scrive sotto dettato quello che vuole un potente è un mascalzone…VSSvpM! 

(10.6.23) Il capitolo che porta il titolo di „La tappa cilena. Luglio 1982“ (128-136) contiene alcune frasi di Alver che sono per me di importanza vitale, anche se io non sono sempre d’accordo con lui. Sono di importanza vitale perché propongono,  in riferimento al Movimento di Schoenstatt, alcune frasi sulla Germania che penetrano nel tessuto profondo della mia vita e della mia missione ecclesiale. Ma facciamo un passo dopo l’altro. 1. Mentre negli anni 80, seguendo lo spirito dell’utopia di Ernst Bloch, io lasciavo l’appartenenza vissuta alla Chiesa, perché essa mi sembrava noiosa e politicamente reazionaria, compresa CL, - ne avevo parlato con Balthasar, nella seconda lettera, che mi chiese cosa io volessi e proponessi in positivo, mentre leggeva la pars negativa, cioè la mia critica politica anche a CL - proprio CL in America Latina farà i suoi primi passi nell’aerea politica che si opponeva alle dittature. In Argentina con i peronisti di "Guardia di Ferro" e in Cile con l’opposizione democristiana a Pinochet.  2. Il mio ritorno nella Chiesa, pur avendo a che fare anche con CL, ha in primo luogo la sua radice nell’incontro con Ferdinand Ulrich. Al funerale di Ulrich, poco prima della chiusura della pandemia, c’erano un centinaio di persone, provenienti da tutto il mondo, e se ci fossero stati tutti sarebbero stati anche forse un migliaio di persone, con cui Ulrich ha parlato singolarmente, non in assemblee oceaniche. Questo uomo, che ha vissuto una parte molto grande della sua vita d’anziano sacrificando tutto, proprio tutto, ad un livello che io non ho mai visto fare a nessuno, è una realtà ecclesiale di un importanza inestimabile. Quindi quando Alver scrive che il movimento di Josef Kentenich, quello di Schoenstatt,  si diffondeva più in Cile che in Germania ed aggiunge: „Ma a differenza della Germania, dove nessuna realtà aveva un seguito di rilievo…“ (128-129) usa un criterio non cristiano. Cosa significa di rilievo? Numeri? Sotto la croce c’erano un po’ di donne e san Giovanni. Punto. Proprio negli anni 80 Ulrich viveva una disponibilità radicale a Cristo, che gli aveva chiesto tutto: la fecondità spirituale nel suo matrimonio, la fecondità universitaria, un corpo sano…Certo che ha avuto un „seguito di rilievo“, ma non quello che si aspetta un ciellino sotto questa parola. 3. Molto fecondo invece è l’accento di teologia della politica presente nel capitolo: il cristianesimo come motore che porta alla riforma di un intero paese (129). Per quanto sia necessario parlare della via dell’umiliazione e della nullificazione, come ho fatto questa mattina nel mio „diario notturno“ ed ora nel punto secondo di questa meditazione, rimane il fatto che la disponibilità a portare la croce quotidiana non significa che non si possano mobilitare, a partire dalla propria appartenenza cristiana, anche forze che portano alla riforma di una realtà. 4. Il destino tragico di Padre Kentenich, che la Chiesa mandò in esilio, perché non si fidava dei suoi metodi educativi, fa parte di quel mistero attraverso il quale sono passati alcuni grandi del XX secolo: Balthasar non fu invitato al Concilio Vaticano II, Henri de Lubac non potè più insegnare…Nel 1965 Paolo VI si ringrazierà per l’opera di apostolato di Padre Kentenich; san Giovanni Paolo II abbracciò a Parigi il padre De Lubac al cospetto di tutto il mondo e Balthasar è stato creato cardinale…Meglio tardi che mai… Infine anche santa Giovanna d’Arco è stata canonizzata passati secoli dopo che la Chiesa l’aveva fatta bruciare. Il destino tragico di padre Kentenich continua dopo la morte con le accuse di abusi sessuali, che hanno portato alla sospensione della causa di beatificazione. Io non so quale sia la verità, ma le accuse „culto del padre“, „pratiche confessionali inammissibili e contatti fisici“ (135, nota 16) non mi dicono molto. Se penso a ciò che ha scritto Etty Hillesum nel suo diario, anche nel caso di Spier, che aveva più di 50 anni, mentre Etty ne aveva meno di trenta, si possono dire che le cose che ha fatto con Etty erano inammissibili, etc., mentre per Etty erano salvifiche… 5. Per quanto riguarda l’amore per Maria del padre Kentenich, proprio nella tradizione della piccola Teresa, cosa che vale anche per Ulrich e per Papa Francesco, Maria è un uomo, „un prototipo di uomo nuovo“, ma pur sempre un uomo finito che ha cura di quel Figlio che Dio le ha donato: lei stessa è quell’uomo „magnanimo, capace di grande senso della libertà e della fraternità“ (132) che ha impressionato Joaquín Allende nell’incontro con padre Kentenich. 


(3.6.23) Nel capitolo „L’alba dell’azalea. Luglio 1982“ (Tierra prometida, 121-127) Alver Metalli, che non usa l’io narrativo per raccontare l’approdo di Don Giussani in Argentina, ma come san Giovanni parla di sé, che accompagnava il fondatore di CL in questo viaggio, nella terza persona, rivela il suo amore, l’amore di una vita, per questo uomo, per questo sacerdote, di cui conserva una fotografia, che aveva descritto a lungo in „Epifanie“, il libro in cui Alver racconta la storia della villa miseria in cui vive, durante la pandemia, a cui ho dedicato anche un post in questo mio blog-diario e per l’Argentina stessa. Una foto che li ritrae nell’aeroporto internazionale Tancredo Neves, l’aeroporto di Belo Horizonte, in cui si imbarcarono per volare a Buenos Aires.  La visita di Don Giussani, la terza, accade in pieno tempo di dittatura, ma ciò non impedisce al sacerdote italiano di portare frutti che durano fino ad ora e che sono presenza reale fin nella villa miseria, La Carcova. L’azalea è quella che don Giussani ha voluto regalare, per ringraziarsi per l’ospitalità, alla sposa di Lito Bruno, Maria Inés Sierra, che la curò come si fa con un dono di eccezionale valore. Questo sentimento per una persona  lo conosco, ma ovviamente non per don Giussani che non ho mai conosciuto personalmente, ma per Ferdinand Ulrich, di cui mia moglie ed io conserviamo come reliquie alcune foto, per esempio una in cui egli sorridente tiene in braccio il nostro piccolo figlio Ferdinand, che guarda molto serio nella camera e la cui manina è all’altezza del cuore del piccolo fratello pellegrino di Gesù, come si amava chiamare Ulrich. Con incredibile commozione penso ai pomeriggi nella sua camera in un convento vicino a Dorfen, dove abitavamo e dove lui passava un certo tempo dell’anno e riceva una per volta, tante persone, tra cui me, tra cui mia moglie, aiutandole nel discernimento per la vita concreta, ma anche a livello filosofico. Una volta mi fece un complimento, per me molto grande: sono sempre stupito che Lei, nella lettura di „Homo abyssus“ (il capolavoro filosofico di Ulrich, di cui ho tradotta circa 330 pagine in italiano) si trovi sempre a quel punto in cui il libro mette in parole il momento della vita che sta attraversando. In fondo in tutti questi incontri personali si tratta sempre e solo dell’amore per Cristo. Forse Giussani sottolinea di più il tema della compagna, ma Ulrich, che amava Giussani, sapeva che la Chiesa è una „compagnia al destino che ha una regola, cioè un dinamismo ordinato; con un’incidenza culturale; guidata da un’autorità“ (Tierra prometida, 122, nota 6). E senza Ulrich la parola „avvenimento cristiano“ per me sarebbe rimasta solo una parola che ho sentito fino alla nausea ripetere durante le scuole di comunità. Sia per me che per mia moglie Ulrich è stato una mediazione concretissima e discretissima dell’ „incontro con Cristo uomo“ (126). L’incontro con un „Dio che influenza il comportamento degli uomini di oggi“ (126). Ed in vero senza l’incontro con Ulrich non avrei mai compreso la grandezza dell’amicizia con Alver stesso e non è un caso che entrambi i post che gli sto dedicando portino titoli che hanno a che fare con la filosofia di Ulrich: „la filosofia come dono di amore gratuito nella baraccopoli la Carcova“ (quello su „Epifanie“) e „La filosofia dell’essere come amicizia“ (questo su „Tierra prometida“). Solo un profondo senso dell’amor gratuito porta una persona a vivere in una baraccopoli e solo chi ha compreso che il dono dell’essere si realizza in concreti volti, in incontri, sa che l’amicizia non è solo un sentimento, ma la struttura ontologica ultima del reale e questo non ha nulla a che fare con la condivisione di un’analisi politica, ma per l’appunto con „amare tutti ma seguire solo Cristo“ (Bruno Brunelli nel suo blog, in un post appena uscito, che porta il titolo „Un metodo di vita“). Quel „ma“ è decisivo e su esso ha insistito molto Ulrich: non io (Ulrich), solo Cristo! 

(30.5.23) Il capitolo: „Il san Paolo dell’America Latina“ (Tierra prometida, 110-120)  mi permette di confrontarmi con la figura di Don Francesco Ricci, a cui io per tanto tempo ho chiesto, quasi ogni giorno, l’ intercessione per le intenzioni di CL, sebbene non lo avessi conosciuto. Quando penso ad alcuni sacerdoti di CL in cielo penso a lui, a Don Giacomo Tantardini e Don Luigi Giussani come ad un’unità (anche se forse l’unità tra i primi due si è avverata nell’ultimo). Di lui si può dire che è stato „a tutti gli effetti il battistrada di Giussani in America Latina“; „il san Paolo dell’America Latina“; „uno dei più grandi missionari del nostro tempo“; „un specie di gesuita con in testa il mondo“… Se penso alle mie meditazioni di questi giorni nel „diario notturno“ si può dire che lui è un missionario nel senso stretto, specifico ed attuale della parola, non solo a livello spirituale generico. A parte le definizioni della sua persona mi interessa fissare alcuni punti che mi sembrano decisivi per ogni riflessione missionaria. 1. Un missionario come Paolo vede nascere nuove comunità cristiane dappertutto dove si muove - vi sono forme più contemplative di missione come quella di san Giovanni l’Evangelista; e poi si può essere chiusi in un monastero a Lisieux ed avere una responsabilità missionaria universale, come la piccola Teresa (anche don Ricci aveva un rapporto stretto con suore di clausura). Per persone come Paolo e Don Ricci „non c’è niente di più bello che veder nascere la comunità cristiana, perché negli inizi c’é già tutto“ (ibidem, 110). 2. Don Ricci in dialogo con pensatori latino-americani come Don Lucio Gera e Alberto Methol Ferrè sa discernere cosa serve davvero la realtà latino-americana, senza farsi ingabbiare dall’egemonia di intellettuali, che sono suggestionati da pensieri in fondo estranei alla Catholica (in questo caso il marxismo, come si vedeva nei settori radicali della teologia della liberazione). Egli fa i primi passi nell’eredità di una teologia del santo popolo di Dio vs la teologia della liberazione intesa in questo senso estremo, cioè nelle sue forme radicali. Ne ha parlato a lungo e con grande competenza Massimo Borghesi nel suo libro sulla vita intellettuale di Bergoglio. Ovviamente vi è un’idea di liberazione in „Comunione e Liberazione“, in cui quest’ultima nasce dalla prima, parola questa che non può essere sostituita con „comunità“: la liberazione di don Giussani nasce dalla comunione con Cristo, che genera poi anche una dimensione visibile della Chiesa. 3. L’amicizia tra Alberto Methol Ferrè e don Francesco Ricci ha una „pietra“ su cui  è fondata: appunto Pietro: „l’intellettuale uruguaiano rivendicherà le posizioni di Giovanni Paolo II in mezzo ad un clima antiromano che anche nel mondo ecclesiale latino-americano aveva preso piede“ (112). Bisogna stare molto attenti con l’accusa di „fascismo“ o di essere di „destra“ - accusa che è stata fatta a Don Ricci, perché una posizione ortodossa, nelle questione teologiche ed etiche, non ti fa per questo un fascista: Giussani, San Giovanni Paolo II non erano „fascisti“, ma cattolici. Ovviamente come si può imparare da Balthasar si tratterà di integrare l’ufficio pietrino nella Chiesa universale, come sta facendo con insistenza il Papa attuale con il suo percorso sinodale per tutta la chiesa e dovremmo imparare anche che la dimensione petrina nella Chiesa non è l’unica: quella mariana, giovannea e paolina sono altrettanto importanti, ma rimane vero che non esiste un pensiero cattolico che non pensi che „ubi Petrus, ibi ecclesia, ubi ecclesia vita aeterna“ (Sant’Ambrogio). 4. Tipico del modo di pensare di Comunione e Liberazione è la capacità di discernere un fenomeno come il „peronismo“ che è stato un „grande movimento nazionale e popolare“. L’appartenenza ad un popolo non è qualcosa di negativo ed anche l’idea di „meticciato“ che Papa Francesco giudica in modo positivo,  non significa cancellazione delle identità popolari. I paragoni tra la situazione degli anni attuali in cui agiva don Ricci seguendo Giovanni Paolo II e quella di oggi con Papa Francesco, sono importanti, perché con questo commento non sto facendo un lavoro di archeologia ciellina. 5. Non ho competenza sufficiente per giudicare l’importanza della „Laborem exercens“ di Giovanni Paolo II nell’America Latina di allora (Massimo Borghesi ha scritto recentemente su questo in spagnolo), ma credo, come lettore di Charles Peguy, che la questione del lavoro sia decisiva per un’identità cristiana. Una spiritualità che non tenga conto del lavoro è astrazione, che nessun laico si può permettere. Se Cristo è il „redentore dell’uomo“ allora è venuto  anche per redimere l’uomo che lavora e si stanca lavorando. 7. Per quanto riguarda l’atteggiamento di fondo proprio sia a Ricci che a Methol Ferrè nei nostri rapporti con gli altri nel mondo vale questo principio che mi trova del tutto consenziente: „non si tratta di pensare a come sconfiggere un nemico ed elaborare strategie con questo fine, ma sostenere le persone che vogliono andare in un’altra direzione“ (cfr. 119). E nel nostro lavoro missionario non si tratta neppure di „propagandare una formula“ (CL), ma di fare un cammino che tenga conto del tempo, più che dello spazio di potere che si potrebbe avere propagando con successo una formula. 8. Infine la questione degli „errori“ di don Ricci e di tutti noi. A me non piace parlare di errori senza dire di che si tratta. Per quanto riguarda don Ricci e san Giovanni Paolo II vedo un errore sistematico, non solo accidentale, nell’incapacità a volte di delegare. Quando nel 1988 don Ricci assume la direzione e l’ingente peso economico di un settimanale cattolico argentino, „Esquiù“, pur essendo malato fa un errore di questo tipo. Per quanto riguarda San Giovanni Paolo II: aver forzato la scelta come arcivescovo di Washington D.C. di Theodore Edgar McCarrick, creandolo addirittura cardinale (perché sapeva parlare bene? Perché portava soldi nelle casse della chiesa?…) contro il consiglio dell’allora arcivescovo e cardinale di New York John O’Connor è anche un errore di mancanza di „delegazione nel giudizio“. Detto questo ciò non significa per nulla mettere in questione la santità di questi uomini, ma nel suo libro su „tutti i santi“ Adrienne von Speyr li fa confessare tutti, perché nessun uomo, a parte Maria, è senza peccato. 

