giovedì 20 febbraio 2020

Sul ghiaccio sottile del nichilismo. 25 anni di lavoro nel sistema scolastico tedesco - una riflessione

Lipsia. Dopo 25 anni di attività nel sistema scolastico tedesco mi è forse possibile dare o tentare di dare un giudizio su questa mia esperienza di insegnamento e sul sistema stesso. Dal 1994 al 2002 ho lavorato in Baviera come insegnante di religione in una scuola statale elementare  (Grundschule) e professionale (Hauptschule, dalla quinta alla nona classe); a partire dal 2002 ho lavorato in Sassonia Anhalt in un liceo e, da qualche anno, anche in una nuova forma di scuola professionale (Gemeinsschaftschule, dalla quinta alla decima classe).  La scuola in cui lavoro, San Cristoforo (CJD - Christliches Jugenddorf, fondato da un pastore luterano dopo la seconda guerra mondiale), ha un ramo liceale ed uno professionale. Insegno filosofia, latino (liceo) e religione (liceo e Gemeinschaftsschule). Con questo curriculum, durato un quarto di secolo, posso dire di conoscere il sistema scolastico tedesco in quasi tutti i suoi aspetti. 

La scuola elementare dura 4 anni e poi si sceglie in quale altro ramo procedere; in Baviera è possibile anche scegliere un ramo che si chiama Realschule (forse paragonabile alla „Ragioneria“ di una volta) e che dura dalla quinta alla decima classe; è possibile che vi sia un dibattito accademico riguardante la domanda se sia troppo presto decidere nella quarta classe (i bambini hanno perlopiù dieci anni) come procedere a livello scolastico, ma questo dibattito non raggiunge il mondo scolastico. Nella scuola gli insegnanti discutono piuttosto sulla questione se non vi siano troppi genitori che scelgono il liceo; gli insegnanti delle elementari consigliano una certa traiettoria scolastica, ma alla fine sono i genitori che mandano i bambini o non li mandano al liceo. Per quanto riguarda la regione in cui lavoro, non credo che tutti i genitori mandino i bambini al liceo (certo molti lo fanno perché credono che ciò sia più un ramo più prestigioso), perché ne siano convinti, ma piuttosto perché le scuole professionali non hanno una buona fama (vi sarebbe e credo davvero che vi sia un eccesso di bullismo); è vero che da quando noi, come scuola cristiana riconosciuta dallo stato, offriamo questa possibilità "professionale", in esso il numero dei ragazzi è salito ogni anno ed alcuni genitori non hanno mandato il loro bambino al liceo. Spesso i genitori lasciavano i loro figli da noi al liceo, anche se avevano dei voti non belli, per l’atmosfera scolastica e non perché volessero necessariamente che i loro figli arrivassero alla maturità. 

Pur dovendo distinguere tra la scuola in Baviera (uno dei Länder più ricchi della Germania) da quella in Sassonia-Anhalt (uno dei nuovi Länder dopo la riunificazione tedesca, che quando vi arrivai aveva una percentuale molto alta di disoccupati (molto alta nel confronto tedesco; negli ultima anni vi è stato un miglioramento notevole), vi è una tendenza comune a tutto il sistema scolastico tedesco: si da molto attenzione alla varietà dei metodi di insegnamento e in modo particolare a quelli che vengono chiamati i metodi cooperativi, in cui i ragazzi possono coinvolgersi attivamente nell’insegnamento. In questi anni pur approfondendo e approfittando molto dei metodi imparati, dapprima in un seminario di didattica (durato due anni) in Baviera e poi nell’attività scolastica, mi sono sempre chiesto se questa attenzione alla „tecnica scolastica“ fosse davvero così efficiente; mio figlio disse, tanto per fare un esempio concreto, dei famosi „gruppi di lavoro“ (un lavoro in team, invece che singolarmente), quando era ancora a scuola: „in essi uno lavora e gli altri vivono di rendita del suo lavoro). Ed anche se io credo che certe forme di lavoro libero o come „modulo“ (per due settimane i ragazzi lavorano con un modulo preparatorio che poi devono sviluppare da soli) siano sensate, come lo sono le diverse attività parascolastiche in cui allievi più bravi aiutano allievi meno bravi, la mia esperienza mi conferma ciò che ho pensato da sempre: il „rischio educativo“ (Luigi Giussani) è e resta una „proposta“ fatta da adulti a giovani, che possono certamente collaborare anche nella attività di insegnamento, ma il cui lavoro principale consiste nella „verifica“ della „proposta“ fatta dagli adulti. 

