sabato 22 febbraio 2020

Sull'amore umsonst (gratis et frustra) - l'omelia del vescovo Stefan Oster, per la memoria di Ferdinand Ulrich

Omelia al funerale di Ferdinand Ulrich nella Chiesa parrocchiale di San Nicola a Mühldorf am Inn

Cara famiglia Ulrich, care sorelle e fratelli nella fede, amici, conoscenti, compagni, e voi tutti che avete amato Ferdinand Ulrich,

Hans Urs von Balthasar, uno dei grandi teologi del secolo scorso, amico e "fratello nello spirito" del nostro defunto, nel 1964 scrisse una lettera al giovane filosofo Ferdinand Ulrich, ringraziandolo per un manoscritto, che trattava il tema del potere, e Balthasar gli scriveva così: „Lei tira sempre via con delicatezza e senza sosta tutti gli involucri. Dovremo imparare a sopportarLa. Ho letto Eckhart e Tauler ed in qualche modo Lei è la continuazione di quella nascita dello spirito tedesco". Dovremo imparare a sopportarLa! Che frase per un giovane studioso da parte di un teologo, che in quel periodo era già famoso. E Balthasar, con il suo riferimento ai due grandi mistici Meister Eckhart e Johannes Tauler, dice anche quanto profondo, quanto abissale, gli sia sembrato il pensiero del giovane filosofo tedesco Ferdinand Ulrich, precocemente maturo. Dovremo imparare a sopportarLa!

(Ferdinand Graziotto e Ferdinand Ulrich, ca. 1999 o 2000)


Ancora e ancora l'amore

Cari ospiti del funerale, per mia conoscenza, amicizia ed esperienza personale, questo è proprio quello che può essere visto come un filo rosso nella vita del nostro defunto. Ha sperimentato più e più volte che molti non volevano imparare a sopportarlo. Non ci ha facilitato il compito, soprattutto nei suoi scritti, spesso difficili da leggere. Ma anche come un uomo che non si è mai accontentato della superficialità e che davvero ha esplorato gli abissi umani e ha voluto resistere nella luce risanante della verità, in tutta la sua discutibilità, compresa la sua. E non pochi, specialmente i suoi colleghi accademicamente attivi, non volevano o non potevano essere coinvolti in ciò che pensava o aveva da dire Ferdinand Ulrich. Certo, se questa esperienza è un filo conduttore della sua vita, allora essa è comunque solo un sintomo, una manifestazione quasi necessaria di una ragione più profonda che ha plasmato ancora di più la sua vita. Nella lettura della Lettera ai Romani abbiamo sentito la convinzione di Paolo, che era anche la convinzione del defunto: "Nulla può separarci dall'amore di Cristo. Dio ci ha dato il suo Figlio unigenito, come ha potuto non darci tutto con lui". Il tema fondamentale di Ferdinand Ulrich in tutto è sempre stato l'amore, l'amore del Padre, dal quale il mondo è stato creato e viene conservato. L'amore di Cristo, dal quale siamo redenti dai nostri peccati e ammessi a partecipare alla vita divina e l'amore dello Spirito Santo, che ci illumina, che ci guida, che ci santifica. Ancora ed ancora: l’amore.

Il doppio significato della parola tedesca „Umsonst"

E più e più volte ci ha riproposto il fatto che proprio questo amore è umsonst. La gratuità dell'amore nel doppio significato della parola „umsonst", cioè nel significato di gratis, come dono che da un lato non costa nulla. E d'altra parte nel senso di vano: frustra, cioè completamente invano. Tale amore, che si dà per niente, non ha alcun successo agli occhi di un mondo di calcolo, di profitto, di vantaggio, di egocentrismo. E un tale amore, che alla fine non serve a nulla, è invano, proprio invano, dice questo mondo. Ma entrambi gli aspetti di questo unico e medesimo amore si mostrano più profondamente in Gesù, che il defunto ha così spesso chiamato: "amore crocifisso". I discepoli del Signore, che quasi tutti scapparono dalla croce il Venerdì Santo, per paura e vigliaccheria, devono aver pensato in quel momento: "Ora tutto è stato invano, del tutto invano, ora è morto, appeso lì come l'ultimo criminale". E nello stesso momento Gesù, con la radicalità della sua devozione, dice proprio questo: "Sì, la mia morte è del tutto vana, ma un dono per voi, il più profondo dono d'amore che Dio abbia mai dato al mondo. Chi può dire Sì al crocifisso dal profondo del cuore, dice Sì a un amore che si dona gratuitamente, che può donarsi senza doversi aggrappare di nuovo a se stesso. Una persona toccata da Cristo sente che questo amore può avere un effetto su ognuno di noi solo se viene offerto nello stesso modo. Nell'unità di gratuità e frustrazione, come atto di massima libertà. E questo significa: dobbiamo anche imparare con essa a sopportare il crocifisso - e imparare con lui a vivere questo amore. E Ferdinand Ulrich, da quando lo conosco, non ha mai detto, scritto e cercato di vivere altro se non questa indicazione diretta o indiretta dell'amore crocifisso. Pertanto, chiunque si faccia coinvolgere da lui come persona e come pensatore dovrà effettivamente imparare a sopportarlo.

Povero al cospetto di Dio 

In virtù della sua immensa intuizione filosofica e del suo talento, gli è stata data anche come filosofo, l'opportunità di dimostrare che l'amore crocifisso non contiene solo la più profonda rivelazione su Dio. Da essa si dispiega, allo stesso tempo, lo sguardo più profondo sulla realtà del mondo e sull'uomo. Anche l'essere creato, anche la vita creata del mondo è data originariamente per amore, completamente umsonst. E l'uomo ritrova la sua strada verso una vita liberata, redenta, proprio quando impara a vivere per amore, che è umsonst, per un sì a se stesso, che è umsonst. Una persona del genere impara a vivere di un amore che non è possessivo, che può piuttosto donarsi; di un amore che si apre, che si rende vulnerabile; che può simpatizzare e sostenere; di un amore che può confidare che nel qui ed ora la fonte del mondo è l'amore che rimane amore - anche nelle esperienze catastrofali e disastrose del mondo. Coloro che vogliono vivere questo amore, che vogliono trovare la loro strada nel flusso traboccante di questo amore, devono imparare a lasciarsi andare. Devono imparare a diventare poveri interiormente, per essere aperti alla ricchezza del dono dell'amore. Per questo il defunto ha tanto amato la prima Beatitudine del Sermone della Montagna, perché lì, prima di tutto, si loda come benedetto, come felice, chi è povero di spirito, povero davanti a Dio. Una persona che vuole trovare la sua strada in questo mistero dovrà anche imparare che ha bisogno di aver fiducia nel Crocifisso, affinché il Crocifisso possa riaprire la porta del proprio cuore - per il movimento, per il flusso di questo amore - e con esso anche per l'esperienza di una gioia che giunge più in profondità, di tutto ciò che il mondo potrebbe darsi da solo.

Imparare a sopportare

Tuttavia, se non vogliamo trovare la nostra strada in questo luogo interiore di fiducia in Cristo, allora rimaniamo costantemente inclini ad illuderci. E lo sappiamo anche tutti noi: tendiamo poi soprattutto a far assomigliare all'amore i nostri ideali o anche i nostri desideri e le nostre brame egoistici - ed in vero rimaniamo prigionieri e giriamo intorno al nostro ego. E Ferdinand Ulrich è stato in grado di mostrare continuamente dove sono le tentazioni nella vita e nel pensiero di ogni individuo. E ha saputo mostrarlo in un dialogo personale, fiducioso, con il suo carisma che gli permetteva di vedere e curare il cuore dell’altro. Ma è stato in grado di fare lo stesso anche nel pensiero strettamente filosofico. Dove sono le insidie anche di un pensiero che preferisce rimanere sempre fisso in se stesso o confermarsi e celebrare i propri successi? O dove vogliamo evitare l'amore e cucinare la nostra piccola zuppa? Dove ci rifiutiamo, per conforto o per paura, di portare una croce che ci renderebbe più maturi? Sì, è vero: anche se il professore era un amico e un fratello così affettuoso, tuttavia: tutto questo si deve imparare a sopportare.