PS In Facebook, Maria Giovanna Ruberto, professoressa di Bioetica all’università di Pavia, ha commentato quanto ho scritto qui sopra nel seguente modo: „Don Ricci è stato il mio insegnante di religione alla scuola madia, abitava in una casa vicino alla mia e tornavamo spesso a piedi insieme, lui attento a me che ero una bambina curiosa. L'ho ritrovato dopo anni in CL , come se non fosse passato il tempo, perché chi sceglie Cristo è lì, magari si sceglie compagnie diverse nell'arco della vita, ma il punto fermo è lì e si percepisce“.

PS II Proprio oggi che ho meditato sulla figura di Don Francesco Ricci, il Papa ha tenuto la sua catechesi su un altro grandissimo missionario: Matteo Ricci. Qui una parte di essa: "Tuttavia, la fama di Ricci come uomo di scienza non deve oscurare la motivazione più profonda di tutti i suoi sforzi: cioè, l’annuncio del Vangelo. Lui, con il dialogo scientifico, con gli scienziati, andava avanti ma dava testimonianza della propria fede, del Vangelo. La credibilità ottenuta con il dialogo scientifico gli dava autorevolezza per proporre la verità della fede e della morale cristiana, di cui egli parla in modo approfondito nelle sue principali opere cinesi, come Il vero significato del Signore del Cielo – così si chiama quel libro. Oltre alla dottrina, sono la sua testimonianza di vita religiosa, di virtù e di preghiera: questi missionari pregavano. Andavano a predicare, si muovevano, facevano mosse politiche, tutto quanto: ma pregavano. È la preghiera che alimenta la vita missionaria, una vita di carità, aiutavano gli altri, umili, in totale disinteresse per onori e ricchezze, che inducono molti dei suoi discepoli e amici cinesi ad accogliere la fede cattolica. Perché vedevano un uomo così intelligente, così saggio, così furbo – nel senso buono della parola – per portare avanti le cose, e così credente che dicevano: “Ma, quello che predica è vero perché è detto da una personalità che dà testimonianza: testimonia con la propria vita quello che annuncia”. Questa è la coerenza degli evangelizzatori. E questo tocca tutti noi cristiani che siamo evangelizzatori. Io posso dire il “Credo” a memoria, posso dire tutte le cose che noi crediamo, ma se la tua vita non è coerente con quello che professi non serve a nulla. Quello che attira le persone è la testimonianza di coerenza: noi cristiani siamo chiamati a vivere quello che diciamo, e non far finta di vivere come cristiani ma vivere come mondani. Guardate questi grande missionari – come Matteo Ricci che è un italiano – guardando questi grandi missionari, vedrete che la forza più grande è la coerenza: sono coerenti. - Negli ultimi giorni della sua vita, a chi gli stava più vicino e gli domandava come si sentisse, Matteo Ricci «rispose che stava pensando in quel momento se era più grande la gioia e l’allegria che provava interiormente all’idea che stava vicino al suo viaggio per andare a gustare Dio, o la tristezza che gli poteva causare il lasciare i compagni di tutta la missione che amava grandemente, e il servizio che poteva ancora fare a Dio Nostro Signore in questa missione» (S. De Ursis, Relazione su M.Ricci, Archivio Storico Romano S.I.). È lo stesso atteggiamento dell’apostolo Paolo (cfr Fil 1,22-24), che voleva andarsene dal Signore, trovare il Signore ma “rimango per servire voi”. - Matteo Ricci muore a Pechino nel 1610, all’età di 57 anni, un uomo che ha dato tutta la vita per la missione. Lo spirito missionario di Matteo Ricci costituisce un modello vivo attuale. Il suo amore per il popolo cinese è un modello; ma ciò che rappresenta una strada attuale è la sua coerenza di vita, la testimonianza della sua vita come cristiano. Lui ha portato il cristianesimo in Cina; lui è grande sì, perché è un grande scienziato, lui è grande perché è coraggioso, lui è grande perché ha scritto tanti libri, ma soprattutto lui è grande perché è stato coerente con la sua vocazione, coerente con quella voglia di seguire Gesù Cristo. Fratelli e sorelle, oggi noi, ognuno di noi, domandiamoci dentro: “Sono coerente, o sono un po’ così così?”“. Breve commento: le differenze e le similitudini tra i due Ricci sono così evidenti che non le metto ora in evidenza (in modo particolare la presenza lunga e prolungata di Matteo in Cina), vorrei, però, farmi interrogare dalla domanda del papa. Se „coerenza“ significa che non vi è alcun momento mondano in me, allora direi che sono „così così“, ma se essa significa non far passare il mondano per lo spirituale (che è una questione di autenticità), credo, che con l’aiuto del Signore, sono su una buona via.

(Wetterzeube, il 29.5.23) Il capitolo „Giussani e le Malvinas argentine. Aprile 1982“, in Alver Metalli, Tierra prometida, 103-109 è per me di importanza vitale, perché offre un aiuto per il discernimento dell’esistenza storica, che supera il conflitto speciale Argentina-Gran Bretagna di quegli anni, a riguardo della sovranità nelle isole Malvinas. E su questo punto concordo completamente e senza riserve con il giudizio di Alberto Methol Ferrè, riportato nel capitolo: „qui manca un movimento come Comunione e Liberazione“, che allora non era ancora presente in America Latina. Credo che pochissime altre realtà ecclesiali abbiano contribuito ad un discernimento dell’esistenza storica di questa portata, che ci permette di dare un giudizio, mutatis mutandis, anche sul conflitto ucraino attuale. In primo luogo una sensibilità ed un discernimento a riguardo dei canali televisivi argentini che erano in mano dei militari. Il mio dialogo (nel mio „diario notturno“) con giornalisti come Aaron Maté e Glenn Greenwald, tanto per fare due esempi, nasce da un’ esigenza simile e non da una sopravvalutazione dogmatica del giornalismo alternativo su quello aziendale. Le mie fonti hanno fatto un lavoro  serio sull’influenza dei servizi segreti e dell’industria militare statunitensi facendo vedere che le fonti aziendale pseudo democratiche non fossero meno „dipendenti“ da quelle autocratiche russe, dalle esigenze della guerra. „Il trionfalismo dei militari al potere“ è tipico di ogni forma guerrafondaia della gestione del potere, che si dica democratica o meno. Per quanto riguarda gli USA non si tratta solo di due giornalisti (come in Argentina allora), ma di una legione di giornalisti che sono credibili per lo Stato se dipendono dalle e trasmettono/moltiplicano le esigenze dei servizi segreti e dell’industria militare. In quei giorni nell’Atlantico del Sud nasceva un discernimento importante per tutto il mondo, non meno importante di quello nato con l’undici settembre del 2001. Methol Ferrè (e le riviste „Incontri“ e „Nexo“) ci aiutò a comprendere ed a formulare un giudizio che non si basasse sulla logica di Cappuccetto rosso: „Se la forza non crea il diritto, non lo ha creato allora come non lo crea oggi“, ciò significa che „lo stesso principio in nome del quale andava denunciato come violento, imprudente e irresponsabile il gesto dell’esercito argentino, imponeva di condannare con eguale rigore la flotta britannica che nel 1833 si era impadronita delle isole Malvinas ed i governi che per tanto tempo hanno promosso, mantenuto  e difeso quel possesso illegale“ (105). Mutatis mutandis tutto ciò vale anche per la proxy war (se CL non si confronta sul serio su questo giudizio, ha preso indebitamente le parti delle esigenze militari occidentali) in Ucraina, in cui il trionfalismo militare bipartisan e teocon sta mettendo in crisi il poliedro degli interessi del mondo. Il Papa con grande insistenza ci ricorda ogni domenica la „martoriata Ucraina“, ma ci ha messo in guardia più volte sulla logica di Cappuccetto rosso, con cui dobbiamo affrontare la domanda: „È possibile permettere che un atto di violenza paghi e l’aggressore ne tragga vantaggio?“ (105, nota 6, in cui si critica la „solidarietà incondizionata alla Gran Bretagna“). Prendere sul serio questi criteri di discernimento articolati significa prendere sul serio  anche le critiche al Maidan, le critiche alla presenza logistica e militare degli USA in Ucraina da decenni e non solo prendere sul serio l’aggressione violenta, illegale e immorale della Russia di Putin. La meta ultima, durante le guerre è sempre un „onesto compromesso“  ed un pacifico riconoscimento delle sovranità nazionali e dei loro interessi.  L’eredità di CL al servizio della profezia della pace sta e cade nel discernimento per superare ogni indigestione ideologica e mitologica. Uno sguardo realistico è quello che ci permette per esempio di comprendere chi abbia la tecnologia bellica più sofisticata ed in una proxy war, la questione non è per nulla semplice come nella fiaba di Cappuccetto rosso. È vero che il paese martoriato ed umiliato è l’Ucraina, ma ciò non significa che sia stato fatto tutto, da parte di tutti, compreso il governo ucraino (e i suoi alleati), per un „onesto compromesso“. Infine vorrei sottolineare il gesto del Papa allora: „annuncia il viaggio nei due paesi in armi“ (107), che corrisponde al desiderio del Papa oggi di andare sia Kiev che a Mosca. Vi è una continuità impressionante tra san Giovanni Paolo II e Papa Francesco in questione di „profezia della pace“. Tutta la Dottrina sociale della Chiesa è al servizio della profezia della pace e della democrazia autentica e non solo sedicente tale. VSSvpM! 

PS In reazione a quanto scritto qui oggi Renato Farina mi ha mandato due Whatsapp di grande importanza, proprio nel senso dell’intenzione di quanto avevo scritto. 1. „Ricordo molto bene il tempo delle Malvinas. Ricordo che fu Francesco Ricci con Buttiglione e Methol Ferrè a farci scegliere pro Malvinas. Io feci un titolo memorabile. “Falklands, anzi Malvinas” (Editoriale de „Il Sabato“)! Il Papa temeva - lo so! - che gli inglesi tirassero missili nucleari di cui le loro navi erano armate!“. 2. „Si, ho scritto la verità - e ti dico anche che le mie fonti sul timore di S GPII sull’armamento nucleare britannico e sulla attendibilità di questa minaccia furono due - la prima di un sacerdote di cui non rivelo il nome e frequentava il Santo Padre; la seconda fu Joseph Vandrisse, padre bianco, compianto e autorevole vaticanista del Figaro, vicinissimo al Papa. Mi disse anche che personalmente temeva che il decisivo intervento del Papa, tramite il cardinale Samorè, per scongiurare la guerra considerata inevitabile tra Argentina e Cile, lo avesse esposto e tuttora lo facesse oggetto di gravi minacce da parte dell’industria bellica“. Grazie a Renato per il permesso di pubblicare queste righe. 

