lunedì 27 maggio 2019

Considerazioni frammentarie sulle elezioni europee che seguo dall'Armenia

Yerevan. In primo luogo non sono per nulla d'accordo con chi dice che chi ha perso le elezioni è Papa Bergoglio. Per un motivo teologico: Il Papa non fa politica, ma è il vescovo di Roma e vicario di Cristo, che rappresenta per noi uno degli accessi alla vita eterna: Ubi Petrus, ibi ecclesia, ubi ecclesia vita aeterna (Sant'Ambrogio). Gli altri accessi sono Maria, Giovanni, Paolo...Per uno politico: le elezioni sono ricolme di elementi di speranza, anche laddove, come in Ungheria, Viktor Orbán ha preso più del 50% dei voti, mi ha detto un'amica ungherese che il suo partito "Fidesz" ha perso più di un milione di voti. 

Per quanto riguarda la questione della storia particolare di CL: se una storia particolare è un criterio importante, allora essa lo è non solo quando la si loda, ma anche quando la si critica. La presenza in rete di CL non dimostra solo un Movimento in cui vengono votate differenti partiti, ma anche una presenza massiccia di simpatia aperta o nascosta per Matteo Salvini, con il suo programma di "teologia politica" (affidamento al cuore immacolato di Maria...).

Non ho mai affermato che tutte le persone che hanno votato Salvini sono sceme, ma sono o degli egoisti collettivi oppure hanno paura (invasione di migranti e dell'Islam...), per cui la livello formale astratto capisco quello che afferma un amico e cioè che bisogna sapere rispondere alla loro posizione che trova in Salvini una risposta non adeguata, ma non capisco per nulla in cosa e come si deve fare per evitarlo . Quello ha fatto e sta facendo  Alexandria Ocasio-Cortez a New York (ma anche, forse meno coscientemente, Greta Thurnberg in Europa) consiste nello "spostare" la paura per i migranti nella paura ecologica per le sorti della "nostra casa comune" (Papa Francesco) e quindi in questo senso il voto di questa europee è andato bene perché i Verdi hanno vinto ed in Germania la AfD non ha raggiunto la percentuale di voti desiderati. Anche in Italia le grandi città come Torino, Milano e Roma si stanno rilevando immuni alle forme di populismo di destra.


La Germania ha fatto tantissimo sia per la Grecia, sia per i migranti anche se i giornali italiani non lo vogliono capire. Quindi non è vero che l’Italia è stata lasciata da sola sulla questione dei migranti. La questione vera è che c’è un’alternativa politica al momento: o uno appoggia il centro destra oppure appoggio il centro sinistra. Io ho votato CDU (sono un italiano residente all'estero, ma nelle Europee posso votare i partiti tedeschi) solo perché c’è Angela Merkel (la grande roccia politica contro il populismo alla Steve Bannon), se no avrei votato i Verdi.

Ovviamente conosco le obiezioni riguardanti le corruzioni, le incompetenze e gli errori del centro sinistra; nel mio blog avevo pubblicato un'intervista con un esponente di "Liberi ed Uguali" che conosce il PD di Torino dall'interno e mi ha fatto vedere quante incompetenze, etc. possono essere trovate in esso. Solo che non possiamo far altro che lavorare con il materiale umano che abbiamo a disposizione e la linea garantista e di dialogo tra i popoli del centro sinistra mi convince attualmente più di una politica nazionalista e che vive il diritto come "punizione", etc.

Conosco anche le obiezioni sulla inconciliabilità della "visone del mondo" del centro sinistra con la dottrina cattolica: se quest'ultimo dovesse essere il criterio del mio agire politico, dovei smettere di votare. Comunque una legge non mi obbliga a fare qualcosa (aborto...), ma vieta di fare certe cose (abortire dopo un certo periodo di tempo...). Nessuna legge può sostituirsi alla testimonianza cristiana, etc.

Cerchiamo di costruire l'Europa - pur con i suoi difetti - perché è la realtà che ci ha donato più di 70 anni di pace: che le nostre critiche siano costruttive e che la nostra presenza sia feconda nel dettaglio particolare che ci è dato di vivere. Che Dio ci dia la fantasia e l'intelligenza necessaria per fare una politica che non sposti solo la paura, ma crei la speranza!

