mercoledì 30 ottobre 2019

"Nessun ambito sulla terra è univocamente Babilonia, nessuno univocamente Gerusalemme". Balthasar, 1960, sulla "Civitas Dei" di Agostino

"Nessun ambito sulla terra è univocamente Babilonia, nessuno univocamente Gerusalemme". Balthasar, 1960, sulla "Civitas Dei" di Agostino

Fino ad un certo punto l'ordine del post era cronologico, ho messo poi la meditazione del 18.12.19 al primo posto, perché tratta in modo molto più sistematico, di quanto accaduto fino a quel punto, la natura delle due città, dei due stati, che sono l'oggetto del grande opus storico teologico di Agostino. A partire da quella data i post sono in ordine cronologico inverso.

(04.12.20) Dichiarazione di fede cattolica

Come anche ha sempre detto chiaramente Padre Paolo Dall'Oglio, il mio dialogo con l'islam, non ha nulla a che fare con una perdita della fede cattolica. Io credo "la" chiesa cattolica e obbedisco alla sua dottrina e in questo mio credo e in questa mia obbedienza dialogo con l'Islam. Ciò implica per me in primo luogo un atteggiamento di obbedienza al Papa (sub et cum Petro) e alla "Chiesa gerarchica nostra madre" (Ignazio). Implica anche una vita in forza dei sette sacramenti della Chiesa cattolica. La mia obbedienza alla dottrina non è in primo luogo un atto di "gnosi", ma di gratitudine per l'amore del redentore, che è morto ed è disceso all'inferno anche per me e dal mio punto di vista: in primo luogo per me (propter et pro). Gratitudine è anche pensiero, come è rivelato nel linguaggio tedesco, nella parentela delle parole: danken (ringraziare) e denken (pensare). 
In una dichiarazione di fede (Cap. I: PG 95, 417-419) del santo del giorno, San Giovanni Damasceno (circa quattro secoli dopo Agostino), che "ricevette una seria formazione letteraria e filosofica e ricoprì un altissimo incarico alla corta islamica" (Breviario ambrosiano) , troviamo una pista di lettura, di ciò che significhi essere cattolico. In primo luogo la fiducia (emeth) che Dio ha "preparato con la benedizione dello Spirito santo la mia creazione e la mia esistenza, non secondo la volontà di uomo o desiderio della carne" (San Giovanni Damasceno, ibidem). Questa formula presa dal prologo di san Giovanni Evangelista è decisiva, anche se nei miei appunti per una filosofia dei sessi ho cercato di far vedere che essa non è da intendere come espressione di spiritualismo.
Per grazia di Dio non ho mai cessato - in questo tempo di dialogo con l'Islam, di nutrirmi del "latte spirituale delle tue divine parole. Mi hai sostenuto con il solido cibo del corpo di Gesù Cristo nostro Dio, Unigenito tuo santissimo" - il fatto che il Corano ed un mussulmano non vedano nel Figlio "l'Unigenito santissimo" non significa che io cessi di dichiararlo tale. Wael Farouk mi ha insegnato a comprendere che nel Corano vi è un riconoscimento della singolarità di Cristo, che però non si spinge al riconoscimento della divinità di Cristo stesso. Eppure mi chiedo quanti di noi cattolici la prendono sul serio? Nelle loro speranze concreto per esempio e non per questo ho bisogno di distinguermi dai miei fratelli cattolici che non hanno una teologia adeguata o del tutto adeguata. In una preghiera che mi ha insegnato Ferdinand Ulrich di San Francesco Saverio esprimo con mia moglie quasi ogni giorno la convinzione che "Cristo mio Dio, tu hai umiliato te stesso per prendere sulle tue spalle me (!!!), pecorella smarrita, e farmi pascolare in un pascolo verdeggiante e nutrirmi con le acque della retta dottrina per mezzo dei tuoi pastori" (ibidem). Non ho mai cessato di credere che solo Cristo può alleggerire "il pesante fardello dei miei peccati", anche se sento la necessità di non fissare la nostra attenzione solo in certi veri o supposti peccati. Che i miei fratelli islamici non credano nel valore soteriologico della Croce mi ricorda solamente che anche io durante il giorno spesso non ci credo, che spesso non credo che in questo periodo di pandemia, il Signore è il Signore, e che la Croce che ci da da portare è l'unica salvezza. Piuttosto metto la mia fede nel vaccino che sembra funzionare. Ovviamente ho imparato da Tommaso d'Aquino che "gratia perficit naturam, non tollit", per questo ben venga anche il vaccino, ma non è esso la mia speranza (almeno non dovrebbe esserlo).
Sebbene io credo che sia necessario con Cristo "essere senza peccato, senza accusa e senza giudizio" (Adrienne) non ritengo che sia inutile proporre una dottrina "immune da errore", ma non credo che essa, come una gnosi-pietrificata, sia da scagliare contro gli altri.

PS (7.12.20) Le cose che sto cercando di dire sono tra l'altro già state spiegate e vissute da due padri domenicani: Claude Geffré (+2017) e il beato Pierre Claverie (+1996), che hanno posto l'accento su una nuova riflessione della incarnazione, in cui la singolarità di Cristo e la sua presenza in altre religioni e in modo particolare nell'Islam non sono una contraddizione (cfr. Felix Körner SJ in Pierre Claverie, An der Nahtstellen zweier Welten, Freiburg 2020, 11).

(1.12.20) La speranza - una virtù universale e concreta

In questo tempo di pandemia ritorna in alcune persone, in primo luogo nel papa, il tema della speranza e citano con ragione Charles Peguy: la speranza bambina che tira dietro di sé le due sorelle più grandi: la fede (una nobile signora) e la carità (un'infermiera). Agostino in un suo commento ai Salmi (Dal118, 20; CCL 40, 1730-1731; lettura del martedì della terza settimana di Avvento, nella liturgia ambrosiana) presenta il tema in una dimensione universale: il Cristo desiderato da tutte le genti. "Questo desiderio della Chiesa, dagli inizi del mondo sino alla fine, è senza interruzione, se si voglia escludere il periodo che il Signore incarnato trascorse con i discepoli. I profeti di Israele avevano desiderato il Cristo, i profeti cristiani desiderano il suo ritorno definitivo. Se prendiamo sul serio la logica integrativa del commento di Agostino e il suo "fino alla fine", dobbiamo anche tenere conto dell'ipotesi che i profeti mussulmani e in primo luogo il profeta Maometto abbiano anche un senso di questo desiderio singolare di Cristo. Il padre Dall'Oglio ha speso la sua vita, per questo annuncio. Agostino commenta: "Ho sperato cioè nella tua promessa, ed è questa speranza che fa aspettare con pazienza quel che, finché dura il tempo della fede, è impossibile vedere" - è impossibile vedere anche a noi cristiani. 

Il che non significa diluire la singolarità di quell'amicizia di cui parla il cardinal Ouellet nel suo ultimo libro sul mistero della Pasqua (apparso ora in lingua tedesca, tradotto da Susanne Greiner: Er liebte sie bis zur Vollendung, Freiburg 2020). Cristo ci permette di partecipare con gioia a quel "patto di amicizia con Dio" che è il cuore vivo del cristianesimo. Tocca a noi, in modo universale e concreto, integrativo, dare il nostro assenso a questo "nuovo e definitivo di patto".  

In un libro per ragazzi che mi sta leggendo mia moglie in questo periodo di Avvento (Der Berg des Unheils) un giovane cristiano tedesco scopre, nel tempo delle Crociate, che questo patto di amicizia lo si può vivere anche nel mondo mussulmano. 
(06.07.20) Gerusalemme e Babilonia in noi

Santa Elisabetta della Trinità ci fa comprendere a suo modo che nessun ambito sulla terra è univocamente Babilonia e nessuno univocamente Gerusalemme. Per la santa di Dijon le due civitas sono in noi: "Agostino afferma che che noi abbiamo due "stati" (civitates) in noi: lo stato di Dio e lo stato dell'io. Nella misura nella quale il primo cresce, il secondo viene smantellato. Un anima, che nella fede vivesse sotto lo sguardo di Dio, che avesse "l'occhio semplice", di cui parla il Vangelo, la purezza dell'opinione, che guarda solamente a Dio, una tale anima vivrebbe anche nell'umiltà...Se tu senti in te il sentimento dell'orgoglio, allora non esagitarti, perché ciò che si muove è nuovamente l'orgoglio; poni piuttosto la tua debolezza ai piedi del Signore, come Maria, e pregalo di liberarti da ciò" (citato in Balthasar, Schwester im Geist, 428-429). Babilonia e Gerusalemme in noi non significa, però, che queste due realtà siano la stessa cosa. L'umiltà di una rinuncia ad una identificazione univoca non è un invito al peccato e la felicità per Elisabetta consiste nel dimenticarsi, cioè nel dimenticare lo "stato dell'io" (Babilonia), in modo che possa imporsi in noi "lo stato di Dio" (Gerusalemme).


(29.03.20) Gli uomini non possono vivere da soli sulla terra

Abbiamo già meditato, in questo post agostiniano, su un capitolo del libretto di Ambrogio, arcivescovo di Milano e Padre della Chiesa (non solo ambrosiana), riguardante la storia del povero Nabot e del re Acab (1 Re 21). Anche se non si può distinguere in modo univoco tra Gerusalemme e Babilonia, certamente in questa storia Acab sta per "Babilonia" e Nabot per "Gerusalemme".

Acab indica la volontà di potenza e di possedere anche quel pezzo di terra, che per diritto legale e per diritto naturale appartiene al povero:  "Mi guardi il Signore dal cederti l'eredità dei miei padri" (1 Re 21, 3), risponde Nabot al re che gli ha chiesto la sua vigna! DI fronte al no del povero il re cade poi nella totale depressione: 21, [4] "Acab se ne andò a casa amareggiato e sdegnato per le parole dettegli da Nabot di Izreèl, che aveva affermato: "Non ti cederò l'eredità dei miei padri". Si coricò sul letto, si girò verso la parete e non volle mangiare." 

Ambrogio ci va vedere che il ricco è più povero del povero, perché dipende totalmente dalla volontà dell'altro, una volontà debole che può essere sopraffatta, ma che è comunque qualcosa che si oppone alla sua volontà di potenza. Ambrogio afferma addirittura, che in verità ad Acab non interessa aver quel pezzo di terra, ma solo di far valere la sua volontà di potenza: per questo vuole derubare il povero (III, 11). Il re vuole ridurre la "natura" alla sua volontà di dominio. Ambrogio commenta: "il mondo, che voi ricchi cercate  di pretendere per voi,  è creato per tutti". Ciò che si possiede come eredità dei padri non lo si può cedere per "soldi", questa è infine un ulteriore conclusione di Ambrogio. 

Il Santo Padre Francesco con il suo amore per i poveri non solo è fedele alla dottrina sociale della Chiesa, ma anche alla tradizione dei Padri della Chiesa (Ambrogio, Basilio...), che sono sempre e solo interpreti della Parola di Dio. Ed è in questo, come avevo intuito da subito, un papa sommamente filosofico.

Ferdinand Ulrich ci ha insegnato che ricchezza e povertà, a livello ontologico, possono essere usate come parole che indicano ad una medesima realtà: il dono dell'essere è "ricco", perché senza questo dono non ci sarebbe nulla di ciò che c'è, ma è allo stesso tempo "povero", perché esso è "nulla" (il nulla dell'amore gratuito, non del nichilismo); quanto si perde questo equilibrio ontologico si cade nella "povertà del ricco" di cui ci ha parlato Ambrogio.

Una cosa analoga vale per il rapporto comunità e singolo, che a livello ontologico non sono una contraddizione, ma due aspetti della medesima medaglia: la comunità è formata da singoli che sono in rapporto l'uno con l'altro. E come vi è una biodiversità in cui tutto dipende da tutto (Laudato si', 42), ciò vale anche per gli uomini: tutti dipendono da tutti. Quando l'equilibrio è perso, come stiamo vivendo in questa pandemia del 2020 (covid19), allora il singolo viene isolato dalla comunità. Dio è amore, noi ci castighiamo da soli, lui ci vuole salvare, ma questa pandemia rivela in modo particolare "la povertà del ricco" che non può comprarsi con i soldi una soluzione immediata.

Infine vorrei citare dal "principio e fondamento" di Ignazio un altro equilibrio che è andato perso con la pandemia: la gloria di Dio e non l'essere sani o malati è lo scopo ultimo del cristiano; questa sovra accentuazione della "salute", come unico criterio di azione, per quanto necessario, è indice di uno squilibrio ontologico e mostra tutta la "povertà del ricco". Come mi ha fatto notare oggi mia moglie.


(21.03.20) Abramo, Isacco ed Ismaele - grandezza e limiti di Agostino nella comprensione della storia dell'elezione divina

La grandezza di Agostino è chiara; egli vede nella figura di Abramo la presenza della civitas Dei; la fede è il motore primo della civitas Dei. E vede nel sacrifico di Isacco una figura del sacrificio di Cristo, presentata in quel adagio patristico che afferma che nell'Antico Testamento (per chiamarlo così, sottolinea Agostino) si nasconde il Nuovo e nel nuovo si rivela l'Antico (XVI,26). In Giuditta 5, 6 sg., che Agostino cita, si vede il viaggio di Abramo alla terra promessa; dai Caldei ("un popolo che discende dai Caldei" - regno assiro, specifica Agostino), di cui rifiutano gli dei vengono cacciati e si fermano in Mesopotamia ("vennero scacciati dai Caldei dalla presenza dei loro dei"). "In Mesopotamia soggiornarono per molto tempo", ma a Canaan ci vanno per decisione di Dio, non perché scacciati. Giuditta 5, [9]: "Ma il loro Dio comandò loro di uscire dal paese che li ospitava e venire nel paese di Canaan  Qui infatti si stabilirono e si arricchirono di oro e di argento e di bestiame in gran numero." 

Agostino, cita Ismaele, come figlio di Agar, per lui, però, anche se non lo dice esplicitamente egli è solo un figlio della "natura", mentre Isacco è un figlio della "grazia"; in questo modo la storia dell'elezione viene presentata come "esclusiva". Questo carattere "esclusivo" ha un suo motivo - anch'io amo in un certo modo definitivo mia moglie e non un altra. Per questo motivo la citazione di Agostino ha una sua legittimità: "Gen 25, [5] Abramo diede tutti i suoi beni a Isacco. [6] Quanto invece ai figli delle concubine, che Abramo aveva avute, diede loro doni e, mentre era ancora in vita, li licenziò, mandandoli lontano da Isacco suo figlio, verso il levante, nella regione orientale." 

Come sottolinea il padre Dall'Oglio SJ, che ho già citato in questo post, Ismaele riceve anche una promessa e non è così confondibile con uno dei figli delle concubine. Ismaele nasce da un "accordo" (di cui ha fatto parte anche Sara) e quando viene licenziato, viene licenziato con un'azione quasi sacramentale: Abramo dona "pane ed acqua" (Gen 21,14). E Dio stesso, interviene per consolare Agar e salvare Ismaele: Gen 21, [17] Ma Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: "Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. [18] Alzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione". Questi versi, se riflettuti fino in fondo, annunciano una elezione inclusiva. Ne abbiamo già parlato in relazione all'Islam. Questa elezioni inclusiva è l'antidoto più forte contro una distinzione univoca tra Gerusalemme e Babilonia. 

Agostino non è principalmente contro questa "inclusione" di cui parlo; leggiamo in Gen 22, [15] Poi l'angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta 
[16] e disse: "Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, 
[17] io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. 
[18] Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce". Nel verso 18 si parla in modo chiarissimo dell'inclusione di "tutte le nazioni della terra". In dialogo con il Padre Dall'Oglio abbiamo, però, antecedentemente visto come sarebbe stato importante riflettere più profondamente sulla storia dell'esclusione di Agar e Ismaele. Elezione ed esclusione sono uniti dal Dio sempre più grande. 