Condurre qualcuno alla gioia

Ciò che mi ha reso facile a sopportarlo è stata la sua misericordia, la sua fedeltà nelle piccole cose, il suo amore incondizionato per la verità, la sua attenzione, il suo ascolto, la sua capacità di stare veramente con l'altro, con il suo interlocutore. Per me è stato anche il suo amore per Cristo, e la sua amicizia con i santi, soprattutto con Teresa, la piccola di Lisieux. E il suo desiderio di parlare e agire insieme allo Spirito Santo. Ho sempre pensato che per lui non fosse mai importante che l'interlocutore rimanesse legato a lui, al professore, e che gli studenti o coloro che lo accompagnavano dovessero ripetere le sue tesi perché erano le sue. Non ha mai voluto conquistare qualcuno per sé. Ma ha sempre voluto guardare la realtà insieme all'altra persona e imparare a capire cosa è vero, cosa è buono per l'altra persona, cosa porta alla gioia - anche quando la conoscenza di sé fa male.

Uno che ha sempre imparato, ha imparato a lasciar andare

E per tutta la vita questo uomo saggio si è visto come un apprendista. Anche recentemente, durante le mie visite all'ospizio, continuava a dire frasi come: "Devo imparare ad accettarlo ora". Oppure: "Devo imparare ora a lasciar perdere". Questo "lasciar andare" è andato avanti fino a quando ha sentito che la sua forza spirituale stava diminuendo, e voleva imparare questa diminuzione della sua forza spirituale come offerta di amore a Cristo e per le persone e per la Chiesa. E ha sempre voluto anche morire per amore, per amore del Signore. Non aveva paura della morte, anzi spesso aveva già il desiderio di poter finalmente passare oltre. Ma quando aveva paura, allora era sempre  e solo per questo: di aver amato troppo poco. Sì, caro professore, per poterla comprendere più profondamente ed esistenzialmente in tali affermazioni, bisogna fermarsi con Lei, sopportare e diventare poveri di spirito.

Il mistero della sostituzione vicaria

E quando ho detto, cari fratelli e sorelle, che anche lui voleva praticare il suo "lasciarsi andare" per la Chiesa, per il popolo, allora un mistero diventa visibile nella vita del professor Ulrich, un mistero che appartiene alla parte più intima della Chiesa: il mistero della sostituzione vicaria. Alcuni di voi potrebbero chiedersi cosa potrebbe significare quando diciamo, per esempio, che Cristo è morto per noi. Ha vinto il peccato e la morte per noi. Cosa centro io con il Crocifisso? Ora al contrario, ognuno di noi conosce già il fenomeno in modo puramente umano del come sia più facile per noi quando una persona che ci è amica sopporta con noi la nostra sofferenza. Una persona alla quale mi affido, alla quale posso comunicare le mie ferite o le mie sofferenze. Una persona così mi porta letteralmente con sé e gli costa anche qualcosa, costa tempo, forza, pazienza: in ciò si manifesta una compassione verso l'altro. A Cristo questo portare tutta l'umanità e la sua compassione nei nostri confronti ha causato la sua sofferenza agonizzante e gli è letteralmente costata la vita terrena. Nella misura in cui troviamo la nostra strada verso l'amicizia con Cristo, possiamo anche sperimentare come anche Lui ci tiene, ci porta. E ci sostiene e soffre per noi e perdona continuamente. E ciò è indistruttibile! Niente può separarci dall'amore di Cristo (come abbiamo ascoltato nella prima lettura).

Uno che ha partecipato alla sofferenza vicaria di Cristo 

E questo Gesù Cristo ci manda sempre di nuovo persone che partecipano a questo mistero della sua sofferenza vicaria e ne rendono in essa testimonianza. E Ferdinand Ulrich era ed è una tale persona. Ha partecipato con Gesù alla vita e alla sofferenza del popolo e della Chiesa, che ha visto e amato così profondamente nella persona della Madre. E sono sicuro che in questa partecipazione alla croce di Cristo egli ha aiutato molti, che loro lo sappiano o no. Ma nella potenza di Cristo è stato un portatore della croce in questo mondo, per molti di noi. Sapete: Quando ci incontreremo di nuovo in cielo, cosa che spero per tutti noi, allora i nostri cuori, i nostri occhi e le nostre orecchie andranno davvero „oltre“ le apparenza, e ci sarà permesso di percepire chi ha combattuto e amato e pregato e sofferto tanto per noi in modo vicario e compassionevole, in modo che anche noi potremmo esser li nel cielo. E sono sicuro che solo allora sarà chiaro a molti di noi quanto Ferdinand Ulrich sia stato tra coloro che li hanno sostenuti e ha pregato per loro. Ed egli continuerà ad essere questo uomo in preghiera per molti di noi, anzi credo ancora di più adesso.

Stupirsi della gloria del cielo

E naturalmente a lui stesso sarà ora permesso di fare questa esperienza: Mi chiedo chi abbia combattuto per lui, in modo che ora egli stesso sia in cielo. E me lo immagino ora come incontra di nuovo i suoi cari genitori. Ma anche come incontra finalmente Tommaso d'Aquino ed Agostino e la piccola Teresa e tanti altri. O i suoi vecchi compagni, padre Wilhelm Klein per esempio, o Hans Urs von Balthasar o padre de Lubac e molti altri. E sì, caro piccolo fratello pellegrino Ferdinand, sì, non vedo l'ora che questo avvenga anche per me: quando molti di noi saremmo insieme e ci sarà permesso di incontrare il Signore e di vedere Lui e la Sua maestà e la Sua grandezza e la Sua umiltà e il Suo amore, che festa sarà questa, che gioia! E chiedendomi se saremo ancora a filosofare in cielo, penso che forse lo saremo in questo senso: ognuno di noi vede nello stupore un ulteriore aspetto della gloria di Dio e della gloria del cielo, e ognuno di noi può indicare all'altro ciò che vede in tutta questa incomprensibile inesauribilità e bellezza. Sì, sarà una festa poter sperimentare con voi la traboccante pienezza della verità e dell'amore di Dio. Arrivederci, caro vecchio amico, caro padre spirituale, caro piccolo fratello pellegrino di Gesù. E La prego di continuare a lottare e a pregare per tutti noi - in modo che potremmo poi meravigliarci insieme in cielo e giocare e ballare come bambini - davanti all'Altissimo, davanti al nostro Padre. A Lui sia tutta la Gloria, oggi e per sempre. Amen.