Preghiera per l'Europa 
Padre dell’umanità, Signore della storia, guarda questo continente europeo al quale tu hai inviato tanti filosofi, legislatori e saggi, precursori della fede nel tuo Figlio morto e risorto.

Guarda questi popoli evangelizzati da Pietro e Paolo, dai profeti, dai monaci, dai santi; guarda queste regioni bagnate dal sangue dei martiri e toccate dalla voce dei Riformatori.
Guarda i popoli uniti da tanti legami
ma anche divisi, nel tempo, dall’odio e dalla guerra.
Donaci di lavorare per una Europa dello Spirito fondata non soltanto sugli accordi economici, ma anche sui valori umani ed eterni.
Una Europa capace di riconciliazioni
etniche ed ecumeniche, pronta ad accogliere lo straniero, rispettosa di ogni dignità.
Donaci di assumere con fiducia il nostro dovere di suscitare e promuovere un’intesa tra i popoli che assicuri per tutti i continenti,
la giustizia e il pane, la libertà e la pace.
+ Carlo Maria Martini


domenica 19 maggio 2019

Appunti per una teologia cattolica dei tre monoteismi - a partire da uno spunto di Henri de Lubac

Lipsia. L' ebraismo, il cristianesimo e l'Islam contraddicono le teorie dello sviluppo religioso, che hanno un certo senso per comprendere altre forme religiose. Prima della "Egira" gli arabi non erano per nulla un'unità, spiega padre Henri de Lubac. Gli ebrei festeggiano il loro trionfo come religione in un momento di declino e di prigionia. Gesù di Nazareth non sarebbe neppure stato percepito da una analisi sociologica attenta ai fenomeni religiosi importanti del tempo. 
Vi è una elezione che Dio fa! Non che fa il popolo o un singolo, che lo rende un Dio singolare che non è una via, una verità ed una vita tra le altre. Al cospetto di questo Dio la cosa più intelligente da fare non è festeggiare un trionfo religioso sugli altri, ma disinteressarsi a se stesso, per lasciare parlare sempre di più Lui. Usare questa sua singolarità per declassare le altre religioni monoteistiche non ha nessun senso, perché si tratta del "medesimo", anche se non dello "stesso" Dio (Robert Spaemann) - non è lo "stesso" Dio nelle parole che usiamo per parlare di Lui. Non tanto nelle Scritture sacre, ma nel modo in cui le interpretiamo. Anche sulla questione della Trinità, secondo Klaus von Stosch, c'è solo un passaggio nel Santo Corano che la contraddica esplicitamente, ma non è ben chiaro se non si tratti di una contraddizione di un'interpretazione difettiva della Trinità stessa. Anche con il buddismo, come dimostra l'amicizia tra Luigi Giussani e Shodo Habukawa, non dovrebbero nascere questo tipo di problemi - tanto più che il buddismo non ha un Dio personale che si metta in concorrenza con quello personale delle tre religioni monoteistiche. 
La mia insistenza sul Logos universale e concreto che è Cristo capace di integrare tutto ciò che è bello, buono, libero, vero non deve farci dimenticare la singolarità di Cristo. Può farsi sentire molto forte nella nostra intimità il suo "o con me o contro di me", ma questo invito non è mai rivolto contro il Padre, il medesimo Padre degli Ebrei e dei Mussulmani. Piuttosto contro nostre interpretazioni riducenti l'amore e la gloria di Dio.
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Caro (...) , sei tu l'esperto, io cerco solo di argomentare tenendomi stretto a ciò che dici e a ciò che so. 1. Secondo Klaus von Stosch la questione delle interpretazioni non è finita, l'Islam è una realtà vivente; insomma non c'è solo l'origine e ciò che è venuto dopo, ma ciò che potrà venire ancora - queste tre dimensioni sono connesse, ma non fatalmente incastrate: Lo Spirito soffia dove vuole, questo vale anche per l'Islam. Questo è anche il motivo per cui ritengo provvidenziale e geniale ciò che sta facendo Papa Francesco - dialogare in primo luogo con le forze che vogliono il dialogo (Emirati, Marocco e ancor più il grande Imam Al-Tayyeb - per il quale e con il quale io prego spesso a livello interiore), senza perdersi in analisi solo politiche - per esempio sul ruolo degli Emirati nella guerra in Yemen; 2. Per quanto riguarda il punto che il cristianesimo non riconosce "la profezia di Muhammad" (sia rispettato il suo nome) io penso che anche nel percorso aperto dal Vaticano II sia possibile vedere una via da percorrere. La cosa più geniale che abbia letto è quella che ha scritto Padre Paolo Dall'Oglio: "Se imparassimo a leggere il mistero della Chiesa nell'esclusione e non solo nell'elezione" (cfr. Paolo Dall'Oglio. La profezia messa a tacere, a cura di Riccardo Cristiano, Milano 2017, 108). Sta commentando la vicenda di Abramo e di Ismaele e le lacrime di Agar (Gen 21,8-21), Insomma vi è un'esclusione che può essere letta come "figura polare" (per l'espressione cfr. Romano Guardini, Papa Francesco, Massimo Borghesi) dell'elezione e non come sua contraddizione. Sta commentando una persona che ha vissuto in un convento, Dair Mar Musa al-Habaschi („Kloster des heiligen Moses von Abessinien“), per trent'anni con mussulmani e che ha pagato/ sta pagando con la sua vita per quello che credeva. 3. Wael Farouk ha sottolineato più volte che la singolarità di Cristo non è negata dal santo Corano e sta scommettendo la sua vita, in dialogo con l'esperienza di Comunione e Liberazione, sull'importanza che i singoli credenti e non solo le "forme" a cui appartengono, hanno per lo sviluppo di una religione. 4. La frase di don Giacomo Tantardini, in riferimento a sant'Agostino, è geniale perché mette in evidenza, basandosi su tutto un sapere dei Padri della Chiesa, per cui quest'ultima è come la luna e Cristo è il sole, perché ci ricorda il momento cruciale della nostra confessione di fede, quella che stiamo sentendo in questi giorni nella lettura del Vangelo di san Giovanni: non credete che io sono nel Padre e il Padre è in me (cfr. Gv 14)? Un abbraccio a te e a tutta la tua famiglia, r

