( Questo scritto mio sulla "Scarpina di raso" di Paul Claudel, a cui ha collaborato anche Nicola Felice Pomponio, nasce per una richiesta di Massimo Borghesi che non si realizzerà, perché forse non né ho neppure la capacità. Lo pubblico nel mio blog, perché spero che possa essere di ispirazione a chi vuole approfondire un tema, anche confrontandosi con chi non è un accademico, ma un insegnante di scuola, per lavoro e per grazia).
Caro Roberto,
finalmente leggo il tuo pezzo, appassionato, lirico, riflessivo,
balthasariano. E' perfetto ed originale per il blog. Temo solo che non
sia adatto per la rivista "Studium" la quale segue, nel pubblicare, la
vecchia scuola: stile impersonale, ermeneutico-descrittivo, un pò
accademico, accompagnato da note. Il tuo passare dalla terza alla
prima persona con il tuo racconto, per altro molto bello,
dell'esperienza con i tuoi ragazzi, non sarebbe compreso. Mi dispiace
perchè i tuoi affondi sull'opera sono davvero colpi di sonda,
illuminanti se solo tu avessi il tempo di dar loro uno sviluppo
conseguente. Questo solo per dirti che se hai voglia potresti
riprenderli in una nuova stesura focalizzata sulla tensione tra amore
carnale e amore celeste ne "La scarpina di raso". 4/5 pagine. Vedi tu.
Non voglio spingerti. Non sempre si ha desiderio di dare forma a ciò
che, nella sua intuizione, appare fresco e sorgivo.
Un abbraccio.
Massimo
Incontro con Claudel - per comprendere l’amore gratuito come „descensus“.
Roberto Graziotto
Introduzione - „il cammino attraverso l’inferno e il cammino attraverso le profondità sono un solo cammino, e alla fine giungono tutti e due alla stessa meta“.
In un breve, ma intenso articolo, nell’ „Osservatore Romano“, del 17/18 agosto di quest’anno (2018), Padre Jacques Servais SJ ci invita alla lettura dell’opera di Paul Claudel: „La scarpina di raso“. Il poeta francese viene presentato con ragione „come poeta cosmico e cattolico che abbraccia il mondo e l’al di là“ (Servais) e messo in relazione con la teologia „cosmica e cattolica“, estetica e drammatica di Hans Urs von Balthasar, che „nel 1939 farà uscire in tedesco Le cinque grandi odi e La scarpina di raso (…). Un anno dopo la sua rappresentazione alla Comédie Française, con la sceneggiatura di Jean Luis Barrault, il 10 giugno del 1944 il teatro di Zurigo presenta l’opera nella sua versione dovuta alle cure del „gesuita eminentissimo“ che diventerà, dixit l’autore, il traduttore autorizzato delle sue opere“. La rappresentazione a Zurigo ebbe un notevole successo, dovuto certamente anche alla genialità della traduzione di von Balthasar.
