domenica 2 febbraio 2020

Brevi aforismi su "E rimasero sorpresi" di Maria Giovanna Augugliaro

Raccolgo in questo post alcuni aforismi scritti in questi giorni su un libro di racconti di Maria Giovanna Augugliaro, "E rimasero sorpresi", scrittrice siciliana, che mi ha fatto conoscere Massimo Borghesi:  "Le esistenze, nei racconti del volume, si dividono tra inferno e paradiso, tra miseria e riscatto. Descrivono, per lo più, destini di donne. Gli uomini, tolto l’amante del quarto racconto che allontana Valeria dalla sua famiglia, sono figure positive, suggeriscono vie di ripresa: un tratto singolare in una scrittrice profondamente legata ai destini femminili" (Massimo Borghesi).

Maria Giovanna Augugliaro, E rimasero sorpresi, Catania 2019.

1. Dal canto suo viveva un’inquietudine continua. Si chiedeva perché il suo cuore fosse ostinato e pulsasse ancora mentre dentro si sentiva spenta, come morta. Quella domanda la infastidiva. Non riusciva a trovare una risposta.
Giovanna Augugliaro,  La strada
Quando ci si sente così, si ha bisogno di un incontro con una persona che ti ami davvero e gratuitamente, senza un piano. Clara, la donna che vive in questa "inquietudine continua" (Giovanna Augugliaro), ha perso un bambino. Il "distacco profondo" da questo bambino non può essere ricolmato con "discorsetti", con nessun tipo di discorsi, ma solamente con un reale amore gratuito che è sempre "a due", ma in contesto e con un compito. Paolo, il dottore che si occupa dei migranti, offre questo contesto e questo compito a Clara; alla fine sarà possibile, per Clara, riaprire anche la questione "Dio"; ma senza la presenza di Paolo, quella di Dio sarebbe stata solo astrazione.
Il racconto mi mi ha ricordato anche il modo con cui Adrienne von Speyr descrive l'inferno. Come un non-luogo senza forme e senza speranza, il contrario della vita: Paolo tira Clara fuori da quel non-luogo di disperazione senza alcune forme, con la forma dell'incontro di cui ho parlato prima.

2. Guardava la realtà senza mai chiedersi come funzionasse veramente, al di là dei numeri. Era convinto che fossero loro a farlo girare. Il mondo. Addendi e sottraendi. Ecco tutto. E quindi tutti gli uditori potevano comprendere quanto la situazione fosse grave...
Giovanna Augugliaro, Il lavoro di una vita

 Il tema della riduzione della realtà a numeri, non è nuovo e non deve neppure esserlo, perché in vero quando si scrive, si scrive sempre in un contesto di migliaia di anni di letteratura. Nel racconto, "Il lavoro di una vita", Giovanna Augugliaro fa parlare la situazione stessa: la perdita di lavoro per via dei "calcoli" che non vedono più la convenienza di ciò che si era fatto per anni (forse si tratta della chiusura di un'ospedale, ma come stiamo vivendo in questi giorni, come pericolo, anche qui da noi, nella zona della Sassonia Anhalt in cui vivo); ma basta un movimento nel grembo di Cinzia, che è in cinta, per rimettere tutto in moto, per credere che l'ultima parola sulla propria storia e così sull'essere non è un "calcolo", ma la "gratuità" della vita stessa, che è Amore, per l'appunto Amore gratis.

3. Era la prima volta che la guardava veramente. Sentiva il richiamo di quella fede che aveva intravisto in Sara (malata di cancro, nello stato finale: RG), ma in fondo non aveva mai provato: scegliere di credere era un atto di coraggio. Gesto dalle conseguenze imprevedibili. E lei (Clara) aveva paura. Si rese conto di avere finto, sempre, per rimanere a galla. Senza mai andare al fondo delle cose, negli abissi dell’assoluta libertà. Ripetere riti, i suoi soliti riti, la faceva sentire al sicuro, con il controllo fra le dita. Era evidente. Ma quella faccia lì... la sconvolgeva.
Giovanna Augugliaro, Le equazioni della storia

 Certo la morte è l'ultima nemica ed anche chi crede ha paura, sebbene abbia paura al cospetto di un Tu (G. Bernanos), ma è molto vero ciò che Giovanna Augugliaro fa dire alla "sua" Clara nel racconto "Le equazioni della storia": credere è un atto di coraggio, un gesto che non sta sotto il nostro controllo; ci si consegna ad un'altra libertà e questo davvero "ha conseguenze imprevedibili", mentre le nostre elucubrazioni non le hanno mai.