(26.5.23 - San Filippo Neri) Per quanto riguarda il capitolo „Ai piedi della Cordigliera delle Ande. Settembre 1981, vorrei commentare solo alcuni punti e persone. Io stesso nel settembre del 1981 ero di nuovo in Italia e cominciavo lo studio di filosofia all’università di Torino. Nell’estate ero stato a Münster, nel monastero dei cappuccini, tramite un padre cappuccino, Padre Osmund, se mi ricordo bene, che aveva conosciuto anni addietro padre Felice di Santa Maria del Tempio, che era nella parrocchia, a cui facevano riferimento i miei nonni. Io vivevo a Torino e non partecipavo più alla vita della Chiesa, ma il padre Felice, che era tra l’altro innamorato dei „Promessi sposi“ di Manzoni, mi permise di andare a Münster. A Münster, sebbene fossi all’inizio della mia fase utopica, andavo ogni giorno alla Santa Messa nel duomo di Münster, celebrata da padre Osmund, che era il confessore del duomo e specialista dell’AT, perché celebrava in modo molto chiaro e mi permetteva di imparare il tedesco. Un padre di Schönstatt, si accorse di ciò e mi accostò nella mensa, dialogando si stupì che andassi alla Santa Messa, sebbene non credessi più in Dio. 

Ritengo sia un tema molto importante „il fenomeno del distacco degli intellettuali dal popolo“ (Nota 3, 96). Anche se io sono come atteggiamento interiore molto filosofico, per natura e per storia, il mio lavoro nella scuola, liceo e scuola secondaria, mi ha sempre permesso di non perdere il contatto con i giovani e con il popolo. 

L’idea di una teologia della liberazione nel senso di „Comunione e Liberazione“, la trovo molto sensata: „la comunione che diventa comunità e genera opere per rendere più umana la vita dell’uomo“ (98). Anche il lavoro nella scuola ha questa meta: rendere più umana la vita dell’uomo; una scuola che si perda in „virtù secondarie“ (puntualità…) ha perso lo scopo ultimo della sua esistenza. 

La „disapprovazione della guerra“ con il gesto mariano di cui si parla alla pagina 98 (in relazione ad una possibile guerra tra Argentina e Cile) è per me una delle eredità più importanti di questa „storia di una storia“ di Alver. Nel mio „diario notturno“ nell’ultimo anno ho cercato credo con grande coerenza, di esprimere un no chiaro alla soluzione del dramma ucraino con la guerra.  Chi in forza di un’identificazione di Putin come il lupo della storia di Cappuccetto rosso si è lasciato andare ad un appoggio della guerra, in forza di un mito di liberazione del popolo ucraino, non tradisce solo la volontà di Francesco, ma anche di tutta la storia, per lo meno quella più autentica, di Comunione e Liberazione. 

Il cardinal Karlic, viene ricordato per il suo amore per la vita contemplativa (99) e per il suo lavoro per il „Catechismo della Chiesa cattolica“, insieme all’attuale cardinal Schönborn, che io conobbi qualche hanno addietro e di cui tradussi in italiano gli Esercizi che tenne a Papa Giovanni Paolo II e che sono pubblicati in tedesco con il titolo: „Leben für die Kirche. Die Fastenexerzitien des Papstes“, Friburgo in Br, 1997 e in italiano „Amare la Chiesa. Esercizi spirituali predicati a Papa Giovanni Paolo II, Alba 1997. Sempre del cardinal Karlic viene ricordata la frase giussaniana: „fede come il modo più profondo di conoscere che c’è“ (102) - frase che ho cercato in vari modi, in questi anni, di far comprendere ai miei studenti, in una delle zone più secolarizzate del mondo.

Infine  „Punto cuore“ (nota 17, 101) con la sua accoglienza di bambini abbandonati. Mia moglie ed io abbiamo abbiamo per lo meno due volte, accolte ragazze, che o si sentivano sole o avevano avuto problemi molto gravi in famiglia. Per discrezione non specifico. 

Questi brevi commenti servano a far interagire „la storia in una storia“ di Alver con la nostra storia. 

(25.5.23) Il capitolo „La terra del futuro“ (settembre 1981), nel libro di Alver Metalli, „La tierra prometida“ (91-95), ci fa comprendere come i „Movimenti ecclesiali“, in primo luogo quello di origine polacca „Luce e vita“ e quello di origine italiana „Comunione e Liberazione, sotto la guida di san Paolo Giovanni Paolo II, hanno ricevuto una grande benedizione ed allargato il loro compito, per quanto riguarda CL, fino in Argentina. Il grande tema in questo allargamento è stata „La Dottrina sociale della Chiesa“, che nella „Rerum Novarum“ (15.5.1891), aveva trovato „la sua prima codificazione organica“ e che in Puebla (1971) aveva trovato una prima grande contestualizzazione nel continente Latino Americano. Nel convegno romano del settembre del 1981 sui „Movimenti nella Chiesa“ era stato approfondito il tema dei „carismi nella Chiesa, degli aspetti caratterizzanti di un movimento ecclesiale, del profilo istituzionale e delle tematiche giuridiche-pastorali legato ad esso“ (cfr 92). 




SANTA MESSA PER I PARTECIPANTI AL
CONVEGNO "MOVIMENTI NELLA CHIESA"

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Castelgandolfo, 27 settembre 1981

 

1. Sono molto lieto di questo incontro e vi saluto cordialmente, cari partecipanti al convegno internazionale “Movimenti nella Chiesa”.

2. Come ben sapete, la Chiesa stessa è “un movimento”. E, soprattutto, è un mistero: il mistero dell’eterno “Amore” del Padre, del suo cuore paterno, dal quale prendono inizio la missione del Figlio e la missione dello Spirito Santo. La Chiesa nata da questa missione si trova “in statu missionis”. Essa è un “movimento” che penetra nei cuori e nelle coscienze. È un “movimento”, che si iscrive nella storia dell’uomo-persona e delle comunità umane.

I “movimenti” nella Chiesa devono rispecchiare in sé il mistero di quell’“amore”, da cui essa è nata e continuamente nasce. I vari “movimenti” devono vivere la pienezza della Vita trasmessa all’uomo come dono del Padre in Gesù Cristo per opera dello Spirito Santo. Devono realizzare in ogni pienezza possibile la missione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, la quale è partecipata da tutto il Popolo di Dio.

3. I “movimenti” nel seno della Chiesa-Popolo di Dio esprimono quel molteplice movimento, che è la risposta dell’uomo alla Rivelazione, al Vangelo: il movimento verso lo stesso Dio Vivente, che tanto si e avvicinato all’uomo; il movimento verso il proprio intimo, verso la propria coscienza e verso il proprio cuore, il quale nell’incontro con Dio svela la profondità che gli è propria; il movimento verso gli uomini, nostri fratelli e sorelle, che Cristo mette sulla strada della nostra vita; il movimento verso il mondo, che aspetta incessantemente in sé “la rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8,19).

La dimensione sostanziale del movimento in ciascuna delle direzioni sopra menzionate è l’amore: “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5).

4. Abbraccio con tutto il cuore ad uno ad uno i partecipanti al convegno e porgo i miei più cordiali voti di ogni bene a tutti i “movimenti” che voi rappresentate: Comunione e Liberazione, “Swiatlo-Zycie”, Focolari, Cursillos de Cristiandad, Rinnovamento nello Spirito, Schönstatt, Équipe Nôtre-Dame, Oasi, Comunità di vita cristiana. Tutti benedico di cuore.

 

© Copyright 1981 - Libreria Editrice Vaticana


Di questa omelia del Papa ai partecipanti del convegno mi preme sottolineare due aspetti: il Papa allarga la parola „movimento“ fino ad una dimensione cattolica ed umana; l’uomo può rispondere a Dio solamente se è in movimento verso Dio. Il secondo aspetto è il cuore intimo di questo movimento: il mistero dell’amore gratuito. CL ha saputo, nella sua storia, vivere queste indicazioni prendendo sul serio l’esistenza storica, che per quanto riguarda l’Argentina ha significato anche fare discernimento di un movimento politico così importante come il peronismo: „al di là di tutti i possibili errori…il peronismo era stato un fondamentale momento di autocoscienza della nazione argentina, in cui il popolo si era sentito riconosciuto nella sua dignità e chiamato ad essere popolo“ (Rocco Buttiglione in Alver, 95). Nel 1981, come ho già raccontato in questo post, io ero del tutto in crisi utopica, cercando in un mio primo viaggio in Germania dai Cappuccini (uno dei quali mi prendeva in giro in modo benevole dicendo che per me Ernst Bloch era il mio padre della Chiesa) di imparare il tedesco per comprendere dall’interno, gli autori che per me allora erano importanti, da una parte Hans Urs von Balthasar, ma anche, paradossalmente, Ernst Bloch. Su quest’ultimo dapprima Balthasar accettò il dialogo scrivendomi, nella prima lettera che ricevetti nel 1978, che Bloch gli ricordava l’ebreo errante, alla ricerca di un senso, ma poi prese sempre di più le distanze, chiedendomi nel 1979 per chi sperasse Bloch (per sé? Per una società futura? E che ne sarà dei miliardi di persone che sono già morti?), dicendomi, in un breve incontro in un teatro a Milano in cui CL aveva organizzato una conferenza con lui, che Hegel e Bloch mi avrebbero portato sulla via sbagliata e per infine scrivermi, in una delle sue ultime lettere, che Bloch era un uomo cattivo e che lui avrebbe parlato di me volentieri di Adrienne, ma non di Bloch; nel settembre del 1985 mi invitò ad un simposio dedicato alla missione ecclesiale di Adrienne a Roma e ci andai, pur essendo in totale tempesta utopica; gli domandai due cose, sollevando l’interesse di Angelo Scola che aveva organizzato il simposio stesso: se la teologia della trinità di Adrienne non fosse in vero una specie di tri-teismo (come pensava Karl Rahner) e se il Dio amore fosse conciliabile con tutti i disastri del mondo? Non mi ricordo più le risposte. Mi colpì allora in modo particolare la sua conferenza sul „Sabato Santo“ ed in qualche modo misterioso anche l’abbraccio tra Balthasar e don Giussani. 


DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO
SULLA PERSONALITÀ DI ADRIENNE VON SPEYR

Sabato, 28 settembre 1985

 

Signori Cardinali,
Signor Professore,
Reverendi Padri.

Sono felice di accogliervi al termine del vostro convegno sulla personalità di Adrienne von Speyr, dottoressa d’origine svizzera che ha cercato la verità cattolica con tanto ardore, fino alla sua conversione avvenuta nel 1940.

1. Uno sguardo al programma del vostro incontro mi ha permesso di vedere che ciascuno di voi ha apportato un contributo qualificato al delicato lavoro di approfondimento e di discernimento dell’esperienza spirituale e degli scritti di Adrienne von Speyr. Nell’ambito di questo amichevole incontro, so che voi non vi attendete da me un giudizio che proviene dall’autorità che ricopro. Tuttavia mi congratulo per il vostro lavoro. Avete cercato insieme di delineare meglio l’azione misteriosa e impressionante del Signore in un’esistenza umana assetata di lui. Dicendo questo - forse perché Adrienne von Speyr è svizzera - penso alla meravigliosa storia della mistica reno-fiamminga del XIII e soprattutto del XIV secolo. Sta a voi poter dire se queste vette della teologia mistica sono state raggiunte da questa fervente convertita. Sono lieto infine perché la Chiesa ha sempre bisogno di proporre un esempio di laici molto radicati nella loro vocazione socio-professionale e allo stesso tempo immersi in Dio. Non è questo che Eckhart insegna ai suoi discepoli: “Tutto ciò che Dio ti domanda nel modo più pressante, è di uscire da te stesso . . . e lasciare che Dio sia Dio in te” (cf. Eckhart, Trattati e Sermoni)? Si potrebbe pensare che separandosi dalle creature, la mistica tralasci i suoi fratelli uomini. Lo stesso Eckhart afferma, al contrario, di essere loro meravigliosamente presente, al solo livello in cui li si possa incontrare veramente, cioè in Dio.

2. Esprimo poi i miei auguri ai membri della Comunità Saint-Jean, frutto di una profonda ispirazione di Adrienne. Ella aveva una predilezione per “il discepolo che Gesù amava” e lo vedeva come l’ultimo e il più profondo interprete del mistero di Gesù, dell’amore del Padre per il mondo, del ruolo dello Spirito Santo di introduttore perfetto nella luce piena della rivelazione del Padre e del Figlio. Adrienne ha penetrato molto vivamente la profonda comunione di fede e di cuore tra la Madre di Gesù e il solo apostolo rimasto con lei ai piedi della croce. Ella vi vedeva l’origine verginale della Chiesa, di quella Chiesa che doveva essere affidata a Pietro. Che questa spiritualità, intensamente vissuta, da Adrienne von Speyr, vi aiuti a incarnare sempre meglio la vostra preoccupazione di vita evangelica ed ecclesiale nelle realtà del mondo contemporaneo!

3. Voi mi permetterete di salutare in modo del tutto particolare il Signor Professore Hans Urs von Balthasar. A lui presento le mie felicitazioni e i miei auguri per il suo 80° compleanno e lo ringrazio ancora una volta per il suo immenso lavoro teologico, come avevo fatto l’anno scorso consegnandogli il premio dell’Istituto Paolo VI.

E invoco di tutto cuore sugli organizzatori del colloquio e su tutti i partecipanti l’abbondanza delle grazie divine.