L’articolo di Padre Servais ci permette di fare uno schizzo delle persone principali del dramma (ci limitiamo ad esse, anche se le persone non principali sono del tutto importanti, a loro modo, e non selezionabili per scopi di riduzione teatrale) che canta l’amore irrealizzato qui sulla terra tra Prouhèze e Rodrigo. Il fuoco dell’amore di Prouhèze incendia il cuore di Rodrigo. Prouhèze è sposata e per questo motivo non può corrispondere, anche se all’inizio vuole, all’amore di Rodrigo, che diventerà vice Ré nelle appena scoperte „terre d’America“. Alla morte del marito, don Pelayo, Prouhèze scriverà una lettera che girerà per tutto il mondo (Cina, Giappone, America Latina) per dieci anni prima di arrivare nelle mani di don Rodrigo. Nel frattempo doña Prouhèze è sposata nuovamente con don Camillo, il rinnegato, per salvare la sua anima. La fine di Prouhèze è tragica: „si farà saltare in aria insieme alla fortezza di Mogador“ in Africa, la cui cura le era stata data come compito politico dal re di Spagna. Così „ Prouhèze arde e si trasforma in modo sublime in una stella: la sua crocifissione è la salita di un’alta fiamma“ (Claudel). Rodrigo, dopo il trionfale compito ricevuto dal re di Spagna come suo sostituto in America (farà costruire quel varco da un oceano all’altro, il canale di Panama, che in realtà sarà progettato verso la fine del XIX secolo e costruito all’inizio del XX secolo), dovrà vivere una vera e propria „discesa“ ed assaporare nel suo corpo „un’ignominiosa decomposizione (…). La sua fine nella profonda umiliazione di una totale indigenza, sarà fonte di grazia“ (Servais). Come Charles de Jesus che diventerà portiere in Nazareth in un convento femminile, Rodrigo lo diventerà del convento carmelitano di Teresa d’Avila. Claudel, che ci educa a prendere sul serio „anche il peccato“, dice che questi due cammini, di Prouhèze e Rodrigo, „che conducono alla morte sono terribili l’uno e l’altro, felici l’uno e l’altro, necessari l’uno e l’altro“. L’essere nella sua completezza viene accolto come dono gratuito, nella valenza doppia della parola tedesca „Umsonst“ (gratis et frustra): una gigantesca visione cattolica, universale che sa però, siamo durante lo svolgimento del dramma all’inizio della riforma luterana, che „Lutero è necessario“ (Claudel), mentre molti santi non lo sono.
Da ricordare è anche la figura del fratello di don Rodrigo, il gesuita morente della prima scena: nel suo discernimento personale sa che Rodrigo „è uno di quelli che non possono salvarsi se non salvando tutto questa massa che prende la propria forma dietro di loro“ (Claudel). Sarà in fine il suo traduttore nel cielo di ciò che farà il fratello sulla terra.
Breve presentazione della ricezione del dramma di Claudel (Nicola F. Pomponio)
All’apparire de “La scarpina di raso” fu chiaro agli spiriti più avvertiti che ci si trovava davanti ad una svolta nella storia del teatro del ‘900. Fu, inoltre, altrettanto chiaro che i temi e le forme utilizzate rappresentavano una visione assolutamente originale e, al contempo, ancorata a una precisa tradizione biblica del Cristianesimo. Sul primo aspetto è da sottolinearsi quanto Malraux nel 1960 nei “Cahiers Paul Claudel” sosteneva, ovvero che quest’opera era da annoverare all’interno del teatro simbolista di cui realizzava tutte le speranze. Su questa linea qualche anno dopo il grande critico Henri Guillemin rimarcava come essa fosse “il simbolismo risuscitato per compiersi in una tardiva apoteosi” (“Le <Converti> Paul Claudel”, Gallimard, 1968, pag. 103). Un’opera quindi che si impone per la sua eccentricità rispetto alla storia del teatro e all’attualità e, proprio per questo, di estremo interesse. Interesse che coinvolse, per via delle tematiche trattate e non solo per il metodo usato, intellettuali francesi di varia estrazione. Nel 1948 con un paragone contenutistico di rilevante importanza, Simone de Beauvoir scriveva che “<I fratelli Karamazov> e <La scarpina di raso> si sviluppano all’interno della cornice di una metafisica cristiana. E’ il dramma cristiano del bene e del male che si gioca e si dipana…..Il mondo di Dostoevskij come quello di Claudel sono mondi carnali, concreti: ovvero il bene e il male non sono nozioni astratte….e l’amore di Donna Prouhèze per Rodrigo non è meno sensuale, meno umano e meno sconvolgente poiché lei mette in gioco, attraverso lui, la salvezza della sua anima” (“L’existentialisme et la saggesse de nations”, Nagel, 1963). A questa “metafisica cristiana” della Beauvoir, carnalmente determinata, viene dato un contenuto reale , simbolico e teologico, visti gli echi biblici che vi risuonano, da Xavier Tillette per il quale “la magnificenza barocca del teatro, la sua ricchezza, la sua diversità, il mostruoso prodigio del linguaggio” mirano ad “aprire la via all’intelligenza del tutto, è una continua, sorprendente meditazione sul corpo a corpo tra Dio e l’uomo e quindi, a dire il vero, un’esplorazione in un certo senso tentacolare del proprio destino” (“Theatre de Claudel” Bulletin de la societe Paul Claudel, 108, 1987). E con questa immagine che evoca la lotta tra Giacobbe e l’Angelo o la disputa tra Giobbe e Jahvè, Tillette concretizza la scolorita immagine della “metafisica cristiana” dando senso compiuto a quell’aggettivo “simbolista”, incontrato all’inizio di questa nota, nella classificazione dei generi teatrali.