(20.03.20) Da Noè alla torre di Babele aspettando Abramo - sulla questione della non univocità della distinzione tra la Civitas Dei e Babilonia

In XVI, 1-2; 3-5; 10-11 Agostino riflette sul decimo capitolo della Genesi e così sui tre discendenti di Noè: Sem, Cam e Jafet. Il primo ed ultimo sono "buoni" e stanno a capo di una buona discendenza, ma anche in essa ci sono figli di "Babilonia" (confusione). Il secondo è cattivo; da lui deriva Nimrod, che cominciò ad essere "potente" sulla terra, insomma simbolo della "volontà di potenza" (qui si trova l'inizio di Babilonia), ma anche egli lo è, potente, "davanti al Signore" (Gen 10,9). Di Cam Agostino afferma che è uno "spirito agitato", da non confondere con l'irrequietezza propria al cuore dell'uomo (il nostro cuore è irrequieto fin che non riposa in te); uno spirito "eretico" che si bisticcia sempre con tutti, ma anche nella sua discendenza vi sono membri della civitas Dei. Uno spirito davvero cattolico non si spaventa di questi agitatori, perché la "calma pone rimedio ad errori anche gravi" (Qo 10,4). Rispondendo con calma ad un eretico possiamo imparare ad essere più precisi e chiari.

Nel tempo tra Noè e Abramo non ci sono grandi della "fede", ma Agostino non ha dubbi che anche in quel periodo ci sono state persone della civitas Dei. Persone, per parlare con Osea, che non considerano "'dio nostro' le opere delle nostre mani" (14,4). Altri dettagli sono importanti, ma li riassumo qui solamente velocemente: 1. Quando si parla di discesa di Dio sulla terra usiamo un antropomorfismo, perché Dio non si muove, è già dappertutto e non vi è nulla al di fuori di esso, neppure un virus pericoloso; usiamo un antropomorfismo per dire che egli viene per mutare miracolosamente il percorso naturale degli eventi. 2. Le generazioni tra Noè e Abramo sono "popoli" e non solo "individui". 3. La lingua originaria prima della confusione della torre di Babele, che simboleggia la volontà di potenza, è quella ebraica.

(17.3.20) Agostino e la delectatio

Nella prima email dell'allora cardinal Jorge Mario Bergoglio, che scrisse a Lucio Brunelli, il 30 gennaio del 2007, il cardinale argentino si esprimeva su un articolo del vaticanista riguardante gli studi agostiniani di don Giacomo Tantardini. Quello che sto lentamente riflettendo in questo post, che cita come titolo la frase di Hans Urs von Balthasar: "Nessun ambito sulla terra è univocamente Babilonia, nessuno univocamente Gerusalemme", corrisponde completamente al tenore e al contenuto di quella email e agli studi di don Tantardini: "Non è la cultura, neppure la dottrina cristiana, che può stabilire un rapporto con un uomo per il quale il cristianesimo è un passato che non lo riguarda. È qualcosa che viene prima. Questo qualcosa che viene prima sant'Agostino lo chiama delectatio e dilectio, cioè l'attrattiva amorosa della grazia" (Don Tantardini, citato in Lucio Brunelli, Papa Francesco, come l'ho conosciuto io, Milano 2020, 25).

Questo approccio implica conseguenze molto importanti, che don Tantardini riassumeva così: "Città di Dio e città dell'uomo non possono essere due istituzioni contrapposte...Non ci può essere per esempio la Chiesa contro l'Islam...Non ci può essere un mondo cattolico contro un mondo non cattolico...perché i cittadini delle due città sono mischiati"; chi si prenderà il tempo di leggere tutte le meditazioni di questo post potrà vedere come io abbia cercato di svolgere anche un dialogo serio con l'Islam, proprio per i motivi di cui parla don Tantardini. 

Anche tra Gerusalemme e Babilonia non è possibile fare una distinzione netta, univoca, perché queste dimensioni sono "mischiate". Con l'immagine di "Babilonia" si intende forse ancora qualcosa di più peccaminoso che "città dell'uomo", che può essere un'espressione ancora del tutto neutra (lo stato, la società civile...). Babilonia è la nostra società trasparente, opulenta e pornografica, ma anche qui non è possibile fare una divisione univoca; "all'inizio del Civitate Dei Agostino dice che quando si parla ai nemici della città di Dio occorre sempre tener presente, che un istante dopo, toccati dalla grazia, possono diventare cittadini come noi, più degni di noi" (Don Tantardini).

Bergoglio, anche come Papa Francesco, ci ha aiutato a comprendere esistenzialmente, come difendersi da ciò che nella email citata all'inizio di questa meditazione, chiama "l'essenza manichea del fariseo"; a livello intellettuale dobbiamo evitare ogni forma di pensiero chiuso, sistemico, "lineare", per usare le parole di Bergoglio; dobbiamo avere un "pensiero tensionante", aperto, che lasci delle "fessure" perché arrivi a noi la speranza. Un pensiero aperto al dono dell'essere come amore (Ferdinand Ulrich), al dono della grazia (Agostino).

Ogni manicheismo farisaico, ogni fanatismo sistemico, lineare non ci permette di comprendere cosa sia il "caso serio": La magnanimità di Dio che si rivela nel Paziente appeso alla croce e disceso nell'inferno. L'agnello purissimo, vestito di bianco, e sceso dapprima nell'inferno della morte per aprirci una strada all'unica legittima "totalità", quella del suo amore gratuito.

Questo approccio "tensionante" (Bergoglio) ci permette di discernere Cristo dal "cristianismo", che esprime in modo parziale alcuni valori cristiani, negandone altri, ma che di fatto è solo un'espressione della volontà di potenza del diavolo. Quest'ultimo è davvero "altro" da Cristo, per cui Papa Francesco, il papa della misericordia e della riconciliazione, ci invita a non dialogare con lui.

(29.02.20) L'arca di Noè - come Agostino interpreta l'arca di Noè?

Agostino vede l'arca di Noè come un'immagine, una rappresentazione della Chiesa (XV, 26-27) e paragona il legno dell'arca con il legno della Croce di Cristo. La porta dell'arca viene paragonata con le ferite di Gesù in Croce, da cui escono i sacramenti ed entrano gli uomini che li ricevono. Per Agostino è importante sottolineare che il diluvio c'è stato davvero e che esso significa qualcosa di ben preciso. Tenendo conto che diversi miti antichi rielaborano a livello letterario la memoria di un diluvio (dalla Babilonia al mondo latino) si può prendere sul serio l'ipotesi che esso sia davvero avvenuto; mentre la versione paleobabilonese ha come tema il "chiasso" che disturba il Dio Enlil, quello della Bibbia ha come tema la "corruzione" degli uomini. Etc. 

Davvero importante mi sembra il modo con cui Agostino cerchi di riflettere sulle misure e sull'ordine di costruzione dell'arca, a due o tre piani e come sia aperto ad interpretazioni migliori della sua. Il punto decisivo mi sembra essere che in questa civitas Dei in pellegrinaggio, di cui l'arca è un'immagine, faccia parte anche Israele! Se si sottolinea la costruzione tripartita, oltre agli esempi che fa Agostino (la fecondità tripartita evangelica di Mt 13,8; le virtù teologali: fede, speranza ed amore; gli stati di vita del cristiano: la castità matrimoniale, i vedovi e i vergini), direi che possiamo pensare oggi anche alle tre religioni: Ebraismo, Cristianesimo ed Islam.

Non è neppure indifferente l'apertura dell'arca agli animali (anche se vi è un'incongruenza nel racconto su chi vi entri: animali puri ed impuri o tutti) e nei tre figli di Noè i vedo l'apertura a tutti i popoli.

(16.1.20) "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giustificati degni della vita futura e della risurrezione dei morti, non prendono né moglie né marito, infatti non possono più morire..." (Lc 20, 34 sg.)

Con un richiamo ad Enoch (De civitate Dei, XV, 19) Agostino ci richiama alla nostra "ordinazione" ultima, se rimaniamo legati a Cristo: la nostra risurrezione, o lasciando parlare ancora Lc 20 "...perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio". Saremo uguali agli angeli, avremmo certo uno sguardo di simpatia particolare per la nostra moglie terrena e per il nostro marito terreno, ma non sarà più moglie o marito nel senso terreno. Questo vale ancor di più per i rapporti omosessuali.

Per quanto riguarda la civitas Dei, nel suo stato di pellegrinaggio, molti dei suoi membri "prendono moglie e prendono marito", ma ci sono anche molti (di meno, però) che si astengano dal generare. Mentre nella civitas Dei definitiva, nella Gerusalemme celeste, non si prenderà né moglie né marito. In questo contesto Agostino prende la sessualità solo in questa suo significato del "generare"; in un certo senso la sessualità come "godimento" (ma è una mia idea, non di Agostino) potrebbe essere anche un'immagine "analoga" (nel senso rigoroso del termine "analogia", cioè più differenza che similitudine) del "godimento definitivo".

Agostino dice anche qualcosa di molto importante, anche se l'esempio che fa è molto datato: l'astinenza di un filosofo indiano non è un fenomeno della "civitas Dei", ma di quella "mondana"; ora non credo che un uomo di cultura latina abbia saputo molto sui filosofi indiani, per cui non mi fisserei su questa parte del giudizio di Agostino, ma piuttosto sulla parte essenziale: l'astinenza di per sé non è un valore. "È buona solamente se accade nella fede del bene supremo, cioè Dio" (XV,20).

(29.1.20) Senso triplice delle promesse antico testamentarie sulla civitas terrena e quella divina - con un breve commento sul piano di pace proposto da Donald Trump

Agostino insiste con ragione sul senso triplice delle promesse antico testamentarie: esse riguardano in primo luogo la civitas terrena (e la Gerusalemme terrena), altre quella divina ed altre entrambe. Gli esempi che fa sono interessanti.

1. Per il primo tipo prende in considerazione la parabola recriminatoria di Natan (2 Sam 12) in cui il profeta fa a capire al re Davide l'ingiustizia commessa con l'adulterio con Betsabea e l'uccisione di suo marito Uria. Se si vuole essere giusti nella città terrena non si deve commettere adulterio e non si devono uccidere gli innocenti. Quando Davide comprende di essere l'oggetto della parabola recriminatoria di Natan si pente e fa digiuno - digiuno che viene smesso alla morte del bambino nato dall'adulterio, cosa che stupisce gli altri. Perché smette di piangere ora che è morto il bambino? Davide rispose:

2 Sam [22] "Quando il bambino era ancora vivo, digiunavo e piangevo, perché dicevo: Chi sa? Il Signore avrà forse pietà di me e il bambino resterà vivo. 

[23] Ma ora che egli è morto, perché digiunare? Posso io farlo ritornare? Io andrò da lui, ma lui non ritornerà da me!". 

[24] Poi Davide consolò Betsabea sua moglie, entrò da lei e le si unì: essa partorì un figlio, che egli chiamò Salomone. 

Credo faccia parte di un buon equilibrio della società terrena di non esagerare con il lutto: tutti dobbiamo morire; Davide lo spiega molto bene nei versi citati. 

2. Per il secondo tipo prende come esempio il famoso passaggio del profeta Geremia al capitolo 31 sul "nuovo patto": 

[31] "Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. 

[32] Non come l'alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. 

[33] Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. 

La civitas Dei è la città in cui la Legge è scritta nel cuore e in cui i cittadini appartengono a Dio in un patto di reale reciprocità. Credo che le Beatitudini (Matteo 5) siano il cuore di questa legge scritta nel cuore che il Santo Padre Francesco ci ha invitato a leggere più volte nella settimana ed ad imparare a memoria: 

Mt 5, 
[3] "Beati i poveri in spirito, 
perché di essi è il regno dei cieli. 

[4] Beati gli afflitti, 
perché saranno consolati. 

[5] Beati i miti, 
perché erediteranno la terra. 

[6] Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, 
perché saranno saziati. 

[7] Beati i misericordiosi, 
perché troveranno misericordia. 

[8] Beati i puri di cuore, 
perché vedranno Dio. 

[9] Beati gli operatori di pace, 
perché saranno chiamati figli di Dio. 

[10] Beati i perseguitati per causa della giustizia, 
perché di essi è il regno dei cieli. 

[11] Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 

[12] Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. 

3. La Gerusalemme come città di Dio con la costruzione del tempio viene riferita da Agostino per spiegare il terzo tipo di promesse che riguardano sia la Gerusalemme terrestre (di allora e di oggi) che quella celeste. La proposta di pace di Donald Trump è grave, perché non rispetta l'equilibrio delicato di ogni decisione riguardante Gerusalemme, che non può essere usata solo per procurarsi i voti degli ebrei negli USA e per aiutare l'attuale premier di Israele. Anche la Gerusalemme terrestre deve tenere conto delle esigente delle grandi religioni che si trovano in essa: giudaismo, cristianesimo e islam. Che poi la Gerusalemme celeste sia la proprietà di una sola religione è frutto di fanatismo e non di quell'atteggiamento di preghiera che riconosce in Dio "id quod maius cogitari nequit". 

Molto importante mi sembra anche la sottolineatura che fa Agostino che il significato spirituale non può andare ai costi della verità storica: qualche tempo fa avevo proprio per questo insistito che la profezia della nascita di un bambino in Isaia, la si può applicare alla nascita verginale di Maria, ma non si deve dimenticare che nel testo ebraico si trova: giovane donna e non vergine. 



(22.1.20) La Gerusalemme come immagine e la Gerusalemme come realtà compiuta nel rapporto tra ebraismo, cristianesimo ed islam.

Per spiegare il rapporto tra la Gerusalemme come immagine (nel linguaggio di San Paolo: la "Gerusalemme attuale" che si trovava sotto la schiavitù dei Romani) e la Gerusalemme come realtà compiuta (la Gerusalemme di lassù) o in genere il rapporto tra le due "alleanze" quella del Sinai e quella nuovotestamentaria, Agostino ci fa riflettere sul rapporto, che padre Dall'Oglio interpreta per comprendere quale sia un giusto atteggiamento nei confronti dell'Islam, tra Sara ed Agar al tempo della nascita di Isacco, citando il seguente passaggio della Lettera ai Galati:

4, [21] Ditemi, voi che volete essere sotto la legge: non sentite forse cosa dice la legge? 

[22] Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. 

[23] Ma quello dalla schiava è nato secondo la carne; quello dalla donna libera, in virtù della promessa. 

[24] Ora, tali cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due Alleanze; una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar 

[25] - il Sinai è un monte dell'Arabia -; essa corrisponde alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli. 

[26] Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre. 

[27] Sta scritto infatti: 
Rallègrati, sterile, che non partorisci, 
grida nell'allegria tu che non conosci i dolori del parto, 
perché molti sono i figli dell'abbandonata, 
più di quelli della donna che ha marito. 

[28] Ora voi, fratelli, siete figli della promessa, alla maniera di Isacco. 

[29] E come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo spirito, così accade anche ora. 

[30] Però, che cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non avrà eredità col figlio della donna libera. 

[31] Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera. 

Quello che è importante per Paolo è che i cittadini della "civitas dei" sono figli secondo la "promessa" e non secondo la "carne" (ciò è testimoniato anche dalla "Legge", dall'Antica Alleanza); Agostino insiste su questo punto, mentre il Padre Dall'Oglio insiste sul fatto che vi è una comunione tra l'esclusa (Agar) e la prescelta (Sara), ma visto che Agostino, a differenza di Marcione, non ha rigettato l'antica alleanza, avrebbe, almeno in linea di massima, potuto approvare ciò che scrive il padre gesuita 1.700 anni dopo, tenendo conto che trecento anni dopo Agostino sale sulla scena del palcoscenico del mondo: l'Islam. Ascoltiamo precisamente che cosa ci insegna il testo della Genesi: 

21, 
[8] Il bambino crebbe e fu svezzato e Abramo fece un grande banchetto quando Isacco fu svezzato. 