Nel confronto internazionale la Germania non si trova tra le nazioni più efficienti nel leggere e calcolare e il fenomeno del bullismo (mobbing) è molto diffuso. Non credo che ci sia una ricetta che risolva tutti i problemi, credo piuttosto che un contributo ragionevole al „rischio educativo“, non sia una questione „tecnica“, ma di coinvolgimento dell’adulto in ciò che fa. Un coinvolgimento che dovrà essere personale, adeguandosi ai diversi rami del sistema scolastico, che dovrà, però, continuamente riformarsi, tenendo conto in primo luogo che i ragazzi non sono solo „spirito“, ma che hanno un „corpo“ - per cui si dovrà farli muovere e non solo nelle ore di sport (con passeggiate rituali, per esempio). 

Per quanto riguarda l’insegnamento della religione la differenza tra i miei anni bavaresi e quelli sassoni anhaltini è la seguente: per l’insegnamento di religione nello stato, in Baviera, era l’Ordinariato che aveva la responsabilità della gestione dell’insegnamento stesso. A livello teologico, cioè nei corsi di perfezionamento, questo implicava una diluizione dei contenuti teologici fino alla negazione esplicita di dogmi come quello della resurrezione reale e non solo simbolica di Cristo. Nella Sassonia Anhalt lavoro invece in una istituzione di origine luterana, ma in vero, essendo io stesso il coordinatore del profilo cristiano della scuola, non ho mai avuto problemi „teologici“; il CJD non ha una teologia, piuttosto un’indicazione pedagogica e cioè che „nessuno deve andare perso“ (Arnold Dannenmann, fondatore del CJD). Quanto questo insegnamento sia un argine al nichilismo imperante dipende insomma dall’insegnante stesso e dalla sua fede personale e dalla sua capacità di tradurla in un percorso didattico, che rispetti una realtà in cui l’80 % dei ragazzi non ha alcuna confessione religiosa.    

Ma ritorniamo ad un livello più generale del discorso. La differenza tra „educazione“ (Erziehung, gli adulti fanno la proposta educativa) e „formazione“ (Bildung, gli adulti sono solo i mediatori di una proposta che fanno i ragazzi stessi) mi sembra piuttosto una questione accademica: nella scuola, dove non vi siano adulti che davvero fanno con tutta la loro vita una „proposta“ che coinvolga in primo luogo loro stessi, i ragazzi si trovano a camminare su quello che Hans Urs von Balthasar chiamava il „ghiaccio sottile del nichilismo“.

Negli ultimi anni ho osservato un lavoro di presenza nella scuola compiuto da mia moglie, Konstanze Szelényi-Graziotto, sia come responsabile dei programmi per i ragazzi „eccellenti“ (a livello di quoziente di intelligenza, ma non sempre di riuscita scolastica) e come insegnante di classe in una quinta della scuola professionale, che a dire dei colleghi era una classe molto complessa. Mia moglie ha una preparazione didattica  fuori dalla norma, ma solamente la sua presenza materna le ha permesso di trasformare un gruppo di ragazzi caotici in un team capace di lavorare da soli e in gruppo. Ed anche per quanto riguarda i ragazzi „eccellenti“ solo un coinvolgimento personale permetterà che la loro „eccellenza“ diventi anche „riuscita“. Ma ovviamente nella scuola non tutto è "riuscita" - i fallimenti fanno parte della vita e della scuola. 

Per riassumere: i ragazzi con cui lavoriamo non si possono „fare“ - sono già stati creati e non necessitano di un nuovo creatore (tanto meno di un „fattore“, perché „creare“ non è „fare“; ed anche il ruolo di „mediatore“ è solamente un modo nascosto di „fare“) - ma possono essere accompagnati nel loro percorso di vita, facendo loro una proposta che in primo luogo regga la persona adulta che la fa; se l’adulto stesso avrà la sensazione di dover fuggire dalla scuola o aspettare le ferie per poter davvero vivere, allora non sta lavorando su quella "roccia" di cui parla Gesù, ma sta semplicemente allargando a vista d’occhio il „ghiaccio sottile del nichilismo“ imperante. 