Originale tedesco: https://stefan-oster.de/von-der-liebe-die-umsonst-ist-zu-ehren-von-ferdinand-ulrich/?fbclid=IwAR2gJhLqfumlEleIMOZwwU06oa-B5vyzIVXBeYQrwO9_mV2kMBEfCz8RR2Y





Postilla di Roberto Graziotto 

Se mia moglie Konstanze mi dice: devo parlare con lui e se questo lui è un vescovo, allora il cielo ha toccato la terra, allora è stata toccata profondamente nell’anima, perché lei, a parte forse il cardinal Marc Ouellet, non ha mai amato parlare con vescovi, non per superbia, ma per un senso forte della „piccola via“: lei parla con e si cura delle persone che le stanno intorno. 
E non è solo per le sue lacrime, ma perché il vescovo stentava a trattenere le lacrime proprio negli stessi punti che fanno anche per noi di Ulrich un piccolo grandissimo santo, che abbiamo sentito ieri, durante la predica, una grande vicinanza al vescovo di Passau: ci ha presentato un Ulrich che ha amato proprio me, in un dialogo interiore solo proprio con me, che ha portato i miei pesi, in modo del tutto personale. E per la Chiesa, in modo del tutto cattolico (e con un volto francescano e sorridente, come abbiamo visto ieri), sempre e solo nella coscienza del suo grande amico e confessore Padre Klein SJ, che ripeteva una frase di Sant'Ambrogio: ubi Petrus, ibi ecclesia; ubi ecclesia vita aeterna! 
Per me è stato molto impressionante che entrambi i miei figli sono venuti al funerale di Ulrich ed hanno condiviso questa predica nella loro bacheca in Facebook. Ecco una tradizione dei loro commenti: "Mille grazie per la bellissima omelia; è stato un requiem meraviglioso, anche se molto commovente" (Ferdinand). "Oggi abbiamo dato l'ultimo saluto a Ferdinand Ulrich, il cui cuore è stata meravigliosamente colto in questa predica. Anche se la maggior parte dei miei ricordi di lui provengono dalla mia infanzia, sono poche le persone che mi hanno lasciato un'impressione così duratura e amorevole" (Johanna)




Tradotto con www.DeepL.com/Translator (con una mia revisione dettagliata)

giovedì 20 febbraio 2020

Sul ghiaccio sottile del nichilismo. 25 anni di lavoro nel sistema scolastico tedesco - una riflessione

Lipsia. Dopo 25 anni di attività nel sistema scolastico tedesco mi è forse possibile dare o tentare di dare un giudizio su questa mia esperienza di insegnamento e sul sistema stesso. Dal 1994 al 2002 ho lavorato in Baviera come insegnante di religione in una scuola statale elementare  (Grundschule) e professionale (Hauptschule, dalla quinta alla nona classe); a partire dal 2002 ho lavorato in Sassonia Anhalt in un liceo e, da qualche anno, anche in una nuova forma di scuola professionale (Gemeinsschaftschule, dalla quinta alla decima classe).  La scuola in cui lavoro, San Cristoforo (CJD - Christliches Jugenddorf, fondato da un pastore luterano dopo la seconda guerra mondiale), ha un ramo liceale ed uno professionale. Insegno filosofia, latino (liceo) e religione (liceo e Gemeinschaftsschule). Con questo curriculum, durato un quarto di secolo, posso dire di conoscere il sistema scolastico tedesco in quasi tutti i suoi aspetti. 

La scuola elementare dura 4 anni e poi si sceglie in quale altro ramo procedere; in Baviera è possibile anche scegliere un ramo che si chiama Realschule (forse paragonabile alla „Ragioneria“ di una volta) e che dura dalla quinta alla decima classe; è possibile che vi sia un dibattito accademico riguardante la domanda se sia troppo presto decidere nella quarta classe (i bambini hanno perlopiù dieci anni) come procedere a livello scolastico, ma questo dibattito non raggiunge il mondo scolastico. Nella scuola gli insegnanti discutono piuttosto sulla questione se non vi siano troppi genitori che scelgono il liceo; gli insegnanti delle elementari consigliano una certa traiettoria scolastica, ma alla fine sono i genitori che mandano i bambini o non li mandano al liceo. Per quanto riguarda la regione in cui lavoro, non credo che tutti i genitori mandino i bambini al liceo (certo molti lo fanno perché credono che ciò sia più un ramo più prestigioso), perché ne siano convinti, ma piuttosto perché le scuole professionali non hanno una buona fama (vi sarebbe e credo davvero che vi sia un eccesso di bullismo); è vero che da quando noi, come scuola cristiana riconosciuta dallo stato, offriamo questa possibilità "professionale", in esso il numero dei ragazzi è salito ogni anno ed alcuni genitori non hanno mandato il loro bambino al liceo. Spesso i genitori lasciavano i loro figli da noi al liceo, anche se avevano dei voti non belli, per l’atmosfera scolastica e non perché volessero necessariamente che i loro figli arrivassero alla maturità. 

Pur dovendo distinguere tra la scuola in Baviera (uno dei Länder più ricchi della Germania) da quella in Sassonia-Anhalt (uno dei nuovi Länder dopo la riunificazione tedesca, che quando vi arrivai aveva una percentuale molto alta di disoccupati (molto alta nel confronto tedesco; negli ultima anni vi è stato un miglioramento notevole), vi è una tendenza comune a tutto il sistema scolastico tedesco: si da molto attenzione alla varietà dei metodi di insegnamento e in modo particolare a quelli che vengono chiamati i metodi cooperativi, in cui i ragazzi possono coinvolgersi attivamente nell’insegnamento. In questi anni pur approfondendo e approfittando molto dei metodi imparati, dapprima in un seminario di didattica (durato due anni) in Baviera e poi nell’attività scolastica, mi sono sempre chiesto se questa attenzione alla „tecnica scolastica“ fosse davvero così efficiente; mio figlio disse, tanto per fare un esempio concreto, dei famosi „gruppi di lavoro“ (un lavoro in team, invece che singolarmente), quando era ancora a scuola: „in essi uno lavora e gli altri vivono di rendita del suo lavoro). Ed anche se io credo che certe forme di lavoro libero o come „modulo“ (per due settimane i ragazzi lavorano con un modulo preparatorio che poi devono sviluppare da soli) siano sensate, come lo sono le diverse attività parascolastiche in cui allievi più bravi aiutano allievi meno bravi, la mia esperienza mi conferma ciò che ho pensato da sempre: il „rischio educativo“ (Luigi Giussani) è e resta una „proposta“ fatta da adulti a giovani, che possono certamente collaborare anche nella attività di insegnamento, ma il cui lavoro principale consiste nella „verifica“ della „proposta“ fatta dagli adulti. 

Nel confronto internazionale la Germania non si trova tra le nazioni più efficienti nel leggere e calcolare e il fenomeno del bullismo (mobbing) è molto diffuso. Non credo che ci sia una ricetta che risolva tutti i problemi, credo piuttosto che un contributo ragionevole al „rischio educativo“, non sia una questione „tecnica“, ma di coinvolgimento dell’adulto in ciò che fa. Un coinvolgimento che dovrà essere personale, adeguandosi ai diversi rami del sistema scolastico, che dovrà, però, continuamente riformarsi, tenendo conto in primo luogo che i ragazzi non sono solo „spirito“, ma che hanno un „corpo“ - per cui si dovrà farli muovere e non solo nelle ore di sport (con passeggiate rituali, per esempio). 

Per quanto riguarda l’insegnamento della religione la differenza tra i miei anni bavaresi e quelli sassoni anhaltini è la seguente: per l’insegnamento di religione nello stato, in Baviera, era l’Ordinariato che aveva la responsabilità della gestione dell’insegnamento stesso. A livello teologico, cioè nei corsi di perfezionamento, questo implicava una diluizione dei contenuti teologici fino alla negazione esplicita di dogmi come quello della resurrezione reale e non solo simbolica di Cristo. Nella Sassonia Anhalt lavoro invece in una istituzione di origine luterana, ma in vero, essendo io stesso il coordinatore del profilo cristiano della scuola, non ho mai avuto problemi „teologici“; il CJD non ha una teologia, piuttosto un’indicazione pedagogica e cioè che „nessuno deve andare perso“ (Arnold Dannenmann, fondatore del CJD). Quanto questo insegnamento sia un argine al nichilismo imperante dipende insomma dall’insegnante stesso e dalla sua fede personale e dalla sua capacità di tradurla in un percorso didattico, che rispetti una realtà in cui l’80 % dei ragazzi non ha alcuna confessione religiosa.    

Ma ritorniamo ad un livello più generale del discorso. La differenza tra „educazione“ (Erziehung, gli adulti fanno la proposta educativa) e „formazione“ (Bildung, gli adulti sono solo i mediatori di una proposta che fanno i ragazzi stessi) mi sembra piuttosto una questione accademica: nella scuola, dove non vi siano adulti che davvero fanno con tutta la loro vita una „proposta“ che coinvolga in primo luogo loro stessi, i ragazzi si trovano a camminare su quello che Hans Urs von Balthasar chiamava il „ghiaccio sottile del nichilismo“.