[9] Ma Sara vide che il figlio di Agar l'Egiziana, quello che essa aveva partorito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco. 

[10] Disse allora ad Abramo: "Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco". 

[11] La cosa dispiacque molto ad Abramo per riguardo a suo figlio. 

[12] Ma Dio disse ad Abramo: "Non ti dispiaccia questo, per il fanciullo e la tua schiava: ascolta la parola di Sara in quanto ti dice, ascolta la sua voce, perché attraverso Isacco da te prenderà nome una stirpe. 

[13] Ma io farò diventare una grande nazione anche il figlio della schiava, perché è tua prole". 

[14] Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre di acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò via. Essa se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea. 

[15] Tutta l'acqua dell'otre era venuta a mancare. Allora essa depose il fanciullo sotto un cespuglio 

[16] e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d'arco, perché diceva: "Non voglio veder morire il fanciullo!". Quando gli si fu seduta di fronte, egli alzò la voce e pianse. 

[17] Ma Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: "Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. 

[18] Alzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione". 

[19] Dio le aprì gli occhi ed essa vide un pozzo d'acqua. Allora andò a riempire l'otre e fece bere il fanciullo. 

[20] E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d'arco. 

[21] Egli abitò nel deserto di Paran e sua madre gli prese una moglie del paese d'Egitto. 

Vorrei sottolineare il fatto che Abramo è dispiaciuto dalla richiesta di Sara, perché anche Ismaele è suo figlio, anche se non secondo la "promessa", ma secondo la "carne"; Dio si schiera con il figlio della promessa, ma non rigetta per nulla l'esclusa: anche Ismaele sarà padre di "una grande nazione", perché anche questo figlio nasce dall'obbedienza di Abramo. Padre Dall'Oglio sottolinea il valore quasi sacramentale dell'azione di Abramo che offre a Agar e a suo figlio "pane ed acqua" (per l'Islam, che non permettere di bere il vino qui sulla terra, questo dono di "pane ed acqua" è di grande valore). Come a Maria, anche ad Agar appare un angelo del Signore è promette di fare di Ismaele "una grande nazione". Agar crede, perché le sono aperti gli occhi. In qualche modo abbiamo anche a che fare con una promessa e con una vera fede e ovviamente non è di poco conto che nel Corano non siamo confrontati con questa linea della storia: Abramo, Agar ed Ismael.

Per il nostro tema è cioè che nessun ambito sulla terra è univocamente Babilonia, nessuno univocamente Gerusalemme, ciò è di vitale importanza. E la salita sul palcoscenico del mondo della "Mecca" non ci permette di schierare quest'ultima univocamente con Babilonia o con Gerusalemme. Che il grande tempio islamico si trovi a Gerusalemme - peccato che esso sia gestito in modo del tutto integralista - è un grande segno del rapporto vitale tra Mecca e Gerusalemme e non parlo solo della "Gerusalemme attuale", ma della "Gerusalemme di lassù", che ci ricorda che dobbiamo diventare tutti "figli della promessa".

La lettera firmata dall'egiziano - Agar è egiziana - Gran Imam Al-Tayyeb e Papa Francesco sulla "fraternità di tutti gli uomini ci ricorda che noi tutti: ebrei, cristiani e mussulmani siamo per l'appunto fratelli e non abbiamo di escludere nessuno. Genesi 21, 10, che riporta la volontà di Sara è superato già dall'atteggiante che ho descritto di Abramo e dalla riposta di Dio stesso. E la Parola di Dio ci da testimonianza di questa unità indissolubile tra l'esclusione e la promessa, anche se si volesse difendere una certa "preferenza" per la linea: Abramo-Sara-Isacco. E Paolo ci invita ultimamente alla libertà dei figli di Dio e non alla fissazione fondamentalista di una certa "immagine" o di una certa interpretazione di Genesi 21,10: "Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco". Nulla ci costringe all'assenso letterale di questo desiderio di Sara, tanto meno la giustificazione per grazia di san Paolo!

Cristo offre il suo rapporto preferenziale con il Padre fino all'"abbandono reciproco" (Adrienne von Speyr, Hans Urs von Balthasar), in cui il Figlio non sa più di aver liberamente scelto il cammino che lo porta a quell'ora in cui grida: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?" (Salmo 22). Il Padre permette questo abbandono e senza cadere nell'idea eretica di una passione del Padre, possiamo ammettere che Egli percepisca, più di tutti noi, la serietà di questo grido. Se è così, mai e poi mai, può un cristiano pensare la "preferenza" come "esclusone" di un altro, perché il cristiano è tale solo se confessa che il metodo di Dio, il suo amore radicale giunge fino alla perdita della "preferenza", non alla "conquista" di essa. In questa radicale discesa, nell'assoluta disperazione, mancante di ogni forma, improvvisamente Cristo risorgerà (alle cinque del mattino della domenica di Pasqua) senza aver alcun altro merito - sit venia verbo -, lui che è stato fatto peccato, senza aver peccato, se non quello di un amore radicale che vuole attirare tutti a se e per esso è disposto a salire sulla Croce e a discendere all'inferno.

Queste mie riflessioni infine si trovano in intimo dialogo con il Vaticano II, come dimostra questo passaggio della "Lumen gentium":

16. Infine, quanto a quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, anch'essi in vari modi sono ordinati al popolo di Dio [32]. In primo luogo quel popolo al quale furono-dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cfr. Rm 9,4-5), popolo molto amato in ragione della elezione, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (cfr. Rm 11,28-29). Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali, professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso che giudicherà gli uomini nel giorno finale. Dio non e neppure lontano dagli altri che cercano il Dio ignoto nelle ombre e sotto le immagini, poiché egli dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa (cfr At 1,7,25-26), e come Salvatore vuole che tutti gli uomini si salvino (cfr. 1 Tm 2,4). Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna [33]. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo [34] e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita. Ma molto spesso gli uomini, ingannati dal maligno, hanno errato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che il Creatore (cfr. Rm 1,21 e 25), oppure, vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale. Perciò la Chiesa per promuovere la gloria di Dio e la salute di tutti costoro, memore del comando del Signore che dice: « Predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15), mette ogni cura nell'incoraggiare e sostenere le missioni. (http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html)



(19.1.20) Sull'abuso di potere

L'uscita a cura di Susanne Greiner, della Comunità di san Giovanni, del libro di Sant'Ambrogio "Il potente e il povero" (Einsiedeln, 2019), mi permette di dare un'occhiata a questo grande maestro di sant'Agostino, su una problematica che ovviamente ha una rilevanza decisiva per il tema di questo post riguardante la "civitas Dei". La problematica dell'abuso del potere. Gesù ha delle frasi durissime contro il potere del denaro, ma il suo "date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio", spiana per secoli (per sempre) un atteggiamento di conciliazione sociale; questo vale anche per il rapporto tra poveri e ricchi: vi è modo non buono di vivere la povertà (sia detto ciò contro ogni atteggiamento ideologicamente pauperistico) e vi è un modo buono di usare della ricchezza. Detto questo rimangono le posizioni di Sant'Ambrogio, che leggiamo nella tradizione del Prof. Josef Huhn, usata dall'editrice Johannes, fondata da Balthasar, molto forti. Con la Stoa, spiega Josef Kuhn (Susanne Greiner ha ridotto, ma lasciato le sue note esplicative) Ambrogio tiene fermo all'idea di un possedimento comune originario. L'idea di proprietà privata, per i beni comuni a tutti, è per Ambrosio una "usurpazione". Il testo del Padre della Chiesa prende spunto dal racconto veterotestamentario, che possiamo leggere nel primo libro dei Re, sulla vigna di Nabot (capitolo 21). Il senso morale della racconto è una condanna inequivocabile di ogni abuso di potere che costringe i poveri alla sofferenza, anche a quella di dover lasciare la propria patria. Nel primo capitolo Ambrosio dice chiaramente: "Per una proprietà comune per tutti, ricchi e poveri, è stata creata la terra". Noi tutti, per la nostra natura umana siamo nati nudi e moriamo nudi e il cadavere di un ricco non profuma, ma dopo qualche giorno puzza come il cadavere di un povero (a parte nel caso di trattamenti speciali del suo corpo, che comunque non lo rendono vivo); ed anche quando si adorna un cadavere con vestiti bellissimi, essi vengono tolti ai senza alcun senso ai vivi e non servono ai poveri.

A parte questo senso morale, Ambrogio, commenta questa storia anche a livello tipologico allegorico, rinviando alla figura di Cristo morto in Croce per la nostra salvezza. Vi è anche una forte dimensione "apologetica", contro il teologo e vescovo Auxentius, che era nemico del Concilio di Nicea. Qualche volta uso in modo negativo la parola "apologetico", ma non intendo in primo luogo ciò che Susanne Greiner ci spiega in riferimento a questo lotta di potere contro il Concilio di Nicea a favore dell'Arianesimo, ma un continuo modo di pensare che ha bisogno di un nemico per esprimersi. Ambrogio non ne ha bisogno, ma ha determinati avversari ed ovviamente si impegna in una lotta per la difesa della fede. Questa lotta ha una valenza teologica legittima: chi nega la fede o il "sentire cum ecclesia" è ovviamente anche un mio avversario, anche se non ho bisogno di lui per vivere, pensare e sentire. Inoltre non credo che la spiegazione di una dottrina possa salvare qualcuno: Cristo, il Logos di Dio, ci salva con una presenza non con parole. Allo stesso tempo ritengo legittimo difendersi contro correnti teologiche che contribuirebbero e contribuiscono ancora oggi a rendere difficile la fedeltà a Cristo e il "sentire cum ecclesia".

(11.1.20) In cosa si differenzia uno stato umano da quello divino?

Visto che a questa domanda, con più competenza di me, ha risposto a lungo Massimo Borghesi nella "Critica della teologia politica", qui solo qualche accenno, in forza della mia lettura di Agostino.

1. A differenza dello stato umano in cui "salvezza" e "fedeltà" possono divergere, nella civitas Dei, sono una medesima cosa o le due facce della stessa medaglia. Per essere "fedele" al mio essere uomo, devo, per esempio, distanziarmi dalla salvezza di uno stato, violentato da un dittatore. Dio che è amore non violenta mai il suo stato, la civitas Dei.

2. Uno stato umano e non solo quello liberale odierno non può far altro che essere sincretico (lascia esistere posizione ideologiche contraddittorie), mentre la civitas Dei si lascia formare da un'unità sacerdotale e profetica. Babilonia è di per sé, confusione, che non può essere riformata totaliter. Per Gerusalemme, per usare un'altra parola per civitas Dei, vale quella regola unitaria che Balthasar esprime con il suo "la verità è sinfonica" (non cacofonica).

3. Non ci sarà mai nel mondo uno stato del tutto cristiano, perché anche un imperatore cristiano, non può che "sopportare" alcune contraddizioni proprie a "Babilonia" e la sua meta è la santificazione della sua anima, non la riforma totale dello stato, anche se deve impegnarsi, per quando possibile, nell'ottenere la giustizia e la felicità del suo popolo.

4. Nella storia ci sono stati dei sovrani cristiani, in modo che non si creda, spiega Agostino, che siano necessari i demoni per governare, ma Dio governa il mondo come crede, in modo che non si arrivi all'idea falsa che governare lo stato con successo sia una proprietà/carattersitca dell'essere cristiano. Non il successo, ma la mitezza nella punizione, per esempio rifiutando la pena di morte, caratterizza un sovrano o un politico cristiano; finalmente l'idea di potere come servizio.

5. Per quanto riguarda l'Islam: in forza di quello che abbiamo imparato da Klaus von Stosch sul senso della Sharia, che non è una legge oscura e "medievale", ma un tentativo di "ordinare" la volontà di potenza arbitraria dell'uomo, possiamo dire che anche per l'Islam non esiste uno stato "islamico" perfetto.

(8.1.20) In che modo descrive Agostino la città del mondo? 

"Cosa sono gli stati, se mancano di giustizia, se non grandi bande di rapinatori? (...) Ma fare la guerra ai vicini, passare da una guerra all'altra, fare male a qualcuno che non ti ha fatto alcun male, calpestare per pura brama di potere, come si può chiamare tutto ciò se non l'ora di una grande banda di ladri? Agostino, Civitas Dei IV, 4-6.  Cerchiamo di comprendere bene come Agostino descriva lo stato mondano, lo stato del mondo o degli uomini quando è privo di giustizia. La prima parte di questa citazione è stata fatta da Benedetto XVI nel parlamento tedesco il 22.9.2011 (circa al terzo minuto).

1. Il primo punto non è molto differente da quello che afferma Theodor W. Adorno nell'aforisma  dedicato alla "costanza" nei Minima Moralia (110): lo stato senza giustizia, il capitalismo per Adorno, vuole che i cittadini siano molto efficienti quando lavorano per aumentare la ricchezza, per il resto possono fare quello che vogliono, se non danneggiano gli altri. Una dipendenza da una massimalizzazione del piacere, come schiavitù di una pseudo immediatezza, è al servizio di uno stato come banda di ladri  che pensa la "mediazione", per usare il linguaggio di Adorno, solo per l'aumento della ricchezza. Allo stato mondano interessa solo la massimalizzazione della ricchezza e se il "solo piacere" non contraddice questa meta, è permesso tutto. Credo che noi tutti abbiamo bisogno di soddisfare i piaceri, ma non questi, la gioia dovrebbe essere il criterio ultimo del nostro agire come cittadini di questo mondo e come cittadini della civitas Dei. Questa gioia deve permetterci di mettere nella sua giusta misura anche la meta della ricchezza; ciò sarà possibile se cerchiamo la giustizia per tutti. 

2. Quando diventa ingiusto lo stato? Quando si corteggia la massa, dice Agostino, quando si fanno le guerre non per difendersi, ma per pura brama di dominio. Come esempio cita il re assiro Ninus. Quando il potere non è più vissuto come "servizio" (come moderazione), ma come dominio arbitrario sugli altri. 

3. Nel 2013 Padre Paolo Dall'Oglio attaccava duramente il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal e il settimanale Tempi, che pubblicava l'8.6.2013 un articolo del Patriarca, che difendeva una tesi che ormai conosciamo tutti: meglio una dittatura che le primavere arabe che avrebbero aperto la strada a "ottantamila morti e un milione e mezzo di rifugiati". Il Patriarca voleva una "Chiesa del Calvario"; Padre Paolo obiettava: "è interessante notare come egli tralasci di ricordare che morti e rifugiati sono soprattuto le vittime della repressione dello Stato contro una rivoluzione nata democratica e che vorrebbe rimanere tale il più possibile. Di colpo le vittime diventano il boia!" (citato in Riccardo Cristiano, La profezia messa a tacere, 125). In queste ore del conflitto tra Iran ed America, suppongo che i lettori abbiano pensato, leggendo la frase di Agostino di cui sopra, a Donald Trump - ciò è certamente giusto, ma non solo lui è a capo di una "grande banda di ladri". Per quanto riguarda la primavera araba del 2013, Padre Paolo ci ricordava quante "bande di ladri" erano in gioco: "l'aiuto diretto economico e militare (ad Assad) fornito dalla Russia e dall'Iran; l'invasione delle migliori truppe libanesi all'interno del territorio siriano; la presenza di gruppi radicali islamici e clandestini sul terreno; l'illimitata volontà repressiva del regime e dei suoi clan associati; la manipolazione assai efficace dell'informazione internazionale; l'interesse geostrategico di Israele e Occidente per una guerra civile tra mussulmani, secondo l'opinione esplicita dei conservatori... Tutto questo potrebbe effettivamente produrre una tragedia completa: cinquecentomila morti, cinque milioni di rifugiati all'estero e una Siria ridotta ad un cratere" - come si vede il Padre Dall'Oglio ci è andato molto vicino con la sua profezia. Eppure ci invitata alla "speranza cristiana", una speranza che conosce il Calvario, ma non la ho come meta. Che combatte, anche se per lo più "in modo non violento" e non si limita a fare "previsioni".