© Copyright 1985 - Libreria Editrice Vaticana

Vorrei sottolineare di questo messaggio del Papa due aspetti. Da una parte che si può essere radicati nella propria vocazione socio-professionale, ma allo stesso tempo essere radicati in Dio. Nel 1985 Egli, Dio; era ancora assente o meglio io non ero ancora assenziente, ma passando gli anni, nella pasqua del 1988, come ho già raccontato, questo programma giovanneo, a cui il Papa dava una sua benedizione, mi convinse di più dello „spirito dell’utopia“. Come alla fine, questa intimità tra Giovanni e Maria ai piedi della Croce, l’ho trovata più autentica di ogni speranza non specifica, per chi sa quale umanità. Questo è anche il motivo ultimo per cui le mie amicizie con Cornelia Capol prima e con Adrian Walker poi, mi sono state e mi sono così preziose, pur tenendo conto di tutti i miei errori, debolezze e tenendo contro della mia propria via laica nel mondo. La mia amicizia con Ferdinand Ulrich nasceva anche sotto la croce. 

(Aeroporto di Heraklion, il 20.5.23 - ripreso il giorno dopo a Wetterzeube, il 21.5.23) E per me più facile confrontarmi con la figura del filosofo Alberto Methol Ferré che con quella del sindacalista Luís Enrique Marius (Alver, 81-90), che ha incontrato per ben 22 volte Papa San Giovanni Paolo II, sebben anche in quest’ultimo ho potuto vedere analogie piccole e grandi con la mia persona e con il mio pensiero. Da giovane ha fatto parte di un gruppo animato a Montevideo dai padri agostiniani, e il confessore di mia moglie e mio è un padre agostiniano, Jeremias Kiesl, che viene dalla Baviera, ma abita ed opera ad Erfurt, la città in cui ha operato l’agostiniano Lutero. Marius è stato ispirato da san Alberto Hurtado SJ, una scelta degli scritti del quale è stata pubblicata dall’editrice fondata da von Balthasar, Johannesverlag („Gelingendes Leben“ (vita che riesce), 2015, con un'introduzione di Peter Henrici SJ) e che voglio riprendere in mano, proprio per quello che ho letto in Alver: il padre Hurtado è stato un ispiratore del movimento operaio ed era un santo che invitava alla gioia del Signore („Contento, señor, contento“). Anche se non sono mai stato un sindacalista, mi sono, alcuni anni fa, impegnato a cambiare la gestrice della mensa nella scuola che trattava in modo ingiusto e sgarbato il suo personale. Anche la sua famiglia, che veniva ogni domenica alla Santa Messa, non mi parlò più. 


Ora veniamo ad un punto per me molto importante: „La rivoluzione sandinista (che conoscevo per gli interventi di Giulio Girardi; r), l’assassinio di mons. Romero in Salvador (ho scritto su di lui un articolo per la rivista „online“ di Alver; r), le dittature che vanno imponendosi nel sud del continente, confermano la vocazione anti-capitalista ed anti-totalitaria della CLAT (il sindacato guidato da Emilio Maspero; r)“ (84). Il mio „diario notturno“, in dialogo anche con giovani marxisti americani, ha svelato con chiarezza la mia vocazione anti-capitalista, anti-coloniale del paese che amo, perché ha influenzato così tanto, in bene ed in male, la mia esistenza. Il viaggio in Arizona, Nevada e California, l’ultimo grande che abbiamo fatto come famiglia con i nostri figli, è tra i più belli della mia vita. Il mio tentativo di far vedere quanto totalitaria possa essere una democrazia, non nasce per nulla da un atteggiamento anti americano a priori. Si critica sul serio solo ciò che si ama sul serio. Condivido anche l’idea che si era fatto Marius di san Giovanni Paolo II: encicliche come la „Laborem exercens“ e la „Sollicitudo rei socialis“ sono una reale alternativa sia al comunismo che al capitalismo liberale. Infine vorrei far notare come Marius abbia avuto „un ultimo aspetto di resistenza nel seguire i responsabili di CL“, cosa che vale per me, ma in vero, perché non ho mai visto in loro una reale e sincera fiducia in me (a parte forse per un certo momento in don Carrón, che aveva citato addirittura Ferdinand Ulrich negli Esercizi di qualche anno fa), cosa comunque che non ci ha impedito di pensare ad un progetto comune con Support International e.V. (la AVSI tedesca), guidata ora da Stephan Scholz, il fondo Papa Francesco, con cui sosteniamo, da anni, casi difficile nella nostra scuola, sostegno che ricambiamo con un sostegno a nostra volta, anche se piccolo ma continuo, dei progetti di Support, come avevo già raccontato. La mia resistenza a seguire i gesti concreti del Movimento non è ovviamente una mette in questione di quei gesti, il cui nocciolo: preghiera, educazione alla fede e caritativa io prendo, per quanto ne sono capace, molto sul serio. 

Per quanto riguarda il giudizio di Marius sulle correnti migratorie e sul „grande rimescolamento di popoli“ come qualcosa di positivo, direi che esso corrisponde all’atteggiamento di Papa Francesco, simboleggiato fin dal suo primo viaggio, che non fu per caso l’isola di Lampedusa, che ritengo positivo, sebbene ché il rimescolamento sia positivo non accade automaticamente, ma lo può diventare se si prende sul serio la dialettica vicino/lontano, insomma se ci si impegna su un  vero programmi di integrazione, come ha ripetuto spesso il papa. 

Quello che manca in Marius, anche perché morì nel 2015, alla vigilia di San Francesco, è un tentativo di superare lo scontro tra  populismo e democrazia, perché nel populismo, non si nasconde solo un possibile egoismo collettivo, ma anche una dimensione anti-capitalista ed anti-totalitaria; totalitarismo implicito e voluto nel „globalismo dell’indifferenza“. Qui in Germania abbiamo una figura di politica della sinistra-sinistra tedesca, Sahra Wagenknecht, che sta cercando di fare proprio questo dialogo, in cui i temi sociali sono molto più importanti dei tema gender, che sono per la politica tedesca, un’esigenza „intellettuale“  e non „sociale“. Tanto per fare un esempio che ha fatto lei: un autista omosessuale, che guida il camion tutto il giorno, ha altri interessi che la grammatica gender. Wagenknecht ha anche tentato di riflettere sulla questione migratoria con una posizione simile a quella del Papa se lo si comprende non „romanticamente“, ma tenendo conto di tutto quello che dice sul tema ed anche dell’atteggiamento di dialogo e non di scontro che il pontefice ha con la premier italiana, Giorgia Meloni. Se a livello letterario il libro di Juli Zen e Simon Urban, „Tra i mondi“ (Monaco di Baviera, 2023) sia il tentativo romanzesco di prendere sul serio quello che fa Wagenknecht non lo so ancora (sono arrivato alla pagina 90 di 444). Si tratta di dialoghi per E-Mail e per WhatsApp tra una contadina e un giornalista; i due si erano conosciuti all’università di Münster, dove studiavano germanistica, ma lei dovendo assumere la responsabilità del lavoro contadino del padre, morto prematuramente, non finì il suo studio in Germanistica, ma quello di Agraria. Lui è il giornalista tipico della sinistra-gender. C’è una vera amicizia gratuita tra i due, ma non so se dovuto al fatto che in fondo la pensano su tutto nello stesso modo(differenze all’interno di una stessa ideologia) o se lo sia, pur in differenze anche gravi, che hanno fare con l’esperienza del tutto diversa dei due: uno è giornalista a Berlino, Stefan, e l’altra, Theresa, contadina in uno dei nuovi Länder e ovviamente alla contadina, che mi è molto più simpatica del giornalista, non interessa per nulla la grammatica gender e neppure le lezioncine di Stefan sui problemi ecologici che causano le sue mucche. Nel dialogo sono arrivato al Febbraio del 2022: il giornalista sposa del tutto l’idea del „cambio di epoca“ che sarebbe causato dall’aggressione di Putin, mentre lei, altrettanto spaventata dall’aggressione, dopo aver parlato con un suo contadino, che normalmente non parla mai, e che invece ora le ha detto che ha paura, perché lui è costretto ad essere in quel pezzo di terra, che è la sua vita, scrive a Stefan: per „te siamo di nuovo confrontanti con una mancanza di alternativa, e di nuovo affermi: „ad ogni costo“, tutte le obiezioni devono tacere“. Ad ogni costo si deve rinunciare alle mucche, ad ogni costo si deve sconfiggere Putin, etc. Anche Sahra Wagenknecht è tra i pochi politici tedeschi che ha una posizione diplomatica sul conflitto in Ucraina. 

E a proposti di „Contadini“ - l’esperienza più bella di amicizia negli anni passati è stata per me, fino allo scoppio della pandemia, quella dei „Contadini di Peguy“ e non solo a livello online (gruppo in Facebook), ma anche e soprattuto a livello offline (ferie passate insieme, cantando.)… Questo gruppo da subito ha appoggiato Papa Francesco, quando in CL, almeno per quello che potevo seguire in rete, si faceva solo del gossip sulle posizioni del Papa, anche se don Carrón allora lo ha sempre seguito fedelmente. La pandemia e la guerra hanno messo a dura prova i „Contadini di Peguy“, c’é sempre un consenso minimo sul Papa, ma il modo di leggere e comprendere ciò che dice è del tutto differente ed un dialogo non esiste per nulla, forse anche per colpa mia. Sarebbe bello se tentassimo un dialogo come fanno Stefan e Theresa, esprimendo chiaramente le differenze, ma senza mettere in dubbio l’amicizia…vedremo. Per me tra la posizione dell’Occidente, espresso anche nell’incontro dei G7, di confrontazione contro Putin, non ha nulla, ma proprio nulla a che fare con la posizione del Papa, che si trova in linea con tutta l’eredita sul tema guerra dei suoi predecessori ed in modo particolare di San Giovanni Paolo II, così amato da Marius.   


(Creta, Hotel „Carolina mare“, il 17.5.23) Ieri dopo aver letto un post sulla guerra in Ucraina e sul papa di uno della vecchia guardia di CL mi sono davvero arrabbiato ed ho scritto a mia volta un post ingiusto, come accade quasi sempre quando ci si arrabbia, a cui comunque nessuno ha reagito. In dialogo con Alver, „Un pezzo di America Latina made in Italy (giugno 1981 - dicembre 1982)“ (Tierra prometida 75 - 80), vedo un pezzo di vecchia guardia di CL che è davvero stimolante, anche per la „profezia della pace“. Si tratta delle persone che hanno collaborato e fondato la rivista „Incontri“, il cui primo numero è uscito il giugno del 1981, „durante il terzo anno di vita del settimanale „Il Sabato“ (75) e che aveva come tema l’America Latina. Non posso commentare tutto passo per passo, ma mi concentro su alcuni fattori e su alcune persone. In primo luogo sulla figura di Don Francesco Ricci, che Guzmán Carriquiry definisce, „uno dei più grandi missionari ad gentes della seconda metà del XX secolo“ (nota 3, 75). E visto che questo è il mio problema: essere missionario ad gentes, la figura mi interessa notevolmente. Ritorno poi su questo ad gentes; dapprima vorrei concentrarmi su questa frase: don Ricci „capì che profondi dinamismi di rinnovamento venivano o potevano venire dai „confini““ (Carriquiry, citato in nota 3, 76), cioè da quelle zone che Papa Francesco chiama „periferie“, „ossia dalle frontiere della cattolicità radicati in popoli e nazioni che, a loro volta, erano frontiere critiche delle periferie dei due grandi imperi, già in decomposizione, che avevano dominato il mondo bipolare dopo Yalta“ (ibidem). Se i due imperi siano in decomposizione non lo, ma sono proprio questi due imperi che si scontrano in una brutale proxy war nell’Ucraina. Il primo è rimasto fedele a se stesso in una versione neocon per quanto riguarda la guerra, che ha carattere bipartisan e che al momento è guidata dalla amministrazione Biden. Il secondo è cambiato, rinunciando in parte alla dimensione sovietica, ma non alla pretesa di guida militare di quel suo vecchio mondo.  So invece con certezza  che un momento profetico è giunto sul palcoscenico del mondo con la figura di Papa Francesco, che davvero ha una funzione critica nei confronti di questi due imperi e che ci ha ricordato con insistenza di non interpretare la storia in corso in Ucraina, in cui è coinvolto certamente in primo luogo il martoriato popolo ucraino, con la logica di Cappuccetto rosso. Chi usa questa logica non contribuisce alla profezia della pace: questo è il momento di verità del mio post di ieri. 


Facciamo un secondo passo. Con ragione Alver riassume così il carisma di CL, „che in un certo senso è quello della chiesa tout court“  (77): Cristo è il centro del cosmo e della storia! Un centro, però, a cui i potenti spesso hanno sbattuto la porta in faccia, anzi che hanno appeso alla croce! Il Logos universale e concreto che è Cristo è rivelazione della logica ultima di Dio, che vede la vittoria sempre e solo dalla morte. L’agnello macellato è il vincitore. Chi sostituisce questa logica con un qualsiasi mito di vittoria e pseudo liberazione ha già tradito Cristo; il grande tentativo mitico di Tolkien, pur con tutte le battaglie che i suoi eroi, spesso non eroi, si trovano a combattere, trova il suo centro nella distruzione dell’anello del potere! Profezia della pace significa distruggere l’anello del potere: per questo papa Francesco ha regalato a Zelensky un albero di Ulivo. Che il Signore Dio della misericordia faccia sorgere dopo questa rivelazione definitiva di Cristo un religione della grandezza dell’Islam significa che la basileia di Cristo non può mai essere confusa con la dominazione cristiana del mondo!  


