martedì 26 marzo 2019

Psychiatrie und Religion - ein Brief aus Ghana von Nicole-Anna

Hallo lieber Roberto.
Herzliche Grüße vom Home of Brains, einem Rehabilitationszentrum für psychisch/neurologisch Erkrankte/Menschen mit geistigen Behinderungen, aus Aflao in Ghana.

Ich habe hier für 6 Wochen mein Psychologie Praktikum gemacht und befinde mich gerade in der letzten Woche.

Ich bin sehr froh darüber, dass sich für mich die Möglichkeit (sehr spontan) aufgetan hat das Praktikum in Ghana zu absolvieren: Die Versorgung psychisch Erkrankter ist hier noch einmal eine ganz andere "Hausnummer", da es v.a. an staatlicher finanzieller Unterstützung im Gesundheitssystem mangelt und psychisch Erkrankte mit Stigmatisierung (v.a. Werden Gründe wie "Gottes Wille" und "Hexenkraft" für das Entstehen psychischer Erkrankungen angeführt) zu kämpfen haben.

Ich bereite mit meinem Team gerade eine Ausbildung vor, innerhalb der religiösen Vorständen und Religionsgemeinschaften ein Einblick in Prävention und Intervention bei psychischen Erkrankungen/ akuten psychischen Krisen vermittelt werden soll.
Wir möchten v.a. erreichen, dass Religionsgemeinden und Anbieter von Gesundheitsdiensten (Krankenhäuser/Psychologen) stärker vernetzt und Hand in Hand für eine bessere psychologische Versorgung der Bevölkerung arbeiten.

Wir haben auf einem Forum, dass wir zusammen mit "Mental Health Nurses "/Ärzten/ Priestern und Geistlichen abgehalten haben auch seitens der Geistlichen ausschließlich positives Feedback bekommen, was uns als Team sehr bestärkt hat.

Wir möchten eine große Zielgruppe ansprechen:
Über 90% der Bevölkerung glauben an ein übernatürliches Wesen, >70% sind Christen.
Gleichzeitig wird von den Ärzten berichtet, dass bei psychischen Erkrankungen/mentalen Herausforderungen eher um den Rat eines Geistlichen gebeten, als dass ein Krankenhaus aufgesucht wird.

Solang der Geistliche einen Rat gibt, der zum Wohl des Erkrankten beiträgt, ergibt sich kein Problem.
Allerdings sind in Ghana auch sogenannte "prayer camps" beliebte Orte, an denen durch exzessives Fasten, Fesseln, Schläge etc. versucht wird die "bösen Geister in den Köpfen" zu vertreiben.
Diese Art der "psychologischen Betreuung" ist natürlich alles andere als heilbringend.

Ich merke gerade, dass ich ganze Bibliotheken mit meinen Erlebnissen der letzten Wochen füllen könnte.
Ich hoffe wir sehen uns bald mal wieder und dann erzähle ich dir
■ von Atscha, die ins Home of Brains kam und die wir aus einer Kette am Baum befreiten ("die bösen Geister sollten durch die Sonnenkraft ausgebrannt werden" sagte die Familie)
■ vom BrainSpiritDesk (das Projekt zwischen Krankenhäusern und Religionsgemeinden)
■ darüber, ob ich es geschafft habe einen perfekten "Banku" zu kochen
■ und noch ganz vieles mehr!!!

Viele liebe Grüße auch an deine Frau und Johanna und Ferdi aus Aflao in Ghana!

Nicole 🌍 Photo 1: Ein Patient bringt mir bei "Banku" (einen Brei aus Casavado-und Meismehl zu kochen). Photo 2: Unser Team auf einem Talk:was lässt das Gehirn stark bleiben, ohne Drogen







domenica 17 marzo 2019

Libri ed altri ricordi - in dialogo intimo con Amos Oz

Omnia autem fácite sine murmuratiónibus
et haesitatiónibus,
ut sitis sine quaerela
et símplices fili Dei.  


Premessa. Chi leggerà con attenzione questi "ricordi" si accorgerà che non sono solo ricordi, ma una vita che continua e che cerca di riflettere su ciò che gli è accaduto e gli accade. Sono forse una "biografia intellettuale" (Massimo Borghesi), ma forse ancora di più una "vita" che cerca di riflettere ciò che è accaduto ed accade nel suo percorso intellettuale, ma non solo. "Chi non è mai stato amato in vita sua e chi non è mai stato affermato ed abbracciato come un Tu, come potrebbe improvvisamente iniziare ad amare da questo nulla d' amore vissuto e affermare gratuitamente un altro essere umano per stabilire un'amicizia o contrarre un matrimonio con lui?" (Hans Urs von Balthasar, 1970). In un saggio del 1970 sulla "tradizione", che Balthasar ha pubblicato ancora una volta, due anni prima della sua morte, nel volume "Homo creatus est" (1986), fa vedere come la tentazione di Giuda consiste nel consegnare la vita alla tradizione morta, che possiamo chiamare "tradizionalismo" - non vi è nulla di più estraneo a Balthasar e a questo mio racconto che il tradizionalismo. Certo né Balthasar, né questo mio racconto vogliono essere "modernisti".  Mi è del tutto estraneo anche l'atteggiamento di chi seleziona le parole di Gesù, secondo il criterio di ciò che è comodo o meno per la mia vita. A differenza di Balthasar non sono un santo, per cui la nudità (autenticità) che cerco non è sempre quella di San Francesco o Gesù in croce - entrambi nudi per santità; alle volte la mia nudità è quella del peccatore che cerca di donarsi e non sa bene come. Ma Gesù e venuto per i peccatori, non per i sani! Ciò che mi è più caro e di cui mi sento amico, per grazia, è Gesù, Dio, fratello ed amico nostro (Gv 15,15), che ci rivela che Dio è amore. Questo amore trinitario, che Egli rivela, lo percepiamo non in un sistema filosofico o teologico, ma in incontri con amici, credenti e non credenti, cristiani e non. Lo Spirito Santo si comunica attraverso questi incontri. E nessuno di questi volti può andar perso! A loro è dedicato questo mio racconto e alla mia piccola famiglia, senza la quale sarei solo una canna sbattuta al vento!   

Una vita si muove sempre dal Padre al Padre, che dona l'essere gratuitamente. Gesù è venuto a rivelarci questo movimento, che implica anche una confessione sulla terra e nell'inferno dell'amore gratuito del Padre e del peccato che lo nega! Il primerear è questo Amore che in se stesso è movimento ed avvenimento d'amore e amicizia. Per questo non mi basta sapere se Dio sia antifascista o qual altro "anti": Dio è amore e solo l'amore è credibile. Non è neppure anti mussulmano, solo perché io sottolineo la dimensione trinitaria di Dio. Dio Padre genera il Figlio. Il Padre non è mai non-padre e il Figlio non è mai non-figlio. Questo amore gratuito è testimoniato dallo Spirito Santo, che è "Signore e da la vita", anche la nostra vita che si muove in questo movimento d'amore. 

https://graziotto.blogspot.com/2019/05/perche-ho-scritto-il-racconto-della-mia.html

Lipsia. 1. Introduzione. Nella casa in mezzo ai binari di Torino, via Zino Zini 81, non ricordo ci fossero libri. Era un piccolo alloggio con un'entrata, la cucina e la stanza da letto, in cui dormivamo tutti e quattro, mia madre e mio padre e a sinistra del letto matrimoniale mia sorella Loredana, a destra io, in un letto che durante il giorno si poteva richiudere e mettere in disparte, nella notte era appiccicato all'armadio (1). Il ricordo più vivo che ho della stanza da letto era quando piansi perché Gianni Morandi (La Fisarmonica) avevo perso, contro Claudio Villa (Granada), credo la finale di Sanremo, "il" festival di musica leggera italiano. Nella cucina c'era, appena entrati a sinistra, un divano, in cui mio padre mi lesse il Pinocchio di Collodi - a quanto ricordo l'unico libro che mi sia stato letto. Solo decenni più tardi cercai in Wikipedia chi fosse Zino Zini (1868-1973) - scrittore, filosofo e accademico italiano e socialista, recita la grande enciclopedia democratica della rete; prima di diventare professore di filosofia morale nell'Università di Torino è stato insegnante in due licei rinomati della capitale piemontese. 

I libri cominciano ad entrare nella mia vita quando frequentai l'Ettore Majorana, un liceo della periferia torinese, di fronte al quale le Brigate Rosse lasciavano, a volte, i loro volantini. Majorana era un fisico siciliano, sulla cui scomparsa non chiara Leonardo Sciascia scrisse un libro, nel 1975, tre anni prima del suo volume sulle lettere dalla prigionia di Aldo Moro, che ha segnato la mia nascita "filosofica", nel dibattito pubblico scolastico e nel mio mondo interiore.  Nel frattempo abitavamo in un alloggio del quartiere operaio Mirafiori Sud, in Strada del Drosso 184 H. Avevo una stanza solo per me, piccola e rettangolare, in cui ho avuto spesso paure notturne (e così andavo a dormire sul tappeto vicino al letto di mia sorella), in modo particolare quando moriva qualcuno, in uno dei grandi palazzi che ci circondavano; in quella piccola stanza entrarono i mie primi due scaffali di libri, in cui raccolsi i primi volumi di Hans Urs von Balthasar, mentre il mio vicino di casa, Mauro Sonnessa, raccoglieva quelli di Henri de Lubac.  Fino a poco tempo prima giocavo tutto il giorno a pallone e l'unico libro che avevo letto era il Vangelo, di nascosto - non perché non avrei potuto leggero scopertamente, ma perché nel poco tempo che ero nella stanza avrei dovuto fare i compiti per la scuola. 

Il primo alloggio che vidi pieno di libri fu quello del mio professore di filosofia, Francesco Coppellotti (Gianni Vattimo, durante una conferenza all'università,  gli fece notare che lui era solo un'insegnante e non un professore, quando Coppellotti si era seduto tra i professori, dopo l'invito pronunciato da Vattimo, ma noi nella scuola abbiamo sempre chiamato i nostri insegnanti: professori) , traduttore tra l'altro di Ernst Bloch e che teneva lezioni di filosofia al liceo, traducendo live Hegel dal tedesco; poi vidi l'alloggio di un suo amico, che soffriva di depressioni e che per mesi si rinchiudeva nel suo alloggio, in cui c'erano libri dappertutto, anche per terra. Molto più tardi visitai Balthasar a Basilea, nella Arnold Böcklinstrasse 42 (un pittore svizzero del diciannovesimo secolo), una vera e propria biblioteca, anche la camera da letto lo era, in cui c'era un letto branda, come ho avuto io da bambino, affiancato ad uno dei tanti scaffali ed ad una sorta di comodino, ricolmo anche di libri. Se mi ricordo bene, quelli di Thornton Wilder, su cui Balthasar avrebbe voluto scrivere ancora un libro. 

Ci sarebbe tantissimo da raccontare, ma non voglio scrivere un libro (si, in vero non volevo scrivere un libro), solo un breve articolo, che nel frattempo è diventato un post abbastanza lungo (26 pagine stampate con caratteri piccolissimi, che corrispondo quindi a circa 60 pagine di un libro con caratteri usuali). Come studente a Torino - vivevo in una piccola stanza del centro in via Garibaldi, al numero 7, mentre i mei erano ritornati a Casale Monferrato - ricordo ovviamente le diverse biblioteche dell'università, ma direi che la visita serale ad una studentessa, che mentre ero nel suo alloggio, nell'entrata, andò a fare la pipì, lasciando la porta aperta, occupa uno spazio più importante del ricordo dei libri. Non ne nacque una romanza erotica, forse ero troppo ingenuo o forse lei pur simpatica, non mi piaceva davvero - solo più tardi nelle mie fantasie erotiche quell'avvenimento, divenne un'occasione perduta. Anche se da un certo punto di vista sono anche grato che sia rimasta tale. La ragazza era tra l'altro davvero simpatica e mi permise di venire a suonare il pianoforte (uno dei miei tanti tentativi di imparare a suonare il piano, sempre falliti) nella casa dei suoi genitori, fuori di Torino. Solo con Walker Percy, tanti anni dopo, ho imparato a riflettere sulla sessualità e non a viverla solo come un problema.

Negli anni Novanta, cioè con il trasferimento in Germania, comincia l'amicizia, per me fondamentale ed unica, con Ferdinand Ulrich (nel mio blog sto traducendo per Julián Carrón alcune pagine del suo libro "Dono e perdono"); abbiamo passato pomeriggi interi a parlare, anche di filosofia, ma in vero non solo, di tutto piuttosto - ed in modo particolare del mio cammino, che mi avrebbe portato a comprendere sempre più profondamente, ma non senza tradimenti e cadute, cosa significa l'essere come dono gratuito. Una volta mi fece un grande complimento: Roberto, mi vengono i brividi se penso, che lei nella lettura del mio Homo Abyssus si trova sempre in quel punto di cui esistenzialmente ha bisogno e che esprime la sua vita nel livello da lei raggiunto.  Nella sua stanza di professore universitario a Ratisbona, c'erano ovviamente tantissimi libri, ma non ne ho un ricordo vivo, come per esempio della bellissima biblioteca, a due piani, a Monaco di Baviera, nell'istituto dove insegnava Robert Spaemann, nell'edificio divenuto famoso per i fratelli Scholl, quello dove lasciarono cadere i volantini, che significarono la loro morte. Della stanza di Ulrich, ricordo piuttosto il grande Crocifisso con il corpo piegato, come lo sono diventate le sue mani e le sue gambe nel passare degli anni. Se non avessi incontrato quest'uomo, la frase di San Gregorio Nazianzeno, che conoscono tutti nel Movimento di Comunione e Liberazione, sarebbe stata solo un'ulteriore frase che si legge in un libro: "Se non fossi tuo mio Cristo, mi sentirei creatura finita. Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole... e di quanto la terra fruttifica. Poi io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccati. Ma io cosa ho più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita". 

Mangio, dormo, riposo, ho fantasie erotiche, occasioni perdute, che forse mi avrebbero anche un po' liberato da quella inibizione "cattolica" che porto con me dall'infanzia, sebbene nella prima pubertà, prima che intervenisse il clero, aveva anche una sua efficacia come "fonte di vita" (2), ma certo la tenerezza, la forza, che si trova anche nei suoi libri, ma non in primo luogo nei suoi libri, di un uomo come Ferdinand Ulrich, non è "erotica",  ma espressione di un reale e carnale farsi presente del dono dell'essere come amore gratuito. In lui carne e spirito sono due parole che hanno un medesimo significato.

La casa dove vivevano insieme per un certo tempo, alla fine della foresta nera, tre degli uomini della Comunità di San Giovanni era anche ricolma di libri - ma il mio amico Adrian, della comunità fondata da Balthasar, che è certo tra le persone più colte che abbia conosciuto e che legge Massimo il Confessore in greco, non mi ha preso il cuore perché lettore di libri, ma per il suo sorriso e le sue risate che mi hanno sempre donato grande allegria, anzi non solo a me, ma a tutta la nostra piccola famiglia e infine per la cura che ha avuto per mio figlio, quando lo ha visitato due volte a Washington D.C. Massimo Borghesi lo ho incontrato in un bar, perché la sua famiglia aveva, quando sono andato a trovarlo alla fine dell'anno scorso (2018) a Fiumicino, un virus e non siamo potuti salire da lui - era divertente il fatto che nel bar, dove ci siamo incontrati, ci fosse anche una parete di libri. Ma sebbene Massimo abbia scritto moltissimo, il suo grande cuore per Papa Francesco ha "preso il mio cuore" - uso questa formula nel senso che essa immediatamente comunica e non come espressione di coraggio, come nel linguaggio di Agnon - il premio Nobel di cui parla Amos Oz, nella "sua storia di amore e tenebre", che è il libro che ho scelto per la Quaresima di quest'anno, per leggere di nuovo di più e guardare meno alcune serie, nel mio tempo libero, che ho cominciato a vedere per essere in dialogo con i miei giovani e i miei figli. 

Amos Oz racconta che "gli unici europei di tutta l'Europa, negli anni venta e trenta, erano gli ebrei... Oggigiorno l'Europa è completamente diversa, oggi è piena di europei, da un muro all'altro" - ma la storia di "amore e di tenebra" è del 2002 e le tenebre stanno ritornando di nuovo sull'Europa, in cui forse di nuovo gli unici europei, saranno alcuni ebrei dello spirito, quelli che si sentono del tutto legati ad intellettuali come Amos Oz. Il mio amico e preside di Milano, Angelo Lucio Rossi e la sua vicepreside, Rossella Viaconzi, sono infiammati anche per i libri ed è bello che diano questa testimonianza della loro importanza nella periferia di Milano, come in quella di Roma lo fa un'altra amica, tra le persone più dotte, di storia ed arte, che conosca, Grazia Nannetti (3). Vorrei ricordare qui anche mia moglie Konstanze, che possiede anche importanti volumi "scientifici", acquistati nel suo studio di Storia Antica ed Assiriologia. Come ho detto ci sarebbero ancora alcune persone e case da ricordare  - l'Archivio di Balthasar a Basilea, la Casa Balthasar a Roma, in cui ci sono anche le lettere originali che mi ha scritto il teologo svizzero; l'appartamento del mio amico Nicola F. Pomponio, la biblioteca di mio zio Giovanni a Suzzara, in cui vidi per la prima volta il libro di Riccardo Bacchelli, che lessi qualche estate fa e che contiene pagine memorabili sul paesaggio del Po', sull'amore erotico e sponsale e sul passaggio tra l'epoca di Gregorio XVI e Pio IX, con le farneticanti polemiche contro quest'ultimo ) -  ma chiudo il mio articolo (che nel frattempo è diventato l'introduzione di un post ricolmo di tanti avvenimenti della mia vita) - che non mette solo la sua speranza nei libri, pur essendo dedicato ad essi,  ma in primo luogo in quelle persone che mi hanno testimoniato con la loro amicizia e il loro amore, che il dono gratuito dell'essere, non è una parola, ma espressione viva di un avvenimento vivo.  

2. La nostra biblioteca  Nella casa che abbiamo comprato l'anno scorso, nella Sassonia-Anhalt, che si trova in un isolotto tra il fiume e il canale, costruita per il procuratore del mulino, ancora prima degli anni della DDR, c'é anche una biblioteca, con più di duemila volumi. Certo non è scientifica come quella di Warburg, che aveva "preso il cuore" di Ernst Cassirer e che era specializzata in cultura dell'antichità, ma è un frutto di un grande lavoro culturale nell'ambito filosofico, teologico, storico, letterario ed anche di antichità.  
Sebbene ci sia una "Summa theologica" di una casa editrice veneziana, il cui primo volume porta la data del MDCCLV (1755), non ha ovviamente nemmeno in lontananza il valore della biblioteca nazionale ad Yerevan, la famosa Matenadaran. Questo esemplare prezioso dell'opera di Tommaso l'avevo comprato, con i primi soldi che guadagnai con il mio lavoro in una casa editrice, da un anziano libraio di Casale Monferrato, perché negli anni della mia vita in cui ero marxista, anche se del tutto sui generis, gli avevo rubato qualche libro, con la scusa dell'espropriazione proletaria (4) e non potendo confessarglielo - ma chissà che non lo avesse ugualmente capito - comprai questi libri preziosi da lui, quasi per scusarmi. 




La mia paura dei cadaveri e forse in genere della morte mi ha accompagnato già dai primi anni della mia vita; mi ricordo di una sala mortuaria, con quattro candele, nell'alloggio di un fratello di mio nonno, forse a Candia Lomellina, che per l'appunto era morto - racconto questo ricordo, quando ne parlo a voce, dicendo che qualcuno, forse mia nonna Maria, aveva avuto la " bella" idea di lasciarmi da solo con il cadavere, ma in vero ero molto piccolo e non mi ricordo precisamente come era successo che mi trovai nella camera mortuaria. Mi ricordo anche una scena al crepuscolo, nella nostra casa in mezzo ai binari; il pomeriggio avevamo dato l'ultimo saluto ad un calciatore del Torino che era morto in un incidente stradale; ero solo a casa ed avevo paura di entrare nell'alloggio a cui si arrivava da un balcone; il ricordo spento che ho è che guardo da sotto del balcone, guardando la ringhiera disperato, e forse parlando con qualcuno. Quando morì mio nonno, avevo già 28 anni la sua bara era nella stanza dove c'erano tutti i miei libri; Konstanze era giù da me in Italia e dormivamo nella stanza accanto (a quel tempo vivevo con i miei nonni, per aiutare mia nonna ad accudire al nonno che era sulla carrozzella). Non credo che ci sia un libro che faccia superare tale paura, anche se il libro di von Balthasar che mi riportò nel seno (non so perché ho usato la parola "seno", invece che "grembo" - anche nell'Äve Maria, non mi è mai piaciuto quel "frutto del tuo seno"; Gesù è il frutto del grembo di Maria) della chiesa, dopo sette anni di "spirito dell'utopia" si intitolava: vita dalla morte


Ho voluto accostare questa riflessione sulla mia paura dei cadaveri nel capitoletto sulla nostra biblioteca, per dire che i libri non sono capaci, da soli, a diminuire una tale paura. Quando la bara di mio nonno stava in mezzo ai miei libri di allora, negli scaffali che aveva costruito Silvio, il padre di mio cognato, la presenza della morte non era meno forte. 


Per quanto riguarda la nostra biblioteca, che portai dall'Italia qua su in Germania, essa non è stata composta con criteri di autoreferenzialità cristiana - per quanto riguarda i libri dell’antichità classica, ciò è evidente senza doverlo commentare, come in vero lo è, evidente, anche per quanto riguarda tutti gli altri libri, quelli di letteratura e di filosofia, che sono stati scelti con il criterio dei „classici“ e con il criterio di un „discorso pubblico“ e non „confessionale“ (nel senso debole del termine, cioè nel senso di proselitismo). Nella stanza vicino alla nostra camera da letto ci sono poi i „miei“ libri: la teologia e filosofia cattolica che ha mi ha aiutato nella confessione della fede cristiana (nel senso forte del termine, in quel senso in cui noi parliamo di Massimo, il Confessore)  si trova tutta li: Ferdinand Ulrich, Luigi Giussani, Julián Carrón, Hans Urs von Balthasar, Adrienne von Speyr, Henri de Lubac, Romano Guardini, Robert Spaemann, Massimo Borghesi, ma anche in questa cameretta si trova l’edizione di Goethe integrale, in due versioni, una di lusso ed una di studio. Si trovano i libri di Walker Percy e un’edizione di Hölderlin. Tanto per citare le cose più importanti nella mia biografia intellettuale. Mentre i libri scientifici riguardanti lo studio di mia moglie e in genere quelli sull'antichità si trovano nella stanza del camino. Questa grande biblioteca che si trova ora nella nostra casa a Wetterzeube, prese le mosse da quei due scaffali nella mia piccola stanza dell'alloggio di Torino e dai libri che raccolse nella sua stanza mia moglie, che proveniva da una famiglia che aveva una grande parete di libri, che si trova ancora oggi nella casa a Neckargemünd, dove vivono Ferdinand, Johanna e il suo ragazzo David. 

La nostra casa a Wetterzeube, foto mia: 



Alcuni libri nella stanza del camino, foto mia: 





3. Ragazzi nella periferia di Torino raccolgono i libri dei grandi della teologia cattolica, che li influenzeranno per tutta una vita. Vito Mancuso racconta che ha dedicato spesso le prime ore del giorno alla sua innamorata, alla filosofia: questo è vero anche per me. Spesso nell'estate mi sono alzato molto presto per studiare la filosofia del mio amico carissimo, Ferdinand Ulrich; anche per il libro di Massimo Borghesi sulla biografia intellettuale del Papa argentino, ho messo a disposizione queste prime ore del giorno. Vi è un altro libro, però, che spesso mi è stato compagno, in modo particolare nei tempi di Avvento e Quaresima, nelle prime ore del giorno: il Breviario (che ora prego anche in latino),  che ho sempre amato per il suo "stile" di reale compagnia al giorno. Insomma anche se i libri non superano di per sé la paure della morte, non sono per questo una bazzecola per affrontare la vita (e la morte). 

Che due ragazzi di un liceo della periferia operaia di Torino leggano Balthasar e de Lubac non è un'ovvietà, anche se Mauro ed io frequentavamo la nostra parrocchia, dedicata a San Luca. Senza il lavoro della editrice Jaca Book non sarebbe stato possibile (visto che allora non  conoscevamo né il tedesco né il francese); che questa editrice sia uno dei tanti "figli" di don Luigi Giussani mi sembra giusto dirlo, anche se io giunsi a Balthasar, perché me ne segnalò l'esistenza il mio professore di filosofia al liceo, Coppellotti,  che come ho detto, è stato il traduttore dell'Ateismo nel cristianesimo e dello Spirito dell'Utopia di Bloch (quest'ultima opera tradotta con sua moglie Vera Bertolino), oltre che a giovane amico di de Lubac. Così io conobbi Comunione e Liberazione per una via inconsueta, che passava da un marxista eretico, al grande teologo svizzero, per arrivare a don Giussani, mentre normalmente la gente conosceva Balthasar per il lavoro e la presenza culturale di CL. 
Comunque sia, i libri di Balthasar sono stati nella mia vita una "presenza di chiesa in uscita" - Mirafiori Sud rappresentava quello che per Bloch era Ludwigshafen, la città operaia, separata dal fiume Reno dalla città borghese Mannheim. Quando mi trasferirò, come studente, nel centro di Torino (via Garibaldi), passai dalla mia Ludwigshafen alla mia Mannheim. Comunione e Liberazione era presente sia nella periferia che nel centro di Torino. Il suo fondatore, Luigi Giussani, ha fatto tradurre, credo anche pagandola in parte, l'opera omnia di de Lubac ed era amico di Von Balthasar. Don Giussani stesso era un grande lettore di libri - la sua biblioteca aveva più di 2.000 volumi e Monica Zappa-Scholz, con il suo libro su Gussani e Guardini, ci ha fatto conoscere anche le sottolineature o le frasi che erano per Giussani importanti. Insomma per dirla in breve: libri non sono da soli una presenza missionaria, ma possono diventarlo e sono degli strumenti ed amici importanti, per lo meno lo sono stati nel mio percorso di vita. 


Anche se il Centro teologico dei Gesuiti a Torino si trovava in centro (e suppongo si trovi), in via Stati Uniti 11, i padri facevano un reale lavoro di „periferia culturale“. Con la guida di Padre Giuseppe Pirola, che tra l’altro scrisse un piccolo, ma importante libro su Ernst Bloch, e viveva a Gallarate, ci si incontrava (io stavo frequentando gli ultimi anni del liceo, gli anni in cui mi arrivò anche la prima lettera di Balthasar) una volta al mese per un seminario di filosofia politica. A Torino c’era il padre Eugenio Costa Jr., che ogni tanto guidava il seminario, quando padre Pirola era assente, ma lui era musicologo. Il padre Pirola riusciva a dialogare con marxisti come Costantino Preve o con un marxista sui generis come Francesco Coppellotti, che era, come sa il lettore di questi ricordi, il mio insegnante di filosofia al liceo ed aveva tradotto opere di teologi luterani, poi Ernst Bloch ed anche Ernst Nolte.  Un cuore inquieto che Franco Bolgiani, lo storico del cristianesimo a Torino, non seppe integrare nell’attività accademica. Una parte del mio dialogo interiore con Coppellotti non proseguì per una questione piuttosto di amicizia privata delusa, così che questo mondo, che padre Pirola sapeva coordinare, rimase un po’ nascosto nel procedere della mia vita e comunque, va anche detto, che allora ero ancora troppo giovane e forse neppure in grado di essere all’altezza filosofica richiesta. Per quanto riguarda l'amicizia delusa vorrei menzionare una lunga lettera che il mio insegnante mi scrisse quando vivevo già in Germania: una lunghissima lettera scritta a mano, in cui per la prima volta si firmava Francesco e non con nome e cognome. La lettera non giunse fino al mio cuore, a sua volta inquieto; ebbi la sensazione che con essa egli volesse solo presentare se stesso non come uno che si prende delle pause nella sua vita difficile, come lo avevo rimproverato, ma come un'anima sincera ed autentica. Solo Dio sa queste cose ed io non voglio giudicare nessuno. So che lui per anni si dedicò al suo fratello malato con grande abnegazione  e per il resto è meglio, forse, che quel periodo cada in quella dimenticanza che Balthasar nel primo volume della Teologica riteneva necessaria anche per il pensiero stesso. Ferdinand Ulrich mi consigliò di rispondere educatamente, ma brevemente a quella lettera e così feci. 

Infine devo dire che ci sono temi che io sono capace solo di riflettere in dialogo con una persona concreta e se essa manca, non riesco a procedere da solo. Questo vale non solo per questo periodo. Avevo cominciato a leggere, parallelamente ad una allieva, Daphne Boecker,  L'uomo senza qualità di Robert Musil, quando lei smise di leggerlo o di parlarne con me, chiuse anche a me la porta di accesso a quel libro. Molti anni più tardi lo ripresi in mano, ed essendo un libro geniale ho trovato alcuni pensieri che mi interessavano, ma senza un partner di lettura, certi libri, rimangono in fondo inaccessibili alla mia anima. Così quegli accenti filosofici di Francesco, che univa con Bloch la critica all'economia politica alla critica alla religione sono rimasti impensati fino in fondo. Con la sua tesi di laurea su Bloch, per esempio, Nicola F. Pomponio che è l'amico del tempo del liceo rimastomi e con cui andammo, quasi esclusivamente per auto stop fino a Copenhagen e che ultimamente mi ha rivisitato qui in Germania, dopo che non ci siamo visti per più di un decennio, sebbene fossi stato con mia moglie testimonio di nozze del suo matrimonio con Bruna,  ha approfondito molto di più di me questo percorso filosofico giovanile. Anche il percorso intellettuale che ha portato Coppellotti a tradurre Martin Walzer, di cui ho letto solamente Muttersohn, mi è praticamente sconosciuto e non so come la filosofia dell'utopia di Bloch e la religione terapeutica del "come se fosse vero" di Walzer possano realmente essere portate ad un unità sinfonica di pensiero. 
Forse la traduzione che più mi ha fatto riflettere tra quelle di Francesco è stata quella del famoso libro di Ernst Nolte, che in Germania aveva scatenato uno scontro tra gli storici, sul bolscevismo e il nazionalsocialismo - non vi ho mai visto una legittimazione del nazismo, ma un tentativo di riflettere su una connessione ed un'idea di nemico di cui si può fare una similitudine, quella sociologica dei bolscevichi e quella biologica dei nazisti, che ha fatto cosi male all'uomo. Nei miei anni nel liceo di Droyßig scoprirò anche il libro di Nolte che porta il titolo di "esistenza storica", che ha avuto una certa importanza nella mia vita e nella mia concezione dell'importanza dell'esistenza storica anche per la teologia e la filosofia. 


Per quanto riguarda il padre Pirola egli non aveva nessuna comprensione della teologia di von Balthasar e mi disse che avrebbe preferito leggere una storia dei calzaturifici, che l’estetica di Balthasar (allora non erano tradotte ancora la seconda e la terza parte della Trilogia) - già solo questa affermazione aveva creato un distacco emozionale dal padre, che, però, ora con più maturità, riconosco come un grande figlio di Ignazio, che sapeva dialogare anche con il mondo dei sinologi (per esempio con Francesco Avanzini) e che quattro giorni prima di morire precocemente tenne a Padova un’importante conferenza su Matteo Ricci  e il valore dell’ inculturazione per  la trasmissione del Vangelo. Credo fosse anche un’uomo davvero innamorato di Cristo - una volta che andai a trovare il padre Imperatori a Gallarate, stava facendo in silenzio giorni di Esercizi spirituali. Mi ricordo anche che un giorno, non solo più per quale motivo, lo accompagnai da Torino a Gallarate con la macchina, un Opel Corsa rossa, e che fumava come un turco. 

Le mie letture al liceo. Durante gli anni del liceo mi avvicinai ai due grandi russi, Fiodor Dostoevskij e Leon Tolstoi. Leggevo anche durante le lezioni e per la prima volta feci quell'esperienza di una lettura che scorre e che non si vuole che finisca mai. L'Idiota, Delitto e Castigo di Dostoevskij, Anna Karenina mi divennero del tutto famigliari. Solo di Guerra e Pace saltai alcune pagine di guerra, sebbene il duro giudizio su Napoleone lo ricorda ancora oggi e di fatto lo condivido. Le storie d'amore dei russi mi hanno sempre colpito profondamente e ed alcune figure come la Sonia di Delitto e Castigo erano gli eroi con cui mi identificavo: nel più profondo del cuore buona, sebbene costretta a fare la prostituta. 