(18.12.19) Le due città sono una quella della "carne" ed un'altra quella dello "spirito"; questo linguaggio è presente anche in San Giovanni e san Paolo e non è di per sé di natura "platonica"; è possibile definire precisamente la differenza tra le due città, quella di Dio e quella dell'uomo, ma non è possibile identificarle unicamente. All'inizio della storia dell'uomo abbiamo un "legame forte di armonia, accordo e pace", che Agostino, come tra l'altro anche Robert Spaemann, non intende solo a livello di "natura comune", ma anche di "parentela" (tutti gli uomini deriverebbero dalla prima coppia umana); la necessità dei due stati, delle due città nasce con la disobbedienza di Adamo ed Eva, che non poteva che essere "punita". Vi sono tanti popoli, ma questo non è il frutto di punizione (la molteplicità non è una punizione per Agostino), ma solo due stati, che sono frutto di quella disobbedienza: "una città è formata dagli uomini , che vogliono vivere secondo Ia carne, l'altra da quelli che vogliono vivere secondo lo spirito" - questi due tipi di uomini raggiungono due tipi di pace, una carnale, l'altra spirituale. Questa è la definizione, ma Agostino insiste sul fatto che vi è una "promiscuità", un'impossibilità di dividere in modo univoco chi faccia parte di quale città, perché tutti gli uomini derivano da Adamo ed Eva, che hanno disobbedito; il peccato originale non permette quindi un'identificazione univoca di chi faccia parte di quale città. E senza la grazia di Dio, nessuno farebbe parte della "città di Dio".

Anche Caino ed Abele derivano da Adamo ed Eva e quindi non si può dire, se capisco bene Agostino, che l'uno faccia eo ispo parte della città dell'uomo e l'altro della città di Dio; ed anche Caino, che a differenza di Abele, aveva offerto un sacrificio vegetariano, pur avendo commesso un grande peccato, non viene lasciato in balia della vendetta, ma viene protetto da Dio; le due città verrano ancora una volta dissolte dal diluvio universale, in cui si salva solo un giusto con la sua famiglia, ma anche il diluvio universale non risolve il problema; vi è una nuova caduta che porta di nuovo alla divisione. Come causa viene additata da Agostino la bellezza del corpo della donna, creata da Dio, ma come un bene inferiore e che può far concorrenza ai bene superiori spirituali. Per me è importante che Agostino dica che questa bellezza è creata da Dio; che questa bellezza possa essere vissuta in alternativa a quel bene che è l'amore gratuito è certo vero.

Per quanto riguarda la nostra "società trasparente" (Byng-Chul Han) credo di potere dire che vi è anche un attrazione per la bellezza del corpo dell'uomo maschio, anche creato da Dio. In alcuni film viene espresso, anche in modo discreto e non pornografico, l'attrazione che una donna può avere per il corpo di un uomo. L'unico vero criterio per capire cosa sia bene e che cosa sia male (cosa costruisca la città di Dio o ne impedisca la costruzione) è quello dell'amore gratuito, della corrispondenza o meno all'amore gratuito, che ovviamente non è criterio solo per la bellezza del corpo, ma anche per tutte le espressioni sociali di giustizia.

Sia nel rapporto tra uomo e donna, sia nel rapporto tra gli stati la disobbedienza porta a concepire i i rapporti nel senso della dialettica tra schiavo e padrone (chi sottomette e chi viene sottomesso); tra i due popoli che sono stati i "padroni" dell'antichità vengono citati quello degli Assiri (Babilonia) e quello dei Romani (Roma); imparai da mia moglie, Konstanze Szelényi-Graziotto, durante il suo lavoro di Magister artium, ad aprire il mio interesse storico al di là dei confini spazio temporali di Atene e Roma; lei aveva combinato il suo studio di Latino con quello dell' Assiriologia, e vedo con piacere che Agostino, vescovo di una città africana, ha questa forma mentis aperta (non eurocentrica); i due stati padroni, non lo sono senza la "provvidenza di Dio", ma è chiaro che essi rappresentano la "città dell'uomo", non quella di Dio. Agostino fa considerazioni anche di tipo terreno: i Romani hanno avuto più difficoltà degli Assiri nella creazione del loro impero, perché gli altri stati, che avrebbero sottomesso, (e le tensioni interne) erano più forti di quelli ai tempi dell'impero assiro, le difficolta dei Romani le si può vedere, anche se il tono è molto di auto glorificazione, anche nei commentari bellici di Giulio Cesare. Comunque sia, adesso incominciamo a comprendere meglio che cosa Agostino ci voglia far capire nel suo grande schizzo storico teologico delle due città, e questo rende il lavoro su questo tema per me molto affascinante; in questo senso non penso come Balthasar, che ritiene "Le confessioni" più articolate e profonde. Agostino ci aiuta a formulare una "teologia della storia" che mi sembra decisiva anche per il nostro tempo, con i suoi grandi conflitti.

Arabi cristiani. Con il Padre Dall'Oglio impariamo a contemplare la storia non solo a partire dai grandi imperi, ma anche da quelle popolazioni nomadi che sono per loro essenza degli "onagri", cioè degli "asini selvaggi": "gli onagri sono asini più battaglieri, più veloci e robusti degli asini veri e propri" (cfr. De Voto- Oli); si chiede il padre gesuita nel 2010: "Chi mai ha visto onagri che sono stati aggiogati e hanno lavorato (è il giogo soave di Gesù) miti, insieme ai buoi?" Per Efrem il Siro, quarto secolo, i figli di Agar non sono ovviamente i mussulmani, che ancora non esistevano, ma i "nomadi del deserto", da cui sorgono i cristiani arabi; le popolazioni di lingua aramaica "vedevano negli arabi dipendenti di Ismaele dei ribelli che neppure i due imperi, persiano e romano d'Oriente, riuscivano a sottomettere", eppure vi è stata un'evangelizzazione anche di questi nomadi, non integrabili in sistemi, in imperi. Sarà molto opportuno, se si parla del contributo "romano" alla crescita della città di Dio, non dimenticare che l'idea di Roma non deve essere vissuta in modo "esclusivo" ed "univoco" e ciò non solo nella comprensione liturgica (grazie a Dio abbiamo già una liturgia di lingua araba): se capisco bene il Padre Dall'Oglio (cfr. La profezia messa a tacere, 121-124) vi è anche un'universalità che non coincide con quella romano latina; la linea Abramo-Agar-Ismaele, sia come origine dei cristiani arabi, sia come origine dell'Islam ha una sua universalità che dobbiamo imparare a rispettare, se la Roma cattolica si vuole distinguere da una nuova forma del vecchio imperio che ha voluto sottomettere altri popoli.

(30.10.19 Prima parte del post) È innegabile che vi sia un carattere agonale nella "Civitas Dei" di Agostino, come si vede già nel "prologo": "È faticoso far vedere agli arroganti, la potenza dell'umiltà (...). Ciò che appartiene solamente a Dio lo spirito umano vanesio ed arrogante lo pretende per sé". Questo aspetto è sottolineato anche nell'introduzione all'opera del forse più grande teologo della Chiesa latina, Agostino, scritta nel 1960, di Hans Urs von Balthasar, pur sottolineando ciò che ho messo come titolo di questo post: "Nessun ambito sulla terra è univocamente Babilonia, nessuno univocamente Gerusalemme".

Non esiste una conciliazione tra Città di Dio e quella terrena; se fosse così Gesù non sarebbe morto in croce. Certo vi è un'esigenza "evangelica" che il Concilio Vaticano II ha messo in evidenza: l'ascolto delle preoccupazione degli uomini. Certo vi è la sapienza che Balthasar mette in evidenza nella sua introduzione: la città di Dio e quella terrena, possono avere anche uno scopo in comune: per esempio la pace, ma la pace di Dio, che certo ha bisogno di quella terrena, non può essere ridotta a quest'ultima.

Se le "Confessioni" sono la decisione del singolo per Dio, la "Civitas Dei" è la decisone di tutta una comunità, addirittura di tutto un popolo per Dio. Ma come sempre ci ha ricordato Joseph Ratzinger, evitando sia la "statalizzazione della Chiesa, che l'ecclesializzazione dello Stato". Il connubio tra stato e religione, caduto con la caduta dell'impero romano, ogni volta che riappare sulla scena del mondo, sia nella versione occidentale (Trump) che in quella russa (Putin), nega quell'ultimo dramma dell'uomo cristiano che si trova ad agire in entrambe le città, cercando di seguire il Dio unico e vero, che è Amore gratuito. Un Amore gratuito che non può essere mai ridotto in una "teologia politica".

Nel grande libro di Agostino manca ovviante il confronto con l'Islam, che pur nelle sue contraddizioni, ripropone al mondo la domanda della "Civitas Dei", meglio la decisone per Dio o contro Dio!

Per il mio percorso intellettuale il teismo personale di Agostino è il luogo in cui io dialogo anche con posizione panteiste (Goethe, Hölderlin) - è vero che l'aria, per fare un esempio caro ad Hölderlin, non è Dio, ma non è neppure solo biologia!

Balthasar mi ha permesso di pensare "la speranza per tutti", senza cadere nella dialettica dell' inferno è già stato superato (Origene), non lo sarà mai (Agostino). E senza perdere il senso per una decisone escatologica per la potenza di Dio versus quella dell'uomo. Ed anche se la mia "filosofia dei sessi" sembra essere conciliante con alcune linee della psicologia (in primo luogo ciò che dice Lacan/Recalcati sul bisogno), non dimentica mai che anche il sesso può essere una forma di dominio, come lo può essere la dipendenza dall'onore, dal potere, dal denaro, come abuso di "beni"!

(31.10.19) La decisione a cui ci invita Agostino è l'adorazione di Dio; parlare della "civitas Dei" significa parlare di Dio e della sua onnipotenza e presenza in tutto: dalla struttura di una foglia, alla forma di una pietra, al comportamento dell'uomo fino alle guerre che questo compie. Agostino non salta la libera volontà (arbitrium voluntatis) né l'ordine delle cause seconde, ma il senso ultimo è Dio! Anche delle guerre, sebbene in modo misterioso (come mai proprio in Siria vi è una guerra cosi devastante ed un dittatore brutale?), perché Dio non vuole il male, quindi non può essere neppure la causa efficiente della guerra o della volontà del ricco di danneggiare il povero; Agostino non ama la categoria del "fato" proprio per il motivo che stiamo dicendo, al massimo puoi sentire come "fato" la tua condizione se ti trovi ingabbiato in un campo di detenzione in Libia, ma questo "fato" è in verità la "volontà dei potenti". E quando questi vogliono il male o quando un uomo vuole il male, ciò non è una "causa efficiens", ma "deficiens", come spiega Wilhelme Thimme, nella tradizione che sto usando e che Balthasar ha sistematizzato e pubblicato nella sua editrice. Se il primo passo dell'ultimo vescovo di Ippona è l'adorazione di Dio, allora con l'invasione musulmana nel nord dell'Africa, la decisione non è diventata un'altra, ma la "medesima", sebbene nel modo di formularla forse ci sono delle differenze anche gravi.

(1.11.19) "Ma l’Amazzonia oggi è una bellezza ferita e deformata, un luogo di dolore e di violenza. Gli attacchi alla natura hanno conseguenze per la vita dei popoli: dai mega-progetti non sostenibili (progetti idroelettrici, concessioni forestali, disboscamento massiccio, monocolture, infrastrutture viarie, infrastrutture idriche, ferrovie, progetti minerari e petroliferi) all’inquinamento causato dall’industria estrattiva e dalle discariche urbane" (Padre Antonio Spadaro, SJ: https://www.laciviltacattolica.it/articolo/il-sinodo-per-lamazzonia/?fbclid=IwAR0kEwl_KnHaEan0llSAGUbBzN0UL_nvzaThtuyMFMm8OKOV-51rS6VJfNo ) - per comprendere quanto l'Amazonia sia ferita, aiutano alcune pagine del "De civitas Dei" di Agostino, quando parla della bontà del mondo e della bontà dell'esistenza. Tutto nella natura serve, anche le cose che riteniamo pericolose come il fuoco, il freddo e le bestie selvagge, tutto serve, dice Agostino, se sono comprese e lasciate nel luogo giusto. La bellezza ferita e deformata accade quando lo spirito umano invece di essere al servizio della bellezza della natura, la vuole dominare. Ovviamente la natura è anche utile, per esempio l'acqua è utile all'uomo per lavarsi e per bere, ma Agostino da un grande valore che vi sia un senso per la bellezza, non solo perché uso i corpi e le cose per un qualche bisogno. Un corpo è bello non solo nell'uso sessuale, ma in sé. Etc. Ciò significa per me che la bellezza del corpo non è solo al servizio della procreazione, ma è vero che Agostino ha un altro intento, quello della gioia per un corpo, per un volto, dove la "brama" tace. Per Agostino l'esistenza è bella e buna nella sua molteplicità: uccelli grandi e piccoli, la luce , i colori, l'aria, il giorno e la notte. Ed il mare. Etc. 

Ponendosi tre domande: chi ha creato? Attraverso cosa ha creato? Perché ha creato? Agostino ci offre una confessione del Dio trinitario: il Padre ha creato, attraverso il suo Figlio, perché è cosa buona e santa. Lo Spirito Santo viene visto come la Persona divina  che in modo particolare rappresenta la santità. Ed il fatto che ci siano anche peccati e peccatori , anche se in sé sono persone brutte o cose brutte, non toglie il fatto che non possono distogliere totalmente la creazione della sua santità e bellezza ultima. La possono deformare e ferire ed oggi con il Sinodo dell'Amazonia ed in genere con la cultura "verde" ne abbiamo una coscienza più acuta, ma non dobbiamo perdere la speranza nella bellezza e bontà dell'esistenza e dell'essere donato per amore.  "Con questo non si è mai inteso dire nell’Aula (del Sinodo) che la Chiesa sia contro i progetti di modernizzazione positiva e inclusiva. Certamente però la Chiesa ha assunto la piena consapevolezza che la sua dottrina sociale ha oggi a cuore la difesa del Pianeta e che essa va in rotta di collisione con interessi politici ed economici, appoggiati dalla complicità di alcuni governanti e di alcune autorità indigene. Le vittime sono i soggetti più vulnerabili: i bambini, i giovani, le donne e la «sorella madre terra»" (Padre Spadaro SJ, ibidem). Questa critica al modo malvagio di mettere in atto la propria scienza e capacità tecnica, il Sinodo dell'Amazzonia non lo ha estesa ad una critica della tecnica in generale, per cui Agostino trova parole molto belle nel "De civitas Dei". 

1.11.19 Ancora un frutto della mia lettura di Agostino: "Forse l'eleganza del camminare eretto dell'uomo è l'obiezione più convincente contro la pornografia."

2.11.19 Gradini ed antitesi nella creazione. Come anche Tommaso nella "Summa contra gentiles" Agostino presenta una gerarchia di valore nella creazione: pietre, animali, uomini e angeli sono da considerare in una ascesa gerarchica: a questo ordine naturale contrappone  un ordine dell'utilità: "chi non vorrebbe nella propria casa pane invece che topi, soldi invece che pulci?", sebbene nell'ordine della natura le cose viventi (il topo e la pulce) siano da preferire che quelle non viventi (pane e denaro). Ma né l'uno né l'altro sono sistemi assoluti: si potrebbe considerare un cavallo più importante di uno schiavo malato, perché mi è più utile, ma questo non solo non corrisponde all'ordine naturale, ma neppure a quello della "ragione", che non può essere ridotta alla registrazione solamente di ciò che mi è utile per soddisfare un bisogno. La ragione mi dice che è cosa buona occuparsi della propria moglie malata, anche se lei non è più in grado di soddisfare il mio bisogno sessuale o di nutrimento. Non so ancora bene (precisamente) come mai nel suo "de civitate Dei" Agostino abbia bisogno di questo tipo di riflessioni, ma le trovo comunque un contributo importante all'esercizio del pensiero. Procediamo: non si può neppure sopravvalutare le capacità intellettuale. La "volontà" e l'"amore" sono decisive nel giudizio, per cui un uomo buono, che non sappia usare bene la ragione è da  considerarsi più importante di un angelo cattivo ed intelligente, sebbene gli angeli siano nell'ordine naturale superiore agli uomini. 