4. Un’italiana stava lì da tempo. Qualche settimana, un mese, forse di più. Occupava quello che ormai in molti chiamavano l’angolo del silenzio. Senza parlare fissava per ore un orizzonte lontano come se fosse in mare aperto. Perduta.
Giovanna Augugliaro, Crème Brûlée 

Si tratta di Valeria che ha tradito suo marito e i suoi figli per riempire il vuoto con un "amore-vuoto", non con un "amore-povero" (Ferdinand Ulrich). L'incontro con l'azione professore di filosofia Martin Crystal le riapre questa via dell'amore-povero. 
«Avevo bisogno di colmare il vuoto che mi divorava», per questo si era lasciata andare ad un rapporto con chi la voleva solo usare, per sotterrare il suo vuoto. Questo è il grande problema del nichilismo: il nulla, il vuoto genera altro nulla, vuoto. La via d'uscita, imparo dal racconto di Giovanna Augugliaro, ciò che sto imparando dal grande filosofo tedesco Ferdinand Ulrich, è un nulla non nichilistico, ma il nulla della gratuità dell'amore dell'anziano professore che le ricorda che un matrimonio non finisce per un tradimento e del marito che quando sente la sua voce al telefono dice: «Stai tornando... è la cosa più importante.» e di lei stessa che prende la decisione di tornare, senza alcuna sicurezza di essere accolta. 
Un matrimonio è qualcosa di "povero" (“un’esistenza semplice, magari non facile.) - quella donna, quell'uomo non un altro o altri, un'altra altre, ma in quell'amore-povero si apre un percorso di gratuità che rende la vita sensata, che ci fa sentire a "casa". 
Dio ci appare sempre e solo attraverso la bellezza di incontri gratuiti e la grande sfida è che la pienezza della sua gloria è l'altra faccia dalla povertà del suo amore "crocifisso". Che non si presenta in modo "moralistico", che trova anche un senso nel peccato (Claudel), perché tutto ci fa maturare; concede anche che forse quel desiderio di riempire il vuoto era una domanda giusta, a cui si è data una risposta sbagliata.

5. "Scrivere è il mio modo di affrontare la realtà." 
Giovanna Augugliaro, Io e Rhò 

Lo dice di sé una donna (l'io che racconta la storia) che si descrive così: 
"Nessuno ricorderebbe dopo anni una mia camicetta rossa aderente o parti posteriori in evidenza. Non ero proprio una di quelle donne slanciate e ben fatte che fanno trattenere il fiato. O implorare un appuntamento.
Diciamo per essere clementi che ero un po’ sguarnita. Però sono dovuta arrivare a quasi cinquant’anni per comprendere all’improvviso quanto sia seducente e raro essere una persona umanamente viva."
Un essere vivo che si esprime nella voglia di scrivere e parlare e che l'io che racconta "sente" in questo modo: come "un orgasmo vero e proprio aggiungerei se a qualcuno non facesse un po’ paura."
"È una donna che ha bisogna di liberarsi da tutto ciò che non le permetta di essere libera: "Nessun impegno e nessun rapporto da salvare a tutti i costi. Forse, penso, ho solo ripreso a essere importante, per me stessa.
Mi vanto di avere pochi amici, selezionati al microscopio. Tipi coraggiosi, non c’è dubbio. Senza paura di ascoltare. Decisamente instancabili." E tra questi amici c'è Rhò, malata di cancro, ma che affronta la realtà come qualcosa che le è stata donata, anche il cancro è un dono. Da Rhò, Giulia, l'io che racconta, impara una filosofia esistenziale senza la quale tutti noi siamo condannati all'eterna infelicità: "Nessuna stizza, nessuna recriminazione. Niente di niente." È quello che devo imparare anch'io, in modo particolare con quei colleghi che mi feriscono. Nessuna recriminazione, solo un atteggiante che chiamerei "ontologico": la capacità di vedere in tutto e in tutti un'espressione della donazione gratuita dell'essere come amore. 
Infine dobbiamo imparare da Rhò ad ascoltare di più - in terra o in cielo, fa lo stesso.

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