Per essere più precisi: questo „accompagnamento“ di cui parlo è una „generazione“, che il grande filosofo tedesco appena scomparso Ferdinand Ulrich giustamente distingue dal „fare“. Sovra accentuando il „fare“ (attraverso una tecnica) il cambiamento dei metodi e la cooperazione con i ragazzi non sono per nulla un passo nella direzione giusta. È chiaro che nella nostra società, che non permette una concentrazione prolungata su un argomento, fare una lezione frontale (l’insegnante parla e i ragazzi ascoltano) di 60 minuti è pura follia e dispersione di energie (anche in un liceo), ma detto questo bisogna dire anche, con altrettanta chiarezza, che il compito degli adulti è quello di „generare“ degli adulti, che non lo sono ancora, e non di anticipare i processi pensando che giovani lo siano, adulti, già di per sé. I metodi didattici cooperativi o il dialogo con gli alunni, non solo in fase di verifica, fanno parte di questo processo generativo, ma non lo sostituiscono; quando poi i ragazzi si accorgono che l’adulto ha qualcosa davvero da dire, anche la classica lezione frontale può, se ben dosata, portare i suoi frutti. 

Con queste riflessioni non voglio mettere in dubbio né la professionalità scolastica, né la "tecnica pedagogica" - una "tecnica" non è un mostro: per mangiare abbiamo anche bisogno di una "tecnica"; volevo solo far riflettere su un possibile capovolgimento delle priorità: non è la tecnica che si serve dell'uomo, ma l'uomo della tecnica. 

Infine direi che gli adulti, insegnanti e genitori, non dovrebbero vedersi come degli avversari, come spesso accade, ma cercare di comprendere che, pur nella differenza dei compiti, si ha lo stesso scopo: far si che il „rischio educativo“ riesca ad essere „compagnia al destino“ anche sul „ghiaccio sottile del nichilismo“. In questo viaggio comune verso il senso ultimo della nostra vita i ragazzi dovranno essere guardati con quello sguardo di simpatia assoluta che Gesù ci ha insegnato, in modo particolare nei confronti dei bambini. 

Aggiungo a questa riflessione, che era già pronta qualche mese fa, più articolata e sistematica un aforisma che ho scritto questa mattina (20-02-20) nella mia bacheca in Facebook:  "Don Bosco aveva le confessioni, io le mie passeggiate rituali ed ascolto attentamente cosa mi raccontano le ragazze e i ragazzi (ed anche forse *) e chiedo a Dio che il mio orecchio sia un orecchio della misericordia. Quello che sento è un umanità lacerata, con famiglie già spezzate nei primi anni di convivenza, per i diversi motivi, che possono essere una malattia improvvisa, che costringe uno dei due in carrozzella. O rapporti con persone che portano alla rinuncia della propria partner/del proprio partner. Potrei parlarne per ore: delle litigate di fronte ai bambini. Etc. Quello che sappiamo dal catechismo sulla famiglia non ha nulla a che fare con lo stato reale; per questo non credo che il ripetere il catechismo serva ai miei piccoli, credo di dover diventare completamente quell'orecchio della misericordia".

Questo mio articolo si intende come il mio contributo "tedesco" al patto educativo globale voluto da Papa Francesco per il 14 maggio di quest'anno. Credo che i temi del Santo Padre: l'inclusione versus la cultura dello scarto, l'educazione alla pace e come attenzione ecologica, l'educazione come generazione di fraternità, l'educazione come positivo approccio della diversità ed il mio giudizio sulla tecnica scolastica al servizio delle persone concrete che agiscano nella scuola, come proposta generativa di un adulto che genera apponto adulti possano arricchirsi a vicenda.  Tutte le dimensioni che stanno cuora al papa non possono essere "fatte", ma sono possibili solo in un processo generativo che include e non esclude il processo di maturazione dei ragazze*ragazzi stessi. Il Papa stesso è quell' "adulto" che ci educa ogni giorno a prendere sul serio la fratellanza universale degli uomini e l'attenzione per la nostra casa comune, in modo da non sprofondare in quello che ho chiamato il ghiaccio sottile del nichilismo.  