Di importanza vitale nel ragionamento di Agostino è il fatto che anche il male serve al bene: l'angelo cattivo, il diavolo, è potuto diventarlo (Dio sapeva che sarebbe diventato cattivo), perché le sue tentazioni possono stimolare l'uomo al bene. Per riprendere l'esempio che abbiamo fatto qualche giorno fa sulla natura ferita in Amazonia; come anche il diavolo anche la natura ferita non sono un bene, sono un male, cioè una mancanza di bene, nella logica di Agostino, ma possono essere anche l'occasione per fare del bene: La coscienza del male ci rende capaci di trasformare la mancanza di bene in un bene attivo. L' opposizione: il bene è contro il male può diventare una "contraddizione" se i due poli si irrigidiscono; ma può diventare un'opposizione feconda se prendiamo l'occasione della ferita della natura come primo passo per convertirci al bene. 

4.11.19 (San Carlo Borromeo). Capisco molto bene che Agostino non possa parlare della "città di Dio" senza parlare degli angeli. Non solo nella letteratura esplicitamente cristiana (Peter Faber), ma anche in quella più secolare (Döblin, Berliner Alexanderplatz) sul teatro del mondo non agiscono solo gli uomini, ma anche gli angeli e questi divisi in quelli che sono caduti (tenebre) e quelli che sono di Dio (luce). Al "genius loci" di una città appartengono entrambi i tipi di angeli e forse alcune città sono più dominati da quelli cattivi. Forse senza questa influenza degli angeli cattivi non è possibile comprendere razionalmente come mai una persona come Hitler abbia potuto conquistare l'animo di cosi tante persone, come forse senza l'intervento di un angelo buono il comandante del lager non avrebbe accettato la proposta di Maximilian Kolbe di sacrificarsi per un padre di famiglia. Nella tradizione biblica e cristiana non è possibile separare neppure nettamente la luce e le tenebre come fenomeni naturali dalla luce e tenebre angelica e umana. 

(5.11.19) Seguendo l'antologia che Balthasar ha redatto della "civitas dei" veniamo confrontati con due problemi, molto interessanti: l'impossibilita del procedere del tempo come "ritorno eterno di periodi di tempo" e quindi una presa di posizione per il mondo come realtà temporale e storica. L'idea di un alternarsi di gioia e miseria che duri eternamente contraddice secondo Agostino sia la ragione che la fede. Ovviamente per un'epoca come la nostra che pensa che non vi sia verità su questi temi, ma solo il ritenere-per-vero una certa idea sarà difficile comprendere che Agostino ci tenga a dire che si tratti di un errore della ragione, che si deve combattere duramente; in vero se l'organo ultimo della verità è il nostro cuore (come ragione ed emozione) non credo che nessuno voglia un tale ripetersi all'infinito di gioia e miseria. Che uno lo voglia non significa che poi accada ciò che si desidera, ma certamente significa che non corrisponde alla nostra natura umana pensarla così. L'argomento teologico è invece credo indiscutibile: Cristo è morto solo una volta per i nostri peccati ed è risorto solo una volta. La sua risurrezione è una gioia così sorprendente, una gioia in sé e per noi, che in vero non ci si può aspettare altro di più grande che far parte di essa, in modo definitivo. 

Il secondo problema, per così dire: come intendere l'ordine di salvezza in Cristo? Non in contrasto con l'ordine naturale: "non possiamo mai rendere grazia a sufficienza per il fatto che siamo, che viviamo, che guardiamo il cielo e la terra e possediamo spirito e ragione" (Agostino); ancora più grande è la gratitudine che il Signore non ci ha lasciato da soli con i nostri errori e peccati (causati dalla libertà degli uomini e degli angeli), ma ha inviato il Figlio a morire e risorgere definitivamente per e con noi. Questa opera di salvezza, nell'ordine della natura (la creazione) e della grazia (la venuta di Cristo), è stata preparata dal popolo di Israele, unito dapprima in una formazione politica in Israele stesso e poi disperso per il mondo, così che tutti i suoi beni (sacerdotali, profetici...) fossero dispersi per il mondo. La meta ultima di questa opera della salvezza, come ha detto Papa Francesco ai cardinali, recentemente, è la risurrezione definitiva dei fedeli in Cristo. Visto che, però, Cristo non è un "particolare", ma il Logos universale e concreto, non vi è solo una speranza per noi cristiani, ma per tutti, in modalità che sono e rimangono misteriose! 

(7.11.19) Il cammino dell'umanità passa attraverso la rivelazione singolare e definitiva di Cristo. Non vi è stata, non vi è e non vi sarà un'altro cammino di redenzione dell'anima e del corpo dell'uomo se non in Cristo. Agostino parla e scrive prima dell'avvento dell'Islam, ma anche dopo di esso, non possiamo che riconfermare come cristiani la singolarità dell'opera redentiva di Cristo. Ci conforta sapere, come sottolinea Wael Farouk, che l'Islam stesso, cioè il santo Corano, non tradisce la singolarità dell'opera di salvezza di Gesù, anche se non confessa l'Intera fede cristiana. Forse non la confessa perché i cristiani stessi non lo fanno. Nel libro sulle "Sorelle nello spirito", nella parte dedicata alla piccola Teresa, Balthasar parla del suo mondo esistenziale di intendere la verità; certo Balthasar vede in Elisabetta di Digione un approfondimento "oggettivo" della verità, ma questo prima passo della santa di Lisieux è decisivo, per comprendere come mai sia potuto venire dopo la venuta definitiva di Cristo una religione così potente come l'Islam: perché in primo  luogo in noi cristiani none diventata esistenza, del tutto, la verità di Cristo.  

Le domande che si pone Agostino per rifiutarne il senso: come mai è avvenuta l'incarnazione di Cristo in quel periodo di tempo e come mai così tardi? rimangono per noi senza risposta. Come dice Adrienne von Speyr non vi sono domande che ci riguardano in modo decisivo a cui non vi sia una risposta, ma ciò non implica potere essere curiosi di decisioni che riguardano la libertà di Dio, non la nostra. 

Il cammino dell'umanità che porta a Cristo parte da Abramo che lascia la sua terra e la sua identità, fidandosi dell'unico Dio. Riflettendo sui capitoli 16-21 di Genesi e seguendo un consiglio di Padre Paolo Dall'Oglio, ieri in una meditazione ho fatto vedere come il patto di Dio con Abramo, la sua decisione per la fede contro l'idolatria e la superstizione, ha una doppia linea: Abramo-Sara-Isacco (ebraismo, cristianesimo) e Abramo-Agar-Ismael (Islam). L'ebreo Gesù, come Logos universale e concreto, deve e sa unire queste due linee in se stesso, perché più di Abramo non solo ha saputo vivere la dimensione dell'abbandono della sua casa paterna, ma nella "teologia del sabato santo" è sceso nel profondo dell'abbandono da tutti, da tutti gli uomini e da Dio stesso (Adrienne von Speyr, Hans Urs von Balthasar). 

Il miracolo della nascita e della risurrezione di Cristo non hanno finito la loro efficacia con l'evento dell'Islam, perché in un certo senso l'Islam, pur nella sua relativa autonomia, è un momento della storia del giudaismo e del cristianesimo.  Nascita e risurrezione di Cristo ci ricordano che Gesù ha salvato l'intero uomo, corpo e anima! 

Nella teologia del sabato santo troviamo anche una risposta al dogma della dannazione eterna dei senza Dio (Agostino, Newman): la "sperava per tutti" (Balthasar) non è una gnosi (Origene, forse), ma la fede profonda nella definitiva e singolare salvezza portata da Cristo, fino all'interno dell'inferno. Chi sa cosa ha dovuto sopportare nei suoi buchi infernali Adrienne, sa bene che non esiste una speranza per tutti a buon mercato! 

(9.11.19) Come abbiamo sottolineato nel titolo del post: "Nessun ambito sulla terra è univocamente Babilonia, nessuno univocamente Gerusalemme". Balthasar, 1960, sulla "Civitas Dei" di Agostino, come dal punto di vista della percezione dell'uomo non è del tutto chiaro chi sia davvero dentro e chi sia davvero fuori dalla città di Dio, ma ciò non significa una prolificazione di città, non vi sono quattro città: due buone per gli angeli e gli uomini buoni e due cattive, per gli angeli e gli uomini cattivi, ma per l'appunto due città; in quella di Dio ci sono gli uomini e soprattuto (per quanto riguarda la gerarchia del valore, se ho capito bene Agostino) gli angeli. E nell'altra c'è il Nemico! Tutte le creature sono state create da Dio, il Nemico non ha creato nulla. L'unico creatore è Colui che è Eternità, Verità ed Amore. Per quanto riguarda la loro "natura" tutte le creature sono creature di Dio, ma alcune, per loro volontà e desiderio, hanno proiettato eternità, verità ed amore su stessi: si sono inebrianti con un pseudo potere. In Agostino il male non è una "necessità" come per Hegel. Chi sceglie il male scambia l'eternità per una sopravvalutazione oscura di se stessi; una verità certa per una furbizia senza senso ultimo; non si fa guidare più dall'amore gratuito di Dio, ma dall'arroganza, dall'inganno e dall'invidia. Tutto ciò che si fa nel male non è causa efficiens, ma deficiens. Insomma chi fa il male non fa il male, ma non fa il bene! 

La grande scelta a cui ci invita Agostino, come ho già detto, consiste nell'adorare Colui che solo è buono, solo è felice e il nostro compito di uomini e di appartenere e dipendere da Lui. Io, piuttosto sto con Hans Urs von Balthasar, nella Teologica I e non farei come Agostino che traccia un "confine" nella creazione tra chi ha coscienza e sensibilità e chi non c'è l'ha. Direi piuttosto che, certo in una forma minima, anche una pietra ha una sua intimità e partecipazione all'Unico bene. Comunque sia, Agostino ha ragione quando dice che vi è un solo bene immutabile, Dio stesso; noi siamo un bene relativo a quel bene unico, ma siamo mutabili e lo siamo perché a differenza di Dio siamo stati creati "dal nulla"; sarebbe importante fare alcuni passi nella comprensione di questo "nulla", che non è il nulla dell'amore gratuito, ma una contrapposizione all'essere; Dio non ha  bisogno di nulla per essere e di fatto è da sempre l'Immutabile (l'origine senza origine di tutto), non ha bisogno neppure di un "nulla sostanziale" per creare; la creazione "dal nulla" non è una contrapposizione dialettica; Dio crea pur non avendone bisogno, crea "per nulla", non solo e non primariamente "dal nulla"; cosa è allora questo "dal nulla": infondo si tratta del fatto che nella creazione dell'uomo o di un angelo Dio non presuppone qualcosa, se non se stesso e la sua volontà di creare ( e in un certo senso anche colui che vuole creare, una sua idea per esempio). Infondo quel "dal nulla", significa "per nulla", se non nel caso in cui in un processo di estraniazione da Dio il nulla diventa un "nulla sostanziale" che contraddice l'essere come amore, come dono. In quel momento il "nulla" diventa espressione del nichilismo. 

In cosa consiste la città di Dio (civitas Dei)? Nella dipendenza da Dio; appartiene a questa città chi dipende da Dio e può dire con il Salmo 73: 

[28] Il mio bene è stare vicino a Dio (è dipendere da Dio): 
nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, 
per narrare tutte le tue opere 
presso le porte della città di Sion.   

"Tutti coloro che partecipano a questo "bene"formano con Colui da cui dipendono e tra di loro una santa città (civitas, comunità), una civitas Dei" e questa comunione, dice Agostino vale in primo luogo per gli angeli. Mi spiego questa cosa così: gli angeli che hanno scelto Dio guardano sempre Dio e dipendono del tutto da noi; noi invece pur dipendendo, dipendiamo nella carne anche da altro (e questo non solo in senso negativo), per esempio da un buon bicchiere di vino. 

(11.11.19. San Martino) Chiediamoci ora più precisamente che cosa sia la "civitas Dei"? Essa non è identificabile con uno stato, neanche con uno stato in cui vi sia una maggioranza di cristiani (Jorge Mario Bergoglio, Albero Methol Ferré, Felix Varela...) e neppure con la Chiesa che cammina sulla terra. Agostino dice che esso è composto dalla Chiesa che è in cielo e da quella sulla terra, nello loro essere centrare in Dio: 

 "Sei tu il mio Signore, 
senza di te non ho alcun bene" (Ps 16,2) - nella traduzione dell'antologia di 
Balthasar: "Sei tu il mio Signore, perché non hai bisogno dei miei beni". Il culto principale della città di Dio è la giustizia. "Dove manca la giustizia non vi è certamente un'unione di uomini uniti da un'uguaglianza di diritti e di interessi", come lo deve essere la civitas Dei. La città di Dio è caratterizzata dai comandi di Dio, che vengono realizzati attraverso la sua grazia. Il culto liturgico e di giustizia ha solo Dio come suo ultimo senso. Mancando la giustizia le persone che fanno parte di questa città, non ne fanno parte davvero, per mancanze del corpo (mancano di governo corporale), dell'anima (mancanza di governo dell'anima) o della spirito (mancanza di un adeguato si alla missione che Dio ci ha dato). La città di Dio vuole che i suoi cittadini siano come un solo uomo che ama Dio in sé e il prossimo come se stesso. 

Nella città di Dio vige una differenza tra il sacerdozio di Melchisedec  che è eterno e quello di Aronne, che finisce con questo evo. Non saprei al momento come dividere bene i due ambiti. Sarei tentato di dire, ma non ho ancora tracce sicure in Agostino, se non la sua insistenza sulla giustizia come vero sacrificio, che il sacerdozio di tutti i fedeli in Cristo è eterno, mentre quello clericale finisce, con la fine di questo evo. 

L'unico mediatore tra Dio e l'uomo è Cristo, che è venuto nella sua "forma di servo" - credo che sia importante sottolineare ciò in modo particolare per il dialogo con l'Islam, che a sua volta conosce una singolarità di Gesù, anche se non come figlio di Dio. Per fare parte della città di Dio, bisogna portare il peso leggero della croce quotidiana e morire alla brame di questo mondo (sarà necessario distinguere tra brama e desiderio, forse più di quanto faccia Agostino). L'insistenza sui peccati sessuali secondo me non fa bene ad una reale comprensione, nel nostro mondo secolare, di cosa significhi "non adeguarsi al mondo". Per fare un esempio: ci sono giovani che non seguono il consiglio della chiesa di non praticare il sesso prima del matrimonio, che sono molto meno mondani di giovani tradizionalisti che seguono questo consiglio. Perché il sesso oggi è piuttosto una modalità per vedere se si é amabili, che una questione di volontà di potenza, mentre quest'ultima può esprimersi molto più nella brama di carriera. Etc. 

(13.11.19) L'unico peccato è l'arroganza, che ha come meta la propria gloria (Adrienne ed Agostino). 

La città di Dio ha una sua dimensione "pellegrinante"; gli uomini che sono in cammino verso Dio e che confessano Dio. Dio conosceva che l'uomo sarebbe caduto e non vi è sorpresa in ciò: Dio è il sempre più grande, il sempre più sorprendente, ma esso non è sorpreso né dalla nostra caduta né da altri eventi della storia del mondo; quindi tanto meno è possibile che Dio sia stato sorpreso per l'avvento dell'Islam nella storia del mondo, sei secoli dopo la Sua rivelazione definitiva in Cristo.