Negli ultimi anni ho osservato un lavoro di presenza nella scuola compiuto da mia moglie, Konstanze Szelényi-Graziotto, sia come responsabile dei programmi per i ragazzi „eccellenti“ (a livello di quoziente di intelligenza, ma non sempre di riuscita scolastica) e come insegnante di classe in una quinta della scuola professionale, che a dire dei colleghi era una classe molto complessa. Mia moglie ha una preparazione didattica  fuori dalla norma, ma solamente la sua presenza materna le ha permesso di trasformare un gruppo di ragazzi caotici in un team capace di lavorare da soli e in gruppo. Ed anche per quanto riguarda i ragazzi „eccellenti“ solo un coinvolgimento personale permetterà che la loro „eccellenza“ diventi anche „riuscita“. Ma ovviamente nella scuola non tutto è "riuscita" - i fallimenti fanno parte della vita e della scuola. 

Per riassumere: i ragazzi con cui lavoriamo non si possono „fare“ - sono già stati creati e non necessitano di un nuovo creatore (tanto meno di un „fattore“, perché „creare“ non è „fare“; ed anche il ruolo di „mediatore“ è solamente un modo nascosto di „fare“) - ma possono essere accompagnati nel loro percorso di vita, facendo loro una proposta che in primo luogo regga la persona adulta che la fa; se l’adulto stesso avrà la sensazione di dover fuggire dalla scuola o aspettare le ferie per poter davvero vivere, allora non sta lavorando su quella "roccia" di cui parla Gesù, ma sta semplicemente allargando a vista d’occhio il „ghiaccio sottile del nichilismo“ imperante. 

Per essere più precisi: questo „accompagnamento“ di cui parlo è una „generazione“, che il grande filosofo tedesco appena scomparso Ferdinand Ulrich giustamente distingue dal „fare“. Sovra accentuando il „fare“ (attraverso una tecnica) il cambiamento dei metodi e la cooperazione con i ragazzi non sono per nulla un passo nella direzione giusta. È chiaro che nella nostra società, che non permette una concentrazione prolungata su un argomento, fare una lezione frontale (l’insegnante parla e i ragazzi ascoltano) di 60 minuti è pura follia e dispersione di energie (anche in un liceo), ma detto questo bisogna dire anche, con altrettanta chiarezza, che il compito degli adulti è quello di „generare“ degli adulti, che non lo sono ancora, e non di anticipare i processi pensando che giovani lo siano, adulti, già di per sé. I metodi didattici cooperativi o il dialogo con gli alunni, non solo in fase di verifica, fanno parte di questo processo generativo, ma non lo sostituiscono; quando poi i ragazzi si accorgono che l’adulto ha qualcosa davvero da dire, anche la classica lezione frontale può, se ben dosata, portare i suoi frutti. 

Con queste riflessioni non voglio mettere in dubbio né la professionalità scolastica, né la "tecnica pedagogica" - una "tecnica" non è un mostro: per mangiare abbiamo anche bisogno di una "tecnica"; volevo solo far riflettere su un possibile capovolgimento delle priorità: non è la tecnica che si serve dell'uomo, ma l'uomo della tecnica. 

Infine direi che gli adulti, insegnanti e genitori, non dovrebbero vedersi come degli avversari, come spesso accade, ma cercare di comprendere che, pur nella differenza dei compiti, si ha lo stesso scopo: far si che il „rischio educativo“ riesca ad essere „compagnia al destino“ anche sul „ghiaccio sottile del nichilismo“. In questo viaggio comune verso il senso ultimo della nostra vita i ragazzi dovranno essere guardati con quello sguardo di simpatia assoluta che Gesù ci ha insegnato, in modo particolare nei confronti dei bambini. 

Aggiungo a questa riflessione, che era già pronta qualche mese fa, più articolata e sistematica un aforisma che ho scritto questa mattina (20-02-20) nella mia bacheca in Facebook:  "Don Bosco aveva le confessioni, io le mie passeggiate rituali ed ascolto attentamente cosa mi raccontano le ragazze e i ragazzi (ed anche forse *) e chiedo a Dio che il mio orecchio sia un orecchio della misericordia. Quello che sento è un umanità lacerata, con famiglie già spezzate nei primi anni di convivenza, per i diversi motivi, che possono essere una malattia improvvisa, che costringe uno dei due in carrozzella. O rapporti con persone che portano alla rinuncia della propria partner/del proprio partner. Potrei parlarne per ore: delle litigate di fronte ai bambini. Etc. Quello che sappiamo dal catechismo sulla famiglia non ha nulla a che fare con lo stato reale; per questo non credo che il ripetere il catechismo serva ai miei piccoli, credo di dover diventare completamente quell'orecchio della misericordia".

Questo mio articolo si intende come il mio contributo "tedesco" al patto educativo globale voluto da Papa Francesco per il 14 maggio di quest'anno. Credo che i temi del Santo Padre: l'inclusione versus la cultura dello scarto, l'educazione alla pace e come attenzione ecologica, l'educazione come generazione di fraternità, l'educazione come positivo approccio della diversità ed il mio giudizio sulla tecnica scolastica al servizio delle persone concrete che agiscano nella scuola, come proposta generativa di un adulto che genera apponto adulti possano arricchirsi a vicenda.  Tutte le dimensioni che stanno cuora al papa non possono essere "fatte", ma sono possibili solo in un processo generativo che include e non esclude il processo di maturazione dei ragazze*ragazzi stessi. Il Papa stesso è quell' "adulto" che ci educa ogni giorno a prendere sul serio la fratellanza universale degli uomini e l'attenzione per la nostra casa comune, in modo da non sprofondare in quello che ho chiamato il ghiaccio sottile del nichilismo.  

Appendice

Commento di Maria Grazia Nannetti

Roberto, hai ragione ed è proprio questo, che sottolinea Papa Francesco, che aiuta i ragazzi a divenire adulti maturi e responsabili. Purtroppo la scuola italiana ha avuto un'accelerazione fortissima nell'aspetto "tecnicistico". Ogni giorno arrivano sollecitazioni pressanti per iniziare nuove attività, un nuovo progetto utilizzando PERÒ le metodologie didattiche, considerate moderne e risolutive...queste invece rendono i nostri alunni ancora più confusi, irrequieti e "schizofrenici". La scuola dovrebbe essere il luogo della tranquillità, della riflessione, dell'acquisizione di un metodo di studio, di lavoro, di confronto sereno. Un luogo dove imparare a relazionarsi con i padri e con gli adulti, invece tutto questo eccesso di stimoli li rende instabili, inquieti, nervosi, spesso aggressivi tanto da arrivare in molti casi alla violenza o al bullismo. Questo che ho descritto è il disagio che vivo quotidianamente e che non ho la possibilità di poter arginare in nessun modo, la scuola impone questo, noi dobbiamo adeguarci e parafrasando Garibaldi, a malin cuore: obbedisco!