Facciamo un terzo passo. La figura di Antonio Quarracino, „vescovo argentino“, „segretario generale del CELAM, poi suo presidente“ (78), che scriverà in „Incontri“ nel 1982, ci ricorda con forza che il cristianesimo deve  „ripulito“ da ogni riduzione , che il vescovo chiama con ragione „sballottamenti“, sociologici, politici e sociali. Questo corrisponde alla affermazione critica principale di „Solo l’amore è credibile“ di Hans Urs von Balthasar, che è l’introduzione alla grande „Trilogia“ del maestro svizzero: Gloria, Teodrammatica e Teologica. Il vescovo ci ricorda che l’eredità di Puebla può essere riassunta nell’elenco di alcuni cantieri ancora aperti: „l’azione ecumenica, il fenomeno della non credenza e del secolarismo nelle grandi città, le radicalizzazioni politiche, la costruzione di una maggiore unità del Continente con il superamento di scandalosi conflitti tra nazioni cristiane sorelle“ (78); questi cantieri sono aperti ancora oggi e sono del tutto decisivi per la profezia della pace, anche nel Continente europeo ed io (con mia moglie) come missionario (non proselita) nei nuovi Länder della Germania mi trovo in una posizione (ad gentes per l’appunto) di grande esposizione.   


Infine vorrei concentrarmi sulla questione del „sindacalismo in Polonia“  e sulla figura di san Giovanni Paolo II. La lotta sociale oggi deve tenere conto dell’amore cristiano (80). Non tenere conto di ciò è il punto debole di giornalisti marxisti come Aaron Maté, che dicono invece cose del tutto sagge sulla proxy war in Ucraina. Per me è del tutto primaria una critica del capitalismo e del liberalismo, perché non hanno risolto il problema del lavoro umano, che rimane estraniazione, per miliardi di persone, non hanno risolto il problema della miseria per miliardi di persone, che vivono della guerra e della produzione di armi continua e che stanno perdendo ogni forma di reale pensiero democratico (cfr tutto ciò che dice su questo per esempio Glenn Greenwald) e che si limitano a presiedere, nel meglio che hanno da offrire, all’abolition of the man e che nel peggio sono del tutto schiavi della „macchina“ (Matt Crawford, Paul Kingsnorth, Nathan Pinkoski, Caylan Ford… tanto per citare qualcuno). La critica del comunismo al momento mi interessa di meno, perché spero che il colosso cinese, possa assumere la funzione di Ciro il Grande: fa i suoi interessi, ma potrebbe avere una ricaduta positiva, a livello mondiale, nella profezia della pace…anche se ovviamente, come si vede al suo interno, non ha alcun senso dell’amore cristiano per i deboli e le minoranze. San Giovanni Paolo II il Grande, ha saputo offrire una terza via da percorrere, che non sia né capitalismo né comunismo ed è stato un grande profeta della profezia della pace: mi ricordo ancora, con commozione, quando molto malato, dalla finestra del suo alloggio, ha „gridato“: „mai più la guerra“! 


(13.5.23 - Norimberga - Heraklion) Il capitolo del libro di Alver che sto meditando, „Il pensiero transatlantico (1980-1982), parla del rapporto tra Alberto Methol- Ferrè e Augusto Del Noce, un autore questo che ho conosciuto dapprima negli articoli de „Il Sabato“, ancora negli anni del liceo (maturità nel 1980), poi con la lettura del „Suicidio della rivoluzione“ (1978), di cui mi è rimasta sempre in mente che la dialettica vero/falso, non può essere sostituita da quella tradizionale/progressista ed infine con la lettura di grandi parti del „Problema dell’ateismo“, di cui mi aveva colpito in modo particolare una riflessione molto interessante, in cui l’autore cercava di unire Descartes (operazione dell’essere) con Aristotele (contemplazione dell’essere). Dell’interpretazione di Massimo Borghesi vorrei sottolineare il tema della nuova forma di ateismo, pensata da Del Noce, che deriva non dalla modernità, che tra l’altro non è neppure atea, come ci ha fatto comprendere anche Henri de Lubac con il suo „Pico della Mirandola“, ma con la società opulenta, che crea quel fenomeno di ateismo pratico diffuso che Methol Ferrè chiama „ateismo libertino“. 


Qui vorrei riflettere su tre punti: 1) Il Concilio Vaticano II „come valorizzazione e superamento della Riforma e dell’Illuminismo“ (72) e quindi come conciliazione critica  tra modernità e cristianesimo (72). 2) „La rilevanza della Chiesa all’interno dei grandi scenari mondiali“ (73). 3) La differenza tra rivoluzione e risorgimento (73). 


1) Chi segue ciò che ho scritto in questi anni, in articoli per „Il Sussidiario“ e nel mio blog, sa che io ho un atteggiamento dialogico nei confronti della Riformazione e che ritengo che Lutero abbia avuto una vera e propria missione ecclesiale con le sue intuizioni sulla giustificazione (Solus Christus…) e sul sacerdozio universale dei credenti, anche se bisogna certamente superare tutti i sensi unici (nei confronti dei contadini e degli ebrei). Per quanto riguarda l’illuminismo credo che sia necessario un illuminismo dell’illuminismo (e tutto il lavoro fatto nel mio „Diario notturno“ in dialogo con Matt Crawford, Adrian Walker, Paul Kingsnorth, N.S. Lyons und Caylan Ford, ma anche con Glenn Greenwald, Aaron Maté, Matt Taibbi… ha a che fare con questa dimensione critica), ma certamente l’idea di libertà e di uso del proprio pensiero, che si collega con il nome dell’illuminismo (più Rousseau e Kant che Voltaire) fa parte del bagaglio intellettuale di ogni filosofo, che non può non impegnarsi in un discorso pubblico sul vero, come ha fatto il cardinal Ratzinger con Jürgen Habermas. L’importanza del pensiero, anche ed in modo particolare nel senso di Hannah Arendt è anche per me un punto di non ritorno per ogni filosofo. Ne ho parlato in un post in tedesco nel mio blog 2) Ritengo che la Chiesa, sub et cum Petro, ma anche nella sua dimensione mariana e giovannea porti un contributo alla storia del mondo, che ha in essa una pietra di paragone insostituibile: l’idea del perdono e della misericordia, quella di una teologia e di una filosofia del corpo, l’idea che Dio è amore, le profezie della Dottrina sociale cattolica, sono dimensioni di cui il mondo ha bisogno, ma che non può darsi da sé o per lo meno che non può darsi del tutto da sé. 3) Sulla questione rivoluzione e risorgimento o riforma dire che la filosofia dell’essere come atto di donazione gratuita, semplice e completa, ma non sussistente, possa essere il solo fondamento ontologico per un pensiero che vuole riforme e risorgimento e non una rivoluzione, che non riconoscendo la completezza e la semplicità del dono dell’essere, non può che suicidarsi in un pensiero utopico che vuole costruire l’essere, cosa che non è possibile. La „non sussistenza“ dell’essere, però, che non riduce l’essere in una res, dona a sua volta la possibilità della riforma delle cose stesse. La res è stabile, l’atto di donazione dell’essere, nella sua gratuità, porta movimento nella res…


PS Per quanto riguarda il Vaticano II, in sintesi massima direi che questi temi sono per me e non solo per me importanti: la chiesa come „luce delle genti“, prima, durante e dopo Cristo; la chiesa che prende sul serio la gioia e la speranza, il lutto e la paura dei cittadini di questo tempo; la chiesa che si mette al servizio della Parola, insegnando ad avvicinarsi ad essa; la chiesa che dialoga con ebraismo ed Islam o meglio con ebrei e mussulmani…


 

(12.5.23) Il capitolo di „Tierra prometida“, „Le impronte di un gigante (1980)“ mi spingono a fare un paragone per me del tutto necessario, appunto tra il lavoro del gigante latino-americano, Alberto Methol Ferré, e quello tedesco, Ferdinand Ulrich (ed in appoggio a lui del lavoro della mia persona stessa). Methol Ferrè vive, a partire da un certo anno (il 1972 credo), una vita pubblica al servizio della Chiesa latino-americana ed Ulrich una vita di nascondimento, come la vivo io, con qualche amicizia, per esempio con Alver a Buenos Aires e con Adrian in California, al servizio della Chiesa in Germania ed Europa. Ulrich passa il tempo, come professore emerito, a parlare con singoli individui, anche con tanti sacerdoti e suore, ma anche con laici come me…La sua è stato una vera e propria compagnia di discernimento degli spiriti.


Methol Ferré ha un grande interesse per il paese-continente latino-americano, che in forza della sua propria fede cattolica, dovrebbe tentare un suo cammino ad un’unità simili a quella vissuta dagli Stati Uniti d’America. Pensa a fondo una teologia del popolo (per liberare la chiesa da sensi unici clericali), che sappia integrare in modo critico il meglio della teologia della liberazione. Sa dell’importanza dell’ontologia. Come Ulrich, Methol Ferré critica un pensiero in cui il „senso è rimasto nelle nuvole“ (Ulrich lo chiama „sospensione ontologica“) e in cui l’atto di fede è ridotto ad essere qualcosa di solo magico (Alver, 65, nota 12). 


Ferdinand Ulrich propone una filosofia dell’ontologia dell’essere come amore gratuito che secondo me riesce a rispondere al nichilismo attuale, quello che Methol Ferré chiama, „ateismo libertino“, dall’interno - solo una risposta dall’interno può convincere il mondo… Ci sono tre pensieri di Ulrich che dovrebbero essere ereditati al più presto, se si vuole davvero essere salvifici nel nostro tempo. In primo luogo la definizione di essere come „aliquid simplex et completum, sed non subsistens“ (Tommaso d’Aquino); questa definizione permette di dare una risposta ad ogni deriva „utopica“: l’essere è dono di amore semplice e completo e non vi è nessuna attività, neppure e tanto meno politica, che può produrre l’essere come amore gratuito. Allo stesso tempo, contro ogni deriva tradizionalistica, questo dono non è qualcosa che noi abbiamo ed altri non hanno, ma è per l’appunto „non sussistente“, „debole“ (Gianni Vattimo). In questo senso questa  ontologia è un aiuto anche per comprendere il disegno universale della „Fratelli tutti“: non abbiamo un’ontologia contro gli altri, ma in dialogo con gli altri. In secondo luogo l’essere non è mai percepibile „nelle nuvole“, ma sempre in una situazione di crisi, che rivela che nessuna idealità o sospensione ontologica può rispondere al senso che cerchiamo nella vita. L’essere è percepibile solamente come „movimento di finitizzazione dell’essere“, cioè nella „piccola via“ (Teresa di Lisieux) del quotidiano. Infine dobbiamo parlare  „del medesimo uso di essere e „nulla“, con cui ,nel modo più geniale che io conosca, possiamo dire alla diffusa irreligiosità del nulla dell’ateismo libertino, che noi abbiamo un nulla ancora più profondo, più debole, più nulla: quello della gratuità dell’amore, che per Ulrich è sempre sia per l’appunto gratis che frustra. Il linguaggio ci rivela questa dimensione dell’amore gratuito, quando ad un ringraziamento rispondiamo: „de nada“, „non c’é di che“… Ulrich firmava le sue lettere con la formula: „un piccolo pellegrino di  Gesù“, con cui si metteva in diretto contatto con il piccolo fratello di Gesù, Charles, che ha cercato solamente l’ultimo posto e che da quest’ultimo posto si sentiva ed era „fratello universale“. 


Per quanto riguarda me, in dialogo con Ulrich e Massimo Borghesi ritengo che si dovrebbe lavorare per un Europa non dell’unità solo burocratica, ma davvero capace di ereditare tutto ciò che vi è di decisivo nella Dottrina sociale della Chiesa e così anche dell’intuizione prima dei padri fondatori: la profezia della pace, che significa ovviamente anche ereditare il pensiero dell’inculturazione (Paolo VI, Puebla); la pace non è qualcosa di astratto, ma è la pace tra culture differenti. Con la profezia della pace si devono citare anche la difesa della nostra casa comune e l’opzione preferenziale per i poveri. Comunque tutti i temi del pontificato di papa Francesco dovrebbero servire per un reale e sostanziale lavoro di risveglio europeo, nella modalità del poliedro e non della sfera, a partire dal suo primo viaggio a Lampedusa. 


In dialogo con Adrian Walker mi è stato possibile, in modo particolare nel mio „diario notturno“, riflettere sul fatto che una dialettica aspra tra democrazia ed autocrazia, non tiene per nulla conto del fatto che la democrazia stessa, quando produce armi in modo stabile e quando permette un solo discorso, non si accorge che la crisi è nella nostra casa stessa e non in quella degli altri. L’ateismo libertino stesso non è in primo luogo un problema delle autocrazie, ma delle democrazie neo liberali. 


In dialogo con Padre Paolo dall’Oglio SJ, ma non solo, ho ereditato l’idea, che il Papa sta proponendo a livello mondiale, di una fratellanza con i mussulmani al servizio delle grandi profezie della pace, ecologica e dei poveri. 