La città di Dio e quella del nemico vengono da Agostino descritte come la città di chi è umile e di chi è arrogante. La parola tedesca umiltà (Demut) contiene in sé la parola "coraggio" (Mut), un coraggio che porta l'uomo in alto, perché Dio è in alto, anche se sembra che uno "discenda" (de); mentre l'arroganza (Hochmut), anche se sembra sollevare l'uomo sugli altri (Hoch), lo spinge in basso: è un coraggio che spinge in basso, anche se si vuole sollevarsi in alto. Nello stato del pellegrino ciò non significa che l'uomo faccia tutto bene, anche quando è umile; come Adrienne spiega nel suo commento a Gv 7,18 chi cerca la gloria di Dio, a differenza di chi parla da sé e cerca la sua gloria, può anche sbagliare, le sue decisioni possono non essere giuste, ma alla fine non vi è falsità in lui, perché l'unica falsità è l'arroganza - su questo punto Agostino ed Adrienne pensano la stessa cosa.

Ovviamente quando siamo in dubbio non possiamo che seguire la nostra "coscienza", ma dobbiamo essere davvero così umili da distinguerla dal nostro "io senza compito" (Adrienne): per comprendere cosa sia il nostro compito dobbiamo disinteressarci dal nostro io e cecare solo il compito che ci ha affidato Dio (insomma la missione che ci ha dato). La città di Dio è quella in cui si segue non il proprio io (il proprio amore proprio), ma l'amore che è Dio, La differenza filosofica di Rosseau, tra "amore di sé" e "amore proprio", può essere d'aiuto; vi è di fatto un naturale "amor di sé": a questo pensa Gesù quando dice di amore gli altri come se stessi; l'amore proprio invece è profanamente negativo e da vita a quel egoismo personale e collettivo che sta caratterizzando la nostra epoca storica, per esempio di fronte ai grandi movimenti migratori. Ma questa distinzione di Rosseau non arriva fino alla dimensione della grazia, che consiste nel vedere il propio "io con un compito" che ci da Dio.

Il nichilismo può essere superato solamente quando ci pensiamo come mandati da Dio, insomma come appartenenti alla città di Dio. Agostino dice: "abbandonare Dio ed essere presso se stessi" (nel senso dell'amor proprio di Rosseau) "o compiacersi, non significa non essere, ma avvicinarsi al nulla" del nichilismo, non a quello dell'amore gratuito. "Per questo la Sacra Scrittura chiama gli arroganti, gente che si compiace di sé. Cosa buona è invece avere il proprio cuore in alto, ma non presso se stessi, perché questa è l'arroganza, ma presso Dio" (Agostino). Questa idea che l'egoismo e l'arroganza aumentano il "nulla" (il peccato come diminuzione dell'essere) si basa sul fatto che l'essere buoni fa parte della natura dell'essere umano e dell'essere in genere; è una questione ontologica e non di "buonismo" (volontà inutile di essere buoni). Chi non cerca di essere buono aumenta il nulla, la forza disgregante del nulla. L'arma che combatte tutto ciò è l'amore gratis (un'altra parola per "bontà): l'agire gratuito versus il nichilismo. Solo così possiamo contribuire a costruire, nello stato di "pellegrini", la città di Dio.

(18.11.19) Nello stato di pellegrinaggio in cui ci troviamo, non vi è dubbio che abbiamo a che fare con una 1. "costrizione dell'esistenza" e 2. con ciò che teologicamente si chiama "il peccato originale". 

Partiamo dal primo punto, che è posi solo una formulazione filosofica del secondo. "Anche il giusto non vive come vuole", afferma Agostino e ne spiega il motivo: non può per esempio vivere tanto quanto vorrebbe e qualora decidesse di uccidersi, toglierebbe la base, la vita, di qualsivoglia "volontà". Agostino è più preciso, ma per il nostro scopo introduttivo alla "città di Dio", è sufficiente questo accento. Io non credo che la "natura sia totaliter corrupta" (Lutero, primo Barth) e quindi interpreto Agostino non nel senso di una impossibilità radicale di formazione libera della nostra vita, ma è innegabile che vi sia una "costrizione". 

Per quanto riguarda il secondo punto, cominciamo con la Lettera ai Romani, 5,12: a causa di un solo uomo "il peccato è entrato nel mondo, e, con il peccato la morte, poiché tutti hanno peccato". Agostino interpreta il passo della Lettera ai Romani nel senso "che noi tutti eravamo in quell'uno che ha peccato". La nostra "nudità" ci provoca ora "confusione" e "turbamento", dice Agostino. È un'idea che viene recepita fino nella nostra epoca della psicologia del profondo che "eros" e "morte" si appartengono; non solo nel senso che i bambini che procreiamo sono mortali, ma che è mortale anche l'affezione erotica. Per quanto mi riguarda mi sembra importante ereditare l'idea di Agostino, che la morte non è una "legge della natura", è una conseguenza del peccato. Dove vi è la riduzione dell'eros a dominio sull'altro vi è peccato. E questo peccato ci porta la morte. Io non credo che il fine platonico del "dominio sul proprio corpo" sia un ideale cristiano, perché questo dominio è per l'appunto una forma di dominio. L'orgasmo erotico è "cedimento del dominio del nostro corpo" e questo mi sembra più cristiano di qualsiasi forma di dominio dell'anima sul corpo. Do, però, ragione ad Agostino quando difende l'idea del corpo immortale come superamento di ciò che vi è di caduco, pesante, opprimente, legato alla morte nel nostro corpo mortale. Credo che un eros vissuto nel legame con l'amore gratuito dell'agape sia un'immagine potente (anche se analogica) della vita eterna, anche se ovviamente, nella costituzione del corpo mortale, dopo l'orgasmo che unitivo, unitivo perché ci si fida dell'altro, giacciono due corpi l'uno accanto all'altro, incapaci di un'unità ultima, che è garantita solamente dall'amore corporale e vergine.

(Wechselburg, 21.11.19) Che cosa è la carne per Agostino? È davvero sorprendente per me che Agostino argomenti in modo del tutto non platonico - tantissimi dei suoi argomenti sono quelli che ho cercato di ordinare nella mia testa in questi anni, tentando di formulare i miei frammenti per una filosofia dei sessi. In primo luogo quello che la carne non è causa del peccato, tanto meno quello più grande dell’orgoglio - il diavolo non ha carne, ma la sua decisione „orgogliosa“ è all’origine del peccato. Per me decisiva è l’argomentazione che si può rinunciare a tutte le tentazioni della carne, nel senso abituale del termine, è peccare ancor di più nel senso di ciò che Paolo chiama i „peccati di carne“, che non sono solo e forse nemmeno primariamente quelli sessuali, ma odio, invidia, etc. Noi dobbiamo cercare di vivere secondo Dio, che è Amore gratuito ed assoluto e non „secondo noi stessi“. Ascoltiamo questo passaggio di Agostino: „La caducità del corpo non è la causa del primo peccato, ma la pena e non la carne nella sua caducità ha fatto si che l’anima si caricasse di una colpa, ma l’anima colpevole ha reso la carne transitoria“ (Agostino). 
Queste riflessioni sono per me fondamentali per comprendere cosa sia la „civitas Dei“ - essa non è una realtà solo spirituale, quasi che il Verbo, il Logos universale e concreto non sia mai diventato „carne“. 

(Wetterzeube, 23.11.19) - Sul desiderio sessuale e sul matrimonio

Agostino non è un partner sgradevole per riflettere su una possibile teologia e filosofia dei sessi, in primo luogo perché parla in modo preciso (senza peli sulla lingua o in modo troppo vergognoso) e si capisce la sua posizione e poi mette la brama sessuale nel contesto di altre brame: di avere, di potere, di fama, di soldi, di voler aver ragione, etc. Io non condivido la sua interpretazione di Mt 19, 4 sg. ma ci sono tanti punti nella sua posizione che fanno riflettere e che una filosofia dei sessi non può ignorare. In primo luogo non si può ignorare la concatenazione di queste "brame" che devono essere parificate in "desiderio".

In primo luogo dobbiamo porci la domanda sul perché Agostino parli di questo tema nel "De civitate Dei" - il numero dei santi in essa non è piovuto dal cielo, ma è stato voluto da Dio, attraverso l'unione sessuale, voluta già nel paradiso terrestre e non solo dopo il peccato originale, anche se non possiamo immaginarci bene, secondo Agostino, come l'unione sessuale sarebbe accaduta senza il peccato che l'uomo ha compiuto in primo luogo nel suo cuore (anima, spirito), non nella sua carne; comunque Agostino afferma che il corpo dell'uomo e della donna sono fatti per unirsi, per diventare una "carne sola" (Gesù) e così per aver figli, che saranno i santi che riempiranno il numero voluto da Dio per la sua "città".

Agostino ha ragione nel descrivere la "vergogna" subentrata dopo il peccato e che ha che fare con il desiderio di dominio dell'uno sull'altra, ha ragione a dire che i nostri genitali non si muovono solo per libero arbitrio, ha ragione anche nel descrivere che durante l'orgasmo il pensiero e la coscienza sono quasi del tutto spenti, estinti e cancellati; ma questo, se si prende sul serio il movimento di finitizzazione del dono dell'essere, che è un movimento di "annullamento di sé" per amore e non per dominio, non è qualcosa di sbagliato; se ciò che dico è vero, è pensabile che anche una qualsivoglia forma di unione sessuale tra maschio e femmina prima del peccato originale avesse contenuto in sé la dimensione del piacere.

Il fatto che questo tipo di piacere poi venga vissuto nel segreto, sia quello violento e peccaminoso, sia quello con una prostituta, tollerato dallo stato romano, sia quello legale matrimoniale, non testimonia che si tratti sempre di qualcosa di cui si debba vergognarsi. Anche l'orgasmo innocente non si vuole viverlo pubblicamente. Perché è una gioia fatta per i due e non pubblica e non perché sia peccaminosa. Anche la dimensione liberale non limitata ai due, o non solo al maschio e alla femmina, non la si vuole vivere in uno stadio.

Agostino conosce anche la dimensione polimorfa del sesso e la interpreta come peccato; io penso che nella nostra epoca in cui si sa di più sulla struttura del desiderio sessuale femminile e maschile (Lacan, Recalcati ) sia necessario prendere distanza da questa interpretazione restringente del peccato e limitare esso in quelle forme in cui l'altro è solo un oggetto della nostra volontà di dominio; ma se qualcosa mi eccita sessualmente (fosse anche un rapporto omosessuale) non è da subito e solo interpretabile come "forma di dominio".

Ovviamente stiamo parlando qui della "città di Dio" nel suo stato di "pellegrinaggio terreno"; per quanto riguarda la Gerusalemme celeste, la "città di Dio" nella suo stato definitivo, vale quello che Gesù dice in Luca 20, 27-40, da cui cito questo passaggio: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e dalla resurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito; infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio". Nella Gerusalemme celeste, in cui sono superate per sempre ogni forma di "annullamento di sé" non ha neppure più senso l'orgasmo come lo ho spiegato sopra. Saremmo figli della risurrezione e di una gioia sorprendente ad essi adeguata.

Come ci spiega anche Tommaso d'Aquino, tra l'altro citando anche Agostino: "La prima cosa che si compie nella vita eterna è l'unione dell'uomo con Dio. La vita eterna consiste...nella perfetta soddisfazione del desiderio" (Tommaso, Conf. sul Credo, Opuscola theologica, 2); anche nella valorizzazione dell'orgasmo compiuta da me, separandomi in ciò da Agostino, ovviamente, non posso sostenere che esso sia una "perfetta soddisfazione del desiderio". "La ragione (non solo del mio esempio) è che nessuno può in questa vita appagare pienamente i suoi desideri, né alcuna cosa creata è in grado di colmare le aspirazioni dell'uomo. Solo Dio può saziarlo, anzi andare molto al di là, fino all'infinito. Per questo le brame dell'uomo si appagano solo in Dio, secondo quando dice Agostino: "Ci hai fatti per te, O Signore, è il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in te". I santi, nella patria, possederanno perfettamente Dio. Ne segue che giungeranno all'apice di ogni loro desiderio e che la loro gioia sarà superiore a quanto speravano" (Tommaso d'Aquino, ibidem) - questo ovviamente relativizza anche l'idea di un paradiso con vergini e vino, come forse è presente nell'Islam. Padre Dall'Oglio ne parla nel brano che ho citato nella mia meditazione di questa mattina su Newman e Dall'Oglio: "i mussulmani potranno bere vino in paradiso, ce né sarà a fiumi" (2007), citato in La profezia messa a tacere, a cura di Riccardo Cristiano, Milano 2017, 113. "La vita eterna infine consiste consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi", cosa che corrisponde a quel vino dell'ospitalità e dell'amicizia di cui parla Padre Dall'Oglio in riferimento ancora una volta ai fratelli mussulmani e che può essere condiviso da loro e da noi anche nella vita terrena.

(25.11.19) Sul tema corpo e carne: mortalità ed invecchiamento

Con ragione Agostino ci rende attenti al fatto che il nostro corpo animato non è ancora "spirituale" come quello dopo la risurrezione, è un corpo mortale e che invecchia. La differenza tra "corpo animato" e "corpo spirituale" è di grande utilità per cercare di comprendere che tipo di corpo noi avremo dopo la risurrezione. Quello del "paradiso terrestre" era anche animato e non ancora spirituale, solo che senza il peccato il passaggio dall'uno all'altro non sarebbe passato per la "morte" e quindi attraverso la separazione tra anima e corpo, sarebbe piuttosto successo in modo graduale. Mentre la morte è una rottura, che però, secondo me, nelle parole di Cristo, può essere "temperata": se mangiamo del suo corpo non moriremo, anche se moriremo, dice il nostro Signore. Eros e Thanatos si appartengono, mentre nel "corpo spirituale" queste dimensioni del corpo animato finiranno; ma non finirà la gioia sempre più sorprendete del Dio che ha donato l'essere gratuitamente e che dopo la risurrezione lo donerà una sua dimensione definitiva, ma che non comincia dopo la morte, ma che è da sempre quello che è. Una vita eterna che cominciasse dopo la morte non sarebbe eterna. In questo senso anche eros e Thanatos hanno in sé una dimensione di eternità, sono per così dire una chance per comprendere cosa sia l'eternità, anche se ancora, almeno per la morte, sub contrario. Anche l'invecchiare è una chance e non solo una pena. Il castigo che abbiamo ricevuto dopo aver lasciato il paradiso terrestre: una procreazione ed un lavoro faticosi sono anche dimensioni della dignità e della gioia dell'uomo, come si vede nel dono dei figli (e nella dimensione del piacere, come ho cercato di spiegare precedentemente) e nella dignità del lavoro.

(28.11.19) Sulla passione

Agostino è davvero un pensatore interessante: le sue argomentazioni non sono per nulla scontate e se si legge attentamente, forse anche due o tre volte lo stesso passaggio, ci si accorge che egli apre delle vie che arrivano (nel senso che possono essere comprese) fino nella nostra epoca "trasparente", "psicologica". Il tema della meditazione odierna ha a che fare con la "passione" (perturbatio, passio); mentre per i platonici la "passio" è qualcosa di negativo, per Agostino essa è una "vox media" - dipende dal contenuto, per certi contenuti non avere alcuna passione è, per Agostino, alcunché di totalmente negativo ed averne invece può essere del tutto positivo.  