Giornali pornografici. Sono entrato per la prima volta in contatto con questo tipo di pubblicazioni in Istria, durante le mie ferie estive, non perché le avessi comprate, ma perché erano nell'armadio di un ragazzo, un po' più anziano di me, dove vivevo nei miei due mesi estivi istriani. L'Istria per me è la sua terra rossa, la bellezza del mare. Passeggiavo scalzo per ore in questa terra che certamente è anche patria per me. Ho portato con i ragazzi i buoi e le mucche al pascolo, ho cantato canzoni all'aperto, mentre da solo aspettavo che il bue finisse di pascolare. Certamente è stata anche la terra in cui ho scoperto la forza del sesso, che non è solo legato, ne principalmente, ai giornaletti pornografici. Un ragazzo adolescente può sentire questa forza anche mentre legge un libro di teologia, o mentre sente arrivare le onde del mare sul suo corpo, in quei giorni di tempesta, per esempio, dove ero in spiaggia da solo. L'Istria è anche la terra dei campi nudisti e in genere dei nudisti che si trovano in alcune spiagge che frequentavo, per esempio la bellissima punta di Porto Bussolo dove si può saltare direttamente nel mare. Il proprio corpo nudo al mare, sotto il sole, è un piacere che non nascondo di avere provato, anche se non apertamente come facevano i nudisti incalliti. 

La Sonia di Dostoevskij  è una prostituta, ma non fa parte del mondo della porneia; lei legge il Vangelo di san Giovanni con l'omicida Raskolnikov, la risurrezione di Lazzaro. Qualche anno fa rilessi, nella traduzione tedesca di Swetlana Geier, questo romanzo a mia figlia, ma dovrei riprendere questa scena della lettura del Vangelo; proprio su un tema del genere, quello del sesso, non ho bisogno di moralismo e mi fa bene ripensare a questa scena, in cui una prostituta cerca di convincere un omicida a costituirsi, leggendo una scena del Vangelo che più amo. Nella nostra "società trasparente" (Byung-Chul Han) siamo in contatto permanente con la pornografia esplicita e con quella implicita. Quella esplicita, che oggi può essere raggiunta da chiunque, non nell'armadio di un amico, ma in rete, si serve di quella potenza del sesso, che non va né sottovaluta né sopravvaluta, per esprimere la donna come un oggetto che sollecita i propri istinti sessuali, con effetti certamente differenti, da persona a persona: come introduzione al sesso con la propria donna, cosa che non sarebbe possibile con la mia, alla masturbazione, qualora uno non ne abbia solo una eiaculazione precoce, da queste immagini troppo esplicite, che mettono solo una parte dell'uomo e della donna al centro dell'attenzione erotica. Massimo Recalcati dice che noi maschi siamo meno olistici delle donne e quindi ci fissiamo più su un pezzo, ma sebbene non abbia parlato molto di questo tema con i miei studenti, sono tre ragazze, che in questi anni hanno difeso la pornografia come un modo legittimo di eccitazione sessuale; forse c'é anche una pornografia più per femmine, ma non credo che si riferissero ad essa. Per quanto riguarda me ci tengo solo a dire che non possiamo far finta di non essere in una società trasparente e liquida (Zygmunt Baumann) e che il percorso per diventare quello che siamo, e cioè "figli di Dio", che non agiscano secondo il sangue e la volontà dell'uomo, parte da li, da quella società in cui ci troviamo a vivere e quando uno fa il moralista su questo tema, secondo me, compensa solamente la sua purezza in questo ambito, con altre forme di potere. Ho pregato spesso con gioia, come introduzione alla preghiera del Breviario, questa preghiera, ma sapendo che la questione del sesso è un'esperienza di cui si deve tenere conto: 

Aperi, Dómine, os meum ad benedicéndum nomen sanctum tuum; munda cor meum ab ómnibus vanis, pervérsis, et aliénis cogitatiónibus; intelléctum illumina, afféctum inflámma, ut digne, atténte, ac devóte hoc Officium recitáre valeam et exaudíri mérear ante conspéctum divinae maiestátis tuae. Per Christum Dóminum nostrum, filium tuum, amicum nostrum (mia aggiunta secondo il Vangelo di Giovanni), qui tecum vivit et regnat, in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen! 

E cerco di chiedere anche ora, che scrivo queste righe, di poter servire ed amare il mio amico Gesù,  "quantum póssumus, humiliáto animo, rectáque mente et proposito" (Ex Oratiónibus sancti Andréae Crétensis), perché penso con Don Giacomo Tantardini, in una predica del 15.3.2008, che mi ha fatto conoscere Carmen Rufo, che quella con Gesù sia: "l’unica storia nel mondo che vale la pena di incontrare".  

Punta Porto Bussolo in Istria (Croazia), in uno dei rari giorni di tempesta estivi (mia foto): 



nei tanti giorni di sole: 




Nel viaggio annuale di lingua inglese e cultura mediterranea a Malta, nel 2018, incontrai, con i ragazzi della nona classe, l'arcivescovo Charles Scicluna, che ci accolse nella sua residenza a Medina, dove, però, non abita, ma per l'appunto riceve gli ospiti; lui mise in contatto il tema della pedofilia con quello della pornografia, in vero non mi convinse molto questo argomento, di un uomo che però mi convinse per quello che è e per come ci aveva accolto, d'altra parte si dovrà pur, in qualche modo, parlare anche con i giovani di questa presenza immediata ed invadente della pornografia nella loro vita digitale, almeno per dire loro, che bisognerà stare attenti a non proiettare quelle immagini, come desiderio, verso il nostro partner, che va amato per quello che è e non come oggetto delle nostre brame erotiche. 

Malta, Medina (foto mia)




4. Le lettere che mi ha scritto Balthasar. Cornelia Capol raccoglie nella sua bibliografia 119 libri di Hans Urs von Balthasar, 532 saggi, 107 contributi in operi a più autori, 110 traduzioni, 29 antologie, 103 pre- e postfazioni, 93 recensioni ed infine 13 collane editoriali - insomma de Lubac non aveva avuto tutti i torti a dire di lui che "si tratta dell'uomo più colto del suo tempo". Ma a  Mirafiori Sud arrivarono dapprima le sue lettere a quel giovane sconosciuto di 18 anni che ero io. Ho parlato di queste lettere recentemente in un articolo per il sito hansursvonbalthasar.com, curato da suor Gabriela Wozniak (5): che cosa è rimasto in me di lui, a 40/30 anni da quelle lettere. La prima arrivò nel quartiere operaio di Mirafiori Sud, quando la vidi nella buca trasparente delle lettere, corsi di corsa i cinque piani del palazzo dove si trovava il nostro alloggio, per farla vedere a mia mamma. Gli avevo scritto dieci giorni prima, chiedendogli cosa avrei dovuto fare per diventare un buon cristiano - sto parlando dell'anno 1978. La risposta sua, tre pagine scritte a mano, erano il mio primo incontro con il carisma di Ignazio: non ciò che vuole fare lei, ma ciò che vuole compiere Dio con lei sarà essenziale per il suo cammino. Le lettere sono un tentativo riuscito di discernimento spirituale, che accetta le sfide culturali e di politica ecclesiale che ponevo, ma che non si muovono ad un livello astratto, ma di reale incontro con la mia persona, anche nei momenti in cui più che ad un'"anima infelice" (Hegel; come mi espressi io), Balthasar rispondeva ad un' "anima nevrotica" (come si espresse lui). Nelle sue parole non vi era mai "captatio benevolentiae", ma una forza di incredibile comprensione della mia persona. I suoi giudizi non erano né liberali né tradizionalisti, ma per l'appunto "ignaziani": cosa serve a quel giovane della periferia di Torino, che cerca con tutte le forze una vita di autenticità? 


Hans Urs von Balthasar. C’è stata senz’altro in Italia un’interpretazione di Balthasar che ha esageratamente sottolineato solamente l’importanza di Cordula. Cioè del libro con cui Hans Urs invita a non dimenticare che ciò che salva l’uomo non è una gnosi, né di destra (il nostro problema oggi) né di sinistra (il problema che aveva Balthasar quando scrisse Cordula) . Balthasar è anche l’autore di Abbattere i bastioni, in cui invita la Chiesa ad uscire dai bastioni clericali con una teologia degli stati di vita del cristiano, che è un rinvio forte allo stato di vita di Cristo (la traduzione italiana di Christlicher Stand, per citare un libro di grande maturità di Balthasar,  traduce con un plurale ciò che Balthasar aveva espresso con un singolare). La differenza forte per Balthasar non è quella tra clero e laici, ma tra chi vive radicalmente nello stato di vita di Cristo seguendo i tre consigli evangelici (obbedienza, povertà e verginità) e chi vive nello stato di vita matrimoniale. Entrambi gli stati sono una via alla santificazione di se stessi. 

In una delle sue opere ultime, „Sperare per tutti“ offriva ironicamente ai suoi critici tradizionalisti legno per il suo rogo, prendendolo dalla grande Trilogia (Gloria, Teodrammatica Teologica), visto che loro si erano limitati a leggere le sue opere più piccole. Proprio da questi gruppi tradizionalisti, che tra l’altro disprezzano Adrienne, ho sentito dire che è Dio che lo ha fatto morire tre giorni prima di ricevere il berretto cardinalizio, perché non avrebbe voluto che un eretico, che avrebbe negato l’inferno, fosse entrato nel collegio cardinalizio. Una cosa del genere, sentita oggi, dopo il caso dell’ex cardinale Theodore McCarrick, fa solo rabbrividire. Dopo aver meditato a lungo molte delle pagine di Croce ed inferno (una delle opere gialle di Adrienne di cui parlerò dopo) , vorrei dire che non ho mai letto in nessun altra opera, persone che abbiano preso sul serio l’inferno come Adrienne ed Hans Urs. La speranza per tutti non è una gnosi, è per l’appunto una speranza, che si fonda sulla discesa vittoriosa di Cristo nell’inferno. 


La grande Trilogia, che può essere qui solo accennata, è un tentativo grandioso, filosofico e teologico, di raccogliere in tutta la tradizione occidentale una molteplicità di voci da unirsi in una sinfonia gigantesca, che ha forse solo un principio: non si da teologia, senza filosofia. Non è possibile annunciare, senza riflettere. Si tratta di un altro accento da quello posto da Giussani all’inizio del „Senso religioso“, in cui l’osservazione è più importante della riflessione. Il filo rosso di questa grande riflessone sono i trascendentali del bello, del buono (la libertà) e del vero. Un geniale trittico che parte con la „percezione della figura“, che è infine è la figura di Cristo, la quale offre nel suo apparire i criteri per comprenderlo, attraverso la sua attrazione, ed in cui infinite voci offrono il suo contributo alla sinfonia balthasariana. Non è un caso che non solo Goethe, per cui Balthasar si era deciso versus Kant (Karl Rahner), ma anche un poeta come Charles Peguy, che come nessun altro poeta ha fatto parlare Dio Padre stesso, misericordioso, trovi l’attenzione del teologo della bellezza della gloria di Dio e della profondità dell’inferno. Un padre della Chiesa che ha sempre dato più valore ai padri della Chiesa che ai maestri dell’idealismo tedesco, ma che fino alla morte ha continuato a leggere Schelling. 

Hans Urs mi invitò personalmente a venire a Roma al convegno sulla missione ecclesiale di Adrienne (1985), pur sapendo che io allora ero nel mezzo della mia rivoluzione blochiana - ciò che aveva da offrire, lo offriva a tutti senza paura. Al convegno stesso gli posi due domande, una riguardante la critica che Karl Rahner faceva ad Adrienne, e cioè  di propagare una triteismo - Don Scola che gli sedeva accanto e che non mi conosceva si era stupito del livello delle mie domande - ed una sulla posizione del fratello Ivan Karamazov (Dostoevskij) , che non voleva entrare in un paradiso in cui si sarebbero trovati insieme la vittima e il criminale. Rispose con grande attenzione ad entrambe le domande, ma con più attenzione alla prima. Con l'esperienza dei buchi infernali che Adrienne aveva sofferto, non aveva certo paura di rispondere ad una domanda sul dolore. 


5. Il caso Moro. La memoria è come "increspature sull'acqua" (Amos Oz) - a questo momento autentico si mischia poi quello che lo scrittore ebraico chiama "il ricordo di un ricordo" - io parlo di "mitologia del racconto" o "mitologia del ricordo". Questa "mitologia" è inevitabile , ma bisogna tenerla sotto controllo (sit venia verbo). Nel 1978 viene rapito Aldo Moro e "il libro" che significherà anche la mia nascita filosofica, sarà quello di Leonardo Sciascia, L'affaire Moro, in cui lo  scrittore siciliano di sinistra esprimeva quel desiderio di autenticità di cui sto parlando in questo mio racconto. La scelta dello Stato, ma anche per citare almeno due persone, di Enrico Berlinguer (PCI) e Giulio Andreotti (DC) mi era del tutto estranea e significava - per me giovane allora, ma anche un po' (quanto?) per me adulto ora -  una totale mancanza di autenticità. Quelle lettere dal carcere erano per me, invece, un segno di grande autenticità. Certo la lettera di Papa san Paolo VI era anche autentica, ma non ha aiutato a liberare questa persona che dal carcere, per la sua famiglia, chiedeva aiuto, non ha contribuito a liberare il suo amico. Con la morte di Moro si chiudeva, allora, la mia fiducia nel sistema Italia (nello Stato) ed anche nella Chiesa. Negli anni successivi non ho mai creduto che Andreotti fosse davvero implicato con la Mafia, ma questa sua scelta d'allora, durante il caso Moro, era per me la scelta della "ragione di Stato", contro la "persona", la stessa che vidi in azione quando un giovane della mia scuola, Matteo C., venne ucciso nel bar dove andavo quasi ogni mattina , perché appartenente alla scena terroristica. Scrissi un grande cartello nell'atrio della scuola, con il nome di questo ragazzo, morto a venti anni, e con la domanda se la polizia era al servizio delle persone o era un organo di uccisione di giovani. 

Che l'uccisione di Aldo Moro (1978) avesse per il mio percorso intellettuale più importanza per esempio del viaggio durato nove giorni di Papa Giovanni Paolo II in Polonia (giugno 1979), che contribuirono al crollo del socialismo, è evidente. Siamo alle porte del mio periodo "marxista" ed anche se io non avevo nessuna simpatia per il socialismo reale, i viaggi con folle oceaniche del Santo Padre polacco mi erano del tutto sospetti. Solo molto più tardi, negli anni della sua malattia progressiva e dopo il mio ritorno nel grembo della Chiesa, cominciai a comprendere la portata di questo pontefice che offriva una via alternativa al socialismo e al capitalismo e che chiedeva di fidarsi di Cristo. 

Da li a poco cominceranno i sette anni di "ateismo", o forse meglio di "spirito dell'utopia" (credo dal 81 al 88) - anni in cui presi decisioni forti e compii gravi errori. In modo particolare una decisione, che non ha carattere politico, ma personale, e di cui non vorrei ancora parlare in pubblico, è finita in una catastrofe, per colpa della mia immaturità e non della persona che ne era "coautrice". Dopo questa catastrofe comincia la fase "estetica" (Kierkegaard), quella del "don Giovanni" che usa le donne per il suo piacere e per il suo egoismo. Assumo su di me la responsabilità di ciò, grato in un certo senso anche per i momenti belli (anche nel peccato si coinvolgono persone e queste non sono riducibili al loro o al mio peccato), ma sentendone tutta la gravità, specialmente nel caso di una donna sposata, con cui ebbe una relazione che dura una notte. È uno degli atti di misericordia più grandi che abbia ricevuto nella mia vita che quel matrimonio non fallì per il mio egoismo. Con il bacio della giovane donna sulla riva del Neckar (24.7.87), quella giovane che aveva sangue nobile ungherese e tutto il meglio dell'anima tedesca (nessun servilismo, neppure per vescovi e cardinali - anche il cardinal Ouellet è per lei in primo luogo un amico e non un cardinale potente; di quanto ciò sia cosciente il cardinale stesso, è più un problema suo che di mia moglie), quella donna che diventò mia moglie e madre dei miei figli, fini quel periodo "estetico" e lei mi chiese di decidermi o per lei o per il passato (come mi chiese anche di decidermi o per lei o per le sigarette). Questa decisione non la presi al tavolino, ma viaggiando ogni seconda settimana dal nord dell'Italia ad Heidelberg. La decisione più luminosa della mia vita, che nasce da una "separazione" e "ricomposizione" - separazione dal passato e ricomposizione del mio io in modo tale che fosse in grado di incontrare un tu. La visita, accaduta qualche giorno prima di quel bacio, nell'appartamento di von Balthasar a Basilea e questo incontro con mia moglie Konstanze ad Heidelberg, sono stati per me le due facce di una medesima medaglia. Il primo libro che regalai a Stanzi, come la chiamavo, era Spuren (Tracce) di Ernst Bloch  - visitammo anche un simposio a Ludwigshafen sul filosofo tedesco, in cui era presente anche sua moglie; era il periodo in cui ho imparato il tedesco leggendo l'Hyperion di Hölderlin. Il maestro di Basilea e la giovane donna di Heidelberg mi riportarono, però,  in un accordo tacito, tra due nobili, nel grembo della Chiesa, nella Pasqua del 1988, insomma nemmeno un anno dopo quel bacio sulla riva del Neckar. In Adrienne e in Hans Urs, e nella mia amica Cornelia, vedevo il volto autentico della Chiesa, quella che nasceva dalla confessione del peccato del mondo, sulla Croce, nella discesa all'inferno per obbedienza amorosa e nella Pasqua di Risurrezione. Vita dalla morte

6. Il lavoro in editrice. A cavallo della fase estetica con quella del ritorno nel grembo della Chiesa si svolgono gli anni del mio lavoro in una casa editrice di Casale Monferrato, la Piemme. Visto che anche nella mia fase di "spirito dell'utopia" un teologo come Joseph Ratzinger mi ha sempre corrisposto di più del teologo piccolo borghese e social democratico Hans Küng, non mi era difficile lavorare in un'editrice cattolica, che ha pubblicato molti dei libri del Cardinal Carlo Maria Martini. A Casale arrivarono anche due dei suoi "figli", tra cui l'ormai famoso Vito Mancuso. Per quanto riguarda questa "doppia vita" si tratta di un breve periodo dal 86 al 87. In questo tempo di lavoro nell'editrice ero spesso a Roma, con il mio capo, Pietro Marietti, ed ho conosciuto in questo contesto due cardinali, che hanno significato molto nella mia vita. Il cardinal Christoph Schönborn OP, di cui tradussi, alcuni anni dopo, gli Esercizi spirituali  che tenne davanti a san Giovanni Paolo II e che mi scrisse una lettera carissima, di più pagine, scritte a mano, quando gli confessai la mia fase estetica: una lettera che mi ricordava che il corpo è tempio del Signore.  Gli Esercizi, di cui mi mandava per fax ogni sera circa 20 pagine scritte a mano da tradurre, divennero poi un libro, edito in italiano e tedesco: Amare la Chiesa (Paoline), in italiano; Leben für die Kirche (Herder), in tedesco. Del cardinal Marc Ouellet avrei voluto anche pubblicare due libri sulla teologia del matrimonio, ma non accadde, forse, perché allora non era ancora famoso.  Comunque proprio con lui, mia moglie ed io, prendemmo la decisione di rimanere in Germania e di non trasferirci a Roma, per insegnare in un liceo dei gesuiti e lavorare per la Casa Balthasar. Di lui mi ricordo anche un passeggiata in cerchio sulla piazza del Vaticano a parlare di Ferdinand Ulrich e molti anni dopo (quando già abitavo in Sachsen-Anhalt)  una confessione nel suo appartamento vicino al Vaticano, in via Rusticucci, (dopo di essa trovai finalmente di nuovo un confessore, il mio parroco di Eisenberg, Andreas Tober). Quando abitava ancora nel Palazzo della Congregazione della fede, nei primi anni dopo essere diventato vescovo, una sera lo sorpresi con un gruppo di ragazzi di una Hauptschule bavarese (ero già sposato e non lavoravo più per la Piemme); ci portò sul tetto, da cui si vedeva la basilica e mi ricordo di una ragazza che aveva perso la fede, che era del tutto felice tuttavia della benedizione del futuro cardinale. 

Negli anni della Piemme è nata anche l'amicizia con Eugenio Portalupi, che alcuni anni dopo fonderà una propria editrice e diventerà sacerdote, non come vocazione tarda; dopo aver smesso il percorso teologale che aveva intrapreso per diventare sacerdote, per occuparsi di un avvenimento famigliare che richiedeva tutta la sua presenza, quando questa emergenza passò, potè fare quel passo che aveva sentito da giovane come ciò che gli chiedeva il Signore. Ho imparato molto dalla sua professionalità e umanità.  

Carlo Maria Martini. Il mio incontro personale con il cardinale e arcivescovo di Milano, originario del Piemonte, non mi aveva fatto un impressione positiva; Pietro Marietti, fondatore della Piemme, voleva che mandassimo a lui alcuni libri che avevo conosciuto dai Gesuiti di Torino, per un giudizio - tra il mondo della Piemme e quello dei Gesuiti c'era però una grande differenza di stile teologico, così che riuscì a far pubblicare, nel mio lavoro in editrice, solo un libro sul Gesù storico e quello della fede, che ebbe un ruolo importante anche per la mia tesi di laurea su Balthasar; per un certo periodo di tempo pubblicammo anche una rivista filosofica edita a Gallarate: Fenomenologia e Società
In quel incontro con il cardinal Martini a Milano ricordo che si parlò anche di un libro sul deismo di un professore protestante di Bochum, Henning Graf Reventlow: il giudizio del cardinale mi sembrava affrettato e superficiale: il libro di Reventlow non gli era piaciuto per l'impaginazione. Per la prima volta presi il telefono e telefonai al numero diretto di von Balthasar a Basilea, che a sua volta non conosceva il professore di Bochum, ma che mi chiese ironicamente come mai andavamo proprio da Martini a chiedere un giudizio. Del rapporto tra Balthasar e Martini non so altro e non so come mai fosse freddo. Alcuni anni dopo conobbi degli aspetti del cardinal Martini, che mi fecero comprendere che era davvero quell'uomo straordinario, che con ragione ha affascinato molte persone. Un sacerdote di Milano mi raccontò come Martini aveva reagito quando gli aveva parlato di un suo rapporto intenso con una donna: il cardinal Martini, pensai mentre il sacerdote parlava, aveva la forza del discernimento ignaziano e sapeva dare anche delle risposte non convenzionali ai suoi sacerdoti, quelle di un vero padre. Mi era piaciuto anche molto il suo desiderio di ritirarsi a Gerusalemme dopo il suo periodo come arcivescovo milanese, cosa che forse poi non si realizzò per la sua malattia portata con grande dignità. 

Grund- und Hauptschule in Baviera. Negli anni della Grund- und Hauptschule scopro i libri di C.S. Lewis - me ne aveva parlato mia moglie - che lessi a scuola per anni, facendone fare ai ragazzi disegni. Senza questo autore anglicano, che io nominerei immediatamente santo, non avrei forse retto lo scarto tra la cultura accademica da cui arrivavo (il tentativo di dottorato da Robert Spaemann a Monaco di Baviera) a questo milieu popolare della Hauptschule. Anni che mi hanno comunque arricchito e che il cardinal Schönborn definì, il servizio "da gli ultimi, tra gli ultimi". Ricordo infine quanta fatica feci ad assumere un atteggiamento positivo, per quanto possibile, nei confronti di quanto offriva l'ordinariato di Monaco di Baviera per la formazione professionale degli insegnanti di religione - per lo più si trattava di un tradimento quasi completo di ciò che insegnava la Chiesa. Una delle responsabili mi disse se volevo davvero insegnare la resurrezione dei morti a bambini - questo per lei sarebbe stato incauto a livello psicologico, perché avremmo promesso ai bambini una cosa impossibile e che quindi li avrebbe delusi. 

Sono anche gli anni in cui leggevo ad alta voce, in tedesco si dice vorlesen, distinto da lesen, che significa semplicemente leggere,  ai miei bambini, Johanna e Ferdinand: dai primi libri che erano solo parole con l'immagine corrispondente, fino alle letture di Lewis e Tolkien. Questo amore per i libri, sebbene Ferdinand sia un "digital native" non si è persa fino ad ora; forse il contributo più grande all'educazione dei mie figli da parte mia, mentre devo confessare che il duro, che c'è nel lavoro educativo, lo ha compiuto piuttosto mia moglie, con una abnegazione ed una amore di cui le sarò grato per sempre. Certo abbiamo fatto anche errori come tutti nel lavoro educativo, cosa che non bisogna dimenticare nella "mitologia del racconto" - per esempio una sberla che diedi a Johanna a Rovigno, in Istria e di cui mi ricordo con vergogna fino ad oggi. 

7. Ferdinand Ulrich e i bambini. Quale è la differenza tra il professor dottor Yosef Klausner, lo zio di Amos Oz, e Ferdinand Ulrich? Amos Oz, parla con simpatia dello zio, autore di libri molti e importanti, tra l'altro anche su Cristo e il suo essere un "giusto ebreo", anche se alla fine ne da un giudizio realmente stroncante, seppur non del tutto mancante di uno sguardo di simpatia: "Era un uomo buono, egoista e viziato, ma dolce e presuntuoso come un bambino prodigio". Lo zio Yosef parla con il nipote bambino, ma di fatto si tratta di un altro monologo (dei tanti che fa il sabato con la sua comunità di adulatori) ed anche quando gli pone delle domande, non aspetta le risposte del bambino. Magari gli dice che scriverà un libro sul profeta Amos, e come questo profeta sia unico ed importante, ma il bambino è, per così dire, solo uno spunto per i suoi monologhi. Quando noi andavamo dal Professor Ulrich con i nostri bambini, lui parlava e giocava con loro, si faceva insomma bambino, sebbene abbia scritto libri, che si leggono in tutto il mondo. E sebbene, anche se conosciuto da pochi, pensasse alla stessa altezza e profondità di un Hegel o di un Heidegger, quando parlava con i bambini o chiedeva loro qualcosa si abbassava (sit venia verbo) alla loro piccolezza. Qui nel mio blog c'è un post (6) in cui avevo incominciato a trascrivere i dialoghi che avevo avuto con Ulrich, proprio negli anni in cui i miei figli erano bambini. Con lui si poteva discutere ad un profondo livello di riflessione ontologica, ma quando parlavamo, per esempio di Johanna, si parlava davvero di lei e dei miei errori educativi, che riassunti possono essere espressi con la seguente sentenza: "pretendere troppo da una bambina"; parlavamo di persone concrete e non di una teoria generale dell'educazione. Una bambina che Ulrich conosceva bene e di cui ne aveva colto l'anima carmelitana, cosa questa di cui Johanna si è sempre vergognata, quando gliela avevo raccontata, perché non se ne sentiva all'altezza. Ma in vero non è una questione di altezza e neppure di diventare carmelitana, è questione di vedere nel cuore di quella bambina, che lei è ancora ora, e che voleva, in una chiesetta laterale al duomo di Dorfen, il paese dove abbiamo abitato fino alla prima elementare di mia figlia, raccogliere i fiori per il Gesù flagellato. "Dove scappi, Johanna?", le chiesi, perché stava uscendo dalla Chiesa, da sola: "A raccogliere dei fiori per lui (guardando la statua del Gesù flagellato), perché ha sofferto molto".   

I miei due figli, Johanna e Ferdinand: 








8. Il commento a san Giovanni di Adrienne von Speyr è forse il libro che più di ogni altro ha influenzato il mio modo di pensare e di vivere, anche se l'Homo Abyssus di Ferdinand Ulrich deve essere citato subito dopo o forse nello "stesso respiro", come si direbbe in tedesco. A questo libro ho dedicato tante mattine, a partire dal sorgere del sole, in Istria, a Cervera, seduto nell'aia di fronte alla stalla che invecchiava ogni anno di più e con il tetto sempre più demolito e con il mare che mi faceva compagnia all'orizzonte, mentre il commento di Giovanni lo ho meditato anche nelle lunghe camminate sulla riva dell'Isar, a Moosburg, in Baviera, quando Johanna era ancora un baby e dormiva nel passeggino. Ulrich non aveva un particolare rapporto di simpatia con l'opera di Adrienne, comunque sia, questa donna e questo uomo sono stati per me l'inizio di un'avventura che non è ancora finita. L'avventura di riflettere e vivere il mistero dell'amore gratuito, del Logos universale rivelatosi in modo singolare e concreto in Gesù Cristo. 

La parola "Schwebe" (sospensione, oscillazione) che voleva essere il tema del mio dottorato di ricerca da Robert Spaemann, si trova nel libro di Balthasar, "Lo spazio della metafisica", ma nel Commento a San Giovanni di Adrienne essa viene spiegata in modo semplicissimo, come movimento dal Padre al Padre: la realtà è sospesa in questo movimento dal Padre al Padre, rivelatoci dal Figlio con la sua incarnazione e con l'invio dello Spirito Santo. Nell'incontro con il Padre sarà definitivamente rivelato il suo senso ultimo, in modo assolutamente eccedente a ciò che ci aspettiamo, di questo movimento della realtà. La fede è rinuncia ad ogni "sicurezza"; è un lanciarsi in questo movimento "che per l'appunto non conosce più nessuna sicurezza e che si aspetta tutto dal Signore, sia che questo tutto sia molto, poco o niente". Nel diario della vita di Adrienne ed Hans Urs, Cielo e Terra, si può vedere con quale radicalità i due siano lanciati in questa avventura, che ha portato Adrienne fino a scendere nel mistero senza forma dell'inferno. In una delle loro morti spirituali i due, a Montecassino, per esempio, hanno riconsegnato sempre di nuovo tutto, anche la comunità di san Giovanni nascente, al Signore. Disposti a che il "bambino", come chiamavano la comunità, morisse nei primi momenti della sua giovane vita. Questa è radicale "bellezza disarmata" che non si aspetta un successo dal Signore, tanto meno un successo nella appartenenza al Suo corpo. Il Signore ci investe sempre con l'interezza della sua pretesa singolare: egli ci rivela continuamente la gratuità dell'amore che è e che si aspetta da noi. Non vi sono, per Adrienne gradi di introduzione a questo mistero, come per esempio nel Flauto magico, l'opera massone (Mozart) più geniale che sia mai stata composta. Ovviamente ci sono diversi livelli di assenso all'amore. Non è che Adrienne non sappia che ci siano persone come Tamino ed altre come Papageno. CI sono anche diversi livelli di tradimento e rinnegamento: Pietro e Giuda, etc. ma Dio risponde sempre integralmente con tutto il suo amore e con tutta la sua speranza, che è davvero per tutti.  
Un tema importante per Adrienne è anche quello che il Signore lascia anche Giuda nel suo gruppo e non ne rivela pubblicamente la sua natura di traditore. Su questo tema mi sento più vicino ad Hannah Arendt che invece ha reso pubblico anche il peccato del suo popolo (come collaborazione con i nemici nazisti), nel volume La banalità del male. Dopo il disastro della pedofilia non è possibile pensare ad una segretezza in Cristo dei traditori - né il lavoro della giustizia né il dibattito pubblico possono essere evitati, ma è vero che la speranza per tutti vale anche per l'ex cardinale Theodor E. McCarrick. Che poi un altro cardinale, quello di Lione, Philippe Barbarin, presumibilmente innocente, sia coinvolto nello scandalo di un McCarrick fa senz'altro parte di quel mistero di mancanza di ogni sicurezza e di discesa all'inferno di cui abbiamo parlato prima.

Il movimento ultimo del cristianesimo, come sanno sia Adrienne che Ferdinand, è in primo luogo un movimento di discesa e non di trionfo. Neppure la resurrezione è un avvenimento trionfalistico. Quando la gente se ne accorge entra in crisi e se ne va. Adrienne, commentando il verso del capitolo sei di san Giovanni quando si parla di alcuni che dopo aver seguito Gesù se ne andarono, afferma: in questo momento, in cui la gente se ne va, Cristo è colui che è stato mandato. "Solo colui che è stato mandato , non colui che dispone" (Adrienne). Anche oggi i cristianisti cadano proprio su questo punto: vogliono un Cristo forte che dispone e non uno che è mandato e rimette tutto nelle mani del Padre. Hanno una paura folle del mistero della exinanitio (kenosis), quando il Figlio rimette tutto nelle mani del Padre. 
I pensatori "liberali" come Hans Küng (metto la parola liberale tra parentesi perché il Küng che ho conosciuto io personalmente per lettera e per averlo incontrato un momento alla fiera del libro di Francoforte e per un seminario dai Gesuiti a Torino non era per nulla liberale, ma aggressivo, morbosamente innamorato di se stesso ed incapace di ascoltare l'altro; già solo il fatto che lavorassi per un'editrice che pubblicava i libri di Martini era per lui un problema), dicevo che i pensatori "liberali" avevano la stessa paura (di fatto i nuovi conservatori teocon sono modernisti come lo erano i progressisti alla Küng), e riducevano il mistero dell' "essere solo il mandato del Padre" in ideologia, dimenticando la forza divina di Cristo. Sia i cristianisti teocon sia i progressisti del Weltethos non sono capaci di comprendere ciò che solo la filosofia, come ancella del Signore, può comprendere e cioè la coincidentia oppositorum tra exinanitio e risurrezione. 
E in questo movimento dal Padre al Padre, che è la nostra vita, siamo confrontati spesso con questo mistero del cuore di Cristo: nessun trionfalismo o difesa di valori cristiani porta al Padre, solo l'accettazione del mistero della vita dalla (!) morte
E se persone se ne vanno per questo, devono andare e bisogna lasciarli andare. "Cosa Cristo farà con queste persone ultimamente è un suo mistero" (Adrienne).
In questo mistero, che è poi il mistero della redenzione, possiamo coltivare una "speranza per tutti" - noi sottovalutiamo del tutto cosa significa la morte e la discesa agli inferi di Cristo. Questo mistero di redenzione è il suo unico trionfo. L'agnello macellato è il vincitore!