L’incontro preferenziale che ho avuto con Adrienne von Speyr e Hans Urs von Balthasar in questi decenni ha significato una riflessione sui seguenti punti fermi: solo l’amore è credibile (il libro, che porta questo titolo, è anche l’introduzione dalla grande trilogia: estetica teologica (Gloria); teodrammatica e teologica); fedeltà alla chiesa gerarchica e verginale (Maria e Giovanni), sub et cum Petro, ma senza ridurre la chiesa alla sola dimensione petrina. Un cammino in cui il „Suscipe“ (SPN) da la direzione di marcia di fondo ed infine il cammino dell’esistenza dal Padre al Padre (Giovanni, Adrienne). L’incontro con don Luigi Giussani è un incontro in questo incontro, solo che il sacerdote lombardo ha saputo proporre un cammino per una fraternità laica di sposati e non solo di sacerdoti (Fraternità di san Carlo…) e verginale (Memores Domini)…Infine il ductus pedagogico di don Giussani mi ha offerto uno strumentario utile come insegnante: quello del „rischio educativo“ e quello delle premesse al „senso religioso“…


(11.5.23) Così riassume Alver il contributo di Methol Ferré al lavoro di Puebla: „integrazione dell’America Latina, il legame con il popolo cattolico e i luoghi di religiosità popolare, un’idea di cultura che pone al centro la visione cristiana dell’uomo, la rivalutazione della Dottrina sociale della Chiesa in chiave antropologica e sociale, la percezione del nuovo avversario storico, non più l’ateismo dai connotati messianici ma un’irreligiosità profonda, estesa e pervasiva…l’ateismo libertino“ (Alver Metalli 55). Methol Ferré ha aiutato anche „ad emancipare la riflessione latino americana  dai centri accademici del vecchio mondo“ (Alver, 58). La mia piccola presenza nella Chiesa romano cattolica in Germania si orienta a questo programma che specificherei così: il laico non deve essere troppo devoto alla gerarchia, ma la deve riconoscere come autorità ultima, deve orientarsi sempre di nuovo a luoghi di preghiera come Altötting (luogo di pellegrinaggio mariano in Baviera), non deve separarsi dal lavoro e dalla presenza liturgica in parrocchia; deve mettere al centro del suo lavoro ecclesiale la dottrina sociale della Chiesa (profezia della pace, profezia della difesa della nostra casa comune, profezia dell’opzione preferenziale per i poveri), piuttosto che problemi solo di tipo clericale (sacerdozio delle donne…). Non essere troppo devoto significa dire anche che cosa si pensa sugli scandali di pedofilia, sulla vita solitaria dei sacerdoti, sul celibato spesso fallimentare, etc. Bisognerà guardare con simpatia al lavoro dei vescovi ed alcune specificità tedesche (servizi della parola tenuti da laici, maschi e femmine), ma si dovrà parlare più della nostra presenza nel mondo che della nostra presenza in chiesa, anche se la liturgia è qualcosa di essenziale anche per i laici, etc. Infine non si dovrà mai mettere in questione il valore della contemplazione e della verginità nella Chiesa, pur non dovendo essere chiamati necessariamente ad essere vergini o contemplativi. Giornata di lavoro lunghissima, per cui mi fermo qui. 


(10.5.23) Ancora due osservazioni sul capito „Il caso zero“ (1978) in Alver Metalli, Tierra prometida, 45-52, che mi sono venute in mente questa notte, mentre ascoltavo un uccello che ha cantato, almeno secondo la mia impressione del dormiveglia, per quasi tutta la notte, superando la barriera del mio acufene e che forse per tutti questi motivi hanno un’importanza notevole. 


La prima osservazione, mi riferisco a quelle 64 pagine di Balthasar, „Vita dalla morte“, che ho citato ieri, riguarda la morte di Fabio Bellomo, il filosofo argentino che si incontrò con Buttiglione a Roma e che don Giussani ha potuto visitare in ospedale a Buenos Aires, poco prima della sua dipartita, poi la morte del generale Juan Domingo Perón (e con lui del gruppo „Guardia de Hierro“), sono, credo, quella „morte“ da cui sorgerà la „vita“ del Movimento di Comunione e Liberazione in Argentina: „il caso zero, forse, di un contagio che dura tutt’ora“ (Alver, 52).


La seconda osservazione è una correzione: il mio ritorno nel grembo della Chiesa non è accaduto nella pasqua del 1987, come ho scritto ieri, ma in quella del 1988, quindi dieci anni dopo la mia prima lettera di Balthasar; nell’estate del 1987 ero in pieno caos esistenziale, la chiesa aveva riconosciuto la nullità del mio matrimonio ed ero del tutto in cerca di un’utopia, che cercai di tradurre nella modalità estetica di don Giovanni (Kierkegaard); proprio in quell’estate del 1987 incontrerò Balthasar nella sua casa nella Arnold Böcklinstrasse, 42 a Basilea, mentre stavo andando ad Heidelberg per imparare il tedesco in un corso offerto dall’università; pochi giorni dopo questa visita conobbi mia moglie Konstanze ed ho sempre pensato, che questo fosse il regalo più grande che mi fece il mio grande maestro: senza la stabilità di questo rapporto, che alla fine è sfociato nel matrimonio, con i nostri due bambini, Johanna (Comunità di san Giovanni; San Giovanni; Giovanna d’Arco) e Ferdinand (Ferdinand Ulrich, Ferdinand di Castiglia), non avrei, credo, trovato una via uscita dal senso unico „estetico“. Dopo quest’estate comincerò anche la mia attività nell’editrice Piemme di Casale Monferrato, diretta da Pietro Marietti; il primo libro che regali a Konstanze era „Tracce“ di Ernst Bloch, che non lesse mai e la pasqua dell’anno dopo, appunto nel 1988, nel marzo antecedente era morto il mio amatissimo nonno, mi folgorò la „Vita dalla morte“  di Balthasar…


(Pomeriggio del 10.5.23) Il 1979 è l’anno del primo viaggio di Papa san Giovanni Paolo II nella sua patria polacca (in cui „ha svuotato dall’interno l’attrattiva del messianismo marxista riproponendo la novità del cristianesimo“, 57) e del ritorno di Ruhollah Musawi Chomeini nel sua patria iraniana, come guida della rivoluzione islamica, ma anche del „primo viaggio apostolico latino-americano“ del papa polacco (cfr. Alver Metalli, Tierra prometida, La rete (1979), 53-59). Fino ad ora la meditazione sul testo di Alver ha avuto piuttosto un carattere associativo, ma dovevo agganciare le cose che leggevo con la parte profonda del mio io, se non volevo essere solo un commentatore superficiale di avvenimenti a cui non avevo preso parte. Ora, però, vorrei dedicare questa meditazione, in modo più diretto, a temi e persone che Alver sottopone alla nostra attenzione. Con Puebla il Vaticano II arriva in America Latina e si impone un’idea cara al pontefice attuale, quella di teologia del popolo vs quella della liberazione, che è stata per lo più un’importazione di temi del vecchio continente. Il filosofo più importante della mia vita, Ferdinand Ulrich, con la sua filosofia dell’essere come atto di amore gratuito offre un apporto grande alla teologia del popolo santo di Dio. Una liberazione che non viva del dono semplice e completo e dell’essere è sfasata, perché pensa che tutto dipenda da un’iniziativa politica, invece che dall’iniziativa di Dio, che ci viene dapprima incontro con un „dono semplice e completo“ (Tommaso d’Aquino). Per me che venivo dalla filosofia del non-essere-ancora di Bloch e dal suo spirito dell’utopia, Ulrich ha significato una „messa a terra“ del compito, una „finitizzazione“ del compito, mentre l’utopia rimane sempre nel piano della „sospensione ontologica“: i pensieri ontologici rimangono nell’etere della sola ideologia, delle sole idee. Detto questo Tommaso ci spiega che il dono dell’essere è semplice e completo, ma non è „sussistente“, sussistente sono le cose donate e le persone che donano e ricevono i doni, ma non l’essere. Questa seconda parte del richiamo è stata presa sul serio dall’ontologia debole di Gianni Vattimo. Il popolo santo di Dio non è santo per una sua iniziativa, ma per un’iniziativa di Dio (il mistero del primerear) e non si fissa sul dono fatto, ma su chi dona: sussistente è Dio, non il dono dell’essere. È santo perché riceve il dono dal suo donatore, senza dimenticarsi di quest’ultimo.

Il filosofo su cui pone l’attenzione Alver è Alberto Methol Ferré che comprende che il nuovo nemico non sono più le ideologie nazista e comunista, ma l’ateismo libertino, „un edonismo agnostico la cui logica ultima è un ateismo libertino di massa“ (Ferré, citato in Alver, 55), che „vive e si diffonde in perfetta simbiosi con la televisione e le nuove tecnologie“ (55, nota 6), che oggi coinvolgono canali come Netflix e i Social Media. Ferré è troppo intelligente per non sapere che anche in esso vi è un momento di verità, comunque a 14 anni della sua morte, con l’approfondimento anche dell’intelligenza artificiale (ChatGPT), è del tutto chiaro che anche il popolo santo di Dio, che passa più tempo in rete che in chiesa, è del tutto infiltrato. Basta dare un’occhiata a cosa leggono e condividono la maggior parte dei cattolici in rete, per comprendere che la „società trasparente“ ha stravinto e che non c’è quasi più nulla da fare, se non portando i bambini, per lo meno i bambini, nei boschi, facendo notare a loro come la crescita della natura e della luce nei giorni da maggio al solstizio di estate  (per quanto riguarda l’Europa ) sono avvenimenti che non possono essere superati da alcuna innovazione tecnica. Vorrei, però, ora con uno scatto cercare di centrare il punto: l’ateismo libertino di massa ha così successo, perché risponde ad un’esigenza di piacere profonda e che può essere negata solamente se si inserisce nel nostro pensiero una spaccatura manichea (vedi la meditazione odierna nel mio „diario notturno“). Come Ratzinger ha dialogato con la modernità per salvarla (Alver, 57), così dobbiamo dialogare con la „società trasparente“ (copyright: 

Byung-Chul Han) e lo possiamo fare solamente se davvero ci fidiamo che Dio sia capace a donare l’essere in ogni tempo ed in ogni spazio. Il programma è quello del Vaticano II e di Puebla e poi Aparecida, in una disponibilità ad imparare dalla lezione latino-americana: il legame con il popolo cattolico degli intellettuali cattolici, come l’ho visto attuato in Ferdinand Ulrich, fino al giorno della sua morte, accompagnato da un’infermiera francescana; „una cultura che pone al centro la visione cristiana dell’uomo“ (Alver, 55) e la visione cristiana del mondo è quella del dono gratuito dell’essere, nella creazione e nella redenzione - ciò significa tra l’altro mettere in primo luogo l’idea della misericordia, come ci hanno insegnato San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. L’importanza della dottrina sociale cattolica con le sue tre profezie: quella della pace, quella della difesa della nostra casa comune e quella dell’opzione preferenziale dei poveri. Per quanto riguarda il „nuovo avversario storico, cioè un’irreligiosità profonda, estesa e pervasiva“ (55), dobbiamo ricordarci di un altro punto forte di Methol Ferré: se di un avversario non si comprende il momento di verità, non lo potremo sconfiggere. 

Un ultima nota per oggi: è stato un grande dono per la Chiesa latino americana che il filosofo uruguaiano avesse un posto di responsabilità nella CELAM, purtroppo noi in Germania sono solo delle lobbies politiche che per lo più vengono ascoltate dai vescovi: pensai, allora, quando Ulrich era in vita, come fosse del tutto strano, che il vescovo di Ratisbona avesse un uomo del genere nella sua diocesi e non lo avesse mai consultato, ma grazie a Dio, nell’ultima fase lo hanno invece cercato vescovi e cardinali (Stefan Oster, Christoph Schönborn). 