La prima difficoltà che abbiamo con Agostino in questa nostra epoca è con l'affermazione che "desiderio" (brama) e "piacere" sarebbero "volontà", come anche lo sarebbero "paura" e "tristezza"; Agostino stesso poi specifica: "sentimenti" come "piacere", "tristezza" accadano anche senza la nostra volontà: posso cominciare a piangere di gioia o tristezza anche se non voglio (esempio di Agostino), come posso essere attratto da una persona sessualmente anche se non voglio (esempio mio). Nell'ora sesta del breviario romano viene riportato il passaggio di Gal 5,6-17 con la forte contraddizione tra "spirito" e "carne" - sia Paolo che Agostino ci permettono di comprendere che con "carne" non è inteso solamente un certo desiderio sessuale, ma anche il desiderio di denaro, di aver sempre ragione, etc. Anche se vi è pure una "opposizione polare e feconda" tra carne e spirito (può essere certamente considerata cosa più importante il polo spirituale del riflettere e leggere un libro, ma a volte è meglio andare a nuotare o fare una passeggiata, anche se questo polo diciamo "carnale" è meno importante che quello "spirituale"), vi è certamente anche una contraddizione non feconda (per esempio quando in un discorso voglio sempre aver ragione). Interessante è l'osservazione di Paolo: "queste cose (carne e spirito) si oppongono a vicenda , sicché voi non fate quello che vorreste" - non mi voglio arrabbiare con uno scolaro, ma mi arrabbio, seppure vedo che in un certo caso non serve a nulla. Vi sono però cose che anche se le vogliamo non siamo capaci di fare ed altre che in qualche modo vogliamo pur non volendole al cento per cento. Per esempio voglio masturbarmi perché non ne posso più dell'inquietudine del mio corpo o per raggiungere una certa "soddisfazione", senza per questo volere la masturbazione al cento e per cento come ideale. Questo tipo di desideri non assoluti secondo me sono la conseguenza logica se si prende sul serio il fatto che le passioni non sono solo "volontà".

Nel contesto della "civitas Dei" Agostino si serve degli argomenti riguardanti le "passioni", perché anche i pellegrini di questa città fino a quando sono sulla terra, sentono queste "passioni" come paura, piacere, gioia ed anche Paolo nella sua grande missione per cristianizzare i pagani ha sentito tante di queste passioni che hanno gli uomini come la gioia o la paura o la tristezza. Solo nella "civitas Dei" definitiva, nella Gerusalemme celeste non vi saranno più queste passioni - qui sulla terra l'Apatheia stoica, per quanto in alcuni casi sia alcunché di desiderabile, non lo è in modo assoluto. Qualcosa di analogo vale anche per il paradiso terrestre. Ma per quanto riguarda la terra, spesso è già grande grazia quando non facciamo errori madornali. Secondo me questo realismo è necessario proprio per non farli o per minimizzarli.

(2.12.19) Vanità

Il titolo che abbiamo scelto: "nessun ambito sulla terra è univocamente Babilonia, nessuno univocamente Gerusalemme" trova nel tema della vanità una sua ulteriore spiegazione. Se ci fosse un'identificazione univoca saremmo in balia della "vanità", nel senso di una esagerata cura di far parte del partito migliore, della civitas migliore; vero è, invece, che succedono avvenimenti in cui accade ai saggi e agli stolti una stessa cosa: da ultimo che entrambi moriranno. Questo è il motivo che ci offre Agostino per obbedire ai comandamenti, perché solo essi danno una reale stabilità, qualcosa che dura e che non cambia: questa è la grande sfida per esempio del "non commettere adulterio"; nel matrimonio vi è la possibilità di essere in modo stabile e non cadere nella melma di cambiamenti soggettivi. Oggi spiegando ai ragazzi della decima classe Parmenide, ho cercato di approfondire questo punto dell'essere (on); nella realtà, negli altri e in noi stessi scoprire ciò che è stabile. Vogliamo essere preda di cambiamenti superficiali o vogliamo "essere"? Agostino dice che chi non osserva i comandamenti, "è nulla". Poi è possibile che vi siano persone che obbediscono ai comandamenti non a questo livello dell'essere, ma al livello delle apparenze, ma ciò non toglie nulla all'affermazione ontologica della realtà attraverso i comandamenti. Modifica l'atteggiamento soggettivo, l'intenzione. Io insisto a volte sulla necessità di percepire che c'è una melma in noi, che non possiamo ignorare, ma non metto in dubbio, che noi siamo in grado, per grazia, di seguire quei comandamenti che ci mettono al servizio dell'on: non uccidere, non mentire, non commentare adulterio, non chiacchierare sull'altro, non chiacchierare su Dio... I comandamenti non mettono in dubbio la possibilità legale di divorziare, che può essere vista anche come "libertà": nessuno può costringere l'altro ad una fedeltà in cui tu vieni distrutto, per esempio perché tuo marito ti picchia o violenta.

(4.12.19) Morte come castigo e come grazia

Non so se sia necessario pensare la morte solo con questo tipo di categorie: separazione dell'anima dal corpo; ma Agostino fa questa scelta e riesce a dire cose molto importanti sulla morte. In primo luogo in essa vi è una "violenza" innegabile ed ogni persona può fare i suoi esempi. Questo tipo di violenza non è buona per nessuno. Un cadavere per quanto possa essere bello ed in pace, non ha la stabilità di quella bellezza dinamica di un corpo vivo. Ci si può esercitare nella pazienza della sopportazione della morte, ma il suo carattere di castigo non può essere superato nella nostra vita terrena.

Allo stesso tempo, ecco l'altra "opposizione polare", per una "grazia magnifica" del Signore, ciò che era solo "punizione" (cfr. Genesi 3), diventa "promozione della giustizia", incremento d'amore: "il giudizio del peccatore diventa merito del giusto" (Agostino). Se l'immortalità del corpo seguisse subito al battesimo non avremmo più bisogno della fede; Gesù ci promette che se mangiamo del suo Corpo non moriremo, ma in genere (nel giorno della venuta definitiva di Cristo alcuni saranno vivi) ciò non significa che non dovremo sperimentare questa separazione dell'anima dal nostro corpo. Non credo neppure che vi sia una risurrezione "nella morte", ma "dopo la morte"; il "dopo" può essere simboleggiato in quel periodo di tempo tra la morte e la consegna liturgica a Dio di Colui che è morto. Credo infine che dopo la morte e prima della nostra risurrezione definitiva, alla fine dei tempi, potremo usufruire del "corpo di Cristo". La Gerusalemme celeste non è ripiena di fantasmi.

(4.12.19) Vorrei inserire in questo post sul "De civitate Dei" alcune riflessioni sull'Islam, perché io non credo che si possa fare oggi un discorso sulla "civitatem Dei" senza un discorso sull'Islam. Ci stiamo avvicinando al Natale e così credo che dovremmo prendere sul serio l'idea di Padre Paolo Dall'Oglio sulla "vita condivisa" tra mussulmani e cristiani. Purtroppo al momento non conosco nessuno che sia realmente mussulmano: la mia amicizia con una giovane siriana, su cui avevo scritto anche un articolo per "Il sussidiario", purtroppo si è interrotta, perché non vive più qui; l'avevo invitata nel nostro viaggio nelle Dolomiti e ci aveva letto, in un momento di preghiera, la sura a Maria, di cui parla anche Padre Paolo: "Nella sura di Maria, quand'ella, nuova Agar, si ritira nel deserto per partorire sotto una palma, il bimbo appena nato la consola proponendole acqua miracolosa e datteri e lui stesso parlerà dalla culla in difesa della Vergine Madre. Subito dopo è definito Parola di Vita, benché se ne rifiuti la figliolanza divina perché sentita come blasfema" (Dall'Oglio, 2007 citato in "La profezia messa a tacere", 117). Nella decima classe ho cercato di far comprendere che la promessa ad Abramo ha due polmoni: la linea Abramo-Sara-Isacco (Ebraismo) e quella Abramo-Agar-Ismael (Islam); forse il meglio della capacità integrativa cristiana dovrebbe mettersi al servizio di una mediazione tra i due polmoni. Questo potrebbe essere quel cuore di cui parla la piccola Teresa del bambino Gesù e del Volto Santo.

Klaus von Stosch ci fa comprendere che non abbiamo un problema di un'eccessiva, ma di una mancante sari'a (sharia). Non i paesi del Golfo, con cui noi Occidentali abbiamo patti economici e di guerra, ma paesi come la Nuova Zelanda, il Lussemburgo e i Paesi scandinavi hanno un grado elevato di sharia (cr. Vo Stosch, ibidem, 107). La sharia non è un problema come pensiamo noi qui in Germania, ma la sua mancanza; essa è un "metodo", una via verso le fonti della fede con una meta: più giustizia al cospetto di Dio. Nel mondo islamico vi è una grande discussione su cosa essa sia e vi sono più interpretazioni (meno per quanto riguarda i cinque pilastri dell'Islam, ma molteplice per quanto riguarda la vita umana in genere), se non fosse cosi il Gran Imam Al Tayyeb non avrebbe potuto firmare con Papa Francesco un documento sulla fraternità tra tutti gli uomini ad Abu Dhabi (questo ovviamente significa che non tutti i paesi del Golfo sono uguali) nello scorso febbraio. La sharia ha suoi principi che sono molto importanti per tutto il mondo: difesa della libertà di religione, dignità dell'uomo e del suo essere persona, della ragione, della famiglia e della proprietà. Essendoci una varietà di interpretazioni vi è anche in ciò una differenza tra letture conservative e liberali, ma vi è anche un comune giudizio: il terrorismo è arbitrio e violenza e non espressione della sharia. Il modo di sconfiggere il terrorismo islamistico dei "dittatori arabi" è solo uno dei modi e certo non quello che davvero aiuta al dialogo tra il mondo mussulmano e quello cristiano. Vero è che noi non sappiamo quasi nulla dell'altra religione e leggiamo solamente pensatori, che corrispondono al "liberalismo teologico" cristiano e che di fatto sono solo l'anticamera all'ateismo nichilista in cui soffochiamo. La "civitas Dei" è un luogo in cui tutti gli uomini di buona volontà cercano di camminare verso Dio, nella loro identità religiosa, ma senza alcuna simpatia per forme di fondamentalismo che separano "univocamente" Gerusalemme da Babilonia, Roma da Mecca, etc. In essa vi è spazio ovviamente anche per quegli agnostici che si vogliono mettere al servizio della fratellanza e cittadinanza tra tutti gli uomini (cfr. Riccardo Cristiano).

Il Natale non è un motivo di scontro nel dialogo islamico cristiano, come ci ricordava , Paolo Dall'Oglio: "nelle vie abitate dai cristiani, anche i mussulmani vanno volentieri ad ammirare le decorazioni natalizie e l'immagine del presepe è cara a tutti. Gesù bambino, dalla culla ci parla allora di pace" (ibidem, 117). Così è cosa molto buona che in una lettera apostolica il Santo Padre c'è lo ricordi:  "Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui" ( Papa Francesco,  http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/papa-francesco-lettera-ap_20191201_admirabile-signum.html?fbclid=IwAR1l50Sbp6Tz6E4ncGZZu51YaOqy2ndn_KE1I3B-n2vJ0eIcW5RvyhYJMok ).

(7.12.19) In un articolo-reportage del 7.12.19 Bernard-Henri Lévi ha raccontato le stragi brutali di un nuovo gruppo terroristico islamistico nigeriano, i Fulani: "Il Global Terrorism Index" li classifica al quarto posto nel mondo, dietro all'Isis, ai Talebani e, appunto a Boko Haram. Ovviamente con questo tipo di gruppi non è possibile fare un dialogo "ecumenico", ma questo tipo di realtà non contraddice quello che io ho imparato a conoscere con Padre Paolo Dall'Oglio, Padre Christian de Chergé, che tra l'atro sono stati uccisi e o rapiti da terroristi islamistici; non ho alcuna ingenuità sul tema, ma credo con Gesù che solo l'amore gratuito, disposto a farsi uccidere, sia la salvezza del mondo. Renato Farina mi scrive a commento di questo articolo di Lévi: "Li conosco i Peul del Sahel - erano un popolo gentile (questi pastori sono ora i Fulani; RG). Conobbi una picciola suora di Charles Foucault che viveva con loro. Charles de Foucauld visse tra i tuareg e i peul indifeso come quella piccola... eppure sapeva ... e scrisse: «Ogni musulmano crede che, all’arrivo del giudizio finale, arriverà il mahdì che dichiarerà la guerra santa e stabilirà l’Islam su tutta la Terra, dopo aver sterminato o sottomesso tutti i non-musulmani. All’interno di questa visione di fede, il musulmano considera l’Islam come la sua vera patria e ritiene che i popoli non-musulmani siano destinati, presto o tardi, ad essere sottomessi da lui, o al massimo ai suoi discendenti (Tamanrasset, par Insalah, via Biskra, Algérie 29 juillet 1916; https://gloria.tv/post/VtBx8hQyCqwa2CL6JpvgBjqTw)». Per i motivi sopra esposti non sono d'accordo con il mio amatissimo Charles de Jesus che "ogni mussulmano" pensi cosi, ma è certo che questi fratelli uomini terroristi non contribuiscono in alcun modo all'espansione della "civitas Dei". E devono essere fermati, non solo con la preghiera, ma anche con un'azione diplomatica internazionale e se non basta anche con mezzi più forti.

(7.12.19; Sant'Ambrogio) Vi è un passaggio in Isaia ed uno nell'Apocalisse che sembrano contraddire il titolo di questo post. Ascoltiamo la Parola di Dio:

Is 21, [9] Ecco, arriva una schiera di cavalieri, 
coppie di cavalieri". 
Essi esclamano e dicono: "È caduta, 
è caduta Babilonia! 
Tutte le statue dei suoi dèi 
sono a terra, in frantumi". 

Ap 18, 
[2] Gridò a gran voce: 
"È caduta, è caduta 
Babilonia la grande 
ed è diventata covo di demòni, 
carcere di ogni spirito immondo, 
carcere d'ogni uccello impuro e aborrito 
e carcere di ogni bestia immonda e aborrita. 

[3] Perché tutte le nazioni hanno bevuto del vino 
della sua sfrenata prostituzione, 
i re della terra si sono prostituiti con essa 
e i mercanti della terra si sono arricchiti 
del suo lusso sfrenato". 

[4] Poi udii un'altra voce dal cielo: 
"Uscite, popolo mio, da Babilonia 
per non associarvi ai suoi peccati 
e non ricevere parte dei suoi flagelli. 

[5] Perché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo 
e Dio si è ricordato delle sue iniquità. 

Sono testi molto importanti per una teologia della civitatis Dei.  Sembrerebbe che per uscire da Babilonia sia necessario identificare univocamente quale ambito della terra sia Babilonia; ma l'esperienza ci dice che ciò non è possibile; piuttosto tutta la storia della pedofilia e della corruzione nella Chiesa (anche nel Vaticano; ma grazie a Dio, come ha detto il Papa tornando dal Giappone, incominciano a funzionare i meccanismi di controllo interni al Vaticano stesso, voluti da Benedetto XVI e promossi anche da Papa Francesco) ci insegna il contrario; dalla Parola di Dio, però, impariamo che "Babilonia" per quanto continui ad operare, è sconfitta. I danni che provoca sono quelli della sua caduta! Possiamo uscire da Babilonia solo coltivando almeno un "barlume di santità" (Hans Urs von Balthasar). 

(7.12.19) Sull'immanenza della morte

Agostino si è confrontato sempre con grande genialità sul tema del "tempo"; noi stiamo riflettendo sulla civitas Dei nel tempo, insomma nel suo stato di pellegrinaggio. Spesso nella spiritualità cristiana si afferma che non si deve vivere né nel passato né nel futuro, ma nel presente - eppure è difficile comprendere cosa sia il presente, in questa sua natura di passaggio dal passato al futuro. Per quanto riguarda il nostro tempo che chiamiamo la nostra vita è certo che "nello stesso momento in cui si entra in questa vita mortale, comincia a prepararsi la morte" (Agostino); la nostra esistenza è un'esistenza che si muove verso la morte, un'esistenza per la morte (Martin Heidegger); allo stesso tempo con ragione Hannah Arendt ci ha aiutato a riflettere anche sul mistero della "nascita"; non vi è solo un'immanenza della morte, ma anche un'immanenza della vita e in modo particolare del suo inizio.