Simposio su Adrienne del Novembre del 2017. Un breve accenno merita il simposio che Lucetta Scaraffia e Padre Jacques Servais hanno organizzato a Roma nel Novembre del 2017. Ne avevo parlato in un articolo de Il Sussidiario (https://www.ilsussidiario.net/news/cultura/2017/11/20/letture-adrienne-von-speyr-cosa-vuol-dire-essere-cattolici/793368/): è stato un occasione per rincontrare amici del tempo del mio lavoro alla Piemme, per esempio suor Cristiana Dobner, carmelitana di Concenedo di Barzio (allora di Legnano) , che si ricordava del nome di mia moglie, sebbene non ci fossimo visti per un ventennio e che aveva tradotto per l'editrice Piemme alcuni piccoli testi di von Balthasar.  Ha scritto una "tentativo di fenomenologia teologica", dal titolo "Nella via mistica di Adrienne von Speyr", in cui afferma tra l'altro: "Se il Carmelo è spazio in cui abita Dio, Adrienne pure è spazio in cui abita Dio". Molto bello il suo tema del "tentare", come tema determinante della vita cristiana.  
Il simposio è stato occasione anche  per incontrare nuovi amici, come suor Gabriela Wozniak, che ha lavorato sulla teologia dei sessi di Hans Urs von Balthasar (ho letto il suo diploma ogni volta che volavo con l'aereo) e che cura un sito su Hans Urs von Balthasar (http://hansursvonbalthasar.com) che vuole presentare, ad un pubblico più giovane di quello dei "soli libri", la figura del grande maestro svizzero. Anche l'incontro con Lucetta Scaraffia mi ha aperto la prospettiva di un femminismo cristiano, che sa distinguere tra il femminile (attento alla logica dei particolari) e il maschile (attento alla logica dell'universale), in modo tale da non creare un contrasto, ma una opposizione feconda. Per Scaraffia Adrienne non è solo importante in riferimento a Balthasar, ma anche ad altre donne come Etty Hillesum o Simon Weil. Ed è giusto così: si tratta di una donna autentica tra donne autentiche, frutto di una grande discesa nel mistero del dolore del mondo. 

Etty Hillesum.  Sento vicina come pochi altri questa giovane donna di 27 anni - l'eta in cui Etty aveva scritto un passaggio del suo diario che mi aveva impressionato particolarmente. E non perché io non sia capace di aver un rapporto con donne più anziane di me. La mia amica Cornelia, da me stimata ed amata e che è morta con più di novant'anni, ne è la dimostrazione, qualora una tale fosse necessaria. 

C'è un desiderio in Etty che sento mio: "come dare forma" a ciò che sento? Qualche tempo fa prima di andare a scuola ho incontrato i miei amici contadini, qui a Wetterzeube/ Koßweda, che stavano mettendo a posto il fieno per le mucche nella stalla. La signora anziana, che può camminare solo curva, e di cui avevo già parlato qualche tempo addietro, commentando una mia foto su Facebook (le mie foto tra l'altro, sarebbero anche un modo di far conoscere la mia vita), stava guidando un piccolo trattore e il marito quello grande con il fieno. In pochi momenti è successo moltissimo: il contatto con gli occhi con la signora, qualche parola con il contadino che mi dice: "sie ist ein guter Mensch", guardando sua moglie; io mi commuovo, perché è bello, dopo tanti anni di matrimonio, sapere che si è sposati con un "uomo buono" - la parola tedesca Mensch vale sia per le donne che per gli uomini. Io rispondo che anche a me lei comunica sempre una grande gioia interiore. Ecco, un piccolo incontro per me molto significativo! 

"Quello che faccio è hineinhorchen (mi sembra una parola intraducibile)", dice Etty il 23.8. del 41, un sabato sera. La traduttrice italiana (una delle tre) prosegue con un "prestare ascolto a me stessa, agli altri, al mondo", ma per l'appunto la parola è intraducibile e non è una "prestazione", è un ascoltare andando dentro me stesso, gli altri, il mondo!  E non è neppure un ascolto, ma un delicato mettersi all'ascolto. Per esempio di un piccolo dettaglio della mia vita, come quello sopra raccontato. 

Chi mi conosce sa che "ascolto molto intensamente, con tutto il mio essere, e cerco di tendere l'orecchio fin nel cuore delle cose. Sono sempre tesa e piena di attenzione" (Etty), per questo faccio anche errori, prendendomi, per esempio, la responsabilità di cose che non mi riguardano direttamente. A volte "cerco qualcosa, ma non so ancora cosa. Cerco una verità profonda, ma non ho ancora idea di che cosa si mostrerà". Tutto ciò che scrivo sull'essere come dono è questo: un tentativo filosofico di cogliere un'esperienza prima, che viene appunto prima di tutto, ma senza la quale nulla ha senso. È possibile che uno invece pensi che la realtà sia solo manifestazione di mutazioni causali - e di fatto anche il "caso" gioca un suo ruolo. Pur in diverse posizioni mi piacerebbe se le persone si ascoltassero nel senso di quel "hineinhorchen", mentre per lo più si gridano adesso qualcosa o si chiudono nel mutismo se li contraddici con argomenti validi.

"A volte, seduta a questa scrivania, mi sento un'avventuriera e talvolta, alla fine della mia giornata, mi sento un paziente contadino che ha di nuovo coltivato un appezzamento infinitamente piccolo del grande campo dello spirito. E poi ecco di nuovo la pazienza contadina che lascia spazio allo scatenato desiderio di avventura" (Etty) - di pensare in modo davvero nuovo, in tutti i campi, in modo particolare nella "filosofia dei sessi" dopo la sconcertante crisi in cui si trova la "mia madre, la chiesa gerarchica" (Ignazio di Loyola). 

Tutto sembra travolgermi e "arriva lo sconforto, il senso di insicurezza, l'incapacità di dare forma a ciò che si ha dentro", sebbene in verità "mi piacciono tutte quante le creature di Dio" e non vorrei essere per nulla "una creatura, afflitta, stanca ed annoiata" - vulnerabile in modo particolare per certi gesti e parole che mi sono del tutto incomprensibili, come quando un amico sacerdote che arriva con tutte le sue valigie all'ascensore preferisce andare a piedi per tre piani, piuttosto che entrare nell'ascensore con me. O certi giudizi che dimostrano una sconcertante non conoscenza della realtà, detto questo tenendo conto che  ovviamene c'è anche la possibilità che io mi sbagli. 

Infine rilascio la parola alla mia giovane amica ebrea: "la mia testa è l'officina dove tutte le cose di questo mondo devono giungere ad essere formulate in piena chiarezza" - per questo sento la filosofia come una "medicina" (
La medicina del disinteresse per se stessi), infinitamente più potente che la "psicologia", anche se quest'ultima ha un aiuto da dare, nella direzione di ciò che dice l'allievo di Lacan, Massimo Recalcati, "contro il sacrificio". "E il mio cuore è la fornace ardente nella quale tutto deve essere sentito e sofferto con intensità" - da qui nasce in me una certa Überspannung. Grazie a Dio mi sono sempre stati donati amici e la mia famiglia che sono stati e sono un grande aiuto in quel cammino dal "Padre al Padre" di cui parla spesso Adrienne. 

Excursus. Sulla teologia del Sabato Santo - una meditazione. 

Ultimamente (Aprile 2019) Gianni Valente ha citato una frase di Benedetto XVI sul Sabato Santo, che conoscevo, forse, da una meditazione che aveva tenuto durante la visita pastorale a Torino, come pellegrino dalla Sacra Sindone (nel 2010): „Sabato Santo: giorno della sepoltura di Dio; non è questo in modo impressionante il nostro giorno? Non comincia il nostro secolo ad essere un grande Sabato Santo, giorno dell’assenza di Dio, nel quale anche i discepoli hanno un vuoto agghiacciante nel cuore che si allarga sempre di più?“ 

Nel breviario latino nel giorno del Sabato Santo, possiamo meditare su questo tema leggendo un brano „ex antiqua Homilía in sancto et magno Sábato“ (PG 43, 439. 451. 462-463). Un testo molto bello; Cristo, disceso nell’inferno con il segno vittorioso della Croce, dice ad Adamo: „étenim non ideo te feci, ut in inférno contineáre vinctus. Surge a mortuis“. Tra l’affermazione di Benedetto XVI e questa del testo antico latino, però, vi è una differenza: di fronte a con questo racconto descritto nel brano veniamo confrontati con un’esperienza di vittoria e non di „vuoto agghiacciante“, né di „assenza di Dio“. 

Adrienne von Speyr, non sembra essere tra le fonti di Benedetto XVI, ma proprio lei e la sua esperienza mistica di discesa all’inferno mi permettono di congiungere i due testi, quello del papa bavarese e quello antico latino. 

A differenza di Dante Adrienne non racconta di nessuna persona concreta che sia all’inferno, ma percepisce solo delle „effigi“ (immagini); Cristo scendendo all’inferno percepisce tutta la gravità del male, tutta la sua forza distruttiva di ogni forma, percorre una melma di fango, che pian piano distrugge anche la forma del „fiume“, per cui tutto diventa melma: una melma invasiva. „Tutto è compiuto“ sulla terra, ma nell’inferno c’è ancora qualcosa da compiere, senza la percezione di potere fare qualcosa. Questa esperienza corrisponde al „vuoto agghiacciante“ di cui parla Benedetto XVI; quali siano le fonti a cui egli si richiami esse confermano l’esperienza di Adrienne. 

Inaspettatamente alle cinque del mattino (noi liturgicamente anticipiamo la vittoria di Cristo alla sera del Sabato Santo) la forza inarrestabile della risurrezione ferma l’invasione della melma del male. A questo punto ci si può immaginare il discorso di Cristo con Adamo che ho riferito qui sopra. 

Il nostro secolo con le sue brutalità, ricordate ieri nelle tante via Crucis nel mondo, anche in quella di Casale Monferrato a cui ho partecipato con mio figlio (per esempio i morti nel Mediterraneo), ricordate nella profonda preghiera di Francesco ieri a Roma nella via Crucis del Colosseo, lascia le sue tracce nell’inferno. Le sue effigi! Che coprono l’effige di Adamo che è Cristo stesso!  

La „speranza per tutti“ di Hans Urs von Balthasar ne è cosciente, cosciente di tutto quel male che Francesco esprime nella sua preghiera in questo modo: 

Preghiera di Papa Francesco alla Via Crucis - 19 aprile 2019

Signore Gesù, aiutaci a vedere nella Tua Croce tutte le croci del mondo: 
la croce delle persone affamate di pane e di amore;
la croce delle persone sole e abbandonate perfino dai propri figli e parenti;
la croce delle persone assetate di giustizia e di pace;
la croce delle persone che non hanno il conforto della fede;
la croce degli anziani che si trascinano sotto il peso degli anni e della solitudine;
la croce dei migranti che trovano le porte chiuse a causa della paura e dei cuori blindati dai calcoli politici;
la croce dei piccoli, feriti nella loro innocenza e nella loro purezza;
la croce dell umanità che vaga nel buio dell incertezza e nell oscurità della cultura del momentaneo;
la croce delle famiglie spezzate dal tradimento, dalle seduzioni del maligno o dall’omicida leggerezza e dall'egoismo;
la croce dei consacrati che cercano instancabilmente di portare la Tua luce nel mondo e si sentono rifiutati, derisi e umiliati;
la croce dei consacrati che, strada facendo, hanno dimenticato il loro primo amore;
la croce dei tuoi figli che, credendo in Te e cercando di vivere secondo la Tua parola, si trovano emarginati e scartati perfino dai loro famigliari e dai loro coetanei;
la croce delle nostre debolezze, delle nostre ipocrisie, dei nostri tradimenti, dei nostri peccati e delle nostre numerose promesse infrante;
la croce della Tua Chiesa che, fedele al Tuo Vangelo, fatica a portare il Tuo amore perfino tra gli stessi battezzati;
la croce della Chiesa, la Tua sposa, che si sente assalita continuamente dall’interno e dall’esterno;
la croce della nostra casa comune che appassisce seriamente sotto i nostri occhi egoistici e accecati dall'avidità e dal potere.
Signore Gesù, ravviva in noi la speranza della risurrezione e della Tua definitiva vittoria contro ogni male e ogni morte.

Amen.

Una delle mie foto, al mattino presto, sul ponte: 




9. Ferdinand Ulrich come uomo e come filosofo. Questo è un racconto di ricordi: per un filosofo, come io sono, ha certo anche a che fare con la filosofia, ma vuole rimanere un racconto, come Amos Oz racconta la sua vita in "Una storia di amore e di tenebra". Quella con Ulrich è certamente una storia d'amore. Essendo io più "dominante" di mia moglie, quando le persone ci conoscono sono spesso più impressionati di me che di lei; con Ulrich non fu così - egli capì immediatamente il valore e la profondità di questa donna e credo che pochissime persone siano in grado di far cambiare idea al piccolo pellegrino di Ratisbona e fratello di Gesù (così si firma Ulrich nelle sue lettere), come lo è mia moglie. Ne è nata un'amicizia che ha saputo aiutare moltissimo Konstanze, un'amicizia reciproca di ascolto e fiducia. Un'amicizia che a volte non ha avuto neppure bisogno di parole; quando nel 1999 (25 febBraio) è morta la mamma di Konstanze, Ulrich mi disse al telefono che Konstanze non aveva bisogno di una sua telefonata in questo momento triste. Ulrich era presente, come lo è stato e lo è in tutta la nostra vita, anche senza telefono. 

Una foto di mia moglie, Konstanze, in canyon in Arizona (2018): 




Ed una in cui si vede il suo volto bellissimo: 




L'ho incontrato per la prima volta, quando mi sono trasferito a Monaco di Baviera per fare il dottorato di ricerca da Spaemann, all'inizio degli anni 90. Avevo chiesto anche a lui se volesse essere il mio Doktorvater in un dottorato di ricerca sulla filosofia di Balthasar, ma lui pensava già alla sua Emeritierung e non voleva prendere nuovi dottorandi. Ci siamo incontrati in una sala di una parrocchia vicino all'università e credo che Lorenz Gadient, un sacerdote svizzero che studiava a Monaco, me lo avesse fatto conoscere. La prima cosa che ho percepito era che con lui, due ore potevano valere come 200 con un altro, insomma ho compreso la differenza tra tempo quantitativo e qualitativo.

Dell'Homo Abyssus vorrei esprimere solo due pensieri: quello della gratuità dell'essere come amore, come unica risposta al nichilismo: il nulla dell'amore gratuito versus il nulla del nichilismo. Poi l'idea della movimento in cui l'essere come dono diventa finito. Insomma il movimento ontologico per eccellenza non è quello della forza che conquista, ma quello del servizio. Nella tradizione iniziata da Erich Przywara si tratta di un pensiero analogico, attraverso il quale viene vista, sentita e spiegata filosoficamente l'analogia esistenziale ed ontologica tra la exinanitio del Figlio, che non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, e la donazione dell'essere, che non è qualcosa o qualcuno, ma ciò che spiega ogni qualcosa e qualsivoglia qualcuno. Infondo un nulla, ma un nulla senza il quale le tenebre del niente nichilistico ci sopraffarebbero, senza alcuna via d'uscita. Dio ci dona non solo cose, animali e persone, ma anche questo nulla che è il mistero ultimo della sua donazione dell'essere. Il "medesimo uso di essere e nulla" (Ulrich) non è in contraddizione con ciò che dice Romano Guardini e cioè che il niente non è un polo di fecondità nei confronti dell'essere, ma una una sua contraddizione radicale. Il niente nichilistico è ovviamente in contraddizione con l'essere e con il nulla della gratuità. Il nulla della gratuità può sconfiggere, per così dire dall'interno il niente nichilistico, perché è una forma più radicale dell' umsonst. Questa parola in tedesco significa entrambe le cose: gratis e frustra. Per il niente nichilistico tutto è inutile, in questo senso è umsonst. Il nulla dell'amore gratuito è un umsonst ancora più radicale, è del tutto gratis e in quanto tale è disposto a fallire, a negare ogni forma di trionfalismo (uno dei temi più grandi del pontificato di Papa Francesco), ad accettare che qui sulla terra un nostro piano sia inutile, e in questo senso è più radicale del niente nichilistico, ma è anche l'unico antidoto per superarlo. 

Parlando con mio figlio Ferdinand di economia e finanza ho cercato di spiegare sia il "medesimo uso di essere e nulla", sia il "medesimo uso di ricchezza e povertà"; lui mi spiegava con tanto sapere come il rapporto tra economia e finanza sia malato e cercava di discernere se la modalità di azione della finanza sia di per sé cattiva o se essa è degenerata con le tentazioni dovute al poter diventare ricco sine studio; dapprima essa sembrava essere una aiuto per l'encomia reale, poi invece è degenerata in un'astrazione che vive di sola speculazione, oppure, si chiedeva: essendo il suo telos l'accumulazione di ricchezza non poteva che finire nel favorire solo pochi ricchi versus una massa di poveri. Con il "medesimo uso di ricchezza e povertà" cercavo di fargli capire, a mia volta, come nella filosofia di Ulrich si trovi un correttivo ontologico ultimo alla crescita della ricchezza in modo unidimensionale. Donandoci il donare dell'essere e non solo i doni (una pianta, un animale, etc.) Dio voleva educarci a quell'atteggiamento di povertà (non miseria) che genera ricchezza, la ricchezza di una vita riuscita, che per l'appunto non consiste nell'accumulazione di ricchezze, ma in quel atteggiamento di povertà (uno dei consigli evangelici) nei confronti di una felicita che non può essere prodotta, ma solo ricevuta. Questo tema della "passività" (non fatalismo) è un altro dei temi cari a Papa Francesco. 

Con l'aiuto della filosofia di Ulrich potevo anche comprendere il momento di verità dell'ontologia debole di Gianni Vattimo, con cui avevo incominciato a Torino la mia tesi di laurea su Balthasar. Me ne ero andato da Torino per tanti motivi, non per Vattimo: per aiutare mia nonna ad accudire mio nonno che era a letto ed in carrozzella e Pavia era più facilmente raggiungibile da Casale Monferrato che Torino; ma anche perché a Torino volevano che si imparasse pressoché a memoria il manuale di storia della filosofia di Nicola Abbagnano: per dire in verità il problema non era Abbagnano, ma il metodo dell'imparare a memoria.   
Vattimo, che prega in latino il Completorium del Breviario e che era commosso quando qualche tempo fa gli telefonò Papa Francesco, sebbene lui sia per lo più conosciuto come filosofo del nichilismo gaudente, che pensa che "non c'è niente che duri più di tre minuti" (1978) e come omosessuale, aveva ragione nella sua critica ad un'ontologia forte, che è quel modo di pensare che ha portato al sovranismo politico odierno (dalla Russia di Putin all'America di Trump). Il sovranismo usa un linguaggio e simboli cristiani, ma non ne capisce la dimensione ultima della exinanitio o della bellezza disarmata. Cerca la sua "sussistenza" nel potere economico e delle armi. 
 L'essere come dice Tommaso d'Aquino e come ripropone Ulrich "non è sussistente", il donare dell'essere non ha sussistenza e nulla come abbiamo visto prima. Quello che la filosofia debole non sa e che l'essere è, però, anche "semplice e completo": l'atto della donazione dell'essere è allo stesso tempo semplice e completo, ma non sussistente. Tommaso lo dice anche nella lunghezza di un messaggio twitter odierno: "Esse est aliquid simplex et completum, sed non subisistens". Stiamo ovviamente parlando dell'essere come dono e non dell'Essere che è Dio, che ovviamente è massimamente sussistente!  

Con Ferdinand Ulrich mi sarebbe anche stato possibile approfondire la filosofia di un altro filosofo italiano, Massimo Cacciari, che conosco, però, meno di Gianni Vattimo, ma con cui, come liceale o nei primi anni dell'università, avevo fatto un viaggio in treno da Torino a Firenze. Più tardi leggerò alcuni dei suoi lavorii, ma del viaggio in treno mi sono rimasti in mente alcuni aspetti della sua persona: a livello musicale, un certo atteggiamento aristocratico che valorizzava compositori come Luigi Nono e considerava musica piccolo borghese lo Schubert cantato da Fischer- Dieskau  ; un grande interesse per Balthasar e nessuno per Adrienne: è possibile che in Balthasar vedesse, nella sua idea di amore gratuito, qualcosa di simile a quella mancanza di fondamento ultimo, che allora mi sembrava essere il motivo ultimo della sua filosofia. Per questa mancanza di fondamento si potrebbero dire cose simile a quelle che ho espresso sul momento di verità nell'ontologia debole di Vattimo. 

Ed infine vorrei raccontare due aneddoti su questo uomo ed amico straordinario. Una volta arrivammo da lui a Ratisbona con più di un'ora di ritardo e lui ci aspettò pazientemente per tutto il tempo nella piccola entrata della sua casa per non rifare i tre piani, che lo avrebbero riportato alla sua stanza sotto il tetto, ma con grande fatica e dolore, e non ci fece alcun rimprovero, ma ci accolse, dopo un ora di preghiera, suppongo, ed un ora di quel farsi piccolo che ha saputo pensare a livello ontologico, con un grande sorriso di simpatia. Il secondo aneddoto riguarda una visita spontanea, dopo gli Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione, che gli facemmo con Doris e Burkhard, moglie e marito, lei medico del nostro paese fino al marzo del 2019 e lui presiedere del liceo in cui lavoro, fino al giungo del 2018: ci raccontò in modo molto divertito del primo semestre di Stefan Oster che seguiva le sue lezioni con la testa nascosta sul braccio steso sul tavolo; pian piano e solo piano venne fuori quella figura  straordinaria di pensatore e uomo di Chiesa, salesiano, che è ora (2019) vescovo di Passau e che avevo conosciuto al simposio su von Balthasar tenutosi nel 2005 a Washington D.C. Un vescovo che è presente nella rete, un uomo di preghiera, un sacerdote che sa parlare con i giovani, che non riduce Gesù ad uomo solo simpatico, ma che ne sa vedere la statura divina e teodrammatica, innamorato del nuovo pontefice argentino. Dal Sussidiario mi aveva concesso la sua prima intervista in italiano come vescovo neo eletto, stiamo parlando del 2014. 

Excursus. Don Julián Carrón ha citato Ferdinand Ulrich negli Esercizi della Fraternità di Rimini del 2019: Che cosa regge l'urto del tempo? - una lettera ad un amico. 

Caro Martin, 
Non ho trovato la citazione, alla pagina indicata non c'é; che don Julián abbia toccato proprio questo punto, è per me una risposta, la più profonda che non osavo aspettarmi; non si tratta di una profondità teorica, è un semplice passo nella nostra esperienza, ma quanto è difficile realizzarlo: 


«Il padre non tiene legato a sé stesso il proprio figlio […]. Egli ha posto in libertà l’altro come altro da sé stesso e lo ha responsabilizzato per il rischio futuro di un amoroso diventare sé stesso a partire dall’abisso della sua propria libertà». 

Un padre che volesse legarci a sé non amerebbe la nostra libertà. Il suo amore gratis, non lega - libera!  Ci ha congedato in libertà, ha rischiato sulla nostra libertà. Il figlio se ne va, ma poi ritorna, perché il Padre non gli aveva dato solo la parte del patrimonio che gli spettava, ma quel „amoroso diventare se stesso“ che gli permette davvero e liberamente di tornare. 

Tuo, Roberto  

10. Angelo Scola e l'ingresso nella Fraternità di Comunione e Liberazione. Ho conosciuto Angelo Scola, il futuro patriarca di Venezia ed arcivescovo di Milano,  quando lavoravo alla Piemme; ci siamo incontrati una prima volta a Roma. Egli era stupito dell'acutezza dei miei giudizi e me lo disse. Io non sapevo nulla di lui, se non che aveva organizzato, qualche anno prima, il simposio romano su Adrienne voluto da Papa San Giovanni Paolo II nel settembre del 1985. Più tardi mi chiese di fare un recensione del suo libro su Von Balthasar (la feci, ma 30 giorni non la pubblicò, credo per colpa mia - avevo mandato un testo corretto a mano) e molto tempo dopo di tradurre in italiano il corso, credo di cristologia, che il professore Gerhard L. Muller, il futuro prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, tenne a Roma, dove nel frattempo Angelo Scola era diventato rettore dell'università Lateranense. Il giudizio positivo che aveva del cardinal Carlo Caffarra, era l'unica cosa che non mi ha mai convinto - non conoscevo questo vescovo, che sarebbe poi diventato uno dei firmatari dei dubia nei confronti di alcuni insegnamenti di Papa Francesco, se non il suo paragone tra la masturbazione e l'omicidio, che mi spaventava. Mi spaventa il tipo di pensiero teologico ed antropologico che si nasconde dietro una tale affermazione, perché io sarei tentato di dire che la masturbazione è un atto neutro, né buono né cattivo, con cui si può canalizzare la forza sessuale naturale e che può essere buono o cattivo a seconda dell'intenzione che nasconde (volgare o di sollievo), pur non essendo forse un atto che non esaurisca prima o poi la sua forza erotica, per un suo difetto di comunionalità. Comunque ho avuto così fiducia di Scola da chiedergli, dopo essere ritornato nel grembo della Chiesa e dopo aver frequentato Comunione e Liberazione, nella comunità di Monaco di Baviera, se la Fraternità di CL potesse essere per me, figlio spirituale di Ignazio e Balthasar, quella forma che cercavo, per la mia apparenza alla Chiesa. Mi rispose che il tentativo poteva essere considerato come ragionevole, tanto più che Balthasar non aveva fondato nulla per laici sposati.  

Così nacque quella decisione di entrare nella Fraternità di CL, che dopo un po' di tempo però ritrattai, uscendone, per difficoltà che avevo o forse che avevano i ciellini, come vengono chiamati gli aderenti al Movimento di Comunione e Liberazione, con me. Forse il momento più grave di queste difficoltà si rivelò quando andai a trovare Ulrich con due responsabili di CL. Non si resero per nulla conto di essere in contatto con la carne di Gesù, ma volevano trarne un certo profitto per il Movimento, visto che Ulrich stava riflettendo sulla possibilità di tenere un corso sul Senso Religioso di Giussani nell'università di Ratisbona. Poi accadde quello che doveva accadere, in una seduta di scuola di comunità me ne andai, sbattendo la porta. 

Bernhard Ollmert. A livello di padre confessore e guida spirituale conobbi padre Bernhard Ollmert di Berlino che conquistò con la sua bontà, sia il cuore di Konstanze che il mio. Conobbi, più tardi, anche la sua amica, Cordula N. con cui lui aveva una storia simile, secondo il loro giudizio, a quella che avevano avuto Adrienne ed Hans Urs. Mi fecero leggere i diari di Cordula, in cui si parlava, tra l'altro, di una visione che lei aveva avuto e in cui Adrienne metteva il "bambino" (la comunità di san Giovanni, come veniva chiamata al suo inizio, dai due fondatori) nella suo grembo. Dapprima cercai di mediare tra i due e il ramo maschile della comunità, poi, però, dopo un pellegrinaggio comune a piedi sulle orme di san Nikolaus von der Flüe (2010), dopo un dialogo, in cui i due mettevano in discussione l'autenticità di Ulrich, il rapporto si incrinò gravemente, e presi la decisione di non andare più da Bernhard, come padre confessore - presi la decisione nel giorno in cui la Chiesa festeggia san Bernardo, ma me ne accorsi solo dopo. Quando Papa Francesco incominciò ad invitare ad uno sguardo di misericordia per tutti, scrissi a Bernhard  e così ci siamo risentiti qualche volta via Email. Non ho un giudizio sulla loro, di Cordula e Bernhard, missione ecclesiale e non credo che spetti a me darlo. Cordula è certamente una donna forte e che ha sofferto molto per Gesù. Dopo quell'ulteriore esperienza di estraniazione - lo stacco da loro - andai a pregare sulla tomba di Balthasar a Lucerna, dove ebbi la sensazione fortissima che dovessi ritornare nella fraternità. Dopo essere stato inginocchiato vicino alla sua tomba e dopo aver cantato sottovoce Non sono degno di Claudio Chieffo, potevo dire con certezza che l'abbraccio che avevo visto molti anni prima, tra Giussani e Balthasar, al simposio su Adrienne, era l'abbraccino che aveva generato la mia missione ecclesiale, che ha una sua dimensione pubblica nell'amicizia che abbiamo chiamato i "Contadini di Peguy". 

Luigi Giussani. Anche se io riconosco senza riserve la paternità di don Luigi Giussani, non conosco benissimo la sua opera. Ho letto con attenzione il Percorso (Senso religioso, All'origine della pretesa cristiana, Perché la Chiesa). Don Giussani è stato un grande pedagogo, il cui pensiero, a me sembra, è più di tipo gnoseologico, che ontologico. Il suo problema, mi sembra essere quello del tipo di sapere necessario per conoscere il cuore dell'uomo, Cristo e la Chiesa, il mio pensiero è più di stampo ontologico, come ho fatto vedere prima parlando di Ulrich. Vi sono, però, alcuni temi di don Giussani che ho interiorizzato del tutto e che sento del tutto congeniali: l'importanza dell'esperienza per giudicare ciò di cui ha bisogno realmente il mio cuore, per comprendere la singolare pretesa di Cristo e per vivere nella Chiesa, in un medesimo uso delle parole libertà e obbedienza. Il suo atteggiamento di reale ecumene nei confronti della cultura laica, protestante o buddista che sia, mi ha sempre ispirato una grande fiducia. Per usare una frase del professore buddista suo amico, Shodo Habukawa - Giussani era un uomo aperto agli altri, che incontrava gli altri nella modalità della farfalla che arriva quando il fiore si apre e del fiore che si apre quando la farfalla arriva.  Con ragione Massimo Borghesi parla di questo sacerdote della bassa lombarda, nel senso di una conoscenza amorosa, di un'esperienza del vero ed di un percorso moderno, cioè libero.  

Del tutto estraneo invece è stato per me quello che chiamerei "sistema cl", un sistema di occupazioni di spazi di potere politico. Ne avevo parlato in post del mio blog: "Diario di Roberto Graziotto" (https://graziotto.blogspot.com/2019/02/carisma-versus-sistema-riflessioni.html). Mentre il modo con cui Gianni Mereghetti, un vecchio amico a partire dagli anni della Piemme,  ha affrontato la sua malattia - un anorisma - mi ha convinto che le forze mobilitate dal carisma di Cl provenivano direttamente dal cuore sanguinante di Cristo.  Probabilmente Gianni è stato anche uno dei motivi che mi spinsero nel 2010 a ritornare nella fraternità di Cl. 

Ovviamente a questo punto dovrei citare più persone, ma mi limito a ricordare Marco Quarantelli, che si è sempre curato di noi, all'inizio del matrimonio di Konstanze e me, quando abitavamo ancora in paesi bavaresi  vicino al suo. Suo padre Manlio aveva, sacrificando la sua vita, portato un areo, che stava esaminando, fuori dal centro abitato di Torino, per evitare una tragedia più grande della morte di una persona sola, ma ovviamente questo avvenimento ha segnato la vita di Marco, per il quale la morte di suo padre era in sé sufficientemente tragica. Quando in Baviera cercai un lavoro per mantere la mia famiglia Marco mi aiutò con le sue conoscenze, che in Baviera non avevano nessuna valenza sistematica. Di fatto quando ebbi un colloquio di lavoro da Iveco non fui assunto, perché non avevo la competenza necessaria per quel tipo di lavoro, mentre venni assunto dall'Ordinariato di Monaco di Baviera come insegnante di religione. Questo interesse per il lavoro degli amici non è sistema, ma normale amicizia che non contraddice quella lettera di Don Carrón apparsa su Repubblica il primo maggio del 2012, che ebbe, come si è detto agli Esercizi della Fraternità del 2019, l'effetto di un "buchino in una diga". Anche se, per chi conosce ciò che viene detto nella rete da tanti di CL, non si può ancora parlare, secondo me, di un reale cambiamento generale nella mentalità provocata da tanti anni di "sistema Cl". 