Mia risposta ad Angelo Lucio Rossi: 

Angelo, a questo livello di progettualità (molto impressionante ciò che fate) ovviamente noi non possiamo concorrere con una scuola che si trova in una città; la nostra si trova in un paesino di 2.000 abitanti, nel cui territorio non succede molto, al massimo vi è la possibilità di fare un "tirocinio" nell'asilo o alcune collaborazioni rare come quella in occasione del 850 compleanno del nostro paese. Le nostre opere si possono riassumere così: 1. Un progetto sui ragazzi eccellenti, ma non sempre efficienti, in collaborazione con alcune università. 2. Un progetto con l'università luterana di Wittenberg su temi storici ed archeologici. 3. Un dialogo continuo con le parrocchie nel territorio, in modo particolare quelle luterane ed alcune cattoliche. 4. Un progetto politico con un onorevole della CDU in Berlino (foto si possono vedere nella mia bacheca di Facebook). 5. Presenza in Facebook ed Instagram. 6. Progetti internazionali in Usa (Arizona, Sud Carolina, New Hampshire), in Armenia (finanziato dal ministero della Cultura a Magdeburg), in Francia e in Lettonia. 7. Un progetto dei genitori per il passaggio dall'età bambina a quella giovanile, chiamato Juventusfest, nell'ottava classe. 8. Un progetto di biologia e chimica con l'università di Merseburg. 9. Un progetto di cultura e lingua inglese a Malta per la nona classe. 10 Un progetto musicale chiamato "Big band". 11 Diverse collaborazioni lavorative con delle ditte per il nostro rame "professionale", etc. Ma tutti questi progetti spero proprio che non facciano rompere il ghiaccio sottile del nichilismo, perché allora saremmo nell'abisso. La metafora di Balthasar non è solubile, visto che né è lecito indurire il ghiaccio né romperlo. Solo l'amore gratuito può sorreggerci in questa dimensione di grave pericolo in cui ci troviamo, così hai ragione a dire che abbiamo più bisogno di testimoni che di maestri.

Seconda risposta ad Angelo: è interessante quello che dici sul "villaggio per educare", tanto più che CJD, significa "villaggio cristiano dei giovani", con quattro accenti: religioso, politico, sportivo e musicale. Sono coinvolti ca. 90.000 persone nel CJD. Quanto siano esperienze vive si dovrebbe vedere da caso a caso: le scuole sono solo uno degli aspetti del CJD. Il nostro viaggio nelle Dolomiti, una volta all'anno, tiene insieme, con una nota giussaniana, le dimensioni religiosa e sportiva. Buona notte, appena ho tempo do un'occhiata alla fondazione Schola Occurentes.

lunedì 17 febbraio 2020

"Prima di tutto viene la Grazia di Dio" - dialogo con Lucio Brunelli in occasione del suo libro sul Papa

Lipsia-Roma. In due delle lunghe notti tedesche invernali, quando il fratello di Lucio, Bruno, si trovava in Germania, per un incontro di fraternità di quella realtà che in Facebook porta il nome di „Contadini di Peguy“, alzandomi molto presto al mattino ho letto il racconto dell’amicizia tra il giornalista italiano e l’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, diventato nel marzo del 2013, Papa Francesco. Nella notte è brillata una luce, quella che può dare solo una realtà umana: l’amicizia come espressione di un amore gratuito. Una luce che mi ha fatto molto bene! Sono contento che ora il racconto diventi un libro nelle edizioni San Paolo.: Lucio Brunelli, Papa Francesco. Come l’ho conosciuto io, Cinisello Balsamo (Milano) 2020. In occasione della pubblicazione prossima abbiamo avuto l’idea - noi „Contadini di Peguy“ - di fargli un’intervista. 