(9.5.23 - anniversario della morte di Aldo Moro, 1978) Il secondo capitolo che Alver dedica al 1978, l’anno dei tre papi (Il caso zero, 45-52), parla tra l’altro dell' incontro tra Fabio Bellomo, un uomo ed un passo importante per la storia di CL in Argentina, e Rocco Buttiglione, che giocherà un ruolo nella mia vita, ma in anni più tardi, dopo la lettura folgorante delle 64 pagine che Balthasar scrisse sul mistero pasquale e che portano il titolo „Vita dalla morte“, uscito nel 1984 in Germania e nel 1985 in Italia, per i tipi della Queriniana, che lessi nella pasqua del 1987 e che mi riportarono nel cuore della Chiesa (certamente anche per mezzo della preghiera di mia mamma e di Balthasar stesso). Poco prima avevo deciso di fare una tesi di laurea su Ernst Bloch, prima con Gianni Vattimo a Torino e poi, dopo il mio trasferimento, a Pavia, con Fulvio Papi; una notte pensai, che io non ero nato marxista, ma cattolico e che quindi dovevo fare una tesi su un cattolico, telefonai a Papi e gli disse che volevo scrivere una tesi su Balthasar: accettò, sebbene fosse, credo, un marxista. Anni dopo mi disse che la mia tesi di laurea su Balthasar del 1986 sul significato di „definitività“ in Balthasar e sulla sua critica al metodo storico-critico nell’esegesi, furono il libro che consultò di più per comprendere la Chiesa cattolica. Ma torniamo al 1978. Io mi incamminai sempre di più sulla strada di Hegel, ma non quello della Amelia Podetti, da cui Papa Francesco ha imparato l’importanza delle „periferie“, ma quello di Adorno e Bloch. Come studente lessi, per mesi, la lettura che fece Jean Hyppolite della fenomenologia dello spirito (Genesi e struttura della „Fenomenologia dello Spirito“, in cui l’autore „Jean Hyppolite si propone di fare un commento e una parafrasi che seguono con fedeltà il testo hegeliano pagina per pagina, nell'intento di renderne più comprensibile l’insieme“). Era solo un manuale, ma per me fu molto importante, perché il linguaggio astratto della „Fenomenologia“ avrebbe messo in crisi anche lo studente più attento. Ma una cosa era chiara per me, in quegli anni: „nella detestabile moda di chiedersi che cosa in Kant ed ora in Hegel abbia senso al presente…si avverte il tono di questa pretensione. Nessun cenno al porsi la domanda inversa, che senso abbia il presente di fronte ad Hegel“ (Adorno, Tre studi su Hegel, Bologna 1971, 29). E il tempo presente per me era senza senso e ne cercavo uno nello „Spirito dell’utopia“ di Ernst Bloch, tradotto congenialmente dal mio insegnante di filosofia Francesco Coppellotti e da sua moglie Vera Bertolino: „ma la nostra futura beatitudine, l’esistenza del regno dei cieli, la chiara realizzazione del sogno dell’anima a cui corrisponde la sfera di una realtà comunque determinata , non sono solo pensabili, cioè formalmente possibili, ma assolutamente necessarie, al di là di ogni giustificazione, consenso e promessa formale o reale della loro esistenza. Esse sono postulate dalla natura dell’oggetto  a priori e dunque anche dall’intensa tendenza utopica di una realtà essenziale e stabilita esattamente“ (Ernst Bloch, Spirito dell’Utopia, Firenze, 1980, 316); insomma l’esatto contrario del programma di CL e dell’intuizione di Rocco Buttiglione, dell’ „istanza della liberazione dell’uomo, ossia la comunione cristiana“ (cit. Alver Metalli, 50), ed anche il contrario di ciò che mi scriveva Balthasar e che Buttiglione sapeva anche: „il primo problema non è politico (che fare?), ma religioso (come essere). O, più esattamente il problema non è prima di tutto prendere un’iniziativa, ma rispondere all’iniziativa di Dio che ci viene incontro“ (Buttiglione, citato in Alver, 50); alla lettera di Balthasar del 1978, citata ieri, invece io risposi a Balthasar che speravo che la sua indifferenza ignaziana non fosse indifferenza nei confronti del regno, della futura beatitudine. Balthasar replicò, senza alcuna „captatio benevolentiae“, che non sapeva per chi Bloch sperasse, per sé? Per una futura umanità? E che ne sarà dei miliardi di uomini morti? E in tutta la mia critica: per cosa ero io? Per chi lottavo? Queste domande mi penetrarono nell’intimo, ma non nel 1979, bensì nel 1987 fecero cadere il mio sistema utopico, che non si presentò come „assolutamente necessario“, ma come un disastro. Un disastro che cercai di contenere un po’ con il grande aforisma sulla „costanza“ dei „Minima moralia“, nella grande traduzione di Renato Solmi (Torino 1979): „se l’amore deve rappresentare, entro la società, una società migliore, non la rappresenta come oasi pacifica, ma come resistenza consapevole“ (110). La fenomenologia dello spirito era quella di una coscienza triste in viaggio verso una beatitudine futura, con qualche piccolo appoggio di moralità minima, ma Balthasar mi scrisse che piuttosto di una coscienza infelice aveva la sensazione che la mia fosse piuttosto una coscienza isterica; si istericamente alla ricerca di un’autenticità che poi trovai in quelle 64 pagine: ho la vita viene dalla morte, oppure è solo un illusione. Incontrai Rocco Buttiglione quando questi conflitti interiori erano passati: e gli incontri di mia moglie con lui in Lichtenstein furono davvero un incontro con un uomo molto intelligente ed educato. Da quegli incontri, negli anni che lavoravo alla Piemme, nacquero anche alcune attività editoriali. Un suo libro di introduzione al pensiero di Augusto del Noce (Casale Monferrato, 1991) e l’introduzione ai „Concetti fondamentali“ di Robert Spaemann (Casale Monferrato 1993). Nel 1992 avevo pubblicato anche alcune delle lettere che mi aveva scritto Balthasar (Hans Urs von Balthasar, Incontrare Cristo, Casale Monferrato, 1992). Ancora due parole su una realtà giornalistica, Il Sabato“ citata da Alver nel capitolo che ho commentato qui e San Giovanni Paolo II; della prima realtà lessi tutto quello che pubblicarono su Balthasar, per esempio il suo grande articolo su Paolo VI e sulla croce di essere papa. Di San Giovanni Paolo II, che ho imparato dopo ad amare,  nel 1978, non pensavo altro che fosse un fondamentalismo guerriero che annunciava una comunione che erano solo parole…come si vede nel 1978, per dirla con una battuta, leggevo più „Lotta continua“, che „Litterae communionis“. 


(8.5.23) (Pomeriggio) Nel 1978 (cfr. Metalli, 40-44) ho compiuto, il 31.3., 18 anni; davvero un anno memorabile. Il „caso Moro“ è stato il mio primo impegno politico e filosofico, il mio primo impegno pubblico, pressoché da solo, nella grande arena delle posizioni pubbliche nella scuola e quindi un momento di massima distanza da quasi tutti (DC, PCI), ed anche dalla Chiesa (CL, Paolo VI…). La persona che ho sentito più vicina è stata Leonardo Sciascia: per me le lettere erano autentiche e si sarebbe dovuto trattare con le Brigate Rosse, tanto più da parte di uno stato che trattava già con tutti, anche con la mafia. Dell’Argentina non sapevo quasi nulla ed anche del lavoro di base, come alternativa alla guerriglia, pur sapendone qualcosa (via Giulio Girardi), non faceva parte del mio orizzonte esperienziale. Ovviamente sapevo che le Brigate Rosse non avevano alcun appoggio nel popolo, ma io non avevo neppure alcuna simpatia per loro; a me interessava salvare quell’uomo singolo che chiedeva aiuto. Allora vivevo in un quartiere operaio, Mirafiori sud a Torino, e facevo parte ancora della parrocchia di san Luca, mentre due anni dopo, lasciai ogni rapporto con la Chiesa, fino al 1987. Saranno gli anni in cui mi occupai tra l’altro di mio nonno, aiutando mia nonna a fare i passaggi dal letto alla carrozzella e studiando a Pavia, dopo aver lasciato Torino, dove avevo cominciato a studiare filosofia. Il 1978 è anche l’anno della mia mia prima lettera a Balthasar e della sua risposta, che mi raggiunse dieci giorno dopo che avevo spedito la mia. Gli chiesi se per diventare un buon cristiano avrei dovuto diventare prete operaio, come Giulio Girardi, che intervistati a casa sua per il giornale della parrocchia, intervista, però, che non superò la censura parrocchiale; Balthasar rispose che non è tanto importante cosa io voglia, ma cosa Dio voglia da me, potrebbe chiamarmi anche a fare il trappista. Gli chiesi anche se Dio avrebbe potuto perdere la battaglia contro il male e il peccato; mi rispose che Dio non poteva perdere questa battaglia, perché nel suo abisso di amore assoluto e gratuito è racchiuso ed abbracciato dal basso ogni abisso dell’uomo. La risposta portò frutti nove anni dopo, per quel momento l’abisso del sacrificio di uomo, che chiedeva aiuto era troppo profondo, perché io mi fidassi della Chiesa…


(7.5.23) Per ricordare alcuni momenti del lavoro missionario (missione non ha nulla a che fare con proselitismo, che mia moglie ed io abbiamo sempre evitato) qui in Sassonia-Anhalt dobbiamo ricordare gli anni in cui abbiamo cominciato a portare un gruppo sempre più grande di ragazzi e genitori, per lo più senza alcuna confessione, nelle Dolomiti (Campestrin), nella casa del Collegio Rotondi, guidato allora da don Luigi Ferè. Con questo sacerdote della diocesi di Milano, appartenente a Comunione e Liberazione ed amico di Don Luigi Negri, insieme a Gianni Mereghetti, abbiamo guidato il gruppo, con un metodo molto simile alle vacanze del movimento, ma tenendo conto che i partecipanti non avevano per lo più alcuna esperienza religiosa. Don Ferè venne con noi anche a Malta, dove già all’inizio dei nostri anni sassoni-anhaltini portavamo molti ragazzi della nona classe della nostra scuola, insieme al direttore della scuola Burkhard Schmitt. Nel 2009, a Malta, don Luigi era venuto per conoscere la nostra esperienza maltese, una giovane collega, Heidi, si mostrò molto interessata al battesimo, che Don Ferè celebrò poi nell’estate del 2009 (28.6. mi ha appena scritto Heidi), in una piccola cappella, a Mazzin, vicino a Campestrin; quel battesimo fu una vera e propria festa a cui parteciperanno tutte le persone del nostro gruppo, e a cui don Ferè donò un pranzo di dimensioni notevoli, quasi come un pranzo matrimoniale, che conoscevo io ma non i miei ragazzi. La madre di Heidi, che non era presente alla festa, chiese alla figlia che cosa avesse fatto di sbagliato perché la figlia le facesse un tale oltraggio, ma a Campestrin tanti ragazzi videro per la prima volta sia un battesimo sia la festa che ad esso è legato: la gioia che la chiesa prova per ogni nuova persona che entri nel suo grembo, una gioia che può esserci solo in un legame profondo con la libertà. Da quella decisione di Heidi sono originati poi anche i battesimi delle sue figli: Elisabeth e Charlotte, a cui il marito, Frank, non battezzato, non si è mai opposto. Ovviamente mi si potrà dire che un battesimo in 22 anni non è proprio un grande trionfo missionario, ma per l’appunto: missione e trionfo non hanno proprio nulla a che fare l’una con l’altro. 

Questo rapporto con Gianni Mereghetti e don Luigi Ferè è stato allora certamente il più importante dei nostri rapporti ciellini, ma anche altre persone, come Luisa Caslini, insegnante al liceo Marcello Candia, che ha poi anche diretto per anni, sono entrati in contatto fecondo con la nostra scuola. Credo che nello stesso anno 2009 vi sia stato un incontro molto grande a Droyssig, per ricordare i 20 anni della caduta del muro, tematicamente riassunto con il tema della speranza: un idea di don Natalino Bonazza della diocesi di Venezia, amico del Cardinal Scola, a cui parteciparono il Liceo Candia, il Giovanni Paolo I di Venezia, il Collegio Rotondi, un liceo cattolico di Ljubljana (Mattea era l’insegnate che portò da noi il suo gruppo e che condivise con anche due anni a Malta) ed un altro liceo di Milano, A. Carrell, guidato allora da Franco Blasoni, un incontro che ebbe a Lipsia, nella Chiesa di san Nicola, il punto massimo del ricordo di quella rivoluzione pacifica con cui terminò l’era della DDR. In questi anni ci furono anche tante amicizie con persone della „Comunità di san Giovanni“, ma che ebbero un impatto forse minore per il nostro lavoro scolastico, sebbene in un anno, non mi ricordo più quale, portammo un gruppo a Berlino per visitare la famosa prigione della Stasi, Hohenschönhausen, in cui ci guidarono don Bernhard Ollmert, per anni il nostro padre confessore della Comunità di san Giovanni e Cordula N. Se con gli anni ho imparato a parlare in modo più articolato su questa regione che ha fatto parte della DDR, non è che abbia dimenticato una realtà come Hohenschönhausen…ma questo è un altro tema. 


Mi ha scritto Luisa Caslini questa mattina, a cui ho mandato questo post: „Ich war dabei! (C’ero anch’io) Ricordo quell'esperienza con piacere e con dolcezza, è stato un passaggio importante delle mia crescita umana e anche professionale. Tutti gli anni parlo di Lipsia con i miei studenti dell'ultimo anno. A marzo sono stata a Berlino e li ho portati a Hohenschönhausen.

Quindi ti penso spesso e ti devo ringraziare. Anche Heidi rimane nel mio cuore. Penso tu sappia che ci siamo sentite qualche volta in questi anni.

Grazie. Luisa“.


Dopo aver letto quanto ho scritto qui, Gianni Mereghetti mi ha mandato un Whatsapp: „Mi hai commosso, il rapporto con te per me è importante, la tua intelligenza delle cose la voglio imparare“.


Infine mi ha scritto anche don Luigi Ferè: „Carissimo il ricordo di Heidi e dei momenti grandi del nostro incontro e della storia vissuta insieme mi riempie di gratitudine al Signore e di commozione. Da più di un anno non sono più parroco per limiti di eta’ e questo mi lascia più libero di vivere il rapporto con le persone, la preghiera e la lettura. Sto riprendendo soprattutto la testimonianza di Papa Benedetto XVI.

Abito a Biandronno sul lago di Varese. Se vieni in Italia mi piacerebbe davvero poterti incontrare.

