martedì 10 agosto 2021

Tre letture estive tra storia, filosofia e letteratura: Tito, Heidegger e Peguy

Le mie letture sono state scelte dal luogo in cui mi trovavo (Tito), da mio figlio (Heidegger) e da un mio bisogno interiore di confrontarmi con Peguy. Nei giorni in cui ricorreva l'ottavo anniversario del rapimento di Padre Paolo Dall'Oglio ho letto con attenzione il capitolo "Combattere" in "Collera e Luce", Bologna 2013, 69-86). Ne faccio riferimento solo come accenno nella parte riguardante Tito. Ogni giorno, con la mia famiglia, abbiamo letto anche un punto della "Fratelli tutti" del Papa. Vorrei infine accennare ai capitoli 1.4 (David Schindler e la critica teologica ai neoconservatori) 1.5 (Prima l'America. I neoconservatori contro Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) del libro di Massimo Borghesi "Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e "ospedale da campo"; Milano 2021, 79-106: ne ho parlato in un intervento in Facebook. 



 Dopo una pausa di scrittura ritorno al mio lavoro preferito: scrivere. Durante il periodo croato, nella spiaggia di Porto Bussola, che in Instagram è conosciuta come Cervar Beach, ho letto intensamente la biografia di Tito scritta da Joze Pirjevec (2011, edizione tedesca, Monaco di  Baviera 2016), che mi aveva regalato mia figlia Johanna. Con Paolo VI direi che si può dare un giudizio positivo dell'uomo politico che ha combattuto contro Stalin e che si è impegnato nel fronte dei non alleati ai due blocchi, americano e russo. Un uomo politico che ha contribuito alla lotta contra il nazionalismo e per la pace tra i popoli. Allo stesso tempo rimane un dittatore, come lo è stato Augusto, che dopo aver messo pace, in modo brutale, nell'impero, è stato un uomo di pace. Un dittatore diverso da Assad, che è semplicemente una bestia politica che per il mantenimento del suo potere usa tutti i mezzi, anche quelli più sconsiderati e malvagi. Direi che Tito è un uomo politico della scuola stalinista, che si scontra contro l'ego di Stalin (simile al suo ego) ed ha mostrato un certo coraggio e carisma politico. Il modo con cui si è comportato con il suo amico Dilas Milovan, quando è caduto in disgrazia, dice tutto sul suo senso dell'amicizia e della comprensione del mondo. Come lo si vede anche nella gestione del campo di concentramento di Gola Otok: che ci si difenda da una bestia come Stalin è chiaro, ma direi citando il Padre Dall'Oglio, parlando con due rivoluzionari e guerriglieri siriani: "Voi andate a combattere. Ma se un giorno smetterete di riconoscere la dignità umana del vostro nemico, perderete la vostra e per il paese sarà finita" (Collera e Luce, 84-85). Detto questo si può davvero darne un giudizio infine positivo, come ha fatto Paolo VI. Per quanto riguarda il suo rapporto con le donne, direi con Pirjevec che Tito non era un asceta. La biografia dello studioso sloveno è sufficientemente critica per farsi un giudizio differenziato dello statista jugoslavo. 

PS Non ho trattato consapevolmente la questione complessa delle foibe, perché questo tema nella biografia di Pirjevec non è particolarmente presente, sebbene egli abbia scritto uno studio sul tema, come ho visto nella bibliografia. Nei racconti famigliari mi è giunto ciò che aveva consigliato il conte dell'isola di san Nicola davanti a Parenzo, dove mia nonna stirava regolarmente, alla mia famiglia, e cioè di allontanarsi dall'Istria, visto che come famiglia cattolica, avrebbero rischiato le foibe. 

Una seconda lettura, fatta con e proposta da mio figlio, sono state alcune pagine di "Essere e tempo" di Martin Heidegger (1926). Con mio figlio siamo arrivati alla pagina 83 dell'edizione di Max Niemeyer Tübingen, 2006. Heidegger ci sfida a prendere sul serio la quotidianità e il mondo. Delle tante cose che potrei dire mi limito al suo modo di interpretare il fenomeno dei segni. Nel mondo cattolico il "segno" è un rinvio ad una realtà trascendente, il "segno" parla di un di più, non contenuto nel segno stesso. Per Heidegger i segni sono orientamenti che abbiamo per il nostro lavoro nel mondo. In genere la filosofia di Heidegger è molto precisa e le sue invenzioni linguistiche sono molto interessanti, come per esempio la parola "zuhanden": le cose non sono solo presenti (vorhanden), ma ci sono date per essere prese "per mano" (zuhanden). E il lavoro ontologico è un lavoro che cerca l'essere della quotidianità, anche se il rischio di una "sospensione teorica", nel senso criticato da Ulrich (per dirla brevemente; il dono dell'essere invece di farsi concreto, viene pensato e fissato in una sospensione teorica astratta), è certamente presente, perché la quotidianità stessa, rimane studiata analiticamente in modo preciso, ma in fondo astratto. Rimane insomma una gnosi. 

Infine vorrei citare "Il Fazzoletto di Véronique" di Charles Peguy a cura di Pigi Colognesi (Lugano-Siena 2020):  come il guerrigliero basco Mikel Azurmendi, anche il socialista Peguy arriva al mistero della Croce e della Risurrezione di Cristo, ma non sono persone "comode", perché "vive". Peguy è un uomo vivo ed in un certo senso "eretico". Un uomo dal cuore non sozzo, un uomo per cui l'idea di un inferno eterno è "perversione": "Un'eternità di morte vivente è un'immaginazione perversa, inversa". Un uomo che non può essere inscatolato: "Nella mia città di provincia i conservatori mi escludevano perché diventavo repubblicano, i cattolici mi escludevano perché diventavo libero pensatore, la brava gente mi escludeva perché facevo politica {...}; i borghesi mi escludevano perché ero socialista; più tardi gli antisemiti mi escludevano perché ero dreyfusardo; può darsi che il Partito socialista un giorno mi escluda, perché sono anarchico; e non dispero che un giorno successivo qualche anarchico mi escluda perché sono borghese" (87, nota 24). Il suo confronto, come socialista, con Pascal è impressionate: è impressionante come si faccia davvero mettere in discussione anche da chi non la pensa come lui. In primo luogo nella questione di come affrontare la povertà: Pascal preferisce il rapporto con un povero concreto, che un programma socialista.  Peguy infine giustamente gli obbietta che in certe cose che dice Pascal, quest'ultimo abbia un ascetismo che è  "più dalla parte della morte che della vita", mentre noi abbiamo bisogno di una "santità che sorga dalla terra e che non sia preventivamente sradicata dalla terra" (92, nota 32). E poi, visto che è estate e che i corpi sono più "visibili" che nell'inverno, direi che l'uomo come canna pensante di Pascal ha un difetto, che Walker Percy, esprime così: si è una canna pensate, ma che ha degli organi genitali. Di questo forse anche il terreno Peguy non ne tiene realmente conto.