Per quanto riguarda la mia lotta contro il "sistema Cl", vorrei specificare quanto segue: Nel verso 70a del sesto capitolo di Giovanni, Gesù ci educa a comprendere una cosa molto difficile, a livello esistenziale: lui ha scelto Giuda! Ha scelto un diavolo. Ma anche noi tutti, pur non essendo, forse, un diavolo, siamo peccatori. Anche quando lottiamo contro un sistema corrotto nella Chiesa non dobbiamo dimenticare che la meta di una Chiesa della misericordia non potrà mai essere l'esclusione totale dei peccatori. Se si eliminassero i peccatori non avremmo una Chiesa di santi, ma di mediocri, insegna Adrienne.

L'essere confrontati con il nostro peccato e con il peccato degli altri, è uno stimolo continuo alla santità. La nostra meta ecclesiale non è la mediocrità, ma la santità. Questo è il motivo ultimo per cui Gesù ha scelto un "diavolo". È il motivo ultimo perché non possiamo lottare come dei taliban moralistici contro i peccatori, per sbatterli tutti fuori dalla Chiesa. Il che ovviamente non significa che non si possano prendere le decisioni necessarie per il "governo della Chiesa".

E ciò non significa, infine neppure, che non si debba o possa aver il coraggio di lasciar andare il figliol prodigo che non vuole più rimanere a casa. Ma il padre di Lc 15 lo lascia andare, dandogli non solo la parte del patrimonio che gli spetta, ma anche il suo amore che lo responsabilizzerà più tardi, giunto al vuoto dei maiali, a ritornare al padre, senza alcuna pretesa di figliolanza.

11. Adrian Walker significa, non solo per me, ma per tutta la mia famiglia, l'incontro con la gioia, con una gioia capace di sconfiggere il male, anche se conoscendolo meglio, si scopre che è un uomo anche con tratti malinconici. Il filosofo americano nasce nel 1968 in California e precisamente a San Francisco. Risponde, credo verso il 2000, ad una Email che gli avevo scritto; questa risposta mi apre un accesso alla realtà nord americana, che io non ho mai interpretato secondo lo schema di Sergio Romano di ascesa e sconfitta di un impero, ma, piuttosto, con Herfried Münkler come un impero con una missione politica, e con ascese e discese e nuove ascese. Nel mio viaggio negli USA di tre anni fa, ho incontrato spesso una gioia che gli Europei considerano superficiale, ma che per me invece era un "avvenimento" di ciò che noi nel Vecchio Continente facciamo fatica a vivere. Adrian Walker è poliglotta e legge, come già accennavo, Massimo il Confessore in greco, i suoi interessi spaziano dai Padri della Chiesa fino a temi dell'attualità ed in modo particolare a domande riguardanti la filosofia della scienza e della tecnica - nei boschi vicino a Heidelberg o in quelli vicini a Friburgo abbiamo parlato anche per ore su temi filosofici (per esempio sull'importanza del telos aristotelico, anche per il discorso scientifico odierno) e pregato il Rosario insieme. Forse, a differenza di Ulrich che sottolinea la dimensione della exinanitio e critica l'ousia (sostanza) quando essa si presenta come "potere", Adrian vede nella ousia piuttosto un momento di stabilità di cui noi abbiamo bisogno per vivere. Una sua battuta in una lettera, in cui criticavo la ousia nel senso di Ulrich, mi ricordava che Cristo ne aveva due di "sostanze". Attualmente insegna nella Catholic University  di Washington D.C. dove mio figlio lo ha visitato per due volte, godendo dell'atmosfera vivace del campus americano, anche se, come ho letto nel "giorno del giudizio" di Gianni Valente e Andrea Tornielli, vi è nel campus un istituto di economia che sembra essere uno dei potentati finanziari nella lotta contro Papa Francesco. Un'università, però, è una realtà complessa che non può essere ridotta ad un suo istituto. 

Senza Adrian Walker non sarebbero mai nati i miei tre interventi americani (7), due dei quali  nella Communio americana, la rivista fondata da Hans Urs von Balthasar. Nel 2002 Adrian fa tradurre un mio contributo, nato in dialogo con studenti in Sassonia-Anhalt, organizzato da un sacerdote, Christoph Sperling, sul tema: cosa significa fare filosofia? Ho potuto esprime il mio modo di fare filosofia, nel seno della grande tradizione della metafisica europea, come sapienza che aiuta a porre le "domande ultime" sul senso dell'essere e come stile di vita che ispira anche il laico a vivere seguendo i tre consigli evangelici: obbedienza come obbedienza al senso necessario dell'essere e quindi come reale libertà; povertà nel senso di una sapienza che sa di non sapere; verginità, nel senso del rispetto per le cose e le persone donate. Essendo un uomo della "nostra società trasparente" (Byung-Chul Han) non sono sempre all'altezza di ciò che ho scritto (forse per questo ho deluso anche un po' l'anima nobile di Adrian), ma credo - se non si riducono i consigli evangelici a delle astrazioni per una élite di puri - che senza questa saggezza della Chiesa non vi sia vera gioia, ma solo una dipendenza da forme di piacere effimere - anche se esse non sono da sottovalutare, ma neppure da sopravvalutare.
Nel 2004 scrivo le mie riflessioni sulla guerra  - sono gli anni della occupazione dell'Irak da parte degli USA di Bush jr., dopo l'undici settembre. Il mio scritto non è così profetico come quello di Massimo Borghesi in Trenta giorni, che difendeva a spada tratta la posizione di san Giovanni Paolo II. Faccio presente allo stimato lettore dei mei ricordi, che il mio rapporto con Borghesi riprese dopo una decennale sospensione con la mia entrata in Facebook nel 2009. Nel 2004 non avevo nessun rapporto con la realtà filosofica italiana e con la rivista 30 giorni. L'unico merito che riconosco al mio articolo, oggi, è di essere stato scritto senza nessuna dipendenza dallo sterile pacifismo europeo; cercavo di prendere sul serio la posizione del no alla guerra di san Giovanni Paolo II, ma riconoscevo agli Usa una certa legittimità iniziale della loro scelta. Ciò che cercavo di esprimere era la necessità per tutti (sia per chi era per l'intervento in Irak, sia per chi era contrario) di guardare al Crocifisso, all Agnello immolato, che non immola a sua volta nessuno. Se si fosse preso sul serio questo tipo di invito si sarebbero potuto, per esempio, evitare gli eventi tragici di abuso e violenza sessuale nelle carceri di Bagdad. 

Nel 2005 vengo invitato da David L. Schindler Senior ad un congresso su von Balthasar a Washington DC - la domanda che mi era stata posta era quella se un cristiano fosse un affidabile membro di una società democratica. Il mio paper, che Adrian lesse in inglese alla mia presenza, era molto influenzato da Ulrich: il contributo del cristiano alla democrazia consiste nella sua presa sul serio della politica come servizio, che non vuole in primo luogo "successo", ma il "bene comune", che si raggiunge sempre con forme di exinanitio del potere (il mio intervento fu poi pubblicato negli atti del simposio). 

La ricaduta di tutto quanto qui raccontato nella vita quotidiana è di estrema importanza. Per me è priorità, a cui mi oriento in continuazione, è uno dei pochi principi che ho, come insegnante nella mia scuola, anche e soprattuto dove ci sono fasi critiche, quella di sorridere sempre, quanto incontro un collega o uno studente (femmina e marchio) - certo ci sono giorni in cui non sto bene e in cui ho, per esempio, mal di schiena, ma questo mio messaggio permanente, questa mia priorità, è arrivata al cuore di molti: mentre gli altri mormorano e si lamentano, tu sorridi. Sto pensando a ciò che ho detto all'inizio di questo paragrafo sulla gioia di Adrian ed americana in genere. Una seconda ricaduta è sull'ampiezza acquisita negli anni, nei confronti delle sfide dell'insegnamento e dei temi in esso trattati. Una ampiezza di temi che può nascere solamente in dialogo con spiriti ampi.  

Adrian mi ha "preso il cuore" anche con la sua ironia; una volta mi ha raccontato come fece infuriare i ciellini, quando scoppio in una delle sue risate, mentre loro cantavano con serietà esagerata una canzone spagnola: "el drama de la existencia" (Hoy arriesgaré); ha una sensibilità fine per tutto ciò che è esagerato e certo non perché non conosca il dramma della esistenza: ha accompagnato un suo amico inglese, esperto tra l'altro di J.R.R. Tolkien e la sua famiglia, negli ultimi giorni della sua vita, fino alla morte, fino al "tutto è compiuto". Arrivò da noi a Neckargemünd, direttamente dall'Inghilterra dopo questa azione di vero coraggio amicale. 

Devo ancora accennare ad un libro, che Adrian mi fece notare nella libreria che si trova nella piazza dell'università ad Heidelberg (sebbene noi andassimo più volentieri in un Antiquariato, nella via principale, l' Hauptstrasse) e di cui feci una recensione ne Il Sussidiario, quello di Christoph Menke, "Kritik der Rechte" (Critica dei diritti, Berlino 2015); Adrian era stato attratto dal titolo e dando un'occhiata al suo interno mi consigliò di leggerlo. Si tratta di un filosofo marxista, cosa che Adrian non poteva sapere, ma che mi accompagnò nelle mie riflessioni sulla filosofia del diritto per tutta un'estate. Con la sua ricostruzione della storia della filosofia del diritto, a partire da Atene (valenza educativa del diritto), passando per Roma (valenza costringente) ed arrivando a Londra (la volontà del singolo come unica divinità), Menke presentava alla mia riflessione una critica del liberalismo dei diritti delle singole persone davvero degna di essere pensata: il soggetto dei diritti borghesi paga per la sua capacità di imporli a livello politico il prezzo dell'esautorazione del potere politico in generale. Che per Menke è quello di una capacità rivoluzionaria e di pensiero di cambiare le strutture oppressive della società in cui viviamo.  

Per quanto riguarda i suoi saggi vorrei soffermarmi su uno che si intitola: "Creazione ed evoluzione. Al di là del concordismo", per far comprendere il ductus e il contenuto molto profondo del suo pensiero. Chi è abituato a pensare che vi sono diversi metodi di conoscenze e li lascia uno accanto all'altro (questo si chiama concordismo ed in un certo senso, nelle sue premesse al Senso religioso, anche Giussani si ferma a questo livello, pur dando al metodo della conoscenza interiore e libera un valore più grande che agli altri metodi conoscitivi), senza discernimento filosofico, non comprenderà l'intento di Adrian. C'è un modo fondamentalista di leggere il racconto della creazione della Bibbia, ma questo racconto in sé non è fondamentalista. Adrian non scriverebbe mai un saggio per difendere il fondamentalismo o per discreditare il metodo scientifico di conoscenza. Il suo intento è piuttosto quello di arricchirlo. Se Dio ha creato davvero questo mondo e ci ha donato le sostanze (pietre, piante, animali, uomini), ma anche il dono con cui dona le sostanze, allora in questo suo mondo lui è presente, al di là dell'alternativa tra un Deus otiosus (non si intromette mai nelle cose del mondo) e un Deus ex machina (dirige direttamente le cose del mondo, senza rispetto delle cause secundae). La teologia e le scienze naturali non sono solo due metodi diversi che stanno l'uno accanto all'altro, ma si incrociano e credere che certe affermazioni, che si pretendono scientifiche, siano sufficienti per capire il mondo, significa fare una scelta che non è conciliabile con la teologia e neppure con la filosofia. Pensare che la macro evoluzione sia un dogma è anche una forma di fondamentalismo. Dire che sei milioni di anni fa una scimmia ha avuto due figlie, una è diventata la progenitrice degli scimpanzé e l'altra dell'homo sapiens è una frase che in sé suona più scientifica che dire: "Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre" (Gen 1,4) o affermare che Dio "creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; 
maschio e femmina li creò( Gen 1,27). . Ma in vero il pensare solamente che gli uomini sono il frutto di causali adattamenti climatici come affermazione sufficiente per comprendere chi sia l'uomo  è un affermazione che non è conciliabile con la filosofia e la teologia, mentre l'essere una cosa buona della luce lo è, come lo è la sua separazione dalle tenebre e come lo è la creazione dell'uomo come maschio e femmina. Perché in questa affermazione è in gioco un telos, una forma della realtà, come ci ha spiegato anche Aristotele. La forma è un determinato essere che ci appare nella sua integrità: un elefante non è solo un conglomerato di cellule che non si distinguerebbe essenzialmente da quell'altro conglomerato di cellule che è un topo. Senza la percezione della forma di una sostanza che vogliamo studiare ci occuperemo di informazioni che piuttosto di essere scientifiche sono il riflesso, nel linguaggio, delle casuali mutazione che vorrebbero esprimere. Questa forma di materialismo impedisce di vedere nel cane, nel topo, in un fiore momenti di quel dono gratuito dell'essere che è "similitudo divinae bonitatis", una similitudine della bontà di Dio che non dona solo conglomerati di cellule, ma per l'appunto forme che ci sorprendono nella loro bellezza. 

Ovviamente un biologo può temporaneamente mettere da parte un riferimento esplicito alla forma, per misurare o fare ricerca su un certo dettaglio, ma la musa del suo lavoro, che non può essere dimenticata, sarà sempre quella che Balthasar chiama la "percezione della forma". Spesso sono andato a passeggio per i boschi e per i prati della nostra regione con un amico biologo, Rainer Patzer: mi ricordo come una volta mi fece notare la modalità con cui un fiore si apre nel momento in cui un ape, appoggiandosi ad esso, viene a prenderne il nettare. Questo piccolo dettaglio presuppone ciò che Adrian chiama la percezione integrale della forma: il fiore, l'ape e il movimento di apertura quando l'animale si appoggia su una parte del fiore. Anche se la forma può essere esclusa dal lavoro del biologo, non lo è mai dalla realtà. Nell'entusiasmo di Rainer nel farmi vedere questo fenomeno della natura (queste forme nella natura), ho visto in gioco la musa che lo guida in tutto il suo sapere biologico. 

 Sarebbe molto importante confrontare quello che ho scritto in questo mio racconto o altrove (https://graziotto.blogspot.com/2019/04/vita-eterna-e-nuovo-inizio-in-dialogo.html) riguardante una possibile "filosofia dei sessi" con il saggio di Adrian Walker "Nexus Indissolubilis". A Balthasarian- Augustinian Meditation on the Spousal Embrances" (Washington 2019), che sostiene la tesi riguardante "il ruolo del nesso indissolubile tra unione e procreazione nella costituzione di un abbraccio sponsale" (p. 5). Il punto sostenuto da Adrian è che durante il sesso l'unità tra i Due è ricettiva verso un bambino, e che due persone già si uniscono con il potenziale bambino come Terzo. E che senza questa componente abbiamo a che fare solo con un atto "ridotto" a cui manca il vero significato. Adrian riesce a sostenere tutto ciò senza negare "la natura dell'unione carnale di per sé" (p.5). E senza cadere in una "opposizione doloristica tra "eros" e "agape" (p. 2). Prende sul serio anche l'unità tra il naturale (anche tra la "creazione infraumana") e i livelli personali del sesso. E ci conduce nel tema balthasariano dell'unità tra persona e missione. Con lo stesso Balthasar inizia il suo saggio, che in "Homo creatus est" (Einsiedeln, 1986, 291) esprime la connessione tra Eros e Thanatos: "Chi genera, non solo fisiologicamente, ma anche spiritualmente, dice sì alla sua morte"; Balthasar non usa un linguaggio pio e la dimensione del piacere gli è completamente presente, anche se la mette in relazione con la morte, quando parla di "morte piacevole". L'orgasmo stesso è visto da Balthasar e Adrian come una "piccola morte". 

Con la mia richiesta, implicita o esplicita, di prendere sul serio le pulsioni (che non sono solo istinto di sopravvivenza o di procreazione,  ma attrazione del molteplice come espressione del dono dell'essere), sia per le donne che per gli uomini, non volevo mettere in discussione la dottrina cattolica, ma "problematizzarla" in senso positivo. Posso immaginare che riflettendo sulla dottrina cattolica, anche in questa interpretazione di Adrian, molte persone sentono ciò che una mia amica esprime così: "Una cosa che in me personalmente mi mette in atteggiamento di difesa nei confronti della dottrina cattolica (qui spiegata da Adrian) è che la donna è solo uno strumento passivo. Non si ha bisogno di un orgasmo femminile per i bambini - e non è assolutamente sorprendente che in questa luce la sessualità femminile abbia un'esistenza così miserabile in tutto il discorso. Ciò che sta cambiando al momento, non nel senso di non un femminismo militante, ma di un femminismo aperto e affermativo". 


Inoltre, oggi non è possibile affrontare questo tema (sesso e dottrina cattolica) senza considerare anche gli scandali di pedofilia nella chiesa; cito ancora una volta la mia amica:  "Penso che l'aspetto dell'amore dovrebbe essere il più importante in relazione al sesso. E credo che da ciò derivi logicamente che la libertà e il consenso sincero sono essenziali. E che i sacerdoti e gli altri che abusano dei bambini non solo fanno cose terribili agli altri, ma anche "pervertono" il messaggio stesso dell'amore, dell'amore libero e gratuito".

Il mio accesso a questi argomenti, in generale e in questo racconto della mia vita, è la mia esperienza e la filosofia dell'essere come un dono d'amore gratuito e libero. Massimo Recalcati mi aiuta a comprendere meglio alcuni aspetti del problema, in primo luogo mi aiuta a sostenere un atteggiamento positivo verso i desideri pulsionali, perché un discorso, anche il più corretto, può essere usato per soggiogare l'uomo, se non li si prende sul serio. Mi riferisco agli esempi ricordati in questo racconto. Nella mia esperienza, il nesso indissolubile tra sesso e riproduzione è garantito dalla grazia. Percepisco i nostri figli come una molteplicità che mi arricchisce e che è stata voluta nell'atto sessuale. Eppure penso che, nel contesto cattolico, il piacere della donazione di sé (Balthasar), sia quella maschile che femminile, è preso troppo poco in considerazione, con conseguenze che possono essere sopportate solo se il dono di essere, come dono libero e gratuito  ti dà una forza di gratuità, senza la quale quasi ogni rapporto coniugale andrebbe in crisi. Continuo a citare l'amica di cui sopra: "Quando si tratta di amore,  la dottrina (e le regole, o come le si voglia chiamare) non dovrebbe essere troppo enfatizzata, perché essa, come tutto il resto, deve essere misurata, nella concretezza della vita vissuta, con quanto ha davvero a che fare con l'amore gratuito all'altro, o quanto ha a che fare con il potere, l'egoismo, la paura, ecc. E tutto ciò è molto concreto, non ha la valenza di un simbolo, ma deve essere considerato ogni volta per ogni persona a modo suo. In questo modo trovo un accesso sensato a tutti questi temi".  In queste parole della mia amica è emerso un criterio importante: solo l'amore libero e gratuito decide se ciò che si fa è degno o meno di una persona umana e del suo compito nel mondo  Soprattutto in un'epoca in cui le persone non hanno il problema se agiscono in modo conforme a delle regole, ma se sono "amabili" (Federico Picchetto) , è necessario sottolineare questo criterio ultimo. E il sesso per molti è solo un linguaggio con il quale possono verificare se l'altro mi sente come amabile o meno. 


La prospettiva simbolica (il mistero grande dell'unione sponsale in riferimento a Dio/uomo e Cristo/Chiesa) è possibile, ma non deve degenerare in un "sistema" che renda impossibile vedere l'amore libero e gratuito dove si realizza concretamente (ad esempio anche in una relazione omosessuale). Sostengo qui che venga gettata via modernisticamente la dottrina cattolica? No! Questo significherebbe che starei buttando via la mia vita; cerco solo una via, autentica, per non nascondere tutti i fattori che sono in gioco, poiché l'essere sia donato liberamente e gratuitamente nella molteplicità.

Il pensiero di Adrian mi permette anche di riflettere sulla mia attività - che ormai dura da 17 anni - in una scuola cristiana nei territori che formavano lo stato della DDR: la scuola di san Cristoforo, del CJD (Christlicher Jugendorf), fondato da un pastore protestante dopo la seconda guerra mondiale, Arnold Dannenmann (1907-1993), nato con il motto Keiner darf verloren gehen (nessuno deve andare perso), e realizzata in Sassonia- Anhalt, dopo la caduta del muro, dal direttore scolastico Burkhard Schmitt. La grande sfida di una scuola cristiana in una regione con 80 % di non battezzati non è l'ateismo, perché con questo ci si può confrontare, ma ciò che Adrian chiama "la logica non cosciente ateistica di certe posizioni" con cui si insegnano le scienze naturali, ma anche la storia. Proprio perché queste posizioni non sono coscienti, sono difficili da sradicare. Ma proprio esse impediscano un lavoro scolastico cristiano in profondità.  Anche l'idea dei responsabili del CJD, e cioè che ogni insegnante che lavori da noi debba essere battezzato o richiedere il battesimo, non cambia nulla alla difficoltà di cui sto parlando, aggiunge piuttosto solo una formalità in più: come una volta bisogna avere la tessera del partito socialista (SED), ora bisogna avere la tessera cristiana. Questa idea contraddice sia la libertà moderna sia il cuore della teologia che è espressione dell'amore gratuito di Dio.  Pur con tutto il rispetto dell' ex opere operato di un sacramento solo un atto di amore gratuito può toccare il cuore dell'uomo, sia questo nella forma del dono del volantone di Pasqua di CL a dei colleghi per un decennio (senza pretendere da loro alcunché) o, ad un livello più profondo, o del compito di "mamma" che mia moglie ha assunto in questi 17 anni, per tanti e per singoli. O per l'appunto nella forma sacramentale del battesimo, ma non preso a se stante e come una formalità da adempiere. 

- Il ponte rosso di san Francisco, la città in cui è nato Adrian, foto mie (non avendo un sistema di archivio delle mie foto, non ho scelto le foto più belle che ho fatto, ma quelle che ho trovato e che illustrassero un po' il mio racconto): 







12. Cornelia Capol. Mi piacerebbe avere la forza letteraria che ha Amos Oz nel descrive la sua nonna che soffriva di una fobia dell'igiene e che si lavava tre volte al giorno con acqua bollente e lavava anche il suo nipote ed in vero avrebbe voluto lavare tutto il vicino oriente, perché ricolmo di microbi, per descrivere la bellezza interiore (e non solo) della mia anziana amica Cornelia Capol, che è rimasta bella anche nella sala mortuaria, la sua stanza da letto, nella nuova casa madre del ramo femminile della comunità di san Giovanni a Basilea, che contiene anche l'archivio di Balthasar, da lei curato fino alla morte. Mi sono sempre sentito preso da lei del tutto sul serio come persona, anche nei miei anni giovanili e non perché non mi facesse notare alcuni problemi del mio lavoro in editrice o perché non sostenesse il suo punto di vista, ma lo faceva con il desiderio di non essere "dominante" o addirittura "cattiva". Con la sua morte se ne è andata dalla terra una delle mie migliori amiche ed anche come cadavere, sebbene avessi fatto l'errore di bere un caffè nel treno, mentre stavo andando da Heidelberg a Basilea e quindi avevo, forse, una pressione del sangue alta, non mi ha fatto paura. E so che lei dal cielo mi accompagna, con la premura con cui mi ha accompagnato da quando l'ho conosciuta. Anche lei, come Ulrich, ha saputo accogliere anche Konstanze. 

Una volta mi fece notare che la mia decisione di pubblicare in una collana della Piemme una postfazione di Francesco Coppellotti non avrebbe fatto piacere a Balthasar, ma non lo disse come una condanna, ma come un invito a ripensare nel futuro, se fosse davvero necessario pubblicare scritti che sono del tutto contrari all'intenzione del teologo di Basilea (la piccola collana raccoglieva testi di Balthasar - un lavoro di spigolatura, come si espresse Renato Farina). Vero è che io ho sempre pensato che fosse possibile dialogare anche con il mio insegnante di filosofia del liceo, che pur essendo su posizioni non conciliabili con Balthasar, mi sembrava un uomo autentico. Purtroppo negli anni questo rapporto si è interrotto del tutto e cosÌ non so, se ci fossero state delle potenzialità ancora maggiori, nel nostro dialogo: egli interpretò la mia pubblicazione del suo testo, come un azione coraggiosa e la paragonò all'atteggiamento di libertà di un Erasmo da Rotterdam.

Cornelia si era molto spaventata della reazione avuta dalla prima pubblicazione delle opere gialle di Adrienne (chiamò così quelle opere che hanno una copertina gialla e che contengono le parti mistiche del suo pensiero), perché si  rischiò di ridurre Adrienne ad un fenomeno da baraccone e Balthasar stesso le ritirò dal commercio, ma io credo che almeno Cielo e terra (il diario di Adrienne ed Hans Urs, che Balthasar pubblicò come diario di Adrienne) e Croce ed inferno (le esperienze mistiche del Venerdì e Sabato Santo) dovrebbero essere più conosciute, tanto più in un epoca di estrema crisi come quella che ci troviamo a vivere e che i due giornalisti italiani Tornielli e Valente hanno descritto nel loro "Giorno del giudizio", comunque io presi e prendo sul serio il desiderio di Cornelia di leggere in primo luogo le opere, diciamo senza riferimenti mistici, e di fatto la lettura e la meditazione del Commento di san Giovanni hanno avuto priorità nella mia formazione umana e teologica, come ho raccontato sopra.
  
Nei miei diari ho riferito del contenuto di tante nostre telefonate, ma sinteticamente di lei vorrei ricordare la sua certezza che il Signore ci è amico ed ha già salvato il mondo e che tutto ciò che è umano verrà "Integrato" nel Logos universale e concreto che è Cristo, nel suo amore di totale simpatia per l'uomo. Mi ricordo come una volta mi disse che è certamente vero che nel cielo non ci si sposerà più, ma ciò non significa che guarderemo la nostra moglie come se fosse un estranea. 

A quel tempo firmavo le mie lettere come "uno dei servi inutili", ovviamente riferendomi a quanto aveva detto Gesù nel Vangelo di Luca (17,7-10), ma lei mi rispose che noi non siamo più servi di nessuno; da quella sua osservazione è nata la formula che uso a volte: "un piccolo amico di Gesù" (cfr. Gv 15,15). 


13. Padre Jacques Servais SJ. Tra le mie amicizie balthasariane vorrei ricordare quella con il padre gesuita belga Jacques Servais (cfr. anche nota 7), che compie gli anni nel giorno del mio battesimo, il 7 aprile (è nato nel 1949 ed io sono stato battezzato quando avevo sette giorni il 1960),  e che è stata una delle prime persone che ha saputo esprimere un apprezzamento sincero e profondo per il mio piccolo epistolario con Balthasar (nel simposio che ha organizzato con Lucetta Scaraffia su Adrienne in Vaticano due anni or sono, mi chiese di fare una testimonianza su di esso) e che ha tenuto sempre vivo il rapporto con la mia "piccola famiglia", come la chiama con affetto. Un rapporto di vita vissuta insieme a Roma o in alcuni posti di villeggiatura in cui si trovano i giovani della Casa Balthasar, una casa di discernimento della propria vocazione. Un'estate, questi giovani, provenienti da tante parti del mondo, arrivarono anche a Droyssig e la nostra scuola si trasformò in un centro di cultura e preghiera cattolica - con me i giovani frequentarono un seminario sulla filosofia morale su un libretto di Robert Spaemann,  che avevo fatto tradurre in italiano: Concetti morali fondamentali, Casale Monferrato 1993) e poi pregavano il rosario nel giardino di una scuola che era stata, tra l'altro, anche la scuola dei cadetti comunisti durante la storia della DDR.
Nei riguardi della mia persona ha sempre coltivato una stima profonda, facendomi parlare per esempio nell'università di Lugano, in un simposio accademico su Balthasar, di cui ho ricordato il titolo nella nota sette qui sotto, ma anche in una crisi che era sorta nella Comunità di san Giovanni, ascoltò il mio consiglio, di non parlare solamente con Bernhard Ollmert, ma anche con la sua amica Cordula Napieraj. 
Con questo uomo, che  ha davvero dedicato tutta la sua vita al discernimento della vocazione dei giovani, senza ambire a diventare vescovo o ad altri riconoscimenti ecclesiali, vi è stato e c'é ancora un collegamento sotterraneo che si espresso, qualche anno fa, in un'intervista che gli feci per Tracce sulla sua ormai famosissima intervista al papa emerito, in cui Benedetto XVI spiegava la missione ecclesiale ultima di Papa Francesco, per nulla ostile alla sua e il senso ultimo della misericordia colme giustificazione di Dio al cospetto dell'uomo (8). 
Padre Servais, che aveva studiato anche psicologia ad Heidelberg, è un uomo forte che ha saputo superare il dramma della perdita di entrambi i suoi anziani genitori in un incidente automobilistico e che ha saputo sempre vivere nella Schwebe, cioè in quella fiducia che la realtà si muove senza sicurezze mondane dal Padre al Padre, come abbiamo espresso poc'anzi, parlando di Adrienne: è questo l'ho visto, per esempio, nella fiducia che ha sempre avuto  nel sostentamento della Casa Balthasar, anche quando non sapeva come pagarne la gestione il mese dopo. Solo una volta, quando andammo a vedere alcune tracce della presenza  del padre de Lubac a Roma, nella casa madre delle Orsoline, accanto alla quale si trova l'attuale Casa Balthasar sulla via Nomentana, l'ho visto piangere e fa molta impressione vedere piangere un un uomo come lui. 
Tra i suoi ultimi lavori, di cui mi ha parlato nella sua ultima Email, c'é uno studio sulla presenza filosofica di Ferdinand Ulrich nel pensiero teologico di Hans Urs von Balthasar

Una grande gioia sono stati per me anche i dieci giorni di Esercizi spirituali ignaziani che ha dato al mio giovane figlio Ferdinand - forse il frutto più grande di essi, sono state le due visite di mio figlio nel campus della università di Washington D.C. Vedremo! Comunque sia si tratta di una storia, quella tra Ferdinand e padre Servais, che è cominciata quando in un estate, seduti in cerchio e cantando con i giovani della Casa e bevendo un bicchieri di birra insieme, mio figlio, ancora piccolo, ne rubò la schiuma, con il suo ditino, dal bicchiere del padre. 


Breve visita alla comunità monastica di Bose (Aprile 2019, in un giorno di pioggia) . Nella notte prima di visitare la comunità fondata da Enzo Bianchi, che avevo conosciuto quando avevo più o meno gli anni che ha ora mio figlio, il quale è venuto con me a Bose, ho avuto un sogno: due ragazze erano imprigionate in due gabbie, appese davanti ad un monastero. Ho chiesto loro cosa facessero così imprigionate e mi risposero che, essendosi rifiutate di diventare monache, erano state ingabbiate perché la gente ridesse di loro. Il sogno è abbastanza astruso, ma mi offriva la possibilità di parlare con mio figlio sul tema della chiamata di Gesù, di cui il Santo Padre ha parlato nella sua Esortazione apostolica post sinodale ai giovani, „Christus vivit“. Arrivati a Bose abbiamo avuto la possibilità di fare mezz’ora di silenzio nella Chiesa accogliente del monastero. Nel centro di accoglienza, in cui c’è scritto, entrate, suonate, qualcuno vi accoglierà, ho comprato alcuni libri ed un’icona su fiducia, mettendo i soldi in un contenitore. L’icona ha un motivo copto del VII secolo: icona dell’amicizia (Gv 15,14); Gesù, accanto ad una persona, che può essere ciascuno di noi, gli mette le mani sulle spalle. Tra gli altri ho comprato un libro della Piccola sorella Annie di Gesù sulla piccola sorella Magdeleine di Gesù. Un invito a dire di sì alla vita e di credere nell’amore gratis. In macchina avevo raccontato a mio figlio la differenza tra la chiamata al matrimonio e la chiamata alla vita dei consigli evangelici. Ho insistito sul fatto che non si può decidere di diventare monaco, che è una modalità del seguire Gesù nella vita dei consigli evangelici; ma in un certo senso non si può neppure decidere di sposarsi; dobbiamo esporci, in un atteggiamento di ascolto, cosa che poi abbiamo fatto nella Chiesa a Bose, che è un vero luogo di ascolto. In macchina avevo anche raccontato dell’ anathema sit del Concilio di Trento per chi sostiene che i due stati di vita sono equivalenti; sono entrambi possibili vie per diventare santi. Nello stato di vita matrimoniale vi sono anche forme dure di „obbedienza“, come quella notturna quando i bambini sono piccoli ed hanno bisogno di te, ma è vero, come dice San Paolo, che nel matrimonio si obbedisce alla moglie e a Gesù, mentre nello stato di vita dei consigli evangelici, obbedendo al superiore, si obbedisce a Cristo, ciò, però, implica che non ci sia „installati“ nella vita dei consigli evangelici, cioè che non ci si comporti così che dopo il primo sacrificio, si faccia poi quello che si vuole. Questa obbedienza è una scuola di reale libertà; in questo senso esiste davvero una certa superiorità di questo stato di vita sull’altro.  Sia padre Bianchi, che pensa a Bose come luogo d'incontro tra uomini appartenenti a qualsivoglia religione,  sia padre Servais nella Casa Balthasar sono per me garanzia che oggi non si arriva alla vita dei consigli evangelici con la minaccia di essere ingabbiati. Dalla Casa Balthasar sono usciti gesuiti, francescani, membri della Comunità di san Giovanni e sposi. Volevo con la breve visita far vedere a mio figlio - mia figlia è già ritornata ad Heidelberg per lavoro - e a chi leggerà queste righe, che è importante che ci siano luoghi di silenzio per mettersi all’ascolto di Dio e dell’altro. Prima di lasciare Bose abbiamo fatto un salto dalla Chiesa romanica, che, insieme alla decisione di fratello Bianchi, ha dato luogo a questa bella comunità monastica piemontese. 