Roberto Graziotto (RG): Anche Papa Giovanni XXIII ed in vero tutti i Papi posteriori al Concilio Vaticano II sono stati attaccati da quelli che chiamerei con Remi Brague i „cristianisti“ (cioè persone che amano più il cristianesimo come sistema d’ordine sociale e politico che Cristo come avvenimento di amore) con l’accusa di aver scalfito punti importanti della dottrina cattolica: aggiornamento come adeguamento al mondo; eccessivo dialogo con le altre religioni che affonderebbe l’identità cattolica, abbandono del ministero petrino come discesa dalla Croce, etc.  Come spiegheresti questo attacco dei cristianisti ai Papi del Concilio e in modo particolare a Papa Francesco? Ne ha parlato recentemente anche il filosofo italiano Massimo Borghesi, che nel 2017 ha scritto una biografia intellettuale di Jorge Mario Bergoglio, in un articolo de „Il Sussidiario“: „L’odio verso gli ultimi Papi: una questione politica“, o per dirla con Borghesi stesso di „teologia politica“. 
Lucio Brunelli (LB):  Una componente strettamente politica ha sempre agito nella contestazione ai papi: penso agli attacchi molto virulenti e sarcastici portati a Giovanni XXIII negli anni 60 dalla rivista "Il Borghese", che lo accusava di essere un papa comunista solo perché ricordava i principi della dottrina sociale cattolica e distingueva tra errore ed errante; attacchi grossolani molto simili a quelli di certa stampa di destra oggi contro Francesco. Questa componente politica si è spesso saldata con una ideologia 'cristianista' che riduce la fede a un vessillo da battaglia, da sventolare contro i nemici, perdendo di vista il cuore del cristianesimo, cioè Cristo stesso, il suo sguardo di salvezza sul mondo, aperto ad ogni uomo. Oltre a questi fattori nell'opposizione ai papi del concilio e post concilio credo abbia giocato anche il disorientamento di alcuni fedeli che, in buona fede, non hanno capito il valore di certe riforme, a volte a causa del massimalismo di alcuni innovatori che presentavano il Concilio Vaticano II come l'anno zero della cristianità e l'annullamento di ogni buona tradizione. Questo disagio - che può essere compreso - è stato poi strumentalizzato dalla destra politica-cristianista che peraltro non è un fenomeno del tutto nuovo nella storia contemporanea. Pensiamo all'Action Francaise di Charles Maurras - ateo devoto che considerava il cattolicesimo solo come cornice di una ideologia nazionalista - e contro cui dovette intervenire Pio XI negli anni tra le due guerre. 
RG: In Netflix, quello che chiamo l’unico libro di testo dei giovani, è stato presentato un film: „I due papi“ che è un opera d’arte e non un opera di ricostruzione storica e giornalistica; a me sembra che il film, pur nella sua libertà artistica colga un momento importante: l’amicizia in Cristo del Santo Padre e del Vescovo emerito di Roma Benedetto XVI. In occasione del sessantacinquesimo del suo sacerdozio, facendo citazioni in greco e latino, il Papa emerito (o per esprimersi in modo più corretto, il vescovo di Roma emerito, che non ha alcuna funzione di governo) ha detto al Santo Padre, che egli si sente protetto dalla presenza di Papa Francesco con il suo instancabile lavoro per la misericordia divina e non dalla bellezza dei giardini vaticani. Come mai si vuole mettere in dubbio questa amicizia reale e questa reale obbedienza di Benedetto XVI nei confronti del suo successore? Tanto più che per quanto riguarda il celibato dei sacerdoti, anche a livello di contenuti, le posizioni del Papa e del suo successore sono molto simili. Nel documento appena uscito, „Querida Amazonia“ , il Santo Padre insiste più sul ruolo dei laici e in un suo recente libro sul celibato, „Gli amici dello sposo“, il cardinal Ouellet insiste sul fatto che Cristo era un laico e non un levita, anche se ovviamente come Figlio di Dio e dell’uomo, è in modo eminente anche sacerdote. Nell’esortazione apostolica „Querida Amazonia“ , per quanto riguarda l’ordine sacerdotale, si ripete ciò che la tradizione latina presenta come un grande dono: l’eucarestia e la confessione sacramentale, sono i compiti specifici del sacerdote ordinato e celibe (sebbene vi siano eccezioni), tutto il resto, credo, che sia a disposizione di ciò che lo Spirito Santo ci vuole far capire nella nostra era. 
LB: - Sulla questione del celibato dei sacerdoti il pensiero di Francesco era noto da tempo, in continuità con i predecessori non si sente di modificare questa antica disciplina che non ha una origine sessuofoba ma esprime la gratuità di una dedizione totale al servizio della comunità. Poi alcune deroghe esistono già e aggiungerne altre, per le regioni più remote dell’Amazzonia, non avrebbe scalfito di per se alcun dogma cattolico. Ma Francesco – sapendo di deludere stavolta la parte progressista – ha ritenuto che non fosse opportuno aggiungere altre deroghe e ha indicato altre soluzioni pratiche per sopperire alla mancanza del clero in Amazzonia. Il papa inoltre ha il compito di garantire l’unità della Chiesa che non è un valore politico ma evangelico, probabilmente ha tenuto conto anche di questo fattore. Anche in questo caso si era voluta costruire a tavolino una contrapposizione drammatica tra il papa regnante e quello emerito, prima costruendo una caricatura di Bergoglio deciso ad abolire tout court il celibato e poi una caricatura di Ratzinger che scende in campo per contrastare il papa regnante. C’è chi gode a spargere veleni. Ora, credo sia normale e anche bello che ogni fedele cattolico abbia il suo santo preferito (quello che più corrisponde al proprio temperamento e da cui più facilmente si impara la fede e la carità) e quindi anche che ogni cattolico abbia il suo papa preferito. La Chiesa è bella anche perché è varia. Ma leggere quello che leggiamo oggi sui social - l'odio contro "l'argentino abusivo" in nome del "vero papa" - fa pensare davvero ad un male torbido in azione.  Nulla mi potrà convincere che chi usa queste espressioni e fomenta in questo modo la divisione tra Francesco e Benedetto sia animato da amore sincero alla chiesa.
Le differenze ci sono, di temperamento e di storia. Ma ai credenti più semplici e umili è evidente che ciò che li unisce è infinitamente superiore agli elementi di diversità. Innanzitutto la fede in Gesù Cristo, che può interessare poco a certi militanti politici o ad alcuni analisti di affari vaticani, ma è l'unico vero tesoro della Chiesa, che ogni papa è chiamato a confermare e testimoniare. Li accomuna anche un realismo storico, prendono entrambi atto della fine della cristianità, la dissoluzione di un cristianesimo sociologico di massa, e la convinzione che non sarà un proselitismo aggressivo ma solo un'attrazione, una testimonianza credibile "di persona in persona" a persuadere gli uomini secolarizzati del nostro tempo circa la verità del Vangelo di Cristo. 
RG: Vi sono certo persone che attendono che Papa Francesco muoia per cambiare pagina, ma io non credo che si tratti solo di Papa Francesco, ma di una reale sequela a Gesù che ha portato a superare ogni, anche se lontana, affinità a quello che viene chiamato il Vangelo della prosperità. Insomma non  credo che morto Francesco o dopo le sue possibili dimissioni si possa ritornare ad un’atteggiamento teologico pre conciliare, pur in tutto il rispetto dei Papi anche antecedenti al Concilio Vaticano II: la fratellanza tra tutti gli uomini, l’ecologia integrale, il dialogo con tutti i fratelli uomini non sono un’invenzione di Papa Francesco. E per quanto riguarda la povertà, anche il cardinale di New York, Timothy Dolan, un cardinale moderatamente conservativo, nei suoi video in Facebook, che ascolto per migliorare il mio inglese, in un suo viaggio a Cuba, di questi giorni, ci tiene a presentare una Chiesa povera per i poveri.  Che ne pensi? 
LB: Certo che i temi che hai menzionato non sono invenzioni di Francesco. Paolo VI dedicò al tema del dialogo la sua prima e bellissima enciclica "Ecclesia suam". Giovanni Paolo II inventò gli incontri interreligiosi di Assisi contro cui scagliarono furenti anatemi i tradizionalisti di monsignor Lefebvre. Benedetto fu il primo papa a sollevare con forza l'attenzione sul tema della custodia del creato, tessendo persino un elogio dei verdi quando nel 2011 intervenne nel parlamento tedesco (nel settembre del 2011). La predilezione per i poveri e gli emarginati non l’ha inventata nessun papa, è stata un attitudine di Gesù. Tutta la storia della santità cristiana in questi duemila anni è in larga parte storia di amore operoso per gli ultimi, gli scartati, i derelitti. 
Francesco si muove sul solco di questa grande tradizione. Cerca il dialogo con tutti, la fraternità tra i popoli - pensiamo al documento sulla fraternità tra tutti gli uomini che Papa Francesco ha firmato con il Gran Imam  Ahmad Al-Tayyeb, il 04.02.2019 ad Abu Dhabi: dovrebbero forse incitare alla guerra santa? Poi al mattino, a santa Marta, ci parla di Gesù unico Salvatore dell'uomo che va in cerca dell'anima più lontana e smarrita. 
RG: Papa Francesco sul grande palcoscenico del mondo e la piccola Teresa sul piccolo palcoscenico di Lisieux hanno compreso quello che il grande teologo Hans Urs von Balthasar ha espresso in una frase famosa: „solo l’amore è credibile“; sbaglio nel pensare che la grande sfida di papa Francesco a noi uomini di questo tempo è quella del „primerear“, un amore che viene prima di tutto, anche prima di dimensioni importanti del reale: come la Legge? All’undici di febbraio è morto il grande filosofo tedesco Ferdinand Ulrich, che ha tentato, proprio alla scuola della piccola Teresa (come ha spiegato recentemente il suo giovane amico e vescovo di Passau, Stefan Oster) e di Charles de Jesus, oltre che di Ignazio di Loyola, di pensare l’essere stesso in tutta la sua fragilità: il grande dono che Dio fa all’uomo dell’essere come amore, viene prima di ogni nostro agire. È un dono semplice e completo, ma non sussiste (Tommaso d’Aquino), è fragile, non è un „privilegio“ (come la divinità di Cristo non lo era, secondo Fil 2,6): Dio sussiste e noi sussistiamo come persone in relazione a Lui. Ministero (Papa Francesco) e filosofia (Ferdinand Ulrich) sono del tutto in accordo: prima di ogni agire vi è il dono fragile dell’amore. 
LB: Prima di tutto viene la Grazia di Dio. Prima di ogni iniziativa, prima perfino di ogni desiderio buono, perché noi non siamo capaci di amare veramente se prima non sperimentiamo su di noi un amore gratuito. "Senza di Lui non possiamo fare niente", non a caso il titolo dell'ultimo libro-intervista di papa Francesco con Gianni Valente sulla missione della Chiesa. Un libro che tutti dovrebbero leggere. Questo 'Primerear' prima di essere un dato di fede è la storia esistenziale di Bergoglio. La storia della sua conversione a 17 anni, ma la storia di tutta la sua vita. L'esperienza di un “essere guardato” che precede lo stesso guardare. Come lo sguardo misericordioso di Gesù sul “collaborazionista” Matteo, mentre lui era affaccendato in altre cose: il passo del Vangelo che Francesco ama di più.
RB. Il rispetto per i vecchi, mi sembra anche un tema importante della predicazione di papa Francesco. Nella mia vita ho però anche fatto esperienza di vecchi che sono molto dominanti e che non permettono ai giovani di vivere. Ferdinand Ulrich, che con la sua spiritualità ignaziana, mi ricorda moltissimo il Papa, mi disse una volta che una giovane donna avrebbe dovuto evitare che suo padre venisse ad abitare da lei, dopo la morte della madre, perché la sua dominanza l’avrebbe uccisa. Il papa, come anche Ulrich, sono due persone che sono del tutto „trasparenti“ alla „tenerezza di Cristo“, eppure il giudizio di Ulrich in questo caso era molto duro; non ho mai avuto dubbi che questa „durezza“ fosse  l’altra faccia della misericordia, come tra l’altro testimoniano i Salmi, che non sono mai sentimentali. Cosa ne pensi? 
LB: Dei Vangeli fanno parte le invettive di Gesù contro i sepolcri imbiancati e la sua indignazione fremente contro i mercanti del tempio. Sono pagine del Vangelo che non si possono staccare. Ma come dici tu, è una durezza che nasce dal desiderio di aprire i cuori. L'altra faccia della misericordia, perché "Il Signore non si stanca mai di perdonare".
In una recente omelia a Santa Marta il papa ha parlato del dono delle lacrime per il male compiuto citando il grande Efrem il siro: "è indicibilmente bello un volto pulito dalle lacrime". C’è un’umiliazione benedetta, quella che rende umili e quindi più aperti a un cambiamento. 