Una volta che la nostra anima sarà separata dal corpo (per usare questo linguaggio platonico), si chiede Agostino se saremo dopo la morte o nella morte; io direi che siamo in un nuovo inizio. Solo quella che noi cristiani chiamiamo la "seconda e definitiva morte", sarà una morte senza inizio. Questo pensiero è del tutto un mistero della giustizia di Dio; inforza dell'amore rivelato spero che nessuno faccia parte di questa morte senza inizio. A differenza di Agostino io penso che tutto sia in Dio; non è possibile una situazione come quella che Agostino descrive come inferno: unità del corpo e dell'anima senza Dio. Anche l'inferno, almeno come possibilità, è un possibilità in Dio, nella sua giustizia e nel rispetto della nostra libertà.

Quello che noi chiamiamo morte riguarda secondo me tutto l'uomo - non seppelliamo solo un corpo, ma un uomo, ma un uomo che non è vivo, ma per l'appunto morto, un cadavere. Forse è possibile pensare all'immortalità dell'anima, ma solo perché essa vive nel e del corpo di Cristo risorto! C'è un momento in cui noi siamo morti! Nello stesso giorno con Cristo potremmo essere nel suo Regno e il nostro essere morti sarà solo un passaggio, un nuovo inizio, ma non ho la forza speculativa necessaria per pensare questo mistero. Voglio solo dire che non dobbiamo fissarci sull'immanenza della morte, perché l'immanenza dell'essere donato è ben più forte e quello che succede con noi quando siamo cadaveri in vero dovrebbe essere solo oggetto di un atto di pietà: seppelliamo quello che siamo come cadaveri, ma nel grande mistero che Dio è e che amore eterno e sorprendente!

(10.12.19) Il tema della morte nell'Islam si lega alla questione della dignità e della ambiguità dell'uomo. Essa è la conseguenza dell'ambiguità dell'uomo. L'uomo è inteso nel Corano come il "governatore di Dio", un "governatore" che non serve se stesso, ma per l'appunto Dio. Tra il racconto della creazione e della caduta nella Genesi e ciò che viene raccontato nel Corano ci sono molte analogie. Una differenza consiste, però, forse, nel fatto che nell'atto della creazione stessa la Genesi sottolinea in primis la dignità dell'uomo e il fatto che la sua creazione è stata cosa molto buona, mentre nel Corano già nell'atto della creazione si comprende l'ambiguità dell'uomo. D'altro canto Adamo non viene solo scacciato dal Paradiso, ma diventa anche un profeta nel Corano: il primo profeta. Si eleva sopra quello stato di ambiguità e mancanza di costanza che lo ha portato ad assentire ai suggerimenti di Iblis, il satana coranico. Seguendo, però, gli orientamenti di Dio e obbedendo l'uomo diventa capace di quella dignità che Dio gli ha donato. Vi è un'inquietudine dell'uomo che lo porta a desiderare Dio - il Corano usa quasi le stesse parole di Agostino. La Dschihād è la lotta del cuore per superare le proprie inclinazioni al male e far spazio al Dio misericordioso.

Per quanto riguarda l'albero della conoscenza il Corano non ne parla, ma non direi che su questo punto abbia ragione Klaus von Stosch affermando che il Corano da più valore alla conoscenza che il testo biblico; la Bibbia ci rende attenti a due forme di conoscenza: quella in rivolta e quella della fiducia; sola la prima è condannata dal testo della Genesi. Sembra piuttosto che nel Corano si parli dell'albero della vita eterna. Così si esprime Iblis: "Il vostro Signore vi ha vietato di mangiare di questo albero solo per questo motivo: perché non diventate come gli angeli o addirittura perché non viviate in eterno" (Q 7:20). Così è proprio il desiderio della vita eterna, che non obbedisce al comandamento di Dio, ha portare la morte nel mondo.

(10.12.19) "Intercessione"

Per comprendere cosa sia la "città di Dio" dovremo comprendere quel pensiero che Padre Dall'Oglio chiama "intercessione": "Il cardinal Martini, nel suo soggiorno a Gerusalemme, ha voluto inter-cedere, passare di mezzo (...). Come cristiani ci sentiamo spesso al di sopra delle parti. A un professore israeliano di scienze politiche, ho detto, durante un convegno, che, nell'irrisolvibilità del conflitto israelo-palestinese, giudeo-arabo ed ebraico-mussulmano, il ruolo del discepolo di Gesù è quello di intercedere e nel proprio cuore riconciliare gli opposti" (Dall'Oglio, 2008). Questa posizione viene considerata dal professore israeliano come la più pericolosa, quasi che i cristiani potessero dimenticarsi della "loro storia antisemita quanto del loro passato coloniale". Dall'Oglio sa che non possiamo non considerare la critica, perché "noi che vorremmo crederci oggettivi ed imparziali, siamo invece schierati dalla nascita". Allo stesso tempo "sento che seguendo Gesù di Nazareth trovo come un'uscita di emergenza verso una solidarietà trasversale che si vorrebbe non violenta ma che non scomunica i violenti contrapposti" (Dall'Oglio). Senza questa "solidarietà trasversale" e senza questo tentativo di non scomunicare i "violenti contrapposti", qualora non si mettano decisamente e senza riserve ad uccidere tutti i suoi nemici, la "città di Dio" diventa a sua volta uno schieramento politico, che dobbiamo evitare se vogliamo metterci alla sequela di quell'agnello immolato che non ha immolato nessuno. Nel mio saggio del 2004 per la "Communio" americana sul come pensare la politica come cristiani tentavo di esprimere questa posizione trasversale anche in riferimento al conflitto in Irak di allora; ora sappiamo molto più di allora, ma anche nel caso degli USA non ci si deve lasciare andare a posizioni univoche di critica; io vedevo allora il mondo in dialogo con gli USA (scrivevo per l'appunto in una rivista americana), mentre Dall'Oglio lo vede di più nella prospettiva del medio oriente.

Nello stesso passaggio sull'intercessione Padre Dall'Oglio fa notare, con ragione, che bisogna tenere conto dei "sentimenti" e che la posizione razionale dell'intercessione non può dimenticare che per gli arabi "la celebrazione dei sessant'anni dello Stato d'Israele", tanto per fare questo esempio eminente, non può che essere sentita che come qualcosa di insopportabile, cristiani o mussulmani che essi siano. Come per me lo è, insopportabile, l'attacco alle torri di New York nel 2001. Se vogliamo tenere davvero una via di mezzo, dobbiamo diventare coscienti dei nostri sentimenti e dei nostri "schieramenti" in forza della nascita o della nostra formazione culturale.

Infine Padre Dall'Oglio tiene conto anche della follia; oggi in rete abbiamo a che fare con matti violenti che spargono odio senza fine; Dall'Oglio si chiede: "Ci rendiamo conto di quanto psicopatologici, sul piano socio religioso, siano i conflitti culturali odierni? Quali medicine ci riporteranno alla condizione "naturale" della carità fraterna?" (ibidem, 2008).

Queste riflessioni sull'Islam, proprio riflettendo sulla "civitas Dei", nascono da una presa di coscienza molto forte di quello che afferma Andrea Riccardi sull'universalismo cattolico e ciò non in rifermento solo all'Italia e alla Lega; con la AfD abbiamo in Germania un problema analogo: "Il clima e i cambiamenti politici indotti da una simile stagione porteranno a un’altra Italia, da un punto di vista socio-politico e antropologico. E quest’Italia, seppure ricorrerà ai simboli religiosi, non sarà favorevole alla Chiesa di popolo e di comunità, creatasi dopo il Vaticano II. Un’Italia sovranista non sarà incline all’universalismo cattolico, eredità dei papi e del Concilio, alla cui ombra sono cresciute l’Europa unita e tante visioni e azioni verso il mondo. Il nazional-cattolicesimo sarà lacerante nella Chiesa. Nel Novecento, i papi sono stati tenaci nel marginalizzare il nazionalismo cattolico (https://www.corriere.it/opinioni/19_dicembre_10/nazional-cattolicesimoun-pericolo-la-chiesa-e4169766-1b64-11ea-9c4c-98ae20290393.shtml?refresh_ce.)

(11.12.19) - Sull'immanenza del giudizio

Con ragione dice Charles Peguy: 

«Il nostro affare Dreyfus è l’ultimo frutto della mistica repubblicana. Siamo gli ultimi. Subito dopo di noi comincia un’altra età, un altro mondo, il mondo di coloro che non credono più a niente e se ne vantano.
Subito dopo di noi comincia il mondo che noi abbiamo chiamato
e continueremo a chiamare il mondo moderno. Il mondo che fa il furbo. Il mondo delle persone intelligenti;

progredite, scaltrite, delle persone che la sanno lunga,… il mondo di quelli che non hanno più niente da imparare.

Di quelli che fanno i furbi,… il mondo di quelli che non hanno una mistica

La medesima sterilità inaridisce la città e la cristianità.

La città degli uomini e la città di Dio. E questa è la sterilità moderna».

“La nostra giovinezza”, Charles Peguy - Senza una vera "mistica" non comprendiamo che il giudizio di Dio è immanente, anche se da noi non sempre comprensibile. In vero quasi mai comprensibile: come mai la Siria è in guerra da nove anni? Non sto parlando di una spiegazione politica, ma di una "spiegazione ultima", cioè escatologica.  Come mai un è presidente una persona che non ha il minimo rispetto delle leggi democratiche, che si fa beffa di handicappati? Che non permette il percorso regolare della giustizia nei suoi confronti. Come mai soffrono bambini innocenti e forse si interrompe la storia di una persona che avrebbe avuto la capacità di guida di una nazione? Ed un altro invece che si comporta male diventa anziano, etc. Come mai proprio in Europa, un continente con un numero altissimo di aborti, vive da settanta anni in pace? Come mai siede un innocente nel carcere? 
Poi non sappiamo, per una mancanza che sembra di metodo, come mai invece alcuni giusti hanno successo ed altri no e come mai alcuni ingiusti subiscono la pena meritata ed altri no. Alla fine ci sarà un giudizio, quello definitivo, è sappiamo che Dio è Amore e Giustizia e così sappiamo con certezza che vi è una logica che è giusto che noi non conosciamo, perché sarebbe un giudizio univoco, quindi fanatico sugli altri che non dobbiamo e non possiamo permetterci: "Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli mettere in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio" (1 Con 4, 5); stiamo ovviamente parlando di un giudizio escatologico e non di un giudizio legale di competenze dell'autorità civile o religiosa come nel caso del Corano, che conosce una "sharia".
Senza una capacità "mistica" di "reggere" (reggere l'incapacità di un giudizio univoco su ciò che appartiene a Babilonia e ciò che appartiene a Gerusalemme) tutto ciò si inaridiscono sia la città degli uomini che quella di Dio. È un sapere mistico quello che ci insegna che pur nella nostra comprensione, Dio non ha mai smesso di giudicare la storia: 
Salmo 149 


[1] Alleluia. 
Cantate al Signore un canto nuovo; 
la sua lode nell'assemblea dei fedeli. 

[2] Gioisca Israele nel suo Creatore, 
esultino nel loro Re i figli di Sion. 

[3] Lodino il suo nome con danze, 
con timpani e cetre gli cantino inni. 

[4] Il Signore ama il suo popolo, 
incorona gli umili di vittoria

[5] Esultino i fedeli nella gloria, 
sorgano lieti dai loro giacigli. 

[6] Le lodi di Dio sulla loro bocca 
e la spada a due tagli nelle loro mani

[7] per compiere la vendetta tra i popoli 
e punire le genti; 

[8] per stringere in catene i loro capi, 
i loro nobili in ceppi di ferro; 

[9] per eseguire su di essi il giudizio già scritto: 
questa è la gloria per tutti i suoi fedeli. 
Alleluia. 
L'opposizione polare tra la citazione di san Paolo e questo Salmo deve essere sviluppata in modo fecondo. Il giudizio che si deve (salmo) e non si deve tenere (Paolo) è un giudizio già scritto, quello appunto del Signore! E noi possiamo gloriarci solo nel  Signore! 

(13.12.19) "Non cosa, ma come uno soffre è decisivo" (Agostino) 

Ha scritto in una prefazione ad un libro di un gesuita italiano, Padre Francesco Occhetta, Marta Cartabia, la nuova presidente della Corte costituzionale italiana: "Da un lato sono i credenti chiamati a lavorare al cambiamento del mondo, sempre: in modo concreto e sincero, realistico, paziente, umano; dall’ altro, spetta anzitutto a loro non dimenticare che la salvezza del mondo ultimamente non viene dalla sua trasformazione, da una politica divinizzata e innalzata ad assoluto. I credenti partecipano al dramma e alla «bellezza della contraddittorietà del mondo» che E. Przywara segnala come cifra suprema di Agostino" (https://m.famigliacristiana.it/articolo/marta-cartabia-ochetta-politica-cristiani-non-guardate-la-vita-dal-balcone.htm?fbclid=IwAR0H_DxVZH9RHZDuB-K6_PFZ_r1OfxGs8nNzHOavyYS5zUf0tcrw2MtPqUQ.) E nello stesso articolo scrive anche: "In ogni tempo e in ogni condizione, la storia della salvezza è segnata da un instancabile invito a costruire e ricostruire con energia indomita la città dell’ uomo, sia essa Gerusalemme o Babilonia." Forse questa ultima frase non è del tutto chiara, anche se assomiglia molto al titolo di questo mio post. Bisognerà nel procedere del post chiarire se "Gerusalemme" sia per Agostino la città sacra, mentre "Babilonia" la città della porneia. Lascio per ora in sospeso il giudizio. Quello che davvero conta è l'osservazione che i credenti partecipano al dramma e alla bellezza della polarità del mondo! Non si tratta di fare confusione, né di fare una difesa delle contraddizioni, per cui non so del tutto felice con la parola "contraddittorietà" (non ho il testo tedesco per controllare cosa abbia scritto il Padre Przywara, ma Marta Cartabia centra il cuore del problema, così come ho imparato ad identificarlo, in questi anni dalla "Critica della teologia politica" di Massimo Borghesi. 

Facciamo alcuni nuovi passi con Agostino: in primo luogo vi è una constatazione che riguarda tutti, sia gli abitanti della città civile, sia quelli della città di Dio: l'intero genere umano si trova sotto il giudizio, non è al di là del giudizio, e tutti sono nella disobbedienza. Come si vede, solo guardandosi intorno, vi è tanta confusione e corruzione a tutti i livelli e l'educazione pur nella sua importanza, senza grazia, non offre risposte efficaci alla situazione teodrammatica in cui si trovano gli uomini. Tutto concorre a complicare la vita, anche il caso o le malattie o l'insonnia; tutto, anche l'amore è infetto di veleni diabolici; nessuna espressione della vita, da quella giuridica a quella sentimentale è priva di una macchia, anche le cose belle come un viaggio possono diventare faticose o coglierci nel nostro ultimo giorno, eppure in tutto vi è una grazia, che Agostino riassume così: "non cosa, ma come uno soffre è decisivo" e se ai giusti tutto andasse bene scambierebbero questa vita con la vita eterna. Tra i due atteggiamenti interiori: per Dio o contro Dio, nei due modi di vivere, per l'amore gratis o contro di esso, non vi è confusione, né essi sono intercambiabili, ma a noi è tolta la sapienza ultima per identificare se davvero in tutto ciò che facciamo apparteniamo "alla parte giusta"; se lo sapessimo saremmo nel grave pericolo di essere totalmente assorbiti dall'unico grande peccato: la superbia, l'arroganza! Proprio per evitare questo peccato non ci è permesso di distinguere in modo univoco tra la civitas Dei e quella terrena, che è e rimane "permixta". Anche qui, ripeto, sarà necessario fare un lavoro di definizione più precisa; per ora nel testo di Agostino i due modi di pensare e vivere sono distinti tra uno che cerca la vera gioia e uno che cerca la vanità, mentre nell'uso che ne fa la Cartabia si tratta piuttosto della distinzione tra stato e chiesa.