Comunità monastica di Bose: 



Joseph Ratzinger / Benedetto XVI. Lo incontrammo nel 2000 su un aereo della Lufthansa, da Monaco di Baviera a Roma; passandogli accanto gli presentai Johanna e Ferdinand, dicendo che Johanna si chiamava così per l'incontro con Balthasar e la Comunità di san Giovanni e Ferdinand per l'incontro con Ferdinand Ulrich. Salutò i bambini, Johanna per nome. Della Johanna e di lui abbiamo una foto a casa in cui mia figlia gli dona una conchiglia, che aveva raccolto al mare del nord e che nella nostra "mitologia di famiglia" è stata per anni sulla sua scrivania. Johanna aveva regalato la conchiglia al cardinale il giorno dopo quel volo, quando eravamo stati ricevuti in via del Sant'Uffizio 11, insieme ad un gruppo di pellegrini, guidato da Lorenz Gadient, un sacerdote con una grande sensibilità musicale che è il padrino di battesimo di Ferdinand.  In uno degli album delle nostro foto (prima dell'era digitale, in cui io comunque mi trovo a mio agio, si facevano anche questi grandi lavori famigliari) c'è anche una foto di Marc Ouellet, con Ferdinand ed Johanna seduti sulle sue gambe, vicino ad un lago, durante una delle ferie comuni passate insieme alla Casa Balthasar. Ora è il cardinale che coordina e guida il lavoro dei vescovi in tutto il mondo. Ultimamente una sua lettera aperta a mons. Viganò ha mostrato a tutto il mondo il suo amore per Pietro e per la Chiesa: "Ho il privilegio di incontrare a lungo papa Francesco ogni settimana, per trattare le nomine dei Vescovi e i problemi che investono il loro governo. So molto bene come egli tratti le persone e i problemi: con molta carità, misericordia, attenzione e serietà, come tu stesso hai sperimentato. Leggere come concludi il tuo ultimo messaggio, apparentemente molto spirituale, prendendoti gioco e gettando un dubbio sulla sua fede, mi è sembrato davvero troppo sarcastico, persino blasfemo! Ciò non può venire dallo Spirito di Dio" (Marc Ouellet; https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/lettera-aperta-del-cardinale-ouellet)

La foto con Johanna che da la conchiglia al cardinal Ratzinger (e una foto dell'evangelista san Giovanni): 






Di Benedetto XVI ho letto molto, in  modo particolare il suo grande lavoro su Gesù di Nazareth, che è un autentico capolavoro di equilibrio scientifico e spirituale. Il metodo letterario e storico critico viene usato in modo fecondo, mostrandone anche, però, i limiti: Gesù di Nazareth si incontra per un'attrazione presente e non in primo luogo come oggetto di ricerca esegetica. La mia tesi di laurea, sul significato di definitività in Balthasar, sotto la guida del professor Fulvio Papi di Pavia, trattava, tra l'altro, del rapporto tra il Gesù storico e il Cristo della fede: testimonia il mio primo interesse per temi esegetici. Il libro di Benedetto XVI, letto tanti anni dopo, rispondeva a molte domande che mi erano rimaste in sospeso, in modo particolare sul ruolo dell'apocalittica per comprendere Gesù.

Quando atterrammo a Roma, volevo che mi facesse un autografo, ma dubitavo perché un sacerdote si era messo a parlare con lui; mia mogli mi fece coraggio e gli corsi dietro; avevo solo un libro di Erich Pzywara con me, ma egli vi scrisse il suo nome con grande mia gioia. Il titolo del libro del gesuita polacco, amico di Balthasar, era: Umiltà, pazienza ed amore (Brescia, 1968); un titolo che calza a perfezione per descrivere questo uomo, che ha compiuto uno degli atti più coraggiosi di cui io sia stato testimone nella mia vita: la rinuncia alla guida attiva, come pontefice, della Chiesa romano cattolica! 

Excursus. Gli appunti di Benedetto XVI sulla pedofilia. L'11 di Aprile del 2019 escono in inglese, tedesco ed italiano gli appunti del Papa emerito sulla pedofilia (https://www.corriere.it/cronache/19_aprile_11/papa-ratzinger-chiesa-scandalo-abusi-sessuali-3847450a-5b9f-11e9-ba57-a3df5eacbd16.shtml). Chi leggerà con attenzione questo racconto della mia vita, vedrà che il giudizio del Papa emerito non è uguale al mio, ma neppure contrario. Il piccolo amico di Gesù non è così arrogante da volersi mettere in concorrenza o addirittura in contrasto con Benedetto XVI, che è uno dei grandi teologi del XX secolo ed un santo uomo molto coraggioso, ma ha imparato dai suoi maestri, tra cui c'è anche Joseph Ratzinger, ad essere sincero. A parte il titolo con cui è stato trasmesso dal Corriere della Sera esso mi sembra che i suoi appunti siano troppo sbilanciati nella direzione retrospettiva, anche se non sono mai banali. Benedetto XVI è assolutamente cosciente che non vuole porsi come alternativa a Francesco, anche se sono stati usati i suoi appunti in questo modo: "Alla fine delle mie riflessioni vorrei ringraziare Papa Francesco per tutto quello che fa per mostrarci di continuo la luce di Dio che anche oggi non è tramontata. Grazie, Santo Padre!" Bisogna anche ricordare che gli appunti sono stati pubblicati con il consenso del Santo Padre: "A seguito di contatti con il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e con lo stesso Santo Padre, ritengo giusto pubblicare su «Klerusblatt» il testo così concepito". 
Gli appunti analizzano molto bene gli anni 60 ed anche gli anni 80 in cui esplode il fenomeno della pedofilia - quello che dice Benedetto XVI corrisponde a quello che io ho sperimentato nei miei otto anni dal 1994 fino al 2002, quando insegnavo religione nella diocesi di Monaco di Baviera. Molte delle persone laiche che si occupavano dei corsi di perfezionamenti degli insegnanti di religione nella Grund- und Hauptschule avevano un atteggiamento non onesto nei confronti dell'autorità ecclesiale, cioè dell'arcivescovo (il cardinal Friedrich Wetter), a cui fondamentalmente si negava la conoscenza di ciò che essi ci insegnavano; non ci si confrontava con lui, si evitava semplicemente di prendere in considerazione quello che insegnava. Agli insegnanti di religione veniva di fatto proposto un insegnamento che negava punti essenziali della fede, come la resurrezione dei morti. Mi ricordo di un corso di perfezionamento in cui mi si accusava di passare troppo tempo in cappella, invece che stare con gli altri. Una suora che teneva il corso ci spiegava che lei era una donna libera come lo era Dio, e che quindi non sapeva se in dieci anni sarebbe stata ancora suora; mi costrinse, nella serata d'addio, a ballare con lei, sebbene non ne avessi la minima voglia. Sto parlando del 98 o 99, me lo ricordo bene, perché mia suocera, Rosmarie, era gravemente malata ed era  questo anche il motivo per cui ho passato molto tempo nella cappella. 
Nel 1992, durante il nostro corso matrimoniale, esprimere idee sul matrimonio cattoliche aveva come conseguenza l'essere trattati come una spia del Vaticano. 
Detto questo, però, la lettura di Benedetto XVI si presta certamente ad essere letta in maniera ultra tradizionalista, mettendo sotto accusa gli anni 60 e la rivoluzione sessuale in modo unilaterale, sebbene il Papa emerito faccia comprendere con precisione che non tanto le manifestazioni studentesche, ma certa cultura nordamericana aveva portato, anche nella Chiesa, un permissivismo in ambito sessuale, con cui tra l'altro si giustificava anche la pedofilia. Benedetto XVI cita Gesù («Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare» (Mc 9,42)) e le sue chiare parole sullo scandalo e fa comprendere che per quanto sia legittimo "il garantismo", bisogna che esso non sia unilateralmente applicato ai soli accusati, perché la Chiesa deve anche difendere la sua fede. Gli sono molto grato di questa chiarezza. Con la pedofilia è in gioco la fede! Debole mi sembra il fatto che egli, anche di fronte alle difficoltà del diritto canonico ad affrontare questa nuova situazione mondiale, non esprima esplicitamente che in vero la Chiesa avrebbe dovuto collaborare con, invece che ostacolare il diritto civile.  

Completamente ragione gli do sulla terapia: "In primo luogo direi che, se volessimo veramente sintetizzare al massi­mo il contenuto della fede fondata nella Bibbia, potremmo dire: il Signo­re ha iniziato con noi una storia d’amore e vuole riassumere in essa l’intera creazione". Solo con la riscoperta di questa storia d'amore e solo con la fede in un Dio che dona gratuitamente l'essere e che ci chiede di amare tutti i nostri fratelli uomini, sarà possibile rispondere al male. Non dobbiamo inventare una nuova Chiesa, perché noi che siamo cattivi non potremmo che produrre una chiesa cattiva che non potrà che fallire; dobbiamo metterci al servizio di quel movimento d'amore che va dal Padre al Padre e farci guidare solo da chi è l'Unico giusto! Dobbiamo guardare a Cristo Crocifisso e fare quello che Balthasar scrisse in uno dei suoi biglietti: non presupporre la fede nel Dio trinitario, ma anteporla - in verità la traduzione "anteporre" usata dal Corriere non è ottimale, credo. Se mi ricordo bene quel biglietto di Balthasar diceva: der Glaube soll nicht vorausgesetzt, sondern vorgesetzt werden! La fede non deve essere presupposta, ma proposta!  Solo nella grazia della fede nel Dio trinitario, che è assoluto amore gratuito, potremmo camminare sulla giusta via! Su quella via in cui è possibile distinguere universalmente ciò che è bene e ciò che è male! 

Con Benedetto XVI sono anche d'accordo nell'affermare che c'è un senso positivo dell'apologetica, che consiste nel dire che ci sono uomini davvero santi nella Chiesa, piccoli e grandi, ma senza un reale atteggiamento di confessione, questa apologetica diverrà giustificazione dell'ingiustificabile. Che un uomo come Theodore McCarrick sia stato voluto come arcivescovo di Washington D.C. è un errore che non ha commesso il mondo cattivo, ma un papa santo, anche usando criteri di giudizio non santi (il successo come ricercatore di denaro del presule e i suoi seminari pieni). Senza confessare con tutta chiarezza questo tipo di errori, l'analisi di Benedetto XVI si presta a giustificare l'ingiustificabile.
  
Grande mi sembra infine il suo aver capito cosa è in gioco in tutti questi scandali e nella riduzione della Chiesa in un apparato politico: "«La Chiesa muore nelle anime». In effetti oggi la Chiesa viene in gran parte vista solo come una specie di apparato politico. Di fatto, di essa si parla solo utilizzando categorie politiche e questo vale persino per dei vescovi che formulano la loro idea sulla Chiesa di domani in larga misura quasi esclusivamente in termini politici. La crisi cau­sata da molti casi di abuso ad opera di sacerdoti spinge a considerare la Chiesa addirittura come qualcosa di malriuscito che dobbiamo decisa­mente prendere in mano noi stessi e formare in modo nuovo. Ma una Chiesa fatta da noi non può rappresentare alcuna speranza" (Benedetto XVI).

Infine vorrei aggiungere una veloce osservazione sull'accusa che viene fatta a Benedetto XVI di aver promesso di stare in silenzio e di non guidare più la Chiesa attivamente, mentre interverrebbe in continuazione per mettere in difficoltà il suo successore. A me vengono in mente due cose, parlando molto semplicemente. Aristotele afferma, che chi mette in dubbio ciò che è evidente non ha meritato una risposta, ma una sberla. Ora, io non voglio dare una sberla a nessuno, ma tra Benedetto XVI e Papa Francesco vige una chiara unità, pur nella differenza di carattere ed accenti teologici. Secondo: stare in silenzio e mutismo sono due atteggiamenti completamente diversi. Questi appunti del papa emerito nascono dal suo silenzio di preghiera e il motivo ultimo per cui sono oggetto della solita rissa teologica ha certamente a che fare con il fatto, come ha spiegato Austen Ivereigh con un suo Twitter, che sono stati pubblicati in primo luogo dai media anti-Francesco negli USA ed anche perché insistono solo su una parte del problema come ho fatto vedere qui sopra, ma in primo luogo perché affermano una grande verità che non vogliamo sentire: noi siamo mendicanti del Dio che è amore gratis, e senza questo Dio siamo persi nella perversità e nel vuoto nichilista. 

Negli anni criticati da Benedetto XVI, questo nichilismo perverso, si esprimeva anche nelle seguente posizioni, riassunte da Stefano M. Caldirola, nella sua bacheca in Facebook: 

"Molte obiezioni alla tesi del Papa, sottolineano il fatto che abusi erano successi anche decenni prima del 68. Molti ricordano il caso dei Legionari. Ecco queste obiezioni mi appaiono molto maldestre. E’ ovvio che il male è sempre esistito nei secoli ma qui parliamo di un fenomeno diffuso, e che una parte del mondo intellettuale voleva sdoganare. In questi giorni un amico mi ha ricordato alcuni avvenimenti degli anni che seguirono la rivoluzione e la contestazione, vorrei elencarli: in nome della “liberazione sessuale dei bambini”, Il 26 gennaio 1977 le Monde, pubblicò una petizione per abbassare la maggiore età sessuale ai 12enni. Firmarono tutti, il poeta rosso Aragon, il semiologo Barthes, il filosofo marxista Althusser, gli psicoanalisti di grido Deleuze e Guattari, il fondatore di Medici senza frontiere Kouchner, Sartre e la sua compagna femminista de Beauvoir. Due anni dopo Libération definiva la pedofilia “una cultura volta a spezzare la tirannia borghese che fa dell’amante dei bambini un mostro da leggenda”. Poi c’è il caso di Michel Foucault, sosteneva che il bambino è “un seduttore” che cerca il rapporto sessuale con l’adulto. Potrei continuare. Triste notare come mai nella storia, anche se una certa mentalità occidentale nata dai filosofi greci negava il bambino come pieno soggetto di diritto, si era mai arrivati a tanto."


Scambi di idee sul tema. Un dialogo con due amiche in Facebook:

Caro Roberto, ho letto con attenzione l'intervento del papa emerito e con vivo interesse il tuo blog che contiene moltissime storie preziose di incontri e relazioni umane e spirituali. Continuo a trovare assolutamente inopportuno e di scandalo per i cristiani che un papa emerito intervenga pubblicamente su un tema così scottante. Su questo tema Francesco sta lavorando alacremente ed è già stato attaccato apertamente dall'interno della Chiesa, parlo di Viganò e McCarrick. Non credo che un ringraziamento finale possa bilanciare un documento che ha in sé alcune banalizzazioni come il riferimento al clima di liberazione sessuale ed alle lobby gay nei seminari. O il racconto delle violenze subite dalla chierichetti guardare sotto l'ottica della blasfemia. Credo che di questo documento la Chiesa poteva fare a meno. Soprattutto in questo periodo di forti contrasti interni, Saluti Raffaela 

 Cara Raffaella (Nardini)grazie per la lettura del racconto del mio blog; è bello che possiamo parlarci con reciproco rispetto. Anch'io non ritengo perfetti quegli appunti, ma se non vogliamo rischiare uno scisma essi devono essere presi sul serio - se Benedetto XVI non li avesse fatti pubblicare, con il permesso del Santo Padre, sarebbe stato "muto", non "in silenzio". Nella mia presa di posizione, che ho poi inserito nel mio racconto della mia vita, ho detto chiaramente che alcune cose negli appunti non sono state espresse e che avrebbero dovuto essere proninciate: in primo luogo mi riferisco alla decisione dell'appartamento papale, contro il consiglio del cardinale di New York O'Connor, di ordinare McCarrick come vescovo di Washington D.C. I motivi di quella decisione erano sbagliati e raccontano molto della situazione del cattolicesimo negli USA e di alcuni criteri d'azione di san Giovanni Paolo II. Quello che dice il papa emerito è parziale, ma vero. Nei miei anni novanta in Germania l'atteggiamento nei confronti della Chiesa gerarchica in Germania era del tutto malato. E i giudizi che esprime il Papa emerito sugli USA non sono per nulla banali, anche se vi sono forse delle osservazioni che lo sono. Se non verrano riferiti anche questi giudizi si rischia di fare del Papa, l'unico che c'è, Francesco, una sorta di inventore di una nuova chiesa - questo affonderebbe definitivamente il suo pontificato ed è del tutto contro il suo modo di essere e pensare, come ha spiegato ultimante il mio amico Gianni Valente È vero che il Papa fa gesti nuovi e grandi, come quello di baciare i piedi ai leader del Sud Sudan, ma è solo un uomo, uno dei successori di Pietro. L'unico vero e grande gesto divino è quello che ha compiuto Cristo con la sua morte in croce e con la sua discesa all'inferno: "Iesus mórtus est, ut fílios Dei qui erant dispérsi congregáret in unum". E proprio questo non credono, né i modernisti né i tradizionalisti che credono di fare la chiesa autentica che secondo loro manca. Benedetto XVI ci ricorda che la Chiesa santa esiste, nel suo piccolo appartamento ed in giro per il mondo. Tuo, Roberto PS Se sei d'accordo metterei il nostro dialogo qui nel mio racconto. OK?

Caro Roberto, Non so se questo dialogo abbia la "statura" per entrarci ma se credi, sono d'accordo. È vero che l'unica salvezza ci viene dal guardare a Cristo. Ma più ancora dall'averlo incontrato. Anche io non credo che sia corretto esaltare Francesco come uno sbucato dal nulla, senza tradizione. È pur vero che tutta l'originalità del carisma di Ignazio vive nel suo pontificato. Un abbraccio sincero. Ti ringrazio di questo scambio, in fondo non sono come molti di voi "contadini", né un'intellettuale né una esperta. Ho incontrato tanti anni fa la stessa storia vostra, anche se oggi ne sono fuori non rinnego nulla. Sono convinta che nelle nostre vite personali, cosi come nella storia della Chiesa, bisogna amare e leggere con discernimento gli avvenimenti e i fatti. Un po' come fai tu nel blog

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 Caro Roberto, abbi pazienza, io sono un’anima semplice, ma la continuità di pensiero e azione tra chi individua il clericalismo come causa del sistema pervasivo di abusi e chi attribuisce gran parte della responsabilità a dati culturali esterni (che anche solo per ragioni di date sollevano dubbi) io non la vedo.
Si tratta di approccio diametralmente opposto: chi cerca all’interno la ragione e chi all’esterno.
Qual è più utile alla Chiesa per fare un vero cammino di conversione?
Sul silenzio poi credo che dovrebbe contare il senso di opportunità: questo intervento ha concorso a maggiore unità e coesione o ha fomentato gli animi ancor più di prima? Io prima di agire me lo sarei chiesto. E voglio sperare l’abbia fatto anche Ratzinger. L’esito è sotto i nostri occhi.



Carissima Paola (Lazzarini Orrù), grazie per la tua riflessione; in primo luogo vorrei dire che non ho intenzione di bisticciarmi con i miei amici qui in Facebook (tutti bisticciano e non voglio mettermi in questo coro) e quindi ne approfitto per chiedere scusa a Giovanni, con cui sono stato scortese. Ora sulla questione che poni. Il titolo dato agli appunti di Benedetto XVI e anche la debolezza di essi in un punto importante, ne hanno fuorviato secondo me la lettura. Quando Benedetto XVI parla nei suoi appunti degli anni 60 si riferisce in modo particolare a ciò che accadeva nella Chiesa negli USA, quindi in vero parla anche lui, senza usare il termine, di clericalismo. In nessuna parte degli appunti cerca solo un nemico esterno, anche se esso dal suo punto di vista, che non bisogna necessariamente condividere, ha giocato un certo ruolo - ma lo ha giocato anche per persone che parlano della nostra civiltà opulenta e libertina, come Alberto Methol Ferré, come Augusto Del Noce... Austen Ivereigh, che pensa come me che gli appunti di Benedetto XVI possano essere interpretati nel senso di ciò che sta facendo Francesco, ha sottolineato che la diffusione è stata purtroppo catastrofale e il suo segretario avrebbe dovuto dirglielo (eppure essi sono necessari se non si vuole contribuire ad uno scisma). Per il resto rinvio alla mia presa di posizione (vedi mia bacheca in Facebook di ieri) che ho messo anche nei miei miei ricordi "Libri ed altri ricordi", con cui sto cercando di venire fuori dalla crisi in cui mi trovo a livello interiore, così forte che non sono neppure andato agli Esercizi della mia Fraternità che si svolgono in queste ore a Rimini . In quei miei ricordi, a cui vorrei aggiungere le tue righe, se posso, con la mia risposta, si trova il cammino di un semplice e piccolo amico di Gesù, che come figlio di Ignazio penserà sempre alla Chiesa gerarchica come a sua "madre", ma che credo sia davvero molto più libero di altri. Un amico mi ha scritto questa mattina che don Julián Carrón agli Esercizi ha citato Ferdinand Ulrich, che per mesi ho tradotto per lui; gli ho risposto così:
Caro Martin,
Non ho trovato la citazione, alla pagina indicata non c'é; che don Julián ha toccato proprio questo punto, è per me una risposta, la più profonda che non osavo aspettarmi; non si tratta di una profondità teorica, è un semplice passo nella nostra esperienza, ma quanto è difficile realizzarlo:

«Il padre non tiene legato a sé stesso il proprio figlio […]. Egli ha posto in libertà l’altro come altro da sé stesso e lo ha responsabilizzato per il rischio futuro di un amoroso diventare sé stesso a partire dall’abisso della sua propria libertà».

Un padre che volesse legarci a sé non amerebbe la nostra libertà. Il suo amore gratis, non lega - libera! Ci ha congedato in libertà, ha rischiato sulla nostra libertà. Il figlio se ne va, ma poi ritorna, perché il Padre non gli aveva dato solo la parte del patrimonio che gli spettava, ma quel „amoroso diventare se stesso“, che gli permette davvero e liberamente di tornare.


Tuo, Roberto - Che Don Juliàn sottolinei questo punto è per me decisivo. Gli scontri nella nostra Fraternità non sono solo opposizioni polari feconde, ma vere e proprie contraddizioni e bisogna avere il coraggio di non legare nessuno a se stessi, in modo che si metta in moto un vero e proprio processo di libertà. Tuo, Roberto

NB: Lo scambio di messaggi permette di vedere una parte essenziale della nostra vita nell'epoca digitale. Sulla questione degli "appunti" di Benedetto XVI permette anche di vedere come nasce un giudizio in dialogo con gli altri. Per quanto riguarda una somma di fattori ancora più ampia di cui si dovrebbe tenere conto per un giudizio più complesso su questi "appunti" rinvio all'articolo del mio amico Gianni Valente: https://www.lastampa.it/2019/04/18/vaticaninsider/bergoglio-ratzinger-e-il-signore-che-placa-le-tempeste-kjvqhdVYchnHZPPaKQkMPP/pagina.html

14.  Cordelia e Robert Spaemann. Negli anni bavaresi ho conosciuto Cordelia e Robert Spaemann. Cordelia è stata una delle poche persone che sia stata in grado di comunicarmi quanto fosse importante il mio lavoro nella Grund- und Hauptschule (nella scuola elementare e in quella di formazione al lavoro, fino alla nona classe). In quegli anni ho lavorato molto con Narnia di C.S. Lewis. Nel volume Il leone, la strega e l'armadio potevo comunicare ai bambini una vera e propria cristologia e modello di redenzione, un modello quello di C.S. Lewis non riducibile a quello di Anselmo. Lascio la parola a Romano Guardini, citato da Massimo Borghesi: "Mentre nel primo aspetto (Anselmo) la conseguenza del peccato come punizione si fonda su una disposizione positiva del giudice, nel secondo (Bonaventura) la conseguenza è già contenuta per lo meno potenzialmente nell'atto fisico peccaminoso...Secondo il primo filone concettuale il punto chiave del peccato sta nell'offesa a Dio...le conseguenze del peccato sono una punizione positiva. Cosi la Redenzione consiste soprattutto in un soddisfacimento di Dio... Per il secondo, il punto chiave del peccato sta nell'interiore rovina dell'anima; con ciò la Redenzione è essenzialmente guarigione" (in Massimo Borghesi, Romano Guardini. Antinomia della vita e conoscenza affettiva, Milano 2018, 144). Credo che sia innegabile che in C.S. Lewis vi sia questo elemento della offesa di Dio come si può capire nel tener fermo, nel suo racconto, al fatto che non si può mettere in discussione la legge del Padre e il suo ordinamento, come ricorda la strega, senza conseguenze: Edmund ha tradito e messo così in discussione la legge del Padre e se la strega non riceve il suo sangue, Narnia verrà distrutta. Ma vi è una legge ancora più profonda del Padre, quella della misericordia, per cui se un innocente (Aslan) si offre in scambio di un peccatore (Edmund) accade la Risurrezione (l'altare di pietra si spezza in due parti e Aslan riappare in carne ed ossa) che è guarigione dell'anima di Edmund e salvezza di Narnia. Perché questo è il fabula docet: con il suo tradimento Edmund aveva in primo luogo rovinato la sua anima e in secondo luogo messo in pericolo Narnia. Guarito, diventa il più coraggioso in battaglia, per salvare i suoi fratelli e Narnia stessa. Ed anche il più intelligente, perché capisce che non si deve attaccare direttamente la strega, ma la sua bacchetta magica che aveva trasformato in pietra grande parte dell'esercito di Aslan. 

 Quello che io tentavo con Narnia (mettere la mitologia al servizio della comunicazione di Dio) Cordelia lo tentava con Il Signore degli Anelli di Tolkien. Quest'ultimo è meno esplicito di Lewis, ma la simbologia dell'anello del potere che deve essere distrutto, l'amicizia tra Frodo e Sam, l'impossibilità di distruggere l'anello con le sole forze proprie, l'importanza dei valori immutabili etc., sono tutti temi che lei espresse in lungo saggio, e che io ho cercato di esplicitare (ne ho fatto un progetto) ultimamente nel liceo (9); in breve: sia C.S. Lewis che J.R.R.Tolkien sono una vera e propria introduzione al lavoro teologico. Entrambi questi autori mi sono stati fatti conoscere da mia moglie, Cordelia mi incoraggio, però, nell'usarli, nel mio lavoro come insegnante di religione. 

Cordelia era in un certo senso una "rivoluzionaria" - una rivoluzionaria della preghiera nel cuore di una chiesa tentata dal potere. Quando suo marito veniva invitato a Roma dal Papa, lei preferiva stare a casa e pregare il Rosario.

Robert Spaemann ha significato molto per me, anche se non è nata una amicizia profonda come con Ferdinand Ulrich - forse il punto di massima vicinanza sono stati i giorni in cui l'ho intervistato (10) e in cui, per riposarci dal lavoro dell'intervista, abbiamo passeggiato insieme nel bosco, al cui confine si trovava la sua casa a Stoccarda, dove viveva, dopo la morte della moglie, con ospiti ed amici cinesi. 

La mia dichiarazione d'amore per questo uomo si trova nella introduzione, scritta di gettito dopo l'intervista, in treno, da Stoccarda a Wetterzeube,  al libro intervista pubblicato per i tipi della Marcianum Press, quando il cardinal Scola era ancora patriarca di Venezia, ad essa rinvio, perché non voglio perdere il carattere sintetico di questi ricordi. Non vale la pena di raccontare la mia vita, come una nuova epopea, visto che sono un piccolo amico di Gesù. Sono grato a Spaemann di avermi accolto tra i suoi dottorandi e per le due interviste, la prima pubblicata ne La Nuova Europa di padre Scalfi. Ho imparato da lui a distinguere filosoficamente tra "cosa" e "persona" e quindi a formulare una critica filosofica stringente all'aborto. Ho imparato a distinguere tra eutanasia e accettazione della finitezza della vita: sia il voler prolungare la vita mettendo in moto tutte le nostre capacità mediche (o politiche o mediatiche), sia il volerla terminare con un omicidio o un suicidio guidato, sono risultato delle follie dell'homo faber, che pensa di poter fare ciò che invece non può, né deve! Ho imparato l'idea di una "vita riuscita" (non di successo) come tema dell'etica antica. Ho imparato a distinguere tra vicino e lontano, per quanto riguarda il tema della responsabilità. E per finire, ma non è vero, perché potrei raccontare ancora più cose, ho imparato da lui, ciò che Tommaso d'Aquino ci aveva già insegnato: noi non dobbiamo agire come Dio, perché non lo siamo, ma come Dio vuole che noi agiamo. Certo il Vangelo secondo Matteo dice che dobbiamo essere buoni come il Padre nel cielo, ma questo è possibile solo per grazia: gratia perficit naturam, non tollit!  

Spaemann non è un reazionario, le sue posizioni sulla bomba atomica e sull' ecologia, il suo concetto di natura che non può essere "tollit" da un teologico Deus ex machina, già a partire dagli anni 60, lo dimostrano. Anche la sua posizione su Papa Francesco non era unilaterale, ma il suo attacco al Papa, nella rete mediatica di Sandro Magister, mi ha deluso profondamente: solo una gnosi troppo sicura di sé, ha potuto vedere tra l'Amoris laetitia di Papa Francesco e la Familiaris consortio di san Giovanni Paolo II una contraddizione. Papa Francesco non ha negato nulla della dottrina cattolica, ma esprime la volontà del cielo, nel dono del carisma ignaziano, che è un carisma di discernimento personale. Papa Francesco, tanto poco come Spaemann, nei suoi Einsprüche, non ha  il problema di essere contemporaneo al mondo, questo lo siamo già per il fatto di vivere in esso, ma di come diventare santi in questo mondo. Solo che la santità non è una ideologia e non può dimenticare la priorità della realtà sulle idee, come spesso Spaemann non lo ha dimenticato. 

Il dottorato non andò al suo termine, perché ho dovuto lavorare per mantere la mia piccola famiglia, per la mia immaturità filosofica di allora, ma forse anche per il tema della Schwebe (11), come presa sul serio del movimento, dell'avvenimento del dono dell'essere, che  non è un tema tradizionalista, mentre corrispondeva al cuore del mio pensiero. Per parlare con Papa Francesco, si tratta di una priorità del tempo, come movimento dal Padre al Padre, sullo spazio, come sottolineatura del possedimento di una tradizione o di un potere, che mi servirebbe a tracciare limiti tra me e gli altri. In questo movimento della vita vi sono ovviamente orientamenti, come le virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza), ma il percorso da compiere e pieno di curve e di oscillazioni e il Signore si serve di tutto, "anche del peccato" (Agostino, Claudel), che va confessato e non giustificato, ma che non può essere evitato, tanto meno da un'etica formulata con assiomi universali, che tenga poco conto del discernimento personale e del tempo - lungo o corto che sia - necessario per rispondere all'amor gratuito di Cristo. Saper un valore, non significa saperlo mettere in pratica. 

Per quanto riguarda il mio libro intervista Testimone della verità ci sarebbe tanto e troppo da dire, per un racconto di ricordi. Ho ereditato da Spaemann un certo pessimismo, perché dopo quello che è successo nel mondo (un avvenimento come Chernobyl, che Spaemann citava esplicitamente nel libro, esprime da solo già tutto sullo stato del mondo) non c'é molta ragione nell'essere ottimisti. Nella sua critica dell'energia atomica, Spaemann diceva: "si parla di rischio minimale. Ma per una catastrofe di queste dimensioni non si deve avere nessun rischio. La fusione nucleare non può essere improbabile, deve essere impossibile"! Bene, ora per questo tipo di riflessione, come sapeva il filosofo tedesco, è troppo tardi, noi viviamo dopo Chernobyl, fatto questo che, come ha raccontato giustamente e genialmente Swetlana Alexijewitsch nel suo libro sulla città della Bielorussa, che porta il sottolio "Cronaca del futuro", non è stato quasi filosoficamente pensato. Nel pessimismo di un Davila o di uno Spaemann vi è almeno un tentativo di pensare le conseguenze di quel nichilismo spaventoso che si rivela in un mondo in cui l'energia nucleare è presente in modo tale da poter farlo saltare sette volte per aria. "Probabilità e improbabilità sono concetti statistici. Quello che succede ogni mille anni può succedere anche domani" mi spiegava Spaemann.