E’ anche da registrarsi il notevole, appassionato tentativo di Manoel de Oliveira di realizzare nel 1985 un film tratto da quest’opera. Non a caso è proprio de Oliveira a tentare ciò che sembra impossibile. Convinto che il cinema non esiste, ma esiste solo il teatro a cui il linguaggio cinematografico si adegua, il cineasta portoghese ha prodotto un’interpretazione di Claudel che sottolinea la teatralità del testo con accuratissimi costumi d’epoca ma fondali e ambienti platealmente irreali. Il film, che dura sette ore, si segnala comunque come un’interessante tentativo di trasposizione premiato a Venezia con il Leone d’oro. “La scarpina di raso” era stata citata nel 1978 nelle scene iniziali di “Violette Noziere” di Claude Chabrol.
Un’esperienza di lettura, oggi e lode della molteplicità del linguaggio teatrale
All’inizio delle ferie autunnali ho letto (ed un po’ anche commentato) con un piccolo gruppo di giovani studenti universitari e con mia moglie, il dramma, composto in quattro giorni, "la scarpina di raso" di Paul Claudel. Eravamo in sei ed abbiamo più letto e riso (credo nel cuore anche pianto) che "pensato". Una studentessa di "Germanistik" e storia, uno studente di "Germanistik" e storia, una dottoressa di giurisprudenza che fra poco sarà giudice (sapendo lei il francese potevamo leggere anche alcuni passaggi nell’originale di Claudel), una studentessa di psicologia, mia moglie ed io. Coscientemente non ho voluto usare il testo del poeta francese, solo per scopi di interpretazione teologica e filosofica sull’amore. Se Claudel avesse voluto scrivere un saggio sull'amore erotico lo avrebbe fatto, ma ha scritto un dramma, che secondo me, come ho accennato, non può essere ridotto, se non si vuole correre il rischio di rendere la "Scarpina di raso" un testo di noiosissima pesantezza. Noi abbiamo letto l'"opus mirandum" scritto a Parigi (dal maggio del 1919) e a Tokio (fino al dicembre del 1924) nella sua interezza, con tutte le indicazioni per il regista, nella traduzione tedesca di Herbert Meier del 2003. Abbiamo scelto questa traduzione, perché come dice il traduttore in una postfazione alla nuova traduzione: „Anche la lingua sottostà alla legge del muori e diventa. Parole invecchiano e muoiono e ne nascono delle nuove“ (Herbert Meier). Così anche la geniale traduzione di von Balthasar è invecchiata e può essere certamente goduta, anche oggi, da un pubblico di studiosi del teologo svizzero, ma meno utilizzabile per una lettura a più voci con dei giovani, che sorprendentemente hanno accettato l’avventura di leggere Claudel.
I dialoghi del cinese con don Rodrigo, tanto per citare anche qualcuno dei personaggi „minori“, nel primo giorno, che prende in giro don Rodrigo per la sua ossessione a battezzare il cinese (ma anche quelli con il giapponese nel quarto giorno), oppure quelli tra i pescatori sul mare all'inizio del quarto giorno non sono "meno importanti" del dialogo dei santi tra di loro con le preghiere di doña Musica all'inizio del terzo giorno o dei dialoghi tra l'angelo custode e doña Proëza (trascrizione tedesca del nome), tra quest'ultima e don Rodrigo alla fine del terzo giorno. E poi le tante figure della compassione come la luna alla fine del secondo giorno, etc. Tutti questi dialoghi sono un'orchestra cattolica, universale! Bisogna mettersi all’ascolto di tutta questa pienezza e profondità cattolica per assaporarne la bellezza irriducibile dell’amore gratuito.