Postilla con alcuni degli articoli ed interviste sul libro che mi sembrano particolarmente riusciti:

(Intervista all'autore in TV 2000 del 20.02.20): 



(Articolo di Riccardo Cristiano, 25.2.20): 

(Intervista del Sismografo con l'autore a cura di Luis Badilla e Robert Calvaresi, 28.02.20): 

Articolo su "La Stampa" di Salvatore Cernuzio del 8.3.20: 

Intervista di Annachiara Valle con Lucio Brunelli, il 12.03.20 (Famiglia Cristiana) 



Servizio del TG 2 al 12.03.20: 

Enzo Bianchi, Tutto Libri, La Stampa, al 14.3.20




Lo stesso articolo in una foto di migliore qualità: 







Nel giorno di san Giuseppe, 19.3.20 L'Osservatore Romano ha pubblicato l'ultimo capitolo del libro di Lucio Brunelli.

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Podcast mit Lucio Brunelli: 





venerdì 14 febbraio 2020

Noi e l'esortazione apostolica Querida Amazônia

Noi e l'esortazione apostolica Querida Amazônia

Lipsia. Credo che il documento debba essere letto e meditato in tutta la sua grande pluralità sociale, culturale, ecologica e ecclesiale. Io ho cominciato a fare questo lavoro, anche con lo studio dell'enciclica "Laudato si'".

Già dal punto numero uno l'esortazione apostolica post sinodale non si mette in contrasto con il testo intitolato "Amazonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un ecologica integrale", che il Santo Padre invita a "leggerlo integralmente" (punto numero tre). Ed al punto numero quattro dice esplicitamente: "Dio voglia che tutta la Chiesa si lasci arricchire e interpellare da questo lavoro, che i pastori, i consacrati, le consacrate e i fedeli laici dell’Amazzonia si impegnino nella sua applicazione e che possa ispirare in qualche modo tutte le persone di buona volontà."

Quindi non vedo nella pubblicazione del Santo Padre, a parte che nessun "sentire cum ecclesia" romano cattolica è possibile sine Petro, nessun fallimento della sinodalità - quella cum Petro, perché un'altra semplicemente non è cattolica e chi la sostiene dovrebbe fare i passi che ritiene necessari per la sua coscienza senza aspettarsi che la Chiesa romana diventi quello che vogliono loro.

Chi è il centro di questo documento? Cristo! Gesù Cristo, laico e sacerdote (non levita, che non lo era). Il falegname di Nazareth, figlio dell'uomo e figlio di Dio, è la proposta che il Santo Padre fa ai popoli dell'Amazonia, prendendo sul serio la loro cultura.

Sulla questione della laicità Riccardo Cristiano cita una fonte importante: "Il punto è importantissimo perché le possibilità sono due: o Francesco ha smentito il sinodo e quindi ha interrotto, lui che lo ha avviato, il percorso di riforma sinodale della Chiesa, o ha confermato il percorso sinodale. Per capirlo secondo alcuni è necessario stare alle parole ufficiali e proprio alle parole ufficiali di papa Francesco fa riferimento per sostenere una tesi molto interessante un nome prestigioso come Viktor Manuel Fernandez, da tanti definito per anni “il teologo del papa” e oggi arcivescovo argentino di La Plata dopo essere stato gran cancelliere della Pontifica Università Argentina.
Dunque quello che dice va letto con attenzione perché propone di cambiare, e non di poco, il senso di quel che sin qui si è detto. La sua dichiarazione, apparsa su Religion Digital, parte da una constatazione un po’ amareggiata: “Molta gente, prima di leggere ‘Querida Amazonia’, si è concentrata sul disappunto che non vi si parli di viri probati, cioè dell’ordinazione di alcuni uomini sposati. Qui non si è saputa riconoscere una preoccupazione che Francesco ha espresso varie volte: pensare a soluzioni troppo clericali davanti ai problemi della società e della Chiesa in Amazzonia. Lui ha meglio insistito nel confrontarsi con le carenze e le difficoltà dando luogo, con maggiore audacia, a una Chiesa marcatamente laicale. Alcune persone progressiste, durante il Sinodo si sono lamentate che le aspettative si concentrano sui viri probati invece che sul cammino di cui si ha bisogno in Amazzonia. Si tratta di dare maggiore autorità ai laici, e di accompagnarli perché possano prendere loro le redini della Chiesa in Amazzonia. Per questo Francesco chiede espressamente che non si confonda il sacerdozio con il potere. Francesco chiede che i laici in Amazzonia sviluppino di più le loro attribuzioni e capacità di organizzazione e gestione delle comunità. La discussione sui viri probati ha indotto alcuni a concentrarsi su questo invece di immaginare i cammini di una Chiesa marcatamente laicale”." (https://formiche.net/2020/02/amazzonia-chiesa-esortazione-fernandez/?fbclid=IwAR36Uz6QhtbQAi4s1Ja2C3kmk_Db4ATZXk1CsyLtC5MLx55dGV9SQHTDd5o )

Per quanto riguarda la figura del sacerdote il Papa ci fa capire che egli non è un "capo", ma un "servitore" (Gv 13) della confessione e dell'eucarestia. Questi sacramenti sono specifici dell'ordine sacerdotale; sacerdote, che per la Chiesa romana è un maschio celibe - che sia un maschio è un dogma, che sia celibe è una scelta che spetta alla Chiesa universale cum e sub Petro. Vi sono delle eccezioni al celibato anche nella Chiesa romano cattolica, ma sono per l'appunto eccezioni (per esempio il caso dei sacerdoti anglicani sposati convertiti).

Il celibato è un grande dono e non solo un problema (è il problema non è il celibato, ma chi non lo vive, pur dicendo di viverlo). Una famiglia di per sé non è garanzia, per la mancanza di simmetria che spesso vi e nella gestione dei bisogni da parte degli sposi, di equilibro. Non vederlo è questione di "immaginazione", per parlare con Lacan; di totale incapacità di riflessione "simbolica" (linguaggio).

Anche l'"Humanae vitae" (in queste ore si è parlata anche di essa), difesa dal filosofo della scuola di Francoforte Max Horkheimer, perché secondo lui la pillola distruggerebbe l'amore erotico, non è il "male" che mostrerebbe la sessuofobia della Chiesa, anche se io ritegno che la struttura del desiderio sessuale debba essere presa più sul serio, di quanto si faccia nella Chiesa e nei suoi documenti - detto questo, che la sessualità sia al "servizio" anche della figliolanza, che era il tema dello scritto di Paolo VI, è certamente vero.

Nella nostra società trasparente e pornografica (Bjung-Chul Han) e/o melanconica (Massimo Recalcati) non abbiamo un problema di troppo desiderio, di troppa libido, ma di troppo poco/a. La trasparenza pornografica uccide l'eros, anche se forse è possibile distinguere anche tra le diverse forme pornografiche.

Non so se in Amazonia abbiano lo stesso nostro problema, ma noi nella società trasparente, non abbiamo tanto il problema di una "Legge" che condanni il desiderio, ma di un'esperienza di vero amore che "liberi" anche il desiderio - sessuale e non.

Questo post nasce in dialogo con pensieri che ho letto qua e la nella rete e non vuole essere un commento dell'esortazione, che inviterei a leggere pian piano per intero.

domenica 2 febbraio 2020

Brevi aforismi su "E rimasero sorpresi" di Maria Giovanna Augugliaro

Raccolgo in questo post alcuni aforismi scritti in questi giorni su un libro di racconti di Maria Giovanna Augugliaro, "E rimasero sorpresi", scrittrice siciliana, che mi ha fatto conoscere Massimo Borghesi:  "Le esistenze, nei racconti del volume, si dividono tra inferno e paradiso, tra miseria e riscatto. Descrivono, per lo più, destini di donne. Gli uomini, tolto l’amante del quarto racconto che allontana Valeria dalla sua famiglia, sono figure positive, suggeriscono vie di ripresa: un tratto singolare in una scrittrice profondamente legata ai destini femminili" (Massimo Borghesi).