Tornando da un viaggio in Francia per un progetto Erasmus + sul tema "Tragedia e speranza" che la nostra scuola tedesca in Droyssig (Scuola di San Cristoforo, CJD) ha compiuto con una polacca (V Liceo Janusza Korczaka in Tarnow) ed una francese (liceo Voltaire di Orleans), una Francia che mi ha impressionato per il lavoro di integrazione compiuto negli ultimi decenni, mi sono reso conto di cosa pensasse Spaemann quando mi rispondeva che la parola "Olocausto" "sia il segno di un bisogno di un surrogato religioso in un mondo secolarizzato", anche se oggi nel memoriale di Parigi è stata sostituita con la parola  Shoa, che esprime un crimine e non un sacrificio. Spaemann nel libro cita l'ebrea Edith Stein (Teresa benedicta a cruce) che "prevedendo la sua uccisione, aveva offerto la sua morte "come espiazione per la non credulità del mio popolo". L'uso del termine pseudo religioso "Olocausto" per designare lo sterminio di massa degli ebrei", che Spaemann considera il "male quasi assoluto", "non significa affatto che si tratti per lui qui di un dolore che redime; esso non ha niente a che fare con il pensiero del sacrificio di redenzione" e di fatto ciò corrisponde a ciò che la guida a Parigi ci diceva, per spiegare il motivo per cui oggi si usa la parola Shoa. 
Del libro vorrei infine ricordare una differenza di linguaggio di Spaemann nell'uso del termine "fondamentalismo" - per lui quello che noi chiamiamo con questo termine molto bello e importante, perché contiene la parola "fondamento", si dovrebbe esprime con la parola fanatismo. E di questo uomo si può dire tutto, certamente non si può dire che era un fanatico. Forse tradizionalista, ma forse e con più probabilità, nessuna categoria può definire un uomo del genere.  Riferendosi a Charles Peguy affermava: "i nostri reazionari sono i veri modernisti", definendo il modernismo "come l'atteggiamento di una persona che non crede a ciò che crede". 

Sulla questione se Robert Spaemann sia un conservatore, bisognerebbe considerare tutte le differenziazioni linguistiche di uno storico come Andreas Rödder (Il Venerdì, 11.4.19) per dare una risposta precisa a questa domanda. Certamente Spaemann non è un reazionario ed ha assunto con chiarezza due dei criteri che Rödder usa per definire un conservatore che si distingua da un reazionario di destra: in primo luogo il suo atteggiamento scettico nei confronti di convincimenti e moralismi ideologici - e quindi anche nei confronti della ideologia dell'egualitarismo. In secondo luogo Spaemann non ha mai messo in dubbio il primo articolo della Costituzione tedesca (quello sull'intoccabile dignità dell'uomo), anzi ha lottato per esso, in tutta la sua lunga vita, non ha mai messo in dubbio l'Olocausto, piuttosto se questa parola sia quella giusta per spiegare il genocidio di 6 milioni di ebrei. Infine aggiungerei a questi due criteri Spaemann è stato uno dei primi pensatori cattolici tedeschi che ha preso sul serio la sfida ecologica. La sua presenza pubblico poi lo distingue da quell'atteggiamento reazionario, che nasconde piuttosto la sua posizione, fino a quando non è sicuro di imporsi politicamente. Comunque sia, questo tipo di etichette per il lettore, come lo sono stato io, del Suicidio della Rivoluzione di Augusto Del Noce, non sono essenziali: il vero criterio è quello della differenza tra vero e falso e non tra conservatore e progressista.  

Il mio libro intervista con Robert Spaemann uscì in una collana diretta da Natalino Bonazza, senza il quale esso non sarebbe mai uscito. Avevo conosciuto il sacerdote veneziano, allora rettore del liceo Giovanni Paolo I, durante un progetto che facemmo insieme ad alcune scuole italiane, un liceo sloveno e il nostro tedesco, in occasione del ventesimo giubileo della caduta del muro di Berlino. Da questo progetto nacque anche un libro in collaborazione con due pittori veneziani, Serena Nono e Daniele Bianchi: "Oltre il muro" (Venezia, 2009) in cui avevamo messo a tema la "speranza". In un saggio che scrissi per il libro mi chiedevo: "a venti anni dalla caduta del muro di Berlino (1989-2009) possiamo chiederci se questa caduta del muro sia stato un vantaggio per la consapevolezza di una speranza reale per il popolo tedesco in particolare e per l'Europa in generale, o forse per il mondo vista la connessione globale in cui viviamo". Questo tipo di domande trovano una risposta narrativa in questo racconto dei miei ricordi, che nella sua totalità vuole essere un invito alla speranza, una speranza che non è mai né reazionaria né modernista, ma per l'appunto quella piccola sorella di cui parla Charles Peguy e senza la quale le altre due sorelle, fede ed amore, vengono ridotte a fanatismo e sentimentalismo religioso.  

15. Antonio Socci e Renato Farina. Quando entrando in Facebook (credo nel 2009) riprendo i contatti con l'Italia, mi ero perso una grande parte dell'era Berlusconi; quando lavoravo alla Piemme (fino al 93 circa, tenendo conto del part time dalla Germania, in cui arrivai nella primavera del 90 - c'era appena stata una tempesta fortissima, che aveva fatto cadere tantissimi alberi) persone come Antonio Socci, Renato Farina, Massimo Borghesi, Lucio Brunelli, Gianni Valente formavano per me un'unità (Il Sabato, 30 Giorni) di giudizio ed appartenenza alla Chiesa. Nel 2009, Benedetto XVI era Papa da quattro anni, cominciai pian piano a riprendere i rapporti che avevo prima della mia venuta in Germania. E pian piano cominciai anche a comprendere che tra le persone citate ed altre ancora non vi era per nulla unità di giudizio. 

Non riesco a ricostruire precisamente l'estate in cui lessi, con grande gioia, il libro di Antonio Socci su Medjugorje, ma fu un'estate in cui Konstanze non stava per nulla bene, così che quando andammo via dal piccolo paese contadino istriano, dove i miei genitori hanno tre alloggi, Cervera, perché mio padre era nato nel 1935 al porto del paesino, arrivati al bivio verso il nord o verso il sud, non sapevo cosa avrebbe deciso mia moglie: tornare a casa o proseguire per Medjugorje. Con un movimento della mano e due parole si decise per Medjugorje. In un hotel vicino ad un campeggio, dove pernottavano dei nostri amici di Naumburg, la famiglia Schmutzler, con cui abbiamo spesso passato alcuni giorni comuni nella nostra amata Croazia, al nord di Spalato, vicino alla bellissima cittadina Trogir , passammo ancora una notte di ansia per la diarrea che non diminuiva; il nostro amico Dirk, che è medico, le applicò nel campeggio una flebo, mentre giocavamo a carte. Dal nostro hotel una mattina presto partimmo per Medjugorje, con in mente le cose che avevamo letto nel libro di Antonio e pregando il rosario in macchina. Il colle delle apparizioni, Podbrdo, si rivelò per quello che è: il  colle delle prime apparizioni di Maria. Konstanze pregò intensamente ed un dialogo con mia figlia, che non voglio raccontare per discrezione, ma di cui mi ricordo precisamente e non solo le parole, mi rivelò con chiarezza che su questa  collina si era manifestata una misericordia umana senza limiti, una misericordia che solo Dio può donare. Ero così impressionato di questa esperienza che scrissi due lettere a Maria, in cui parlavo anche dell'incontro rinnovato con Antonio. 
Nella stessa estate lessi con grande compassione il libro di Antonio su sua figlia, solo pian piano mi accorsi che alcuni giudizi del giornalista senese erano fonte di presunzione e non di amore per la Chiesa - in un articolo di quel tempo criticava Benedetto XVI, anche se non mi ricordo più bene perché; gli chiesi se fosse necessario e risposte gentilmente che gli sembrava che fosse davvero necessario. Con il pontificato di Papa Francesco (a partire dal marzo del 2013, dopo una prima fase di assenso, Antonio si lanciò in critiche che molti conoscono e che contrastavano con il motto di Ambrogio: ubi Petrus, ibi ecclesia, ubi ecclesia vita eterna. In seguito messe anche in dubbio la validità della elezione del papa. Io smessi di leggere le sue cose, che mi sembravano piuttosto farneticazioni. Amici mi raccontavano che ormai si faceva solo festeggiare dal suo gruppo di fan e se qualcuno gli poneva delle domande, rispondeva in modo rozzo e volgare e cancellando le rispettive persone dalla lista dei suoi "amici". In occasione di una mia intervista ad una ragazza siriana, apparsa ne "Il Sussidiario", mi chiese nella mia bacheca in Twitter se non mi vergognassi a mettere in dubbio il giudizio anti islamico della mia intervistata, mentre l'intervistata stessa, che io non avevo per nulla censurata, mi disse personalmente, che le era chiaro che il suo giudizio sull'Islam non era privo di pregiudizi - comprensibilissimi tra l'altro. Ultimamente mi ha scritto raccontandomi, in tedesco, che la sua famiglia è cresciuta - ormai sono in quattro e si sono integrati nella realtà tedesca. 

L'anno scorso al Meeting rincontrai Renato Farina per cui, forse nel 1991, tradussi la sua intervista con il cardinal Meisner a Colonia. Inaspettatamente lui si ricordava ancora molto bene di me. Anche ultimamente mi ha scritto una breve notizia in Whatsapp, riferendosi a quell'incontro: Carissimo Roberto! Dico carissimo perché mi sei carissimo, carne della mia carne, non l’ho deciso io, è un dono che viene prima di me. Ricordo la tua accoglienza meravigliosa quando mi ospitasti e mi accompagnasti dal card Meisner con umiltà sorridente. Mi chiedo: perché abbiamo sviluppato idee e giudizi diverse sulle cose? È un mistero! Soffro molto perché (...) in assoluta sincerità è in pena per ragioni opposte alle tue! Io so che vale di più la fedeltà di Dio che la mia! Ti abbraccio forte! Renato
In vero non lo ospitai, ma abbiamo pernottato in un hotel vicino a Colonia, me lo ricordo ancora bene, perché, Konstanze ed io, sebbene non fossimo ancora sposati (lo saremo il 29.8.92) avevamo preso una stanza insieme e lui mi disse, che la mia fidanzata sarebbe più sicura nella stanza con lui, che come un fratello si sarebbe occupato della sua incolumità, preoccupazione che espresse in modo simpatico e senza insistere, ma anche inutile, perché Konstanze ed io ci comportammo, in quel hotel, come la chiesa si aspetta. La differenza tra Antonio e Renato, a parte che il loro giudizio non è simile in tutti gli aspetti, anche se hanno giudizi comuni sulla politica italiana, è che Renato ha un senso ultimo del motto di Ambrosio sul Papa e la Chiesa, ma ancor più consiste nella sua gentilezza fraterna nei miei confronti, sebbene io non gli scriva con captatio benevolentiae e sebbene, come dice lui stesso nel suo messaggio, i nostri giudizi siano spesso abbastanza contrari; questa differenza testimonia davvero un'appartenenza comune a Cristo. 

Esperienza ne Il Sussidiario negli ultimi anni. Per quanto riguarda la mia esperienza come hobby giornalista vorrei accennare ai miei più di cento articoli apparsi ne Il Sussidiario; in questo lavoro giornalistico scrissi di politica tedesca, scuola e letteratura; senza la revisione degli articoli da parte di Federico Ferraù questa attività giornalistica non sarebbe stata mai possibile, perché non avevo molto tempo per scrivere e perché il mio italiano, dopo più due decenni in Germania, si era estramente impoverito. Negli articoli si trovano anche tracce della mia riflessione filosofica, che ora si può seguire nel mio blog, Diario di Roberto Graziotto; smisi di scrivere per il Sussidiario all''inizio del 2018, perché le posizioni del giornale online sula Germania erano spesso diametralmente contrarie al mio pensiero e pur nel rispetto della pluralità di opinioni non le potevo più conciliarle con la mia coscienza. La goccia che fece traboccare l'acqua dal vaso era stato un articolo in cui si paragonavano le attività economiche della Germania odierna con la mentalità nazista che si espresse in modo criminale nella vicenda tristissima delle Fosse Ardeatine, in cui i nazisti, per rappresaglia vendicativa, uccisero, per ogni tedesco ucciso in un attentato partigiano, dieci italiani (per i miei articoli, cfr. https://www.ilsussidiario.net/autori/roberto-graziotto/). Questa affermazione sulla Germania era per me molto grave per quel motivo che esprime il sociologo spagnolo Victor Pérez Díaz nella rivista di Cl, Tracce (Aprile 2019): "Dobbiamo proseguire il dialogo tra ciò che pensano gli scandinavi e gli abitanti dell'Europa centro-settentrionale, i tedeschi, gli italiani, gli spagnoli e i portoghesi" se vogliamo salvare l'Europa come spazio di libertà e solidarietà.  

Nel periodo de "Il Sussidiario" ho conosciuto ed ho scritto qualche recensione su un autore veneto, Paolo Malaguti, che ha fatto rivivere in me la terra da cui provenivano i miei nonni, Giovanni e Maria. Un autore che sa unire l'attenzione al particolare (Grappa, i contadini e mercanti della valle Tesina, che comunque vendevano le loro stampare in tutto il mondo...) con quella all'universale (Costantinopoli), che esprime grandi amicizie ecumeniche e tra uomini che appartengono a diverse religioni (La reliquia di Costantinopoli) e che nel suo ultimo libro, che usci dopo il mio periodo "giornalista", "Lungo la Pedemontana", offre un giro lento e profondo " tra storia, paesaggio veneto e fantasia" e che contiene alcune pagine bellissime sull'integrazione di un uomo proveniente dall'India in un paese veneto, che lessi in un mio video in YouTube. 

16. Massimo Borghesi e Carmen Rufo. Con Facebook, come dicevo, rientra nella mia vita il filosofo italiano Massimo Borghesi. Se con Adrian Walker mi si apre la realtà del Nord dell'America, con Massimo vengo introdotto alla realtà gigantesca dell'America Latina. Il continente da cui viene Papa Francesco, in cui non sono ancora stato, ma da cui vengono amici come Juan Sara e di cui il mio parroco Andrea Tober mi racconta spesso, perché vi è stato alcuni anni fa, con alcune persone della nostra parrocchia. Filosofi che non conoscevo, come Alberto Methol Ferré, entrano a far parte del mio dialogo intimo, in primo luogo con una lunga intervista, eseguita da Alver Metalli, che ho conosciuto personalmente a Rimini e che ora vive in una delle villas di Buenos Aires, con il sacerdote, Padre Pepe, che più rappresenta la figura di prete che ama Papa Francesco e che da lui è amato. Methol Ferré significa per me filosofia al servizio della Chiesa, in tutto il continente latino americano, significa cercare sempre il "momento di verità" anche nelle posizioni che contraddicono la mia, ma anche il momento di verità di quella realtà trasparente, liquida, libertina ed opulenta che ci tocca vivere.  

Quando è uscito il libro di Borghesi sul Papa, sulla sua biografia intellettuale, mi sono alzato presto per studiarlo, prima di andare a scuola. Non è l'unico libro di Borghesi che ho letto. La legittimità critica del moderno in Augusto Del Noce, la critica alla teologia politica da differenziare dalla teologia della politica (la prima è ideologia religiosa e fondamentalista, la seconda orientamento alla politica a partire dal Vangelo), la conoscenza amorosa in Luigi Giussani, l'opposizione polare in Romano Guardini, sono tutti temi che devo al maestro italiano. Con il suo volume su Bergoglio mi si apriva tutta una realtà nuova per me. Vedere il mondo a partire da Buenos Aires significa fare tante piccole rivoluzioni: mettere i poveri e i migranti al centro del nostro pensiero, capire che tra questione ecologica e povertà vi è un nesso di causalità forte. Capire che nel mondo ci sono delle opposizioni polari che devono portare frutti e non scadere in contraddizioni. Per esempio gli interessi locali e quelli universali possono arricchirsi a vicenda e non essere visti come un campo di scontri di egoismi collettivi. Significa comprendere che il tempo ha priorità sullo spazio; un'idea o ancora più una visione ha bisogno di tempo e non di spazi di potere politico per imporsi. 
Con Bergoglio si impara a comprendere che l'insegnamento ultimo di Cristo, nel carisma ignaziano (ma anche in Hölderlin), significa: Non coerceri a maximo, contineri antem a minimo divinum est. Il padre Francesco Occhetta commenta questa frase così: Ignazio "ci insegna che è “divino non essere ristretti neanche dallo spazio più ampio possibile ed essere capaci di essere contenuti dallo spazio più ristretto possibile” (http://www.francescoocchetta.it/wordpress/?p=60396). In Cristo siamo in grado di rispondere alla missione più grande senza farsi spaventare, avendo, però, anche l'umiltà di  seguirlo anche se siamo costretti nell'ambito ristretto della nostra malattia, come mio nonno, Vincenzo Graziotto, che visse una lenta uscita dal mondo durata 16 anni

Per comprendere il grande mistero del carisma ignaziano, bisogna, fare un passo che Massimo Borghesi (Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Milano, 2017, 40 sg.) ci fa fare, citando un gesuita ungherese, Gabriel Hevenesi. Quest'ultimo riporta una frase di Ignazio che è un reale impulso di pensiero e di preghiera e che è stata spesso tradotta ad un livello più "sopportabile". Cominciamo con la versione più sopportabile: "Abbi fiducia in Dio come se tu non facessi niente e lui tutto; sforzati però così che il successo delle cose intraprese dipenda da te e non da Dio". Questa versione è espressione di una spiritualità "sopportabile": da una parte c'è il Dio che fa tutto e dall'altra l'uomo "faber". Il carisma ignaziano nella suo profondità presenta, però, una forma incrociata: "Abbi fiducia in Dio così che il successo delle cose dipenda da te e non da Dio, sforzati però così che tu non facessi nulla ma Dio da solo facesse tutto". Ci troviamo qui nel cuore di quel mistero bruciante della "passività", di cui ha parlato anche ultimamente papa Francesco, da non confondere con il fatalismo. La fiducia in Dio non è fatalismo! Non esiste da una parte il Dio che fa tutto e dall'altra l'homo faber - questa è una distinzione borghese e non cristiana. Il Dio che può far tutto conta su di me, sul mio agire, non dopo la fiducia prestata, ma nella fiducia stessa, come il figliol prodigo, presentato da Ferdinand Ulrich nel suo "Dono e perdono" proprio nella miseria, dove non gli è rimasto neppure il cibo dei maiali, ha fiducia nel suo padre, ma è lui che si mette in moto, senza aver nemmeno la pretesa di essere figlio. Ma proprio in questo suo sforzo: ritornerò da mio padre e gli chiederò di essere trattato come uno dei suoi servi, sa nel profondo del suo cuore, che solo il padre può far tutto! Non vi è nulla di più cristiano e filosofico di questa forma incrociata di pensiero! 

Massimo mi ha regalato il suo libro e nella introduzione della traduzione italiana (ibidem, 12) si è ringraziato con me per avergli tradotto un articolo dal tedesco, in cui il padre K.-H. Crumbach cita la versione del gesuita ungherese, del motto ignaziano. Non è il primo segno di gratitudine e amicizia nei miei confronti: ha sempre letto con grande pazienza le mie tanti meditazioni in Facebook in cui cercavo di riflettere, nel frammento del quotidiano, tutta una filosofia dell'essere come amore. È uno dei pochi che ha capito il mio confronto interiore  con la Scarpina di Raso di Claudel, come un tentativo di pensare una teologia del sessi che tenga realmente conto di quella realtà così sopravvalutata e così sottovaluta allo stesso tempo che è la sessualità (la formula è di Ursula K. Le Guin) (13).  

Sua moglie Carmen, che ha passato la sua infanzia ed una parte della giovinezza in orfanotrofio, spesso, in Facebook, quando do voce al mio desiderio di autenticità, anche nei confronti del Movimento di CL, mi ha sostenuto, facendomi sentire molto meno solo. Il suo amore per la lettura nasce in orfanotrofio, dove si isolava a leggere per non avere noie, come mi ha scritto recentemente. 


Massimo si iscrive all’università di Perugia (1970; avevo 10 anni), per chiarire il suo personale „ateismo“, come racconta nell’ introduzione al suo ultimo volume, Ateismo e modernità. Il dibattito nel pensiero cattolico italo- francese (Milano, 2019). Non possiamo percorrere tutti i passi che lo hanno portato nel 2004 a difendere la posizione del vecchio e malato papa polacco, san Giovanni Paolo II, che con tutte le forze si è „opposto in ogni modo all’idea di un conflitto teologico-politico tra religioni“, che Bush Jr. aveva cominciato a combattere a causa della distruzione delle torri gemelle, simbolo della nostra società, contro quella che chiamava l’asse del male. La tesi di fondo dell’introduzione è che il problema dell’ateismo non è una questione di nemici esterni, ma risultato del modo in cui le confessioni cristiane si sono comportate nei trent’anni di guerra del diciassettesimo secolo (1618-1648), che certamente avevano anche motivi politici o economici, ma in cui cristiani si sono considerati come nemici o se amici, solo nel senso che avevano un nemico comune e non una fede comune. La pace di Vestfalia (1648) porrà fine a questa storia tragica. 
In questo punto, che di fatto è una considerazione reale della storia e dell’esistenza storica, il suo pensiero e i miei tentativi frammentari di pensiero si incrociano ad un livello di profonda intimità. Tutte le mie sconfitte e le mie fughe libertine (più interiori che esteriori) o estetiche non sono mai state causate da un nemico esterno, ma da un’implosione interna, a livello sociale come nel „caso Moro“ o a livello personale, in cui forme astratte non permettevano ciò che promettevano, e cioè la felicità. La felicità della persona concreta di Aldo Moro era stata distrutta da un ragione statale e religiosa astratta. Il mio personale cammino di conversione da moralismi interiorizzati in modo tale da non permettere di vivere (non senza mia colpa).  

Dopo più di un decennio di non frequentazione, Massimo ed io, ci rincontriamo sulla persona del papa argentino, Jorge Mario Bergoglio/ Francesco, che con il suo impegno evangelico ed erede del meglio degli ideali liberali moderni, con una grande rete di amicizia e di azioni diplomatiche, rappresenta ed incarna la realtà ontologica ultima dell’uomo: siamo fratelli, perché a tutti l’essere è donato per amore gratuitamente! 
Il programma contrario a questo è quello dei Putin, dei Trump (cfr. Steve Bannon), dei Salvini, degli Orban, che usano la religione per i loro scopi politici, con applauso dei tanti cristiani ingenui, che pensano di aver trovato il loro nuovo imperatore che dona loro la sicurezza, che un cristiano sa esserci solo nella exinanitio, e non in un programma trionfalistico di tipo politico, militare, economico o di visione del mondo, con nemici ben identificabili (come l’Islam, o la Cina…). 
È chiaro che nel mondo ci sono „nemici“ della persone, o di paesi: Cristo, l’agnello macellato, che non macella nessuno, ci chiede di non massacrare nessuno, ma di amarci, ed amare anche i nostri nemici. Papa Francesco nel grande palcoscenico del mondo ha criteri di pace e tolleranza precisi: attenzione ai poveri, rispetto per la nostra casa comune, la natura, dialogo con tutti gli uomini di buona volontà. 


Il percorso intellettuale di Massimo e quello mio, più piccolo, si incontra sulla figura del pontefice latino americano, perché in fondo conosce la natura di ancella della filosofia, non la sua dominanza, tra l’altro non esistente storicamente. Si incontra nella esistenza storica, in cui l’esperienza di amore e la libertà, il desiderio di autenticità, stanno in prima linea, come determinazione delle nostre azioni quotidiane e politiche. La sua via più filosofica (Del Noce, Rigobello, Methol Ferrè..) e la mia più teologico-filosofica (Balthasar, Ulrich…), vivono di un’intuizione ultima comune: non si da teologia, senza filosofia. 

La mia prima intuizione riguardante Francesco, di cui avevo parlato, in un articolo ne Il Sussidiario, la vera differenza tra Benedetto XVI e Francesco, a parte quella caratteriale, è che il primo è un papa filosofico e il secondo uno teologico, che però riconosce l’importanza della filosofia, come Francesco quella della teologia.

Il libro di Massimo su Bergoglio mi ha permesso di comprendere la struttura filosofica ultima di Papa Francesco: la fecondità polare delle posizioni contrapposte versus lo scontro fondamentalistico  (religioso o ateo) che sia, per non dimenticare la realtà prima: tra un’esperienza di amore, per quanto libertina, e un’esperienza di guerra l’uomo di buona volontà non potrà che scegliere la prima, non per un motivo evoluzionistico (l’homo sapiens non è noto per la sua tolleranza), ma per un motivo di grazia.  
Anche se con altri accenti da quelli di Del Noce i miei maestri, Balthasar e Ulrich, mi hanno sempre fatto comprendere la necessità di un giudizio legittimante e critico del moderno: per Balthasar, modernità non è solo Kant e l’emancipazione da una autocausata minorità, ma anche Goethe , che nella sua maturità supera la gabbia del prometeismo, per riconoscere la figura dell’amore gratis: per esempio la figura di Ottilie, che nelle „affinità elettive“ impara a superare l’egoismo che si spaccia per amore di sé o della propria patria, in forza dell’esperienza umana prima (ontologia come inveramento critico dell’evoluzione) della rinuncia alla nostra dominanza
Da Ulrich ho imparato, sulla questione della modernità, che solo „la presenza della libertà“, che nasce dal dono gratuito dell’essere, permetterà al figliol prodigo, di ritornare-in-se-stesso al Padre misericordioso
Da Massimo ho imparato uno sguardo storico che permette, per esempio, di comprendere un atteggiamento umano senza il quale, non avrei potuto vivere 17 anni nella terra di Lutero: solo posizioni moderate, quelle che aveva Martino Lutero dapprima (il vecchio Lutero le ha tradite con pagine terribili sugli ebrei, ma ancor prima con le sue urla contro contadini), permettono un vivere comune, in cui viene rispettata la dignità della persona umana. Perciò sarebbe stato necessario affrontare la crisi della Riforma „senza piani obliqui“ da parte dell’autorità ecclesiale, in una discussione pubblica e serena, che invece è mancata e senza un’intrusione di quella politica; insomma sarebbe stato necessario che le due autorità avessero solo fatto ciò che spetta loro nei diversi ambiti: contribuire al bene comune. Se si fosse tenuto conto di tutto ciò „la storia spirituale e politica avrebbe subito un’altro corso“, in Europa e nel mondo, quello che ci ha donato l’Europa negli ultimi settant’anni (ma anche intravista e realizzata da correnti evangeliche come i battisti e i quacqueri nell’America del Nord, all’inizio di questa storia), che sembrano, purtroppo, essere giunti ad una fine drammatica, in cui comunque non dobbiamo perdere la piccola sorella, tra le virtù teologali e filosofiche: la speranza (cfr. Charles Peguy, Walker Percy). 



Nel dicembre dell'anno passato, per la prima volta sono stato a Fiumicino, dove ci siamo incontrati in un bar, per via di un virus che aveva colpito la famiglia - sono andato a trovarlo con alcuni amici: Bruno Brunelli, Nicola Duz, Angelo Lucio Rossi, Rossella Viaconzi e mia moglie; il suo stomaco non era ancora in ordine ed ha preso solamente una camomilla, ma la sua presenza era concentrata ad ascoltare con attenzione i miei amici e quando interveniva, la sua capacità sintetica di cogliere i nessi storici del grande problemi odierni della chiesa e del mondo, era quella di un autentico maestro cristiano. 




17. I Contadini di Peguy.  Il nome del gruppo „Contadini di Peguy“ nasce durante il Meeting di Rimini che presentava una mostra su Peguy (2014), credo che sia stata un’ idea di Angelo Lucio Rossi, il preside di una scuola elementare, nella periferia di Milano, che coinvolge molte delle realtà presenti nel territorio nell’attività didattica, per esempio una banda musicale, guidata da anarchici. Alla mostra avevamo letto che Peguy preferiva parlare con dei contadini piuttosto che con intellettuali, forse nell’accezione di intellettuali piccolo- borghesi. Dobbiamo, però, fare un passo indietro per capire il primerear di questa storia affascinante, la storia di una presenza viva, e non solo nella rete, di amici che hanno compreso da subito che Papa Francesco è un dono di grandezza inaudita che il cielo ha fatto a noi uomini e non solo ai cristiani. Una mano tesa dal cielo, in questo tempo della nostra storia che sembra essere una 
«terza guerra mondiale a pezzi» (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/travels/2019/outside/documents/papa-francesco_20190204_documento-fratellanza-umana.html). 

Il primo passo di questa storia è stata l’attenzione in rete di Nicola Duz, un ingegnere elettronico di Cremona, che si accorse che in ciò che Bruno Brunelli scriveva o come si dice oggi, postava, in Facebook, e in ciò che io postavo e scrivevo, era in gioco un giudizio diverso da quello di tante delle persone presenti in rete del Movimento di Comunione e Liberazione, un movimento ecclesiale, nato dalla decisione di un sacerdote lombardo, Luigi Giussani, di lasciare l’università per insegnare in un liceo milanese nel 1954. Come Bruno Brunelli specifica, in un suo messaggio di questi giorni in cui sto compiendo la redazione di questo racconto, parlando del Movimento non bisogna dimenticare una differenza di importanza vitale: "non bisogna dimenticare la distinzione fra movimento e struttura associativa. Un distinzione che a Giussani piaceva sottolineare. Il movimento è quella cosa che ti ha preso storicamente e non puoi lasciare". 

Dopo l’esperienza forte che avevo ricevuto in dono alla tomba di von Balthasar, forse il più grande teologo del ventesimo secolo, amico di don GIussani, mi era chiaro che avrei dovuto rientrare nella Fraternità di CL, che avevo lasciato alcuni anni prima; mi era chiaro che mi era richiesto questo rientro, ma non ne avevo ancora capito il motivo; certo c’erano alcune persone di CL con cui ero legato in Germania, ma con loro mi vedevo o sentivo abbastanza saltuariamente. Mia moglie, stupita, mi chiese se ero davvero sicuro di fare un passo in una comunità che anni prima mi aveva ferito profondamente, senza neppure accorgersene. Disse poi, cosa che mi stupì ancora più profondamente: dove vai tu, vengo anch’io.

Con questo primo passo della formazione dei Contadini il cielo aveva formato un gruppo insolito: due ingegneri, uno di Roma e uno di Cremona ed un filosofo ed insegnante che da più di 20 anni viveva in Germania, che si sentivano (e si sentono)  quasi quotidianamente e che pur nelle differenze delle loro vite ed anche delle loro sensibilità, avevano su tanti avvenimenti politici ed ecclesiali un giudizio simile su cui „lavorare“, ma che ancor più si sentivano amici e che cominciarono a frequentarsi anche fuori dalla rete. Rimini, Bamberg in Baviera, Casale Monferrato, Bassano del Grappa, il  Cornero nelle Marche, Loreto, Cremona, Roma diventano luoghi di un’amicizia forte che coinvolge anche le loro famiglie ed un gruppo più esteso di quello iniziale. 

Da questa amicizia nasce poi la „Redazione dei Contadini di Peguy“, di cui fanno parte Angelo Lucio Rossi e la sua infaticabile „vice“, Rossella Viaconzi; Cristina Ghezzi di Bergamo, che con infaticabile lavoro segue il percorso spirituale, politico di molti ciellini in rete e comunica al gruppo gli interventi più importanti del Papa; don Federico Picchetto, patrologo, coordinatore didattico, giornalistica, ma in primo luogo giovane sacerdote missionario della misericordia con il quale nasce una reale amicizia e elezione preferenziale.

Il lavoro redazionale subisce dopo un certo periodo una crisi, forse dovuta a dei fraintendimenti, alla distanza dei luoghi in cui viviamo, alle differenti esperienze e sensibilità. In una lunga telefonata con Cristina mi divenne sempre più chiaro che questo dono inaspettato dei Contadini, non poteva e non doveva finire per incomprensioni di tipo psicologico. E così ricominciammo con quella che ora chiamiamo la „nuova redazione dei Contadini“, a cui infine si aggiunge Massimiliano Tedeschi, un giurista di Roma che coordina, in primo luogo, gli aspetti giuridici del dibattito politico. 
Nel gruppo aperto a tutti (in Facebook ci sono gruppi dei diversi tipi, chiusi ed aperti), ma in cui si può condividere contributi solo con l’assenso di uno dei redattori, si trova, a livello giornalistico, teologico, filosofico e politico, tanto materiale - in tanti generi: frasi, foto, riflessioni - per farsi un giudizio che sia il più possibile consono a quello di Papa Francesco. Insomma noi rappresentiamo, nel piccolo mondo della redenzione in Facebook, ciò che la Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti, guidata da Padre Antonio Spadaro SJ, rappresenta ad un livello più professionale e con portata mondiale. Il programma di tutti questi interventi è semplice da riassumere: amore gratuito versus odio nichilista, dentro e fuori dalla Chiesa. 