(14.06.19) Henri de Lubac mit permette di riflettere sul "perdurare di una religione" e sulla sua "singolarità"; tema questo importante per il rapporto con gli altri "monoteismi", ma non solo. Egli cerca una via al di là sia dell'evoluzione che della rivoluzione. Quasi che il perdurare di una religione e la sua singolarità siano solamente la sua evoluzione o che invece essa implichi la rivoluzione dialettica di tutto ciò che c'era prima del nostro assenso religioso. in un periodo come il nostro è di vitale importanza riflettere sull'asserzione di 1 2 Corinti 1, 

[19] Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì".  

In Cristo c'è solo un sì che non è dialetticamente vivo in forza di un no, o di un contro. Noi non siamo credenti, perché non siamo più non credenti o pagani. Diciamo il nostro si, perché uno ha detto si a noi, insomma perché ci ha chiamato. Alcune antitesi o alcune sintesi vengono poi dopo (perché non possiamo far altro che pensare), ma non è il primo passo; non lo è perché non è il nostro primo passo dialettico, ma il Suo primo passo che non si trova nel moto dialettico: tesi, antitesi e sintesi.

Per quanto riguarda il permanere della religione, problema che si pone anche don Carrón, in rifermento al permanere del primo amore che abbiamo avuto per Cristo e che i discepoli hanno avuto per Cristo, de Lubac parla di "radici". La grazia sovrannaturale non è mai "superficiale", si radica nell'umano! De Lubac dice che bisogna stare attenti a non confondere "condizioni" con "cause". L'unica causa del permane di Cristo nella storia e Cristo stesso, poi ci sono delle "condizioni" o "modalità" dell'accadere, ma esse non sono mai la causa dell'accadere stesso. Anche la Chiesa è solo la "luna", mentre è Cristo che è il "sole". 

Per quanto riguarda la singolarità, essa accade in una "storia" in cui l'uomo riceve una "missione": Abramo quella di lasciare la casa paterna, Mose quella del ricevere la legge; Isaia quella di vedere la gloria di Adonai nel tempio, Gesù quella di rivelarci che il Padre è più grande di tutti. Ma  è proprio più grande di tutti perché non ha bisogno di un paragone, se non quello espresso da Karl Barth, in  modo molto radicale: "quando si è visto il vero Dio tutti gli altri dei cadono nella sabbia ed Egli rimane l'unico"; come quando si è vista la donna amata essa rimane unica, senza il bisogno di distinguersi/la dialetticamente dalle altre donne sulla faccia della terra. La preoccupazione prima di Cristo non è quella di predicare la vanità del mondo e dei suoi dei, ma di annunciare la bontà del Padre, in forza della sequela della sua persona.  