Ricordiamoci nel Signore!“


Quando più di dieci anni or sono entrai in Facebook cominciò una nuova era del mio lavoro missionario. Certamente il punto massimo di questo lavoro è stata la fondazione del gruppo „Contadini di Peguy“, insieme a Bruno Brunelli, Nicola Duz, Angelo Lucio Rossi, Cristina Ghezzi, Rossella Viaconzi…In mezzo alle follie che ciellini dicevano (e dicono ancora) su Papa Francesco, mettendo in dubbio la sua autorità ed addirittura l’idea di fratellanza universale, i „Contadini di Peguy“ sono stati una presenza  che ha sottolineato, nel suo piccolo, l’importanza del pontificato; ho parlato a lungo di questa esperienza in un post sulla mia vita intellettuale nel mio blog, che Bruno Brunelli mi aiutò ad aprire, che portava il titolo: „Libri ed altri ricordi - in dialogo intimo con Amos Oz“ (https://graziotto.blogspot.com/2019/03/libri-ed-altri-ricordi-in-dialogo.html.) Con l’entrata in Facebook e in genere nei social media ripresi il rapporto che avevo iniziato da giovane con Massimo Borghesi, il conoscitore più profondo di Papa Francesco, Luigi Brunelli, Gianni Valente, etc. 


Per quanto riguarda gli ultimi anni vorrei citare la presenza, nella nostra attività missionaria, del parroco di Eisenberg Andreas Tober, che si è coinvolto con noi, in tante azioni scolastiche: per esempio nella festa che chiamiamo „Juventusfest“ e che è nata nella scuola, per iniziativa di una mamma, come alternativa alla „Jugendweihe“, nella quale, sebbene la festa risalga al XIX  secolo, nella DDR si festeggiava il passaggio dall’essere bambini all’essere giovani. Il parroco comprese subito la mia intenzione, non possiamo forzare persone, con tutta un’altra storia, a venire da noi, noi dobbiamo uscire dalla chiesa ed andar loro incontro nelle loro esigenze, facendo vedere che rispettiamo la loro libertà, che non è ancora aperta a confermazione e cresima, ma anche offrendo contenuti cristiani. Don Tober, in questi anni, ha spiegato, accogliendo il gruppo di giovani dell’ottava classe nella chiesa parrocchiale in Eisenberg, cosa significhi chiesa e nel giorno della festa, dando la benedizione ha raccontato a più di trecento persone, che non vanno mai in Chiesa, cosa sia per l’appunto il senso di una benedizione. Andreas Tober è venuto con me anche in Armenia e a Roma, nel viaggio organizzato da mia moglie. 


Per quanto riguarda la CL tedesca le persone che sono venute qui da noi a Droyssig sono Maria e Martin Groos, Stephan Scholz, una volta venne anche don Romano Christen e due volte don Roberto Carlin da Colonia. L’opera più grande e stabile che ne è nata è il „fondo papa Francesco“, con cui negli anni abbiamo aiutato tanti ragazzi e le loro famiglie, che hanno dovuto affrontare una tragedia improvvisa. Questa azione caritativa l’abbiamo portata avanti con grande discrezione, così che in vero chi è stato aiutato sa appena cosa sia Comunione e Liberazione. 


(Pomeriggio) L’idea Emi Serio: „Che andassi in Argentina per far loro conoscere il movimento“ (Metalli, 35) mi è del tutto estranea; io non ho mai voluto far conoscere il movimento, tanto più che quando arrivammo in Sassonia-Anhalt, Ferdinand aveva 4 anni e Johanna 7, eravamo usciti dalla Fraternità, perché non trovai nei miei primi anni tedeschi una corrispondenza a quel abbraccio tra don Giussani e Balthasar, che mi aveva generato. Tra le cose più vergognose della mia vita ci fu una visita, con due del movimento, all’università di Ratisbona per visitare Ulrich, in cui i due non erano interessati all’uomo che avevano davanti, ma il conquistarlo per faccende del movimento (un corso sul „senso religioso“ all’università di Ratisbona, che Ulrich stesso aveva pensato come possibile).  Quella „storia che ha al centro un uomo“ (Metalli, 9) non è mai stata la mia storia: la mia storia ha a che fare con almeno tre uomini e una donna (a parte mia moglie):  Adrienne, Hans Urs, Don Giussani e Ferdinand Ulrich. E quando parlo di „missione“ non penso a nessuno di questi quattro, ma solamente a Cristo, il Logos universale e concreto! Tutta la mia attività educativa, tutto il „rischio educativo“ si riassume per me in questa frase: „solo l’amore gratuito del Cristo trinitario è credibile“. Nel 2010 tornai nella Fraternità, dopo un’esperienza forte di preghiera alla tomba di von Balthasar; il rapporto con il mio padre confessore della Comunità di san Giovanni entro in crisi, per una storia difficile da raccontare e non so neppure se avessi avuto ragione io, Johanna era stata in una delle vacanze estive del movimento, con alcuni ragazzi della nostra scuola e mi aveva detto che le canzoni sentite erano per lei come ritornare a casa. Ma di fatto, un certo tradizionalismo della CL tedesca, ha allontanato entrambi i miei figli dall’esperienza del movimento, che per Johanna si è ridotto ora ad un rapporto telefonico con la sua madrina di battesimo: Maria Groos (tra l’altro molto brava come madrina), che da noi a Droyssig, Christophorusschule, aveva presentato l’esperienza del movimento in Uganda. Quando invitai don Carlin nel nostro viaggio nelle Dolomiti fu per me terribile il modo del tutto incapace di comprendere la situazione in cui si era trovato il sacerdote della San Carlo. Lui era deluso che le ferie non fossero abbastanza cielline, io fui deluso che non capisse quale miracolo fosse la presenza di così tanti non battezzati in un gesto del genere. Comunque, più tardi, quando conobbi don Andreas Tober, don Carlin venne due volte invitato dal nostro parroco, a tenere una santa Messa ad Eisenberg, invito che accettò con grande generosità. Dopo l’incidente terribile che don Carlin ebbe in bus nella Svizzera non ci siamo più visti, a parte una volta velocemente, in uno dei Meeting di Colonia, a cui negli anni era stato anche invitato il mio preside Burkhard Schmitt. Cosa che allora mi fece pensare che CL fosse sempre più interessata a personalità „famose“, che a quelle „autentiche“, cosa che non dico contro il mio preside, a cui Konstanze ed io dobbiamo un ambito di azione pedagogica che in Baviera non avremmo mai avuto. Stephan Scholz venne invece sia nella nostra scuola, per tenere la lezione principale nel festival della fondazione della scuola stessa (credo nell’anno antecedente a quello dell’inizio della pandemia), sia più volte nel nostro viaggio nelle Dolomiti, con un atteggiamento molto più aperto e disponibile di quello di don Carlin allora. Alcune persone di „Support International e.v“, guidato ora da Stephan Scholz, appoggiarono un grande progetto della nostra scuola, „Tragedia e speranza“ (Erasmus plus), degli anni 2019 e 2020 - in un gruppo pubblico con il titolo „Tragödie und Hoffnung“ in Facebook si può vedere la portata di questo progetto, che coinvolse una scuola polacca ed una francese e che ci portò fino in Armenia (in memoria del genocidio 1915-1918). Support International ci aiutò nella polarità della „speranza“ con i loro tanti progetti dall’Uganda al Medio Oriente (Siria…)


(6.5.24) Come quando Emi Serio partendo per l’Argentina trovò in Don Francesco Ricci un vero e proprio padre spirituale, che le diede consigli di metodo missionario, così fu per noi con Ferdinand Ulrich (più volte) e con il cardinal Ouellet (una volta a Basilea, nell’alloggio di von Balthasar). Non si può partire per la missione senza un padre spirituale e senza una vera metodologia missionaria; per noi ciò è valso in modo molto forte, perché non c’era nessuna comunità cristiana che ci aspettava, ma solamente una situazione che mi fece pensare da subito: non vedrai i frutti della vostra presenza, sebbene ci siano e ci siano stati, come ho visto oggi nel festival per la fondazione della nostra scuola, in cui ho incontrato anche un’allieva della prima ora. Pensai allora che forse la nostra presenza missionaria avrebbe portato piuttosto frutti in Cina, in un luogo a me sconosciuto, che da noi, in una regione così secolarizzata, nella quale, credo, che neppure don Giussani avrebbe potuto far nascere il Movimento; anche noi abbiamo pregato per anni le Lodi da soli o con pochissimi nella scuola, anche noi abbiamo tentato di fare la scuola di comunità, anche noi siamo andati regolarmente alla Santa Messa, anche noi abbiamo regalato i volantoni di Natale e Pasqua per decenni, ma con la coscienza assoluta che chiedere alla nostra gente „di concepirsi come un movimento sarebbe solo propagare una formula“ (Don Ricci, citato da Metalli, 31). La sfida è stata ed è durissima: vivere con tutta la radicalità a me possibile la gratuità (gratis et frustra) del dono dell’amore gratuito, senza poter esibire alcun merito morale, ma nella semplice convinzione che il dono dell’essere come amore gratuito nella piccola via del quotidiano, non un club, doveva essere la nostra meta, il nostro sogno, il nostro desiderio. VSSvpM!  


(5.5.23) Due parole sul titolo del libro: „Tierra prometida. Storia di una storia“ - è un titolo antico testamentario, che esprime il tema dalla „terra promessa“ e ci ricorda di un cammino in un cammino, di una storia in una storia: della storia di Alver e dei suoi amici, nella storia di „Comunione e Liberazione“, „una storia che ha al centro un uomo“ (9). Ed una parola sul mio post: „la filosofia dell’essere come amicizia“: Dio dona l’essere gratuitamente come segno di amicizia all’uomo. Non c’è dubbio che ciò ha a che fare anche con quell’uomo di cui parla Alver, don Giussani, ma non da solo, piuttosto nelle sue amicizie ed in modo particolare nella sua amicizia con Hans Urs von Balthasar. Ed in questa storia si innesca la storia della mia amicizia a distanza con Alver. 


Che il primo passo del libro parli di „monache alla fine del mondo“ è decisivo! Anche Adrienne von Speyr ed Hans Urs von Balthasar hanno avuto rapporti intensi con ordini religiosi (per esempio quello carmelitano) e nella sua prima lettera (1978), quando vivevo ancora nel quartiere operaio di Mirafiori Sud a Torino ed ero a scuola in un liceo in cui le Brigate Rosse lasciavano i loro messaggi fuori dal portone,  Balthasar mi disse che Dio avrebbe potuto chiamarmi anche come trappista. Io ho sempre mantenuto una grande amicizia con Cornelia Capol, della Comunità di san Giovanni, fondata da Adrienne ed Hans Urs, fino alla morte e sono stato anche in preghiera davanti al suo corpo morto. Cornelia è stata la mia „Suor Cecilia“ (la suora 84enne di cui parla Alver), con cui ho avuto un’amicizia decennale, anche quando lei aveva più di novant’anni. Ed anche oggi sia con Alver (Argentina) sia con Adrian (California) sento come vicini persone che vivono i consigli evangelici, che io non saprei vivere. Capisco molto bene che senza la „clausura“, senza il „convento“, che è „un pezzo di mondo già di Dio“, la Chiesa sarebbe persa: ancora più profonda della sua anima gerarchica è l’anima povera, vergine ed obbediente della Chiesa che può convincere il mondo e me che il mondo di Dio non è solo nell’aldilà. Nella storia particolare di queste suore trappiste si vede poi anche l’unità tra „comunione“ e „missione“, cosa per me del tutto decisiva, visto che con mia moglie vivo da più di venti anni in una terra del tutto secolarizzata e in una diaspora forte. Il cuore missionario della Chiesa sa reggere anche gli urti forti della storia, come di quelli di cui parla Alver (anni 70 in Cina ed Argentina), sia quelli attuali, sulla polveriera di una terza guerra mondiale in estensione… 


Tra i frutti belli dell’amicizia con una carmelitana, suor Cristiana Dobner, vorrei rinviare al suo commento al „Padre nostro“, in dialogo con la tradizione ebraica, qui nel mio blog: https://graziotto.blogspot.com/2021/01/il-grido-dellorante-un-commento-al.html


Per quanto riguarda la frase di don Giussani sulla clausura, vorrei ricordare la mia amicizia con Ferdinand Ulrich, che è forse è l’esperienza di clausura, sebbene fosse sposato, più radicale che io abbia mai visto in azione: „Se uno che è in clausura non vive Cristo come la totalità della vita, è finito“; io non ho mai visto vivere Cristo, come la totalità della vita, in modo così radicale, come in Ulrich. „Il cristianesimo è qualcosa che si snatura se non si incarna in spazio e tempo, se non fa del mondo un convento, e il convento è un pezzo di mondo già di Dio“ (citato in Metalli, 22) - e questa esperienza di un pezzo di mondo già di Dio l’ho vista e toccata, fino al letto di morte, nell’amicizia con Ferdinand Ulrich: https://graziotto.blogspot.com/2020/01/lamore-per-la-chiesa-cum-e-sub-petro.html.

La traduzione del suo libro „Homo Abyssus“, che ho compiuto per ora fino alla pagina 340, è il lavoro filosofico più importante che abbia mai fatto e che spiega in modo cristallino preciso cosa sia l’essere come dono di amore gratuito. Nel mio blog si trova l'inizio di questo lavoro di traduzione: https://graziotto.blogspot.com/2020/09/homo-abyssus-il-rischio-della-domanda.html