Nella lista dei libri del sacerdote italiano Luigi Giussani, fondatore del Movimento di Comunione e Liberazione, sebbene non volesse fondare nulla, si trovano, due libri che portano il titolo: si può vivere così? Si può (veramente) vivere così? Confrontandosi con il tema forte della „Scarpina di raso“, l’amore erotico e non solo, ci si potrebbe chiedere: si può davvero amare così? La domanda dal sacerdote brianzolo viene posta a livello dell'amore vergine ed anche se, come ha spiegato bene Papa Benedetto XVI, nella sua enciclica "Deus caritas est",non si può distinguere del tutto tra la sfera erotica e quella dell'agape, la risposta a livello erotico, alla domanda posta, è molto semplice: no, non si può!
Proprio nella „Scarpina di raso“ viene rappresentata in modo drammatico questa risposta: no, non si può vivere così! Lo si può ad un livello diciamo più alla "Papageno/Papagena", ma a livello di "Tamino/Pamina", per prendere un esempio dal "Flauto magico", non è possibile. Nel momento in cui l'amore erotico intende ciò che deve intendere se vuole essere "puro", puro amore gratis, non può che "esigere troppo dal corpo" - la carne non serve a niente, dice il Logos incarnato! Questa mia precisazione non ha come tema l’amore vergine. A questo livello la domanda di don Giussani può e deve essere risposata in modo affermativo. Negare la verginità come valore nella Chiesa è eresia. Ma bisogna dire chiaramente che verginità è “sola gratia”.
Se doña Proëza si è donata a don Camillo, si può donare anche a me - dice don Rodrigo tradendo la purezza dell'amore gratis! Doña Mirabilis (il nome sublime di Prouhèze (versione originale francese)) si può donare appunto a quella figura del tutto contraria all'amore gratuito che è don Camillo, dopo la morte del marito don Pelayo, ma non può farlo con don Rodrigo, in cui "compito" e "eros" sono un tutt'uno. Un tutt'uno che congiunge terra e cielo, terra ed universo.
Il grande teatro dell'amore della "Scarpina di Raso", pur con alcuni elementi "tradizionalisti" (polemica con l'islam), è ricolmo di quel grande tema della compassione e della misericordia, che in questi cinque anni Papa Francesco, un gesuita!, sta presentando nel grande palcoscenico del mondo: il fratello gesuita nella prima scena del dramma, insomma all'inizio della "scarpina di raso“, come abbiamo accennato, si offre come traduttore in cielo del cammino del fratello Rodrigo sulla terra, l'angelo custode, un’altra delle figuri „minori“ del dramma parte con doña Mirabilis, con cui sente una parentela interiore, quando lei decide di scappare da don Balthasar, a cui il vecchio marito don Pelayo l'ha affidata durante un suo viaggio. lo stesso don Pelayo non è un fanatico difensore del suo matrimonio, semplicemente non può negare l'oggettiva promessa accaduta. Poi la luna che guarda gli amanti dall'alto del cielo! Tutte queste sono figure della misericordia e della compassione!
Tutto nella "scarpina di raso", nella molteplicità delle figure drammatiche, grida una sola parola: misericordia! O per usare le parole di una grande scrittrice americana: Senza la compassione l‘amore non è temprato, non è completo e non può durare (Ursula K. Le Guin).