Maria Giovanna Augugliaro, E rimasero sorpresi, Catania 2019.

1. Dal canto suo viveva un’inquietudine continua. Si chiedeva perché il suo cuore fosse ostinato e pulsasse ancora mentre dentro si sentiva spenta, come morta. Quella domanda la infastidiva. Non riusciva a trovare una risposta.
Giovanna Augugliaro,  La strada
Quando ci si sente così, si ha bisogno di un incontro con una persona che ti ami davvero e gratuitamente, senza un piano. Clara, la donna che vive in questa "inquietudine continua" (Giovanna Augugliaro), ha perso un bambino. Il "distacco profondo" da questo bambino non può essere ricolmato con "discorsetti", con nessun tipo di discorsi, ma solamente con un reale amore gratuito che è sempre "a due", ma in contesto e con un compito. Paolo, il dottore che si occupa dei migranti, offre questo contesto e questo compito a Clara; alla fine sarà possibile, per Clara, riaprire anche la questione "Dio"; ma senza la presenza di Paolo, quella di Dio sarebbe stata solo astrazione.
Il racconto mi mi ha ricordato anche il modo con cui Adrienne von Speyr descrive l'inferno. Come un non-luogo senza forme e senza speranza, il contrario della vita: Paolo tira Clara fuori da quel non-luogo di disperazione senza alcune forme, con la forma dell'incontro di cui ho parlato prima.

2. Guardava la realtà senza mai chiedersi come funzionasse veramente, al di là dei numeri. Era convinto che fossero loro a farlo girare. Il mondo. Addendi e sottraendi. Ecco tutto. E quindi tutti gli uditori potevano comprendere quanto la situazione fosse grave...
Giovanna Augugliaro, Il lavoro di una vita

 Il tema della riduzione della realtà a numeri, non è nuovo e non deve neppure esserlo, perché in vero quando si scrive, si scrive sempre in un contesto di migliaia di anni di letteratura. Nel racconto, "Il lavoro di una vita", Giovanna Augugliaro fa parlare la situazione stessa: la perdita di lavoro per via dei "calcoli" che non vedono più la convenienza di ciò che si era fatto per anni (forse si tratta della chiusura di un'ospedale, ma come stiamo vivendo in questi giorni, come pericolo, anche qui da noi, nella zona della Sassonia Anhalt in cui vivo); ma basta un movimento nel grembo di Cinzia, che è in cinta, per rimettere tutto in moto, per credere che l'ultima parola sulla propria storia e così sull'essere non è un "calcolo", ma la "gratuità" della vita stessa, che è Amore, per l'appunto Amore gratis.

3. Era la prima volta che la guardava veramente. Sentiva il richiamo di quella fede che aveva intravisto in Sara (malata di cancro, nello stato finale: RG), ma in fondo non aveva mai provato: scegliere di credere era un atto di coraggio. Gesto dalle conseguenze imprevedibili. E lei (Clara) aveva paura. Si rese conto di avere finto, sempre, per rimanere a galla. Senza mai andare al fondo delle cose, negli abissi dell’assoluta libertà. Ripetere riti, i suoi soliti riti, la faceva sentire al sicuro, con il controllo fra le dita. Era evidente. Ma quella faccia lì... la sconvolgeva.
Giovanna Augugliaro, Le equazioni della storia

 Certo la morte è l'ultima nemica ed anche chi crede ha paura, sebbene abbia paura al cospetto di un Tu (G. Bernanos), ma è molto vero ciò che Giovanna Augugliaro fa dire alla "sua" Clara nel racconto "Le equazioni della storia": credere è un atto di coraggio, un gesto che non sta sotto il nostro controllo; ci si consegna ad un'altra libertà e questo davvero "ha conseguenze imprevedibili", mentre le nostre elucubrazioni non le hanno mai.

4. Un’italiana stava lì da tempo. Qualche settimana, un mese, forse di più. Occupava quello che ormai in molti chiamavano l’angolo del silenzio. Senza parlare fissava per ore un orizzonte lontano come se fosse in mare aperto. Perduta.
Giovanna Augugliaro, Crème Brûlée 

Si tratta di Valeria che ha tradito suo marito e i suoi figli per riempire il vuoto con un "amore-vuoto", non con un "amore-povero" (Ferdinand Ulrich). L'incontro con l'azione professore di filosofia Martin Crystal le riapre questa via dell'amore-povero. 
«Avevo bisogno di colmare il vuoto che mi divorava», per questo si era lasciata andare ad un rapporto con chi la voleva solo usare, per sotterrare il suo vuoto. Questo è il grande problema del nichilismo: il nulla, il vuoto genera altro nulla, vuoto. La via d'uscita, imparo dal racconto di Giovanna Augugliaro, ciò che sto imparando dal grande filosofo tedesco Ferdinand Ulrich, è un nulla non nichilistico, ma il nulla della gratuità dell'amore dell'anziano professore che le ricorda che un matrimonio non finisce per un tradimento e del marito che quando sente la sua voce al telefono dice: «Stai tornando... è la cosa più importante.» e di lei stessa che prende la decisione di tornare, senza alcuna sicurezza di essere accolta. 
Un matrimonio è qualcosa di "povero" (“un’esistenza semplice, magari non facile.) - quella donna, quell'uomo non un altro o altri, un'altra altre, ma in quell'amore-povero si apre un percorso di gratuità che rende la vita sensata, che ci fa sentire a "casa". 
Dio ci appare sempre e solo attraverso la bellezza di incontri gratuiti e la grande sfida è che la pienezza della sua gloria è l'altra faccia dalla povertà del suo amore "crocifisso". Che non si presenta in modo "moralistico", che trova anche un senso nel peccato (Claudel), perché tutto ci fa maturare; concede anche che forse quel desiderio di riempire il vuoto era una domanda giusta, a cui si è data una risposta sbagliata.

5. "Scrivere è il mio modo di affrontare la realtà." 
Giovanna Augugliaro, Io e Rhò 

Lo dice di sé una donna (l'io che racconta la storia) che si descrive così: 
"Nessuno ricorderebbe dopo anni una mia camicetta rossa aderente o parti posteriori in evidenza. Non ero proprio una di quelle donne slanciate e ben fatte che fanno trattenere il fiato. O implorare un appuntamento.
Diciamo per essere clementi che ero un po’ sguarnita. Però sono dovuta arrivare a quasi cinquant’anni per comprendere all’improvviso quanto sia seducente e raro essere una persona umanamente viva."
Un essere vivo che si esprime nella voglia di scrivere e parlare e che l'io che racconta "sente" in questo modo: come "un orgasmo vero e proprio aggiungerei se a qualcuno non facesse un po’ paura."
"È una donna che ha bisogna di liberarsi da tutto ciò che non le permetta di essere libera: "Nessun impegno e nessun rapporto da salvare a tutti i costi. Forse, penso, ho solo ripreso a essere importante, per me stessa.
Mi vanto di avere pochi amici, selezionati al microscopio. Tipi coraggiosi, non c’è dubbio. Senza paura di ascoltare. Decisamente instancabili." E tra questi amici c'è Rhò, malata di cancro, ma che affronta la realtà come qualcosa che le è stata donata, anche il cancro è un dono. Da Rhò, Giulia, l'io che racconta, impara una filosofia esistenziale senza la quale tutti noi siamo condannati all'eterna infelicità: "Nessuna stizza, nessuna recriminazione. Niente di niente." È quello che devo imparare anch'io, in modo particolare con quei colleghi che mi feriscono. Nessuna recriminazione, solo un atteggiante che chiamerei "ontologico": la capacità di vedere in tutto e in tutti un'espressione della donazione gratuita dell'essere come amore. 
Infine dobbiamo imparare da Rhò ad ascoltare di più - in terra o in cielo, fa lo stesso.