La chiamata di Dio crea nuovamente la nostra persona! Nel dono dell'essere diventiamo una persona, nella chiamata di Dio accade anche una nuova creazione, che non distrugge la prima: la nostra missione sulla terra è il compimento del dono dell'essere, la sua figura ultima, di cui di fatto non esiste una "psicoanalisi". In ultima istanza, anche se un buon psicanalista può essere di grande aiuto (per esempio per discernere forme assurde e malate di sacrificio), quest'ultima rimane un fenomeno dell'ateismo, per de Lubac. "Una psicoanalisi della fede non può che fallire" (De la coinaissance de Dieu, 1945, 1948 che leggo nella traduzione tedesca di Robert Scherer e Cornelia Capol, Einsiedeln 1992, 31). 

giovedì 16 maggio 2019

Come non essere infatuati della propria storia - un confronto con la storia particolare che vivo. Riflessione su CL

Lipsia. "Con questa duplice supplica: “non abbandonarci” e “liberaci”, emerge una caratteristica essenziale della preghiera cristiana. Gesù insegna ai suoi amici a mettere l’invocazione del Padre davanti a tutto, anche e specialmente nei momenti in cui il maligno fa sentire la sua presenza minacciosa. Infatti, la preghiera cristiana non chiude gli occhi sulla vita. È una preghiera filiale e non una preghiera infantile. Non è così infatuata della paternità di Dio, da dimenticare che il cammino dell’uomo è irto di difficoltà. Se non ci fossero gli ultimi versetti del “Padre nostro” come potrebbero pregare i peccatori, i perseguitati, i disperati, i morenti? L’ultima petizione è proprio la petizione di noi quando saremo nel limite, sempre." (Papa Francesco, nella catechesi romana di ieri (15.5.19).

Ogni volta che leggo Tracce, la rivista internazionale di Comunione e Liberazione, vengo confrontato davvero con una "vita che allarga la vita" (Editoriale, Maggio 2019), ma anche con una infatuazione della paternità di don Giussani; mentre il Papa ci avverte che non dobbiamo essere infantili (cosa molto diversa dall'essere filiali) e infatuati della paternità di Dio (!) in tutto il servizio intitolato "America, Americhe" si incontrano persone che sono così entusiaste di Don Giussani da dire frasi ad effetto, che ovviamente non voglio mettere in discussione - questo sarebbe arroganza - ma che non giungono fino in fondo al mio cuore, pur essendo anche in alcuni casi molto utili. Il servizio presenta il viaggio di Alberto Savorana negli USA (dieci incontri in undici giorni) davvero straordinario e da cui ho imparato alcune cose importanti. E poi un viaggio di don Julián Carrón nell'America Latina in occasione della "Assemblea responsabili" tenuta in Brasile dal 29 al 31 di Marzo. 

Cerco di mettere ordine nelle cose che più mi hanno colpito. In primo luogo una frase di Helen Alvaré, professoressa di diritto negli USA: "L'esperienza di essere attratta verso Dio (1), con la domanda che questo fa sorgere, ha plasmato la mia persona". Proprio in questi giorni con il libro di Massimo Borghesi su "Ateismo e modernità" e con uno di Henri de Lubac sulle vie di Dio, ma ancor più con il desiderio di vivere un po' di silenzio alla sera, libero dalle serie di Netflix (che guardo per guardare cosa guardano i mie giovani e per vedere come suscitare in loro un desiderio che abbia a che fare con il loro cuore), mi parlano di un grande desiderio: quello di incontrare Dio come una presenza che salvi la mia vita. Una presenza da invocare, per non rimanere rinchiusi "nelle note a margine di una sconfitta" (Nadeem Aslan), come spesso è la nostra vita.   Ciò che mi è piaciuto nella professoressa Helen Alvaré è il suo desiderio di autenticità: lei è del tutto cosciente di come la Chiesa negli USA si sia impantanata in una storia da cui sarà difficile uscire. Vede in Giussani un maestro del "dialogo" e dell' "obbedienza", da riscoprire in "piccoli gruppi locali, movimenti, parrocchie o gruppi universitari" (Tracce, 27), quindi un maestro che ci insegna ad uscire dalla melma in cui ci troviamo. Greg Erlandson, giornalista, specifica, senza richiamarsi alla professoressa, che che è importante vedere queste piccoli gruppi non come "rifugio" (Tracce, 29), non come "intimità religiosa" - questo sarebbe "congregazionalismo ideologico" di stampo protestante che non "allarga la vita. 