Bruno Brunelli, qualche hanno fa, propose la traduzione di un’intervista a Steve Bannon, che abbiamo commentato insieme nel gruppo e che ci permetteva di comprendere, in anticipo su tante persone del mondo ecclesiale, quell’azione brutale del cristianesimo, meglio cristianismo teocon, in primo luogo statunitense, che cerca di affondare il pontificato di Francesco e di cui Andrea Tornielli e Gianni Valente hanno ricostruito, con acribia, una delle punte più esposte dello scontro, provocate dalla richiesta dell’ex nunzio degli USA, Carlo Maria Viganò, delle dimissioni del papa nel libro “Il giorno del giudizio“ (Milano 2018).

La traduzione e il commento dell’intervista al ex stratega di Donald Trump, che è ora in continuazione in Europa per proporre a tutti il modello italiano (populismo di sinistra e di destra uniti nella distruzione del progetto Europa e nell’affondamento del pontificato latino- americano) è stato forse uno dei lavori più grandi della Redazione dei Contadini, senza dimenticare la mia intervista a Don Federico Picchetto, letta da moltissimi e che rivela la sorprendete autenticità di un giovane sacerdote, un millenians, alla ricerca della forma ultima della sua missione nella Chiesa e nel mondo. Senza dimenticare, però, anche il lavoro di posts per far conoscere il Papa e il nostro lavoro didattico. 

Non so se mi è possibile raccontare in poche righe in cosa e come noi Contadini siamo diventati uno strumento della volontà salvifica del Mistero. Abbiamo tutti un amore preferenziale per la storia del Movimento di Comunione e Liberazione, nei suoi diversi accenti: quello romano di don Giacomo Tantardini, un sacerdote dal carattere esplosivo, morto poco prima della elezione di Francesco come pontefice romano e che dopo l’esilio spagnolo impara a farsi educare, nel decorso della sua malattia, dalla tenerezza di Cristo;   quello mio personale dell'amicizia tra Balthasar e Giussani con una rete di amicizie che ho cercato di presentare nelle pagine precedenti di questi ricordi; quello di chi ha compreso immediatamente la geniale intuizione di Giussani nel scegliere don Julián Carrón, sacerdote spagnolo, lontano da quello che chiamerei il sistema di spazi di potere politico ciellino, come suo successore.

I Contadini sono uniti anche in quella che potrebbe essere chiamata l'opzione preferenziale della „missione" (da non confondere con il proselitismo) sulla "cultura" - intesa quest'ultima come una cultura cattolica (in vero cristianista) da difendere apologeticamente, come occupazione di spazi di potere politico, come per esempio lo è stato la Lombardia negli anni del governatorato della regione Lombardia da parte di Roberto Formigoni; difesa apologetica che si intende „contro“ una cultura che vorrebbe distruggere la dottrina cattolica, non comprendendo per nulla il discorso della presenza come testimonianza, in un mondo che ha perso le evidenze, come ricorda insistentemente il sacerdote spagnolo alla guida della Fraternità di CL. Testimonianza è priorità del tempo missionario, su dominio di spazi. E per dirla tutta, in vero, chi ha messo davvero in grave crisi la dottrina cattolica, non è un nemico esterno alla Chiesa, ma quel fumo di Satana, che i tradizionalisti e i reazionari stanno contribuendo a diffondere, non comprendendo che chi ha danneggiato gravemente la Chiesa erano (anche) persone che difendevano la dottrina della Chiesa.

I Contadini hanno preso e stanno prendendo la sfida di Gesù sul serio: se non sarete più morali dei farisei, non sarete convincenti: quindi per i Contadini, azioni fatte solo per difendere la propria gente, che non tengano conto dei 10 comandamenti, (non rubare...) non possono essere volute da Dio. La giusta critica al moralismo non può diventare una messa in dubbio della moralità soggettiva e dell’eticità oggettiva dei comportamenti umani, come ha spiegato qualche anno fa Bruno Brunelli nel suo blog (https://brunellob.blogspot.com ed in modo particolare: http://brunellob.blogspot.com/2017/12/era-in-gioco-il-vangelo.html?view=classic). 

I Contadini hanno presto compreso, e continuano in questo lavoro di comprensione, che nel mondo c'è un modo di  difendere la dottrina cattolica (per esempio nella questione dell'aborto), che è strumentale ad una politica pseudo liberale, pseudo democratica e guerrafondaia.

A questo lavoro di approfondimento dell’appartenenza a Cristo si aggiunte la mia totale allergia a forme reazionarie di „teologia del corpo“. Non mi hanno mai aiutato affermazioni di radicale fondamentalismo, meglio sarebbe dire fanatiche e colpevoliste riguardo al sesso, che non sono coperte da alcuna esperienza. Sono stufo di vescovi che paragonano, tanto per fare un esempio, l’onanismo all’omicidio, a giornalisti, maschi e femmine, che difendono una visione reazionaria - che non è quella tradizionale, ma una ideologizzazione di essa - del rapporto tra l’uomo e la donna. Si tratta di quella gente che ovviamente sottolinea subito gli interventi del Santo Padre, quando con ragione parla di un discernimento dell’intenzione di quelle colonizzazioni del potere politico, avverse ad ogni forma tradizionale della famiglia, ma che dimenticano che la colonizzazione dell’odio pseudo cristiano, è anche un potentato che non permette di vivere. Non sono contro l’ideale della verginità, perché questo sarebbe un abbandono del cuore pulsante dello stato di vita di Cristo stesso. Nella festa dell’annunciazione i vespri del rito romano latino ricordano che quell’uomo che è Maria è potuto sorgere perché ha trovato grazia nel cuore vergine di Dio (Maria, invenisti gratiam apud Dominum), ma la grazia non è un prodotto dell’uomo, ma dono radicale di Dio. Certo ci vuole anche un nostro assenso, che è come un cenno a Dio (Ancilla tua annuente et Spiritu Sancto operante), al fatto che pur nella gioia dei sessi, vi è una gioia che sola può distruggere il muro della morte e che non è quella erotica, che è gioia di vivere e che nell’orgasmo trova un simbolo del lasciarsi andare all’altro e gustare la presenza dell’altro; solo la „distanza vergine“, però, è simbolo del „vivere in unità della vita e della morte“ (Ferdinand Ulrich). Solo che questa unità è l’opera massima dello Spirito Santo. La carne infine non serve a nulla, dice Gesù. 

I Contadini non sono solo una storia di idee, ma anche di fatti che diventano ricordi, come il bere una birra insieme in Baviera o visitare le grotte del Vaticano e riscoprire l’era di Constantino, in cui, in forza della libertà di religione, il cristianesimo potè diventare presenza pubblica anche nel cuore dell’impero romano. Una presenza che si raccoglie intorno alla tomba di Pietro, ai suoi resti mortali, che spingono a costruire una basilica laddove sia le condizioni geologiche che quelle sociali lo sconsigliavano. Il cristianesimo è stato anche una storia di compromessi: visto che Constantino non poteva distruggere un cimitero per costruire una basilica, lascia coprire tutta l’aria funeraria con uno strato di terra, per costruire quella basilica del quarto secolo che verrà poi sostituita da quella del Bramante, di Michelangelo e Bernini, secoli dopo. I Contadini con la loro visita nel Dicembre del 2018 tornavano così all’origine, direttamente sotto il baldacchino attuale, di quella fedeltà a Pietro che li caratterizza. 

Vi sono tanti altri altri ricordi contadini come il cantare insieme, diretti dal Rossi, Sul ponte di Bassano, appunto sul ponte della bellissima città veneta, in cui scorre il Brenta. O la visita della città di Vicenza, con l’imparagonabile teatro di Palladio, proposta questa di mia moglie che ama l’antichità classica e romana (e così anche quella sua riedizione neoclassica), cantando insieme quella canzone che rivela il cuore più prezioso dell’anima abruzzese: Luntane, cchiù lontane. A Marcelli, invece, sul Conero, cantando insieme, alla sera sulla terrazza, canzoni italiane, riceviamo un applauso che avrebbe fatto piacere anche a Pavarotti. Infine (si fa per dire) rimaranno nella memoria per sempre i viaggi in treno di don Federico per raggiungere Casale Monferrato o Bassano del Grappa, e in questo caso, dovendo ripartire il giorno dopo all’improvviso, perché non si era trovato un sacerdote che dicesse la Santa Messa per lui, nel paradiso che porta il nome di Sestri Levante.  

Mi è già capitato, più volte, che qualcuno cerchi di diminuire l'importanza di queste amicizie, che formano l'esperienza dei Contadini di Peguy, affermando che si tratta di una questione, per così dire, particolare: beh, sono i tuoi amici e noi ne abbiamo altri. Seguendo i commenti nella nostro gruppo si vede, invece, come molti comincino ad identificarsi con questa storia perché non è una storia particolare, ma una domanda profetica a tutto il Movimento di Comunione e Liberazione, ed in un certo senso a tutta la Chiesa e tutta la società. Non si tratta in primo luogo di un'identità di giudizio politico, che tra l'altro neppure esiste, questa sarebbe un'altra forma di "teologia politica", ma di una reale domanda di autenticità, senza la quale la presenza di un "movimento" nella Chiesa o nella società diventa un altra delle tante forme di dominio, che non ha nulla a che fare con il cuore grondante di misericordia di Cristo e con il bisogno ultimo del cuore dell'uomo. Noi siamo peccatori come tutti, che non distinguono tra il peccato mio o nostro e il peccato degli altri, perché nessuno, al cospetto di Cristo, è buono! 

Questa amicizia contadina ha una ricaduta importante per il mio quotidiano, che da 17 anni si svolge nei territori della ex DDR, una delle regioni più secolarizzate del mondo, ma in cui il cuore dell'uomo non ha cessato di battere. Come vivere in una regione con quasi l'80 % di persone che non sono battezzate? Certo non creando tra me e loro dei muri, ma con quell'atteggiamento di non autoreferenzialità che contraddistingue l'esperienza contadina. Proprio in questa regione mi è possibile vivere ogni giorno la "chiesa in uscita" (Papa Francesco), che non vuole fare alcun proselitismo, ma che non cede nell'atteggiamento missionario di chi ha, certo non per suo merito, incontrato il volto e il corpo dell'amore gratis, che è Cristo stesso! Andate in tutto il mondo e siate le mie braccia, il mio liguaggio, mite e misericordioso! Nel mio #Diarioscolastico che pubblicai, per un anno intero, qualche anno fa, nei "Contadini di Peguy" in Facebook, si vede più concretamente cosa significhi essere missionario in una regione con questa storia, regione di cui ho imparato ad amare boschi e persone. Qualche giorno fa eravamo stati invitati, in una casa con i legni trasversali nei muri, tipicamente tedesca, credo fosse la vecchia parrocchia luterana di Ossig, vicino a Zeitz, da un insegnante di matematica, nostro amico, Johannes e da sua moglie Beate, che lavora nella chiesa luterana, come assistente parrocchiale; c'erano anche un altro insegnante di matematica, Sven, e sua moglie Kerstin, che insegna arte e che organizzò una bellissima mostra con i ragazzi della settima classe, sul tema del progetto di Erasmus Plus, "Tragedia e speranza", durato due anni e terminato con il recente viaggio in Francia: ero stupito come mia moglie ed io, con persone che hanno avuto un'altra storia che la nostra, almeno fino al punto in cui 17 anni fa le nostre vite si sono incrociate, avessimo trovato una "casa". Era bello giocare con loro un quiz matematico nel soggiorno ricolmo di libri. 

In un suo post in Facebook (11 Aprile del 2019), Federico Picchetto, esprime un pensiero che  esprime la motivazione ultima per cui è nato questo libro/post: 

Mi colpisce come molte volte il rapporto con gli altri possa essere strumentale. Con una metafora un po’ strana si potrebbe dire che spesso ho la pretesa che l’altro sia un capitolo della mia vita o che gli altri abbiano la pretesa che io sia un capitolo della loro vita. 


Ma noi non siamo capitoli, siamo tutti libri! Ciascuno di noi è una storia unica e particolare che si intreccia, si interseca e si congiunge a quella di chi ci sta accanto. Noi non siamo utensili destinati a soddisfare le brame altrui, ma siamo persone, carne e sangue, con una loro strada e un loro “perchè”.

Chi non rispetta i nostri tempi, o quando noi non rispettiamo i tempi degli altri, ciò che rimane è un’ultima violenza. Per cui siamo tranquilli, siamo in pace, ma ci sentiamo violati, aggrediti, dalle pretese degli altri.

La libertà - diceva don Chisciotte - è il dono più grande che i cieli abbiano fatto agli uomini. 

In un chat di redazione commentava questo suo post in questo modo: 

Mi premeva sottolineare (con il mio post) un atteggiamento di fondo nel ritenere gli altri funzionali al mio disegno di potere e di felicità. L’altro a me non interessa per la storia (il libro) che ha da portarmi, ma per quello (il capitolo) che può darmi. Questo è uno dei trend della nostra epoca. Io non combatto il populismo sul piano politico o culturale (questo lo lascio a tanti di voi che lo fanno assai meglio), io combatto il populismo del cuore. E questo credo sia il mio piccolo contributo in questo grande tempo. Parlando un linguaggio più emotivo, a volte volutamente sentimentale, vedo che gli altri leggono, seguono. Anche quelli che poi con fatti e parole si dimostrano cristianisti o ideologi. Ecco, la mia speranza è questa: trovare una breccia, laddove loro meno sono “in difesa” per poter far entrare in loro un seme di riflessione, un seme lasciato alla loro ultima libertá. Il tuo lavoro è splendido perchè ripercorre nella tua vita il fatto che la verità ti abbia inseguito e come tu, ad un certo punto, ti sia lasciato trovare e avvincere. Non è un diario il tuo, è la tua storia d’amore. Di cui sono lieto di essere un paragrafo in un capitolo bello come quello dei Contadini.
Ho voluto riportare questo commento, perché fa vedere con quale libertà noi lavoriamo come Contadini di Peguy! 



Il vescovo e l’imperatore. Riflessione „conclusiva“ sui Contadini di Peguy. All’inizio dei „Miserabili“ Victor Hugo, presenta con sincera simpatia la figura del vescovo di Digne, monsignor Bienvenu, non dissimile, per quanto riguarda l’amore per la povertà, a Papa Francesco, con una „restrizione“ di simpatia nel giudizio per quanto riguarda la sua critica all’imperatore Napoleone, nella sua fase „discendente“. Come mai un uomo che guarda tutto e tutti con gli occhi del cielo, si è lasciato andare a giudizi storici così unilaterali ed atteggiamenti così non cristiani, si chiede Hugo. „A partire dal 1813, aderì o applaudì a tutte le manifestazioni ostili; ricusò di vederlo, quando, al ritorno dall’isola di Elba, fu di passaggio da Digne e si astenne di ordinare nella sua diocesi le pubbliche preghiere per l’imperatore, durante i Cento Giorni“. Questa critica non può essere fatta a Papa Francesco, che fondamentalmente non ricusa di vedere nessuno, anche se vengono certamente prese in Vaticano decisioni diplomatiche su chi il Papa debba incontrare, sul dove e sul quando  - ha incontrato anche Erdogan, ha ricevuto Trump, ha scritto a Putin, ha incontrato a Cuba il patriarca di Mosca, Kirill, e via dicendo. Questa critica, cioè di aver il „suo momento di spirito di parte“, può essere fatta, forse ai Contadini e ci è stata fatta, non al Papa. Perché ci occupiamo così tanto di strategie politiche (con l’analisi di tutto ciò che fa e pensa Steve Bannon), perché critichiamo così apertamente il nuovo vassallo degli imperatori, Matteo Salvini, e prendiamo sotto la lente d’ingrandimento il suo mettersi sopra la legge e in modo particolare sopra la costituzione italiana? Perché un gruppo ed un’amicizia nata per seguire Gesù e il Papa, è così spudoratamente di parte, senza capire che il „popolo di Dio“ ha sempre una „venerazione tenera e filiale“ per il suo vescovo, quando egli raggiunge il suo cuore. Non hanno i Contadini contribuito nella rete a mettere in crisi quel equilibrio fragile di un „buon gregge debole“, che „adorava il suo imperatore, ma amava il suo vescovo“? 


Che un cristiano si debba piuttosto occupare delle cose del cielo e dell’eternità e non gettarsi nella mischia dei „giudizi storici“, secondo me non è vero né per i laici né per i vescovi, come abbiamo visto nel mio racconto del filosofo italiano Massimo Borghesi: su questo il mio giudizio è diverso da quello di Hugo. Concordo con lui, per tutto quello che ho scritto in questi racconto della mia vita intellettuale, sulla exinanitio, che distanziarsi dall’imperatore nella sua fase discendente non è un atteggiamento cristiano. In vero, però, il sovranismo attuale si trova in fase ascendente e non discendente. Infine va detto con chiarezza che questo movimento politico mondiale (nella sua denuncia del globalismo), vuole usare il cristianesimo per giustificare le sue manovre economiche, militari e politiche, quindi il giudizio su ciò che pensano gli imperatori e i loro ideologi, come Steve Bannon o „Aleksandr Dugin, il «Rasputin» di Putin, filosofo russo teorico della fine del mondialismo che esalta il ruolo cruciale nel processo di disfacimento dello zar del Cremlino“ (Alberto Bobbio, 20.4.19, ne L’eco di Bergamo) è un giudizio di „teologia della politica“ (non di „teologia politica), che giudica tutto orientandosi al Vangelo e alle parole e all’essere di Gesù! 

18. Due idee di Papa Francesco. Ci si sono due idee di Papa Francesco che trovo difficile accettare, ma come mi disse una volta Robert Spaemann, non si può pensare se ci si sente come uno che abbia un censore all’agguato, dietro le orecchie o come uno che abbia una spada di Damocle che ti pò cadere da un momento all’altro sulla testa. Si può pensare solo liberamente ed infine obbedire, anche se non si è d’accordo, perché l’obbedienza amorosa (non quella militaresca) nei confronti di Pietro è sempre garanzia di autenticità, per un cattolico. La prima idea è quella degli anziani. In sé il Papa dice una cosa ragionevole, ma la mia esperienza mi ha fatto incontrare anziani che sono così „dominanti“ che succhiano tutte le energie dei giovani, fino a stremarli. 

Quando morì mia suocera, Romarie, nel febbraio del 1999 dapprima mio suocero, Béla Szelényi, voleva trasferirsi da Neckargemünd, dove abitava, in Baviera, da noi. Ferdinand Ulrich mi disse, con la sua solita chiarezza, che se non lo avessi impedito ciò avrebbe ucciso mia moglie, che da bambina aveva sofferto molto per il carattere lunatico del padre. Una di quelle "cose" che dovevano rimanere nel segreto della famiglia.
Negli anni novanta aveva scritto un libro pro manuscriptu in cui raccontava, come lui e sua moglie, avessero lasciato l’Ungheria di nascosto, in treno, nascondendo nei vestiti i loro documenti e lasciando villa, titolo nobiliare, un lavoro d’eccellenza per lui, un posto come docente all’università di Budapest per lei, per poi ricominciare ad Heidelberg come manovale e come segretaria all’università. A Budapest Béla avrebbe potuto risolvere la questione lavorativa facendo un contratto con gli USA, ma era richiesto, cioè voluto dal partito, un contratto con l’UdSSR, che non avrebbe risolto i problemi. Rimaneva la fuga. Dopo una scalata dal basso, se si pensa che mio suocero aveva uno chauffeur davvero dal basso, potè di nuovo lavorare come ingegnere e mia suocera come docente, dopo aver corretto grammaticalmente e ortograficamente le lettere di alcuni professori e non solo averle battute a macchina, ma mentre quest’ultima ha avuto sempre un rapporto fecondo e sereno con la figlia, mio suocero ne aveva uno molto conflittuale, come con chi avesse rubato l’attenzione „singolare“ della moglie. Diventando vecchio, divenne più gentile - è stato, però, sempre molto generoso vorrei aggiungere per onestà nei suoi confronti - ma è chiaro che una tale storia, quella sua e di sua moglie, non passa senza ferite. Ed in questo caso, come dicevo prima, Ulrich, anche un figlio (non un gesuita) di Ignazio, come il Papa, mi sconsigliò vivamente di prendere in casa questo anziano dalla storia certamente molto interessante, ma irrisolta. La storia di uno che fugge dal comunismo (socialismo reale), come la mia famiglia contadina fuggi da quello di Tito, che prima di diventare un volto gentile del comunismo stesso, è stato un dittatore brutale, alla scuola di Stalin, in concorrenza con Stalin, anche nello stile politico da usare. Ad un certo punto del suo libro, "una storia di amore e di tenebre", Amos Oz dice che suo padre gli ha lasciato molto lavoro ancora da risolvere e che lo scrivere della sua vita era un modo di risolvere, anche, questo lavoro lasciatogli dal padre, come eredità per l'appunto irrisolta. 

L’altra idea è quella del celibato per i sacerdoti; non faccio parte di quel tipo di pensatori cattolici contrari alla verginità - ho visto il volto e la fecondità in Cristo di molti vergini rispecchianti la verginità di Cristo, che solo in romanzi di cattiva qualità, è sposato con Maddalena, che in vero mi sembra anche una figura tutta da scoprire di vergine cristiana - un film appena uscito la presenta come levatrice e non come prostituta (Maria Maddalena del regista Garth Davis, del 2018). Non sono, però, convinto che il celibato sia una necessità per i sacerdoti. La gerarchia cattolica rappresenta la presenza eucaristica di Cristo nella comunità cristiana, ma come si vede in grandi sacerdoti ortodossi, come Alexander Men o Alexander Schmemann, ciò è possibile anche come sposati. 
Non mi è possibile tacere su questo tema, sapendo da fonti certe, anche se non da un lavoro statistico, che i vescovi nelle diocesi tedesche devono spendere molti soldi per mantenere bambini di sacerdoti; il numero di sacerdoti che non vivono essendo obbedienti al celibato è molto alto - almeno qui in Germania -  e non possibile far finta di niente, anche se è vero che l’ultima parola deve averla  il Santo Padre, che ha una visione molto più globale della mia e che non vuole, come San Paolo VI un celibato facoltativo.

La goccia che per me ha fatto traboccare l’acqua dal bicchiere è la storia di un amico prete, di cui non vorrei citare il nome per ora, che senza dubbio ha (non aveva) una vocazione sacerdotale, ma che ha ceduto all’abbraccio caloroso di una donna, bisognosa del suo amore e della sua comprensione, da cui poi è nato un bambino, a cui il mio amico, che dapprima aveva pianto con me al telefono, quando me ne aveva parlato per la prima volta, per aver perso la possibilità di rimanere sacerdote, non ha voluto privare la sua paternità. Un sacerdote responsabile che entra in conflitto con la sua responsabilità come papà è un dramma che fa parte di quei ricordi insolubili del mio cuore attento alla gratuità amorosa e che per questo trova spazio in questi ricordi.  

Papa Francesco. Cosa significa Papa Francesco per la Chiesa e per il mondo?  Credo che solamente Lucio Brunelli, con cui i Contadini hanno visitato l’Angelus nella domenica della Sacra Famiglia del 2018 e che ci ha invitato in quella occasione a pranzare in un ristorante tipico romano vicino al Vaticano, avesse preso in considerazione la possibilità  che Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, diventasse il nuovo vescovo di Roma. 

 Il mio primo ricordo del Papa che viene dalla fine del mondo, condiviso certo da moltissimi, e il cui motto è miserando atque eligendo, è quello di un uomo che, ricolmo di Dio, piega il suo capo di fronte al suo popolo, che aveva fatto appena pregare per il suo predecessore, Benedetto XVI, in modo elementare ed autentico (Padre Nostro ed Ave Maria, se mi ricordo bene), per riceverne la benedizione: gesto che mi ha fatto venire in mente il mio amato ex confessore, padre Bernhard di Berlino, che mi chiedeva di fargli un segno di croce sulla sua fronte, dopo la confessione. 
Nella tradizione dei suoi predecessori è non contro di essi, Francesco è il Papa che vive della lex orandi del Vangelo, che prende il Vangelo (la misericordia - miserando) come criterio ultimo di tutte le sue decisioni, dal primo viaggio in Lampedusa, che mise all’attenzione di tutti il dramma dei profughi e del Mare Mediterraneo fino al viaggio del febbraio del 2019, negli Emirati Arabi, in cui con il grande imam, filosofo e teologo egiziano, Ahmad Mohammad al-Tayyeb, sottoscrive il documento epocale della fratellanza tra gli uomini (  http://w2.vatican.va/content/francesco/it/travels/2019/outside/documents/papa-francesco_20190204_documento-fratellanza-umana.html). 

È il papa delle grandi amicizie, per esempio con il patriarca ortodosso Bartolomeo, con cui condivide tra l’altro, ovviamente non solo l’amore per Gesù, ma anche il giudizio sull’importanza della questione ecologica, come una delle cause della povertà nel mondo. È insomma il Papa che porta avanti la dottrina sociale cattolica, aggiungendovi con la sua enciclica Laudato si’,  per l’appunto la cura per la nostra casa comune, la natura.  È il papa del discernimento, per comprendere cosa sia l’amore gratis come vocazione, nei tre passi, che formano spesso la struttura delle sue prediche, spiegati a Loreto, nel giorno dell’Annunciazione del 2019: il primerear dell’agire di Dio, il discernimento vocazionale e la decisione, in modo particolare dei giovani, per rispondere alla chiamata di Dio. È il Papa a cui non piace la Madonna postino, ma che è devoto a Maria, non meno di san Giovanni Paolo II, e che auspica che lei sia la madre della vocazione dei giovani. Come san Giovanni Paolo II aveva suor Faustina come protettrice del cielo, Francesco ha anche una donna, nel cielo, a cui si rivolge devotamente: la piccola Teresa del bambino Gesù e del volto santo. Sinteticamente: è un Papa che intimamente comprende la preghiera umile  di Peguy: „Regina degli apostoli, abbiamo perso il gusto per i discorsi. Non abbiamo più altari, se non i vostri. Non sappiamo nient’altro che una preghiera semplice“. Per questo Francesco abbraccia le sue sorelle e i suoi fratelli più volentieri che fare discorsi - in modo particolare anziani, malati e bambini. Ancora più sinteticamente, potremmo affermare: è il Papa della exinanitio evangelica, come vuole il carisma francescano e ignaziano! „Dio ha infatti tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna“. (Gv 3,16). Questo amore gratuito ha una sua modalità di approccio all'uomo che san Paolo nella lettera ai filippesi, capitolo secondo, esprime così: 

[5] Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, 

[6] il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; 

[7] ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, 

[8] umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. 

[9] Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; 

[10] perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; 

[11] e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre!


Francesco annuncia la gioia del Vangelo e la fratellanza tra gli uomini! Scrive con Al -Tayyeb, nel documento sopra citato sulla fratellanza degli uomini: 

"La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare. Dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani – uguali per la Sua Misericordia –, il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere. 

Partendo da questo valore trascendente, in diversi incontri dominati da un’atmosfera di fratellanza e amicizia, abbiamo condiviso le gioie, le tristezze e i problemi del mondo contemporaneo, al livello del progresso scientifico e tecnico, delle conquiste terapeutiche, dell’era digitale, dei mass media, delle comunicazioni; al livello della povertà, delle guerre e delle afflizioni di tanti fratelli e sorelle in diverse parti del mondo, a causa della corsa agli armamenti, delle ingiustizie sociali, della corruzione, delle disuguaglianze, del degrado morale, del terrorismo, della discriminazione, dell’estremismo e di tanti altri motivi. 


Da questi fraterni e sinceri confronti, che abbiamo avuto, e dall’incontro pieno di speranza in un futuro luminoso per tutti gli esseri umani, è nata l’idea di questo »Documento sulla Fratellanza Umana « . Un documento ragionato con sincerità e serietà per essere una dichiarazione comune di buone e leali volontà, tale da invitare tutte le persone che portano nel cuore la fede in Dio e la fede nella fratellanza umana a unirsi e a lavorare insieme, affinché esso diventi una guida per le nuove generazioni verso la cultura del reciproco rispetto, nella comprensione della grande grazia divina che rende tutti gli esseri umani fratelli".

Questo papa, ma anche il nostro comune amore per Padre Paolo D'Oglio, ha permesso il nascere di una amicizia traversale con un giornalista di sinistra come Riccardo Cristiano, il quale si accorse già nel 1995 di come sinistra e destra concordassero nel giudizio positivo su certi dittatori del Mediterraneo: "Dunque in quel lontano 1995 è emersa la subalternità di tanta sinistra e l’adesione della destra radicale allo scontro di civiltà. Non ho seguito gli sviluppi della tragedia algerina, ma quella vicenda (sinistra e destra che concordano di non sostenere il "dialogo nazionale algerino"; rg)  ha fatto di me un senzatetto innamorato della sua scoperta, il Mediterraneo, non dei generali. Ritengo che sia cominciata allora una dolorosa traversata del deserto, fino alla sera in cui il neoeletto Papa Francesco, definendosi “vescovo di Roma”, ha obbligato molti a chiedersi se quel vescovo non offrisse a chi non voleva piegarsi all’ideologia dello scontro di civiltà un tetto comune, soprattutto dopo quel viaggio profondamente mediterraneo e umanista, il suo primo, a Lampedusa. Ed è stato un tetto vescovile per tutti, anche per chi resti un agnostico ma che non si piega all’ideologia dello scontro di civiltà: lo aiuta a capire che le identità sono plurime e quindi a scoprire che sotto il tetto di Jorge Mario Bergoglio è rispettato nell’accoglienza" ( https://formiche.net/2019/04/mediterranei-seminari-religioni-islam/?fbclid=IwAR2HHFCVf-mQ3TKZ1p8c2I6m8dfAwGVbFMxxchm3LFYdihmte0iGAkBQizs). 

Infine per le cose che mai gli perdoneranno vorrei riportare un breve aforisma, nato dopo aver letto il bellissimo capitolo che Victor Hugo ha dedicato al vescovo di Digne, Monsignor  Myriel, che ho condiviso qualche giorno fa (22 aprile 2019) nella mia bacheca: 

Anche Francesco ha fatto errori nella nomina dei vescovi, ma che abbia spezzato il legame tra certe diocesi e il berretto cardinalizio è geniale. Cosa questa che chi non disdegna il potere mondano non gli perdonerà mai.

19. Angela Merkel - un tentativo di riflessione filosofica sulla cancelliera tedesca. 

"Se cominciamo a scusarci per aver mostrato una faccia amica nelle emergenze, allora questo non è il mio paese." Ha ragione Moritz Rinke (Der Tagesspiegel, 2.11.18), autore di drammi e romanzi,  ma anche professore ospite nell'istituto di letteratura tedesca di Lipsia (nel 2009), a citare questa frase di Angela Merkel, che riassume il suo agire politico, nel famoso anno 2015, quando la pragmatica cancelliera tedesca, decide di aprire le porte del proprio paese ad un milione e mezzo di migranti siriani. 

Chi è interessato solo ad un articolo sul dibattito che viene svolto in questi mesi a riguardo del successore di Angela Merkel alla guida della CDU, può smettere ora di leggere questo punto dei miei ricordi. La domanda se Friedrich März o meno probabilmente (per quanto riguarda le possibilità di successo) Jens Spahn avrebbero rappresentato meglio il "centro destra" del partito, dato che la Merkel avrebbe rappresentato solamente il "centro sinistra", che interessava qualche tempo fa, prima dell'elezione che stabilì chi sarebbe stato il successore della Merkel,  all'editorialista della Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) non è l'oggetto della mia riflessione. E neppure lo è la domanda se la preferita della Merkel, per italiani l' impronunciabile, Annegret Kramp-Karrenbauer (consiglierei, forse, l'abbreviazione AKK), che poi fu eletta con il 52 % dei voti, sarà capace di esprimere il fatto che non è solo il clone di Angela Merkel (cfr. Berthold Kohler, uno degli editori della FAZ, nell'edizione  del 3.11.18). Questa impostazione del discorso non è senza senso giornalistico, ma non corrisponde al mio interesse primario, che è di tipo filosofico e che giudica gli interessi del "centro destra" o del "centro sinistra" con categorie ultimamente filosofiche.

Ciò che brevemente mi preme di scrivere presuppone questa domanda: il pragmatismo di Angela Merkel è un reale superamento di ogni forma di "teologia politica" (uso in modo personale la terminologia di Massimo Borghesi) (1 - nota a questo capitolo 19) o è solo espressione di "volontà di potenza"? Per "teologia politica" intendo la traduzione diretta in politica di una asserzione teologica: sia espressione di una "conservatrice" teologia del benessere, o di una "progressista" teologia della rivoluzione dello status quo. L'articolo ritiene, per un lavoro fatto in questi anni nel gruppo "Contadini di Peguy", che si esprime, come sa il lettore di questi ricordi, in primo luogo in Facebook, che il "conservatorismo" sia il reale avversario oggi di quella posizione di "teologia della politica" che si esprime sul teatro del mondo nella figura di Papa Francesco. Con "teologia della politica" intendo un orientamento, che pur rispettando la complessità del gioco democratico, ha come criterio ultimo, il Vangelo, letto in forza di una "opzione preferenziale per i poveri" (Medellin 1968, Puebla 1979, ma ancor più Aparecida 2007, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco).