Appendice

Commento di Maria Grazia Nannetti

Roberto, hai ragione ed è proprio questo, che sottolinea Papa Francesco, che aiuta i ragazzi a divenire adulti maturi e responsabili. Purtroppo la scuola italiana ha avuto un'accelerazione fortissima nell'aspetto "tecnicistico". Ogni giorno arrivano sollecitazioni pressanti per iniziare nuove attività, un nuovo progetto utilizzando PERÒ le metodologie didattiche, considerate moderne e risolutive...queste invece rendono i nostri alunni ancora più confusi, irrequieti e "schizofrenici". La scuola dovrebbe essere il luogo della tranquillità, della riflessione, dell'acquisizione di un metodo di studio, di lavoro, di confronto sereno. Un luogo dove imparare a relazionarsi con i padri e con gli adulti, invece tutto questo eccesso di stimoli li rende instabili, inquieti, nervosi, spesso aggressivi tanto da arrivare in molti casi alla violenza o al bullismo. Questo che ho descritto è il disagio che vivo quotidianamente e che non ho la possibilità di poter arginare in nessun modo, la scuola impone questo, noi dobbiamo adeguarci e parafrasando Garibaldi, a malin cuore: obbedisco!

Mia risposta ad Angelo Lucio Rossi: 

Angelo, a questo livello di progettualità (molto impressionante ciò che fate) ovviamente noi non possiamo concorrere con una scuola che si trova in una città; la nostra si trova in un paesino di 2.000 abitanti, nel cui territorio non succede molto, al massimo vi è la possibilità di fare un "tirocinio" nell'asilo o alcune collaborazioni rare come quella in occasione del 850 compleanno del nostro paese. Le nostre opere si possono riassumere così: 1. Un progetto sui ragazzi eccellenti, ma non sempre efficienti, in collaborazione con alcune università. 2. Un progetto con l'università luterana di Wittenberg su temi storici ed archeologici. 3. Un dialogo continuo con le parrocchie nel territorio, in modo particolare quelle luterane ed alcune cattoliche. 4. Un progetto politico con un onorevole della CDU in Berlino (foto si possono vedere nella mia bacheca di Facebook). 5. Presenza in Facebook ed Instagram. 6. Progetti internazionali in Usa (Arizona, Sud Carolina, New Hampshire), in Armenia (finanziato dal ministero della Cultura a Magdeburg), in Francia e in Lettonia. 7. Un progetto dei genitori per il passaggio dall'età bambina a quella giovanile, chiamato Juventusfest, nell'ottava classe. 8. Un progetto di biologia e chimica con l'università di Merseburg. 9. Un progetto di cultura e lingua inglese a Malta per la nona classe. 10 Un progetto musicale chiamato "Big band". 11 Diverse collaborazioni lavorative con delle ditte per il nostro rame "professionale", etc. Ma tutti questi progetti spero proprio che non facciano rompere il ghiaccio sottile del nichilismo, perché allora saremmo nell'abisso. La metafora di Balthasar non è solubile, visto che né è lecito indurire il ghiaccio né romperlo. Solo l'amore gratuito può sorreggerci in questa dimensione di grave pericolo in cui ci troviamo, così hai ragione a dire che abbiamo più bisogno di testimoni che di maestri.

Seconda risposta ad Angelo: è interessante quello che dici sul "villaggio per educare", tanto più che CJD, significa "villaggio cristiano dei giovani", con quattro accenti: religioso, politico, sportivo e musicale. Sono coinvolti ca. 90.000 persone nel CJD. Quanto siano esperienze vive si dovrebbe vedere da caso a caso: le scuole sono solo uno degli aspetti del CJD. Il nostro viaggio nelle Dolomiti, una volta all'anno, tiene insieme, con una nota giussaniana, le dimensioni religiosa e sportiva. Buona notte, appena ho tempo do un'occhiata alla fondazione Schola Occurentes.

Nessun commento:

Posta un commento