Di grande aiuto è stato per me anche una frase di Timothy O'Malley, direttore didattico: "Prima di tutto il cattolicesimo deve passare da un un rigido conservatorismo alla riscoperta del vero senso di ciò che questa istituzione  - la Chiesa - è in primo luogo. La Chiesa in realtà è un incontro con l'avvenimento di Cristo". Anche nella mia realtà tedesca, la Chiesa si trova in una gabbia degli estremi: da una parte un progressismo che non vuole sapere più nulla della tradizione della Chiesa (con la richiesta del sacerdozio per le donne, etc.) e dall'altra un conservatorismo così rigido che vede "nemici" o "problemi" dappertutto (un conservatorismo che mette in grave difficoltà l'esperienza viva del carisma): nell'Islam, che magari si presenta con un certo rispetto, ma facendo vedere come la Chiesa sa meglio chi sia l'uomo e chi sia Dio (cosa che in un certo senso è vera, ma non è lo mai per la persona come ciò fosse una sua proprietà, una sua ousia, invece che un dono del tutto inesprimibile); vede problemi nella omosessualità: anche in questa esperienza si vede in primo luogo un difetto, un problema da curare e non una domanda che viene rivolta a noi eterosessuali. "Molto di ciò che Giussani faceva era un esperimento", afferma con ragione O'Malley. Io vedo poche persone che nel Movimento "esperimentano", vedo molti che ripetono frasi. Per me che vivo da 17 anni in una delle regioni più secolarizzate del mondo e in cui mi gioco tutta la mia vita, cercando Dio -  di Te a sete l'anima mia, te desiderávit caro mea, in terra deserta - ho dovuto, con mia moglie e i miei figli, "esperimentare" tutto; o dovuto rinunciare a battaglie ideologiche, per raggiungere con fatica il cuore di alcuni. Alla festa della fondazione della nostra scuola è venuto, qualche giorno fa, un amico di Monaco di Baviera, responsabile della Fraternità nella capitale bavarese, Stephan Scholz: ciò che mi ha colpito è stata la sua attenzione, ho avuto la sensazione che non fosse venuto con un discorso da farmi, anche se ha tenuto la conferenza principale della festa, che era un rinvio a storie concrete di persone da lui incontrate in Libano, in Irak, etc., ma per incontrarci, curioso del nostro esserci, della nostra esistenza in questa esperienza spesso estrema, perché del tutto secolarizzata, in cui ci troviamo ad agire. 

Non so se sia possibile incontrare persone che non deludano, come si esprime Savorana, che ci tiene a dire, e questo gli fa onore, che negli undici giorni ha vissuto da famiglie e non in Hotel, potendo così sentirsi a casa in una "assoluta continuità con l'esperienza che vivo a Milano" (Tracce, 17); non so se Scholz ha vissuto nelle ore che ha passato nella nostra scuola e nella nostra casa un' "assoluta continuità" con l'esperienza che vive a Monaco, ma è davvero necessario quel "assoluto"? Assoluto è solo Dio e il Papa ci ha invitati il 7.3.2015 a decentrarci da quella "assolutezza" del carisma. Non so neppure se sia possibile in un viaggio di undici giorni, con dieci tappe, "tenere gli occhi aperti" come gli ha detto Don Carrón prima del viaggio: quali esperienze del Movimento si incontrano con un tale velocità di cambiamento di tappa? Certo la necessità di presentare un libro suo portare a fare anche questi tour de force, ma sono davvero necessari per seguire Gesù, anche se si incontrano persone davvero straordinarie? San Alberto Hurtado si esprime così: "Alcuni trovano solo in una vittoria per il cattolicesimo il successo politico. La cosa cruciale per loro è il successo di una mossa politica, la vittoria di un partito, lo scambio di un ministro, la nomina di una professoressa..... Altri apprezzano un'impressionante fiaccolata, un grande Meeting, la creazione di una rivista... Tutto ciò serve (!), ma non è l'essenza del cattolicesimo". 