Proprio l'anno 2015 fa vedere che la cancelliera tedesca, figlia di un pastore protestante, pur con scelte davvero discutibili (in primo luogo l'atteggiamento conciliante con la Turchia di Erdogan, comprensibile, ma difficile da digerire), ha nel cuore, come criterio ultimo, "la faccia amica nelle emergenze", che è una traduzione di "teologia della politica", della misericordia evangelica.

Come ho spesso espresso nel mio blog, come critica a partire da una "teologia della politica", che è a sua volta una traduzione della dimensione ontologica dell'essere come dono (cfr. Ferdinand Ulrich, Homo Abyssus. Das Wagnis der Seinsfrage, Einsiedeln, 1961), la domanda centrale oggi, è quella dell'"egoismo collettivo" (definizione del nazionalismo di J.J.Rousseau). O, a livello letterario, si può usare l'espressione di Paolo Malaguti nel suo "Lungo la Pedemontana": quella del non essere "gens": "Le brutture non esistono se non intaccano il tabernacolo individuale  del mio benessere. Non siamo gens" (Venezia, 2018, 54). Motivo quest'ultimo che fa dire a Nicola F. Pomponio, autore di una recensione della biografia intellettuale del Papa di Massimo Borghesi, che oggi viviamo in un'epoca di traduzione politica della filosofia di Max Stirner (Der Einzige und sein Eigentum): l'individualismo come criterio ultimo.

Il realismo o pragmatismo di Angela Merkel vive dei principi di Bergoglio (2): per esempio quello della priorità della realtà sull'idea. Un realismo o pragmatismo che può essere accusato di negare un po' troppo oggi o domani l'affermazione di ieri, ma che non è mai vittima dell'ideologia e in primo luogo di quella tutta maschile, che basta un concetto per risolvere un problema; tanti sono i maschi che Merkel ha saputo superare o resistere - "Schröder, Berlusconi, Putin, Sarkozy, Georg W. Bush" (tanto per citare quelli nominati da Moritz Rinke). Il suo pragmatismo, che nelle decisioni essenziali, non è stato diverso da quello di Helmut Kohl, ha saputo tenere testa anche al grande cancelliere della caduta del muro di Berlino, quando questi uso la sua "autorità" per coprire una gestione finanziaria, che certamente non era ad usum personale (nella sua scrivania Kohl aveva francobolli per l'uso personale e francobolli per l'uso pubblico), ma che rappresentava un modo, per così dire, molto "maschile" e poco "legale" di gestire il denaro per il partito. Angela Merkel, in silenzio di fronte alla bara di questo grande, ha saputo comunque così esprimere la sua gratitudine per un uomo, che in modo particolare nella morte tragica della moglie, ha saputo essere una presenza, non solo politica, di grande statura umana.

In Angela Merkel la polarità "globale-locale" trova una guida sicura che è stata un ulteriore passo verso quella idea degli "stati continenti" (Alberto Methol- Ferré, filosofo latino americano) che è l'unica proposta politica a livello mondiale capace di far dialogare tra di loro i tanti mondi, appunto i tanti "stati continenti", con i loro bisogni e i loro interessi. A livello di questa polarità sarà necessario anche un giusto equilibrio tra finanza ed economia come abbiamo potuto osservare in alcune decisione di Angela Merkel, che non trovano consenso nel sud dell'Europa, ma che di fatto sono espressione di un atteggiamento realistico, anche in questo ambito, e non di una politica deflazionaria che servirebbe a rendere schiavi gli altri.

Anche la priorità del "tempo" sullo "spazio" trova in Merkel un'adeguata traduzione politica: non basta occupare spazi di potere per dare un contributo alla soluzione dei problemi del mondo, neppure quello spazio del cancellierato tedesco, ma bisogna prendersi tanto tempo per mediare: ricordo ancora con molta emozione i giorni disperati della crisi in Ucraina e i tentativi della cancelliera di mediare tra gli attori in gioco  - nessuno come lei si impegno nel 2015 per un reale dialogo con Putin nel conflitto ucraino. Nel impegno della cancelliera in questo ambito vedo anche una traduzione del principio della superiorità dell'unità sul conflitto.

È possibile criticare Angela Merkel? Certo, come tutte le persone che agiscono ha fatto anche lei errori: quali essi siano meriterebbe una riflessione più approfondito di questa. Accusarla di cose che nessun attore politico oggi può superare non è, però, sensato.

È chiaro che sto parlando di una delle donne più potenti del mondo. Ma vedo in lei quell'atteggiamento di servizio che vedo anche in alcune persone molto semplici, come nella donna che stira da noi o nel contadino che lavora la terra intorno alla nostra casa, che di fatto è garanzia di reale credibilità. Spero che il successore (la mia preferenza iniziale per AKK è diminuita molto velocemente: i suoi temi sono del tutto lontani dai giovani, per esempio nella questione digitale, e spesso lei si trova in dialogo con l'ala reazionaria della CDU) sappia fare un ulteriore passo nella direzione del dialogo e del servizio dei popoli e delle persone che in essi vivono. La Germania è una presenza potente in Europa e nel mondo e sappiamo dalla storia che non è bene che essa sia isolata dagli altri. Solo un atteggiamento di gestione del potere come servizio la renderà integrata alla storia degli altri paesi, in Europa e nel mondo. In modo credibile Angela Merkel è stata ed è garante di questo atteggiamento politico, senza il quale l'Europa non potrà pensare una propria politica che si differenzi dai grandi maschi del mondo: Trump negli USA, Putin in Russia e XI Jinping in Cina. 

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Queste due annotazioni sono riferite solo a questo capitolo 19, che era un articolo del mio blog: 


(1) Questo capitolo deve molto alle opere di Massimo Borghesi, in  modo particolare:
Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson, Genova-Milano 2013
Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Milano 2017

(2) Essi sono stati espressi nella Evangelii Gaudium (2013) come Papa, ma anche in scritti antecedenti come arcivescovo di Buenos Aires: l'unità è superiore alla differenza, il tempo è superiore allo spazio, la gloabalità alla località, la realtà all'idea. I poli non devono, però, essere intesi come "contraddizioni", ma come "opposti fecondi" ed integrabili l'uno con l'altro. 

20. Per concludere, si fa per dire. Il filo rosso di questi ricordi sono libri. Come recita il titolo, però, non si racconta solo e forse neppure principalmente di libri - si ricordano persone e il loro agire con libri, ma anche con le lettere o con un gruppo in Facebook. Mia moglie, Konstanze, che è la persona più importante della mia vita, ha trovato un suo spazio in questi ricordi, ma lei mi è troppo vicina per tratteggiarne uno schizzo a parte. 
Senza mia mamma, Fernanda, non esisterei - lei ha rischiato la sua vita per donarmi la mia, anche di lei non si parla nei miei ricordi, anche se mi è presente, come poche altre persone al mondo. Fa parte della mitologia della nostra famiglia e con la parola mitologia non intendo bugia, ma un racconto di un racconto, forse più vero dei cosiddetti "fatti" che mia nonna Zaira salvò` la vita di mia mamma e mia chiamando il dottore, perché si accorse in  tempo che il parto non procedeva come avrebbe dovuto. 
  

Mia mamma nel giorno del suo 81esimo compleanno (21.4.19)



Le persone citate in questo racconto non lo sono per escluderne altre, ma perché esse sono apparse nella mia intimità, in questo tempo in cui ho scritto questo lungo post.

Ma nel cuore nessuna croce manca…è il mio cuore il paese più straziato“ (Giuseppe Ungaretti) - non manca Alexander che nel 2010 si è tolto la vita con il fucile del patrigno, dopo aver giocato a pallone con dei suoi amici. Aveva 15 anni. Si è ucciso brutalmente in cantina, ma avevo la chiara sensazione che negli ultimi momenti prima della morte Maria gli fosse stata accanto. Proposi alla famiglia allora di far predicare il pastore protestante sul tema della speranza ed accolsero questa mia proposta. Non mancano Emma, Samuel e Thu Giang (ragazzi del nostro liceo e del liceo della città di Zeitz) che nel febbraio del 2018 hanno perso la loro vita in incidente stradale, nella macchina in cui si trovava Mi, la ragazza originaria del Vietnam, che ha abitato da noi per tre mesi, per difficoltà nella sua famiglia. Samuel è stato un allievo del corso „a“ della nostra scuola in cui ero Klassenlehrer (insegnante di classe). Era l’anno della loro maturità. Sono stato alla cerimonia buddista di preparazione della bara ed ho visto Giang avvolta in un grande velo giallo. 
Non mancano le sofferenze che mi confidano madri con bambini o figli malati. 
Non mancano neppure persone come il padre Paolo Dall'Oglio SJ, anche se non l'ho mai incontrato personalmente , tanto più in queste ore (marzo 2019) in cui, come racconta Riccardo Cristiano, almeno duemila persone sono state interrate a Baghouz (Siria).

Nah ist und schwer zu fassen der Gott, 
Wo aber Gefahr ist, wächst das Rettende auch“ (Hölderlin). 
Vicino, ma difficile da comprendere il Dio,
Dove c’é il pericolo, però, cresce anche ciò che salva“, così si potrebbero tradurre i versi del mio amato Hölderlin. Ciò che salva si presenta con il volto di persone che hanno accompagnato, almeno alcuni momenti, la mia vita, come Stephan Scholz, responsabile di Cl a Monaco di Baviera, che da anni partecipa al viaggio filosofico religioso nelle Dolomiti, di cui fanno parte insegnanti, genitori e ragazzi della nostra scuola. Martin Groos, responsabile della Fraternità di Cl in Germania, che per esempio è venuto nella mia scuola, quando avevo la responsabilità di una classe, in cui, probabilmente,  prevalevano genitori che appoggiavano politicamente la AfD, per tenere una conferenza su immigrazione ed integrazione. O lo stesso don Julián Carrón che considera un dono la traduzione che sto facendo per lui di alcune pagine di un’opera (Dono e perdono) di Ferdinand Ulrich. 

Per quanto riguarda il pensiero di don Julián Carrón, ereditato in parte da Benedetto XVI (per quanto riguarda la critica al paradigma illuminista kantiano di salvataggio della moralità) e da Massimo Borghesi (per quanto riguarda la critica della teologia politica, come occupazione "assoluta" di spazi di potere politico), vorrei sottolinearne due momenti. Da una parte la sua sottolineatura della perdita delle evidenze ontologiche ed etiche, di cui si deve tener conto, se non si vuole rimanere ingabbiati in una non feconda posizione-contro. Una tale posizione-contro si presenta anche come difesa di una legge che dovrebbe esprimere valori non negoziabili. Solo, ci avverte Carrón,  nessuna legge ha mai potuto fermare un processo di dimenticanza di ciò che dovrebbe essere evidente a livello morale o ontologico.  È certamente necessario ricostruire filosoficamente questa perdita di evidenza, come fanno Adrian Walker e Leon R. Kass (Toward a more natural science. Biology and human affairs, New York, 1985) , cercando di far capire che la scienza ha bisogno di una nuova riscoperta della forma aristotelica e della teleologia (un telos nella natura), perché questa è l'origine  della perdita delle evidenze ontologiche e morali in quel processo che ora ha raggiunto le masse. Dapprima alcuni scienziati hanno pensato che l'essere finito è solamente frutto di mutazioni casuali, senza un telos, ed ora lo pensano milioni di persone.  Come sanno bene anche i due filosofi americani citati, senza una testimonianza di bellezza disarmata ( Julián Carrón, La bellezza disarmata, Milano, 2015), non si arriverà mai a convincere nessuno, neanche con la più precisa delle ricostruzioni filosofiche, che un uomo che sa distinguere il bello dal brutto, il buono dal malvagio, il vero dal falso, senza cadere nella trappola deterministica o storicistica o positivista, è un uomo che non solo sa vivere in modo più sensato, ma sa anche pensare in modo scientifico più preciso. Con grande gioia vedo che mio figlio Ferdinand, dopo i suoi due viaggi da Adrian nel campus della Catholic University, è ritornato con un bagaglio di letture (tra l'altro il libro citato di Leon R. Kass e il saggio di Adrian su evoluzione e teologia) che lo aiuteranno a comprendere il rapporto tra scienze naturali e umane (in modo particolare la filosofia), senza perdere quel contatto con la realtà e l'esperienza, che come dice Carrón, sono il criterio ultimo del nostro agire e pensare come uomini. 

Campus della Catholic University, foto di Ferdinand: 




O infine, per citare ancora una persona amica, vorrei ricordare  Cesare Pozzoli (il visitor della Germania, che è in CL un compito di rappresentanza del responsabile della fraternità), che confidandogli il tempo difficile, ma anche pieno di speranza e di domanda di autenticità a me e al mondo, in cui è nato questo racconto, mi ha scritto: Carissimo Roberto,
grazie di avermi reso partecipe del tuo travaglio. Anch’io ho attraversato nella mia vita alcuni momenti così e, pur nella difficoltà, il Signore in modo concretissimo mi ha sempre parlato, mi è stato accanto, e mi ha fatto camminare. Sono certo di questa compagnia anche per te.
Guardiamo a Lui e restiamo immersi nella vita della Chiesa e del Movimento e il Signore saprà sorprenderci anche questa volta.Ti abbraccio forte e se e quando vuoi sentiamoci
Un grande abbraccio, amico mio! Cesare. 

Per quanto riguarda gli ordini religiosi, a parte l'ordine dei Gesuiti, vorrei anche ricordare quello dei Cappuccini, che ho conosciuto a Casale Monferrato e Münster. Avevo 21 anni quando padre Felice, che amava tantissimo i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni,  mi portò da un suo confratello tedesco, padre Osmund, a Münster, dove imparai i primi rudimenti di tedesco, in un soggiorno durato più di un mese. Facemmo una pausa, durante il lungo viaggio, in un convento cappuccino vicino a Basilea, dove un padre mi raccontò, con una certa indifferenza, che la sua traduzione in tedesco della Divina Commedia, andò persa in un incendio. 
Insomma Scolastica e Benedetto (Ordine benedettino, Fraternità di Comunione e Liberazione), Chiara e Francesco (Ordine Cappuccino), Adrienne, Hans Urs e Ignazio (Ordine gesuita, comunità di san Giovanni) sono tra i santi più importanti che hanno accompagnato la mia vita. 

Tra i colleghi avuti in Germania, potrei ricordarne alcuni. In Baviera a Taufkirchen (Vils) Dirk R., che suonava la chitarra e leggeva Schopenhauer - la sua fraterna vicinanza mi era stata di grande aiuto, per compiere il passaggio dall'ambiente accademico di Monaco di Baviera a quello popolare di Taufkirchen, in cui incontrai anche ragazze e ragazzi di cui mi sono affezionato. Per esempio Sandra, che ha avuto poi e probabilmente sta avendo una vita complessa, per la morte del suo fidanzato. 

Il lago di Sevan, Armenia, 2.000 metri sul livello del mare: 




A Droyssig il rapporto più intenso è stato e forse è con Rainer P., attraverso il quale è nato il mio amore per l'Armenia. Il Sussidiario pubblico una mia traduzione ed adattamento di un suo lungo articolo in cui si faceva tesoro dei suoi due anni passati a Yerevan. Tra gli scolari ricordo quella che è diventata una cara amica, Leo A., che fra qualche settimana comincerà a Colonia il suo lavoro come giudice e con cui anche in questi giorni vi è un accesso dialogo sul cosa sia e non sia il mondo digitale in cui viviamo. Leo mi ha fatto conoscere l'autrice americana Ursula K. Le Guin, che con la sua "Saga di Terramare" ha scritto un capolavoro del fantasy, all'altezza di J.R.R. Tolkien, ma che con la sua sensibilità femminile sa creare figure femminili più convincenti di quelle del maestro inglese. Nella Le Guin vi è una presa sul serio della finitezza dell'uomo, che anche la magia non può superare senza conseguenze per l'equilibrio del mondo. 
Uno dei nostri discorsi sul tema del mondo digitale riguardava un articolo pubblicato nel suo blog, nel Washington Post e nella Frankfurter Allgemeine Zeitung di Mark Zuckerberg, il 30.3.19. Ovviamente il punto di vista di Leo è più quello di un giurista e il mio più quello di un filosofo, ma anche, in vero, di un figlio di un imprenditore, che guarda più con simpatia l'inventore di Facebook che i politici che lo vorrebbero controllare. Entrambi, però, siamo d'accordo, che è importante salvare la globalità di una comunicazione libera, ma allo stesso tempo, come sottolinea Leo, non si può non imparare nulla dall'evento tragico della Nuova Zelanda (dove un caso estremo di cristianista ha ucciso un centinaio di mussulmani), in cui la rete viene usata come luogo per propagare l'odio. Sarà necessario insomma offrire dei criteri politici e giuridici per controllare ciò che viene comunicato in rete, come propone Zuckerberg, anche se forse con un certo ritardo. 

A proposito di questo articolo di Zuckerberg, Bruno Brunelli ha commentato nella mia bacheca in Facebook, dove lo avevo condiviso: 

 In effetti è un argomento di grandissima importanza. Questa azienda (Facebook) si trova a gestire un network transnazionale che ha alcune leve per influenzare un miliardo di persone. Che sia lasciato in mano a dei privati è incredibile. Il problema è che in realtà altri possono usare questo strumento, basta avere i soldi. Ma Zuckerberg dice che non l'hanno deciso loro di trovarsi in mano questo potere e che ora vorrebbero delle regole. Sembra che dalla giungla dell'informazione si riemerga con l'esigenza delle regole, con l'esigenza di qualcuno che amministri a nome della collettività. Serve qualcosa che vada oltre gli stati nazionali, ovviamente. Ma abbiamo visto che gli accordi internazionali oggi sono molto deboli (vedi gli accordi sul clima). Solo l'Unione Europea si è ad oggi opposta a certi "spadroneggiamenti" dei giganti della rete. Sarà uno dei motivi per cui molti la odiano? Vedi la questione dei diritti d'autore da far pagare a Google e affini. E il governo italiano che non vota la legge europea sul diritto d'autore, a quale logica risponde? A chi si "ispira"?

Per quanto riguarda la mia presenza nella rete, che non è un luogo assolutamente distinto da quello dei libri, vorrei aggiungere a questo punto tre riflessioni: 1. Un filosofo e pedagogo laico del nostro tempo non può permettersi di essere assente dalla rete, che non è in primo luogo un "mezzo", ma un "luogo" (Padre Antonio Spadaro SJ) di comunicazione. Facebook, Twitter, Instagram, LinkedIn, Periscope, MeWe, Reddit, YouTube... sono per me luoghi in cui essere presente come sono e per quello che sono, anche se non posso esserlo dappertutto con uguale intensità. Giudizi moralistici sulla presenza in rete da parte di persone che non sanno neppure distinguere tra mezzo e luogo di comunicazione mi lasciano del tutto indifferente e mi sono completamente estranei. 2. L'homo sapiens non è particolarmente noto per la sua bontà e forse ha ragione Yuval Noah Harari a dire che a partire dall'eliminazione sistematica dell'uomo neandertaliano noi sapiens ci siamo resi colpevoli dei massacri più obbrobriosi (non cancello questa affermazione, sebbene da altre letture sembra che la scomparsa dell'uomo neandertaliano abbia a che fare piuttosto con una mancanza di cibo che con un massacro, perché di massacri nella nostra esistenza storica ne abbiamo compiuti tantissimi). Quindi che l'homo sapiens in rete si comporti senz'altro avendo in mente solo la libera comunicazione universale non mi sembra un'ipotesi di lavoro molto probabile.  Genesi 3 offre tutti i criteri necessari anche per il discernimento in rete. 3. La chiesa cattolica (ma non solo, anche quella copta o quella ortodossa) ha sempre curato nel suo interno la vita contemplativa e con ragione ha limato l'uso per le persone che vivono in questo ambito della chiesa, per esempio del televisore, qualcosa di simile vale anche per la rete. Esso deve essere limitato (non necessariamente negato) in forza dei consigli evangelici stessi (obbedienza, verginità e povertà). Ciò significar tra l'altro che chi vive la propria vita seguendo i consigli evangelici deve chiedere al suo superiore se e come essere presente nella rete. Ed infine bisogna ricordare che c'é anche una verginità del linguaggio che deve essere rispettata anche in rete. 

Ma davvero, ora devo smettere pur se ci sarebbero ben altre persone, come Giuseppe Reguzzoni con la sua bella casa sul Lago Maggiore e con la sua criticità nei confronti del liberalismo ed altri temi che meriterebbero un'attenzione particolare in questi ricordi. Tanto più che Giuseppe ha preso le distanze dalla sua critica a Papa Francesco nell'ambito delle polemiche contro l'Amoris laetitia

Piuttosto che nel mio racconto, spero che tutto ciò che ho vissuto e tutte le persone incontrate abbiano uno spazio nel cuore eucaristico di Cristo, da cui spesso vado il martedì pomeriggio, nella bella cappella, che il mio parroco don Andrea, mi mette a disposizione nella Jenastrasse 12 in Eisenberg. L'ostia rotonda del Santissimo (14), attorniato da alcuni santi scelti dal parroco, come Padre Pio, suor Faustina, san Giovanni Paolo II e la regina di tutti i santi, rappresentata nella sua forma di Fatima e con un bellissimo arcangelo San Michele, mi aspetta e sa vedere tutto ciò che c'è nel mio cuore e nel mio essere. Tutte le persone, anche brevemente fotografate (come una giovane donna nel tram ad Orleans). E nel suo cuore vi è tutto, proprio tutto, anche la grande assente di questo racconto, la musica - quando c'è Ferdinand a casa, che nel suo corso di fisioterapia a volte canta con i suoi pazienti,  essa rientra con forza nella nostra vita; la domenica mattina, quando ci sedevamo insieme al tavolo per una tarda colazione dopo la Santa Messa, abbiamo spesso ascoltato musica classica, già quando Johanna e Ferdinand erano piccolissimi - , in modo particolare quel Adagio del concerto per pianoforte ed orchestra, che conquistò il mio giovane cuore, nell'interpretazione di Maurizio Pollini, il k 488, di Wolfgang Amadeus Mozart.(15) Tutti i paesaggi visti, da quelli armeni, a quelli della Sua terra, Israele fino all'Arizona. ... et per eum reconciliáre omnia in ipsum...

La cappella nella Jena Strasse 12 in Eisenberg, foto mia: 




Ancora un ultimo passo, per ora. Mi ricordo con gioia la famiglia di Michele e Michela a Mestre, da cui, mia moglie ed io abbiamo cenato solo due sere, e di cui tra l’altro abbiamo parlato di Narnia, perché hanno quattro bambini: Pietro, Maria, Carlo e Giacomo. Dopo mesi mi scrive Michela che la bambina, Maria, parlava ancora di quelle due serate. Ci avevano regalato, tra l’altro, un libro di Pier Angelo Sequeri su Charles de Jesus, che voleva l’ultimo posto nella sequela di Cristo. Con questo ricordo evangelico dell’ultimo posto chiudo il racconto, così che davvero questi ricordi rimangono quello che sono: accenni, non un poema, sulla mia storia di tenebre ed amore! Accenni che vogliono testimoniare che il piccolo amico di Gesù tenta davvero di seguirLo in "una nota di debolezza ed abbandono, ma anche di mitezza e di gioia", un atteggiamento questo che "non distrugge la personalità, ma deve associare la grandezza d'animo alla piccolezza e la maturità spirituale alla giovinezza di cuore" (Piccola sorella Magdeleine di Gesù) (16). 

Un immagine di Charles di Gesù che ho trovato nella bacheca MeWe di Mario Banfi






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(1) Mi scrive mia sorella: "Anch'io la ricordo cosi e in fondo alla grande stanza da letto una finestra che dava sui binari e a fianco un televisore, l' unico della palazzina dove vivevamo". 

(2) Il mio accenno al clero è forse impertinente, non voglio diluirlo, ma è chiaro che ci sono delle cose molto belle di san Giovanni Paolo II sul tema ,in sintesi i suoi pensieri sulla responsabilità, poi lo straordinaria lettera apolitica di Papa Francesco sulla gioia dell'amore. Tra le cose teologiche, anche se Adrienne ha a volte giudizi molto duri su cose in cui io sarei più cauto, trovo la sua fenomenologia teologica sui sessi, molto importante ed aiuto, ma per l'appunto lei è medico e non clero. 


(3) Mi ha scritto Maria Grazia: Grazie Roberto, leggere questo post è un po' un tornare indietro nella storia di ciascuno di noi ormai abbastanza avanti negli anni. Sembrano passati secoli da quel mondo, anche a Roma la vita, sebbene non fosse una città operaia, non era molto diversa... grazie! Un caro saluto a te e famiglia.

(4) Con questa espressione un commilitone dell'università aveva sistematicamente rubato centinaia di libri per la sua biblioteca personale. La cultura doveva ritornare al proletariato che non se la poteva permettere. Stiamo scrivendo gli anni 80, quelli del mio periodo universitario. 

(5) http://hansursvonbalthasar.com   // http://hansursvonbalthasar.com/was-bleibt-in-mir-von-ihm

(6) https://graziotto.blogspot.com/2017/06/in-dialogo-con-ferdinand-ulrich.html

(7) Roberto Graziotto, What does it mean to philosophize?, ICR, Winter 2002; How Christians should think about politics. Reflections in a time of war, ICR, Summer 2004; Can a christian be a good democrat, a dedicated member of the polis, in a time of war?, in Love alone is credible, editor David L. Schindler, USA 2008. Per quanto riguarda Adrian J. Walker, cfr. "Rejoice always". How everyday joy responds to the problem of evil, ICR, Summer 2004. Anche i due inviti a parlare a Madrid in un simposio su von Balthasar hanno origine nell'amicizia con Adrian e con il responsabile del ramo maschile, Juan Manuel Sara.  In un primo tenne anche Konstanze una conferenza, in cui lei espresse la sua esperienza nei nostri prima anni nella Sassonia- Anhalt. Il suo e il mio intervento sono contenuti negli atti del simposio: Hans Urs von Balthasar. En el centenario de su nascimento, Madrid 2006. L'invito a parlare nell'università di Lugano nel simposio del 2005 fu invece voluto dal Padre Jacques Servais SJ. Cfr. Roberto Graziotto, Riflessioni sul laicato e sul matrimonio. In dialogo con Adrienne von Speyr, Hans Urs von Balthasar e Ferdinand Ulrich, in La missione teologica di Hans Urs von Balthasar, Lugano 2005. 

(8) Nel cuore di Dio. Jacques Servais, Roberto Graziotto, Tracce, giugno 2016, in cui si cita anche l'intervista di Servais a Benedetto XVI. 

(9) https://graziotto.blogspot.com/2018/11/wie-man-den-herr-der-ringe-fur-den.html

(10) Robert Spaemman, Testimone della verità, Intervista a cura di Roberto Graziotto, Venezia 2012. 

(11) Questa parola (Schwebe) ha in Ulrich una connotazione diversa, come mi fece notare il pastore calvinista Martin Bieler, da come la uso io, seguendo von Balthasar e la von Speyr. In Spaemann non ha alcuna rilevanza, a quanto ne sappia io. Per Ulrich si tratta di una sospensione cattiva del movimento del dono dell'essere, che si fissa come astrazione della gnosi, invece che di continuare per l'appunto il movimento "discendente" del dono dell'essere come amore. Per me invece questa parola esprime quel movimento dal Padre al Padre, in cui l'uomo cerca di rispondere, come può, alla sfida dell'amore gratuito, da cui il più delle volte è sopraffatto come da alcunché, a cui non sa per nulla rispondere. L'amore gratuito è sempre: gratis et frustra

(12) Massimo Borghesi, Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Milano 2017. 

(13) https://graziotto.blogspot.com/2018/10/incontro-con-claudel-per-comprendere.html

(14) Termino spesso la mia ora davanti al Santissimo con la preghiera che Ignazio insegnò ad Adrienne: 


Corpus Christi adoro te tribus sub tuis formis,
sub forma divina simili Deo Patri,
sub forma hominis, sacrificii et crucis,
sub forma hostiae rotundae, sine principio et fine.
Ubi es, est amor sempiternus,
omnia tangens, quae creavit Pater,
omnia quae passus est Filius,
omnia, quae vivificat Spiritus.
Amorem tuum cum gratia mihi dones,
ac dives sum satis nec quidquam ultra posco.
Amen.
(15) La musica ha giocato e gioca un ruolo importante nella mia vita. Quando ero molto piccolo amavo tantissimo Gianni Morandi (musica leggera), poi al tempo del liceo, con l'incontro con Vera Bertolino e Francesco Coppellotti, comincio ad ascoltare Ludwig van Beethoven: mi ricordo come dirigevo alcune sinfonie nella sala dei miei genitori, con lo stesso trasporto con cui Renée Zellweger, nel diario di Bridget Jones, canta All by myself. Con l'amicizia con Stephan Schröder, storico dell'Arte del nord della Germania che avevo conosciuto a Heidelberg, comincio ad ascoltare Il flauto magico di Wolfgang Amadeus Mozart. Sempre il mio amico di Stade (Amburgo) mi introduce anche ai Lieder di Schubert, in modo particolare Die schönel Müllerin, cantati da Dietrich Fischer-Dieskau, di cui comprai anche la sua edizione scientifica delle canzoni di Schubert. Infine sarà Balthasar che mi introdurre a tutto il mondo di Mozart, di cui amo le sue opere liriche, anche il Don Giovanni, di cui so cantare, con una certa dignità, l'aria iniziale di Leporello. Oltre all'adagio di Mozart citato nelle mie memorie (KV 388), amo tutti i concerti per piano e orchestra. Il musical Jesus Superstar, di cui Bruno Brunelli, che ha composto a sua volta songs molto belli, ha postato nella sua bacheca l'ingresso a Gerusalemme, usci nella mia fase iniziale liceale teologica in cui ero un po' rigido (era il tempo in cui per esempio nello scontro tra Gregorio VII e Enrico IV ero senz'altro per il primo) e quindi facevo notare la sua presunta o reale debolezza teologica. Una breve fase Rock tra Gianni Morandi e la musica classica l'ho vissuta con i Pink Floyd e con i Deep purple. Ummagumma dei primi mi era piaciuto molto per i suoi ritmi e per l'inserimento di rumori quotidiani nel loro album (per esempio il rumore del farsi un uovo fritto). Mi sono chiesto, come papà e come pedagogo, ovviamente, se nelle mie scelte musicali fossi un vecchio zio che non capisce nulla di ciò che piace ai giovani. Nell'educazione dei nostri bambini solamente la domenica mattina durante la colazione era d'obbligo la musica classica: i trio, quartetti e quintetti di Mozart erano per esempio la musica di sottofondo della nostra colazione comune. Di Johann Sebastian Bach amo l'Oratorio di Natale, ma in primo luogo i pezzi per pianoforte, in modo particolare nell'interpretazione del pianista  Evgeni Koroliov: L'arte della Fuga,  das Wohltemperierte Kalvier, le variazioni di Goldberg. Mi sono, però, anche lasciato ispirare dai miei figli che sentono di tutto. Con Ferdinand ho conosciuto anche persone come Passenger, Eminem...Konstanze mi ha fatto conoscere alcune songs molto belli dei Beatles, di Simon Garfunkel, e della grandissima Joan Baez. Insomma sono aperto a tutto, ma è vero che quando sono solo ho bisogno del mio Amadeus. Quando si è insieme agli amici cantiamo di tutto, anche O sole mio. A mio figlio piacciano anche molto i tenori come Luciano Pavarotti, Plácido Domingo, Josep Carreras. Anche Andrea Bocelli, che abbiamo sentito live l'anno scorso (2018) ad Amburgo. Mia figlia Johanna ascolta con particolare gioia: Florence and the Maschines, Beatles e la cantante Taylor Swift; trai suoi compositi preferiti c'è Dmitri Schostakowitsch  - lei mi ha fatto ascoltare anche spesso e con mia grande gioia Macchine da guerra di Bocelli. Mia moglie è entusiasta e lo ha anche cantato in coro, dell'Elias di Felix Mendelssohn Bartholdy. E parla con grande entusiasmo della Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach, una delle più grandi opere di tutti i tempi, di cui, guidando la macchina, mi canta a memoria le arie principale, seguendo l'interpretazione di Nikolaus Harnoncourt. Le scelte musicali di Luigi Giussani , se non diventano la scusa per una noiosissima introduzione alla sua teologia. 

(16) Dal mio incontro con p.s. Magdeleine nasce questo post: https://graziotto.blogspot.com/2019/04/disinteressarsi-se-stessi-incontro-con.html

Alcune delle mie foto: 

Gli studenti del progetto Erasmus Plus, Tragedia e Speranza, Parigi, marzo 2019



Parigi, Marzo 2019




Foto di Konstanze, vicino a casa nostra, marzo 2019




Sul colle Sachsenberg vicino a casa nostra: 




Il fiume Elster, vicino a casa (Wetterzeube)



Il fiume, la mattina presto




La luna sul fiume Elster, Wetterzeube



Il colle Sachsenberg vicino a casa nostra, il mattino presto