L’amore come descensus
Nella tradizione di Romano Guardini e Hans Urs von Balthasar, che hanno saputo presentare una „teologia delle letteratura“ in dialogo con i classici greci, russi, tedeschi, etc., è legittimo riflettere per l’appunto anche in modo teologico e filosofico con i grandi della letteratura mondiale, ma bisogna stare attenti a non perdere la molteplicità delle voci che solo un pezzo teatrale o un romanzo e non la filosofia stessa sono capaci di esprimere. Alla fine tutto deve confessarsi in Cristo! Nello specifico dell'opus mirandum bisogna stare attenti a non farne un testo per "cristianisti" (uso il termine nel senso di R. Brague: i cristianisti amano il cristianesimo, i cristiani Cristo). Alla fine dell'opus mirandum vi è un chiaro rinvio alla santità e non semplicemente alla battaglia di Lepanto o alla battaglia che vuole compiere doña Settespade, la figlia di doña Proëza e don Camillo, kata sarka (secondo la carne), ma in vero la figlia di doña Proëza e don Rodrigo, secondo lo "spirito"(un tema questo affrontato anche nelle "affinità elettive" di Goethe), per liberare i prigionieri nella cittadella Mogador in Africa. Come abbiamo già detto similmente a Charles de Foucauld, don Rodrigo, che è già stato il vice re dell'America, vuole diventare il portiere nel convento di Teresa d'Avila. E questo "descensus" è la figura ultima della "scarpina di raso“ - la scarpina consegnata alla Madonna e che è già di per sé un titolo sorprendentemente umile per un’opera cosmica. Doña Proëza e don Rodrigo hanno caricato troppo di significato l'amore erotico e facendo sul serio in questo non possono che rinunciarvi. Che la lettera scritta da doña Proëza a don Rodrigo, non arrivi, se non dopo dieci anni, nelle mani del destinatario è un simbolo di vitale importanza per comprendere la "scarpina di raso" . Vi sono anche figure che "riescono" di questo amore erotico, quello tra doña Musica e il re di Napoli, forse tra doña Settespade e Giovanni d'Austria, ma non è in gioco in loro il pathos che è in gioco tra doña Proëza e don Rodrigo. Nel primo amore, quello di doña Musica, sta in primo piano il bambino e nel secondo, quello di doña Settespade, la missione di liberazione di Mogador dalla mano dei mussulmani.
La gigantesca scena del quarto giorno, tutta sul mare, è tra le critiche più radicali del "cristiansimo" che abbia mai letto. Tutto il potere del re di Spagna, figura eccezionale di cristianista, traballa sul mare e non è per nulla chiaro che sia lui a prendersi gioco di don Rodrigo nella questione se quest'ultimo debba essere o meno il futuro re di Inghilterra, chiaro è invece che l'invincibile Armanda ha perso e non vinto come si è dapprima pensato (per questo era necessario trovare un futuro re d’Inghilterra).
Il carisma di Ignazio da il tono di fondo all'opus mirandum ed è un carisma di misericordia, come lo vediamo agire oggi nel palcoscenico del mondo, nella figura del Papa gesuita ignaziano e francescano allo stesso tempo: un carisma che "traduce" nel cielo tutto ciò che viene scritto nella terra, "anche il peccato".
I fraintendimenti sulla teologia dei sessi
Come dice con ragione Ursula K. Le Guin, il sesso (che è il momento carnale dell'amore erotico) è il fenomeno più sottovalutato e più sopravvalutato della storia. Più sottovalutato perché l'attrazione di quei cinquanta chili di carne di cui parla il Cinese nell'opus mirandum non può essere negata, anche se essi dopo qualche decennio sono irriconoscibili e non offriranno alcun spunto di attrazione. Allo stesso tempo non bisogna dimenticare ciò che il Logos incarnato dice: "la carne non serve a niente", tanto meno ad esprimere l'unica cosa necessaria, l'amore gratis, che alla fine viene rivelato solamente nel "descensus" di cui parlavo prima, qui sulla terra. E forse dopo i tanti scandali di pedofilia che vengono rivelati ora, farebbe bene la Chiesa ad ascoltare di più anche i figli di questo mondo (per esempio anche nella modalità che sacerdoti e religiosi che hanno compiuto questi atti di pedofilia esprimano davanti ad un giudice civile il perché lo hanno fatto) e predicare di meno, far parlare di più e senza censure i laici (donne ed uomini) e non solo quelli di stampo cristianista.
La „Scarpina di raso“, per il nostro piccolo gruppo, è stata un’occasione per discendere nel cuore delle ferite del mondo e per trovare in questa discesa anche l’unica speranza: „il cammino attraverso l’inferno e il cammino attraverso le profondità sono un solo cammino, e alla fine giungono tutti e due alla stessa meta“, che è rivelazione del bisogno del cuore dell’uomo: l’incontro gratuito con l’amore gratuito del Logos incarnato!
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