Tra le cose che ha espresso don Carrón a San Paolo in Brasile mi ha colpito in modo particolare una frase che ho messo immediatamente nel gruppo "I Contadini di Peguy": "Se la politica non torna ad essere educativa, sarà difficile che cambi e vada nella direzione che desideriamo" - lo vedo in questi giorni, prima delle elezioni comunali ed europee nella mia bacheca di Facebook - come è difficile liberarsi da parole populiste e dialogare davvero insieme e come sono stupire le persone quando ciò un po' accade. 

Infine ritorno all'inizio: se Cl vuole essere una reale una esperienza di "una vita che allarga la vita", si dovrà davvero cominciare con un reale "atteggiamento di confessione": molte persone, quelle più autentiche, sono speso deluse perché nella rete e in alcune comunità, guidate da persone per periodi di tempo (25 anni) fuori da ogni senso ecclesiale, non incontrano una novità che davvero esperimenta, in una connessione vitale tra obbedienza e libertà, novità e tradizione, ma solo quel "sistema cl" di cui spesso ho parlato nel mio blog e che a parte negli amici più cari, genera piuttosto imbarazzo e silenzio - non quello santo, ma il mutismo di chi non sa come incontrare questo cuore irrequieto che sono e rimango, anche dopo la lettura di Tracce. Non abbandonarci Padre, liberaci dal male! 

PS È per me un segno di infatuazione della propria storia come vengono citate le frasi dei grandi sul Movimento. Per esempio la famosa frase di Balthasar, quando Giussani gli disse di ammirare il suo lavoro: "Si, ma lei ha creato un popolo"; a parte che vorrei sapere che cosa si nasconde quel "si" nell'originale tedesco o francese che sia; Balthasar ha detto certamente la verità (come tra l'altro l'ha detta Giussani), ma era un uomo anche estremamente umile, che reagisce ad un complimento con un altro complimento. Ma Il Signore non ci fa incontrare questi grandi solo perché sentire l'ammirazione che hanno per noi. 

PS (17.5.19) Ho letto con attenzione e lealtà ieri alcune parti del numero di maggio di Tracce; il risultato di questo "ascolto" leale si trova in questo post, scritto ieri, come si vede ho imparato molto. Non c'è nessun bisogno di leggere le cose che scrivo, perché io stesso devo imparare che la rinascita dell'io e il disinteresse per il proprio io sono due facce della stessa medaglia. Se, però, qualcuno vuole avere a che fare con me non potrà avvolgersi in mutismo in riferimento a ciò che ho scritto qui; ovviamente ognuno ha i suoi tempi e tutti abbiamo molto lavoro (il fatto che io riesca a conciliare un'attività lavorativa forte con una presenza forte in rete, è un dono e non un merito) e quindi uno è libero di non leggere ciò che scrivo e sentirmi ugualmente come amico. Ma chi in modo arrogante e senza la minima capacità di ascolto crede di poter dar un giudizio veloce su questo post ha interrotto la amicizia con me (non io, ma lui l'ha interrotta). Gli auguro un buon viaggio nel suo cammino, ma lo prego anche di non ferirmi con banalità e volgarità a cui non ho intenzione di dare alcuna risposta. Che io abbia una amicizia e una preferenza particolare per questa storia, lo su può vedere anche solo dando un'occhiata veloce ai titoli del mio blog e che tenti di testimoniare la risurrezione di Cristo nel mondo in cui vivo, credo lo si veda abbastanza. Veni Sancte Spiritus, veni per Mariam!  

(1) Aggiungo qui una meditazione che ho condiviso il 18.5.19 in un "gruppo chiuso" in Facebook dedicato ad Adrienne von Speyr, che spiega cosa sia un'attrazione cristiana di Dio: 


"Dio ha chiamato l'uomo peccatore ed ha parlato con lui" (Adrienne)

Tutto comincia con un "primerear" (Papa Francesco), in modo particolare la preghiera:

"La preghiera non è una parola rivolta dall'uomo a Dio, ma un dono che Dio ha fatto a noi uomini nella sua Parola" (Adrienne). Alle volte gettarsi a terra, per sentirlo è più preghiera che mille parole. Anche quelle del "breviario" non sono parole spontanee, ma parole di una elezione, che supera le nostre scelte.

Anche la preghiera può essere ridotta ad una forma di "autoconvincimento" (Don Giacomo Tantardini) (come l'appartenenza ad una certa comunità) - quest'ultimo è il contrario del sentire il silenzio di Dio, dell'essere inserito nel Suo silenzio.

Ovviamente non può esserci una chiamata alla preghiera di un convento di clausura per autoconvincimento, ma anche la preghiera del laico nel mondo finirebbe molto presto, se fosse autoconvincimento.

Sento in questo tempo molto forte il desiderio che Egli parli, non che io parli. Il desiderio che Egli mi esponga a quel dialogo che vuole fare con me.

Nel capitolo quinto del suo libro Suor Cristiana Dobner,  Nella via mistica di Adrienne von Speyr. Un tentativo di fenomenologia teologica, Torino 2019, parla dell'origine della preghiera, anche di quella contemplativa in cui si lasciano "ambiente, amici, abitudini, parentela" per essere esposti al silenzio di Dio ed al suo manifestarsi come Dio trinitario - non come un nome, ma come una realtà. Non si tratta di una fuga dal mondo e dalla storia, ma un mettersi a disposizione dell'Unico!

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Aggiunte 27.5.19

I.

Considerazioni sul Carmelo e su Comunione e Liberazione 

In dialogo interiore con Suor Cristiana Dobner, carmelitana, imparò che anche nel movimento ci sarebbe da fare quel passaggio alla “piccola via” che è stato compiuto dalla piccola Teresa di Lisieux, mentre spesso, nel Movimento, regna un voler rimanere tali e quali come si era all’inizio, in forza della personalità psicologica grande di Don Giussani. Ma la forza psicologica di Don Giussani non è la vera forza. La vera forza è quella della sua missione. Per essere davvero santi bisogna arrivare al punto che Don Giussani kata sarka (secondo la carne: psicologicamente, sociologicamente) non sia più il nostro pensiero dominante. La sua missione ecclesiale, cioè il suo modo di vivere oggi il “sentire cum ecclesia” deve essere messo in primo piano. Quando ho di nuovo il computer poi approfondirò questo pensiero.

II.

Considerazioni sul Carmelo e sul Movimento di Comunione e Liberazione - un approfondimento 
Io sono del tutto d’accordo con chi pensa che Don Luigi Giussani non ha vissuto quella che un amico chiama “inversione della personalità cristiana” (Bruno Brunelli). Tale inversione accade quando Dio viene usato per scopi politici e il prossimo selezionato in forza di criteri come l'egoismo personale e collettivo o la paura. 
E sono anche d’accordo che per Don Giussani la “missione” è più importante che la “politica”, con questo intendo che il contribuire alla presenza della Chiesa nel mondo è più importante, che un qualsivoglia progetto politico. Questo atteggiamento missionario (non ha nulla a che fare con il proselitismo) è quello che io esprimo qui con la con la parola “sentire cum ecclesia”. 
Quello che non è chiaro nel Movimento, però, secondo me è questo punto: anche la grande personalità come quella Teresa d’Avila per il Carmelo, o come quella di Don Giussani per il Movimento, può diventare un motivo per oscurare quello che veramente interessava al cielo mandandoci Don Giussani o Santa Teresa d'Avila. 
Questo è ciò che ho cercato di dire nel post precedente sul tema e che è apparso in questo gruppo di preghiera dedicato ad Adrienne, perché molti di questi pensieri hanno origine in lei. Io non credo che Giussani sia “innocente” (come non lo è nessun uomo) in relazione a questa cosa su cui stiamo riflettendo, in spirito di preghiera e non di polemica. Non perché lui sia cattivo, ma perché la sua personalità, a livello psicologico, è talmente forte che ha corso il rischio, Giussani morto, che poi gli altri ripetano le sue frasi o cerchino di vivere solamente di questa forza senza saperne più il cuore. 
Il cielo corregge queste "riduzioni del carisma o della missione" per esempio inviando al Carmelo la piccola Teresa. Di fronte alla sfida della quale, dice Adrienne, alcune o molte suore carmelitane citano solamente la grande Teresa, senza cogliere il passaggio (la correzione) che il cielo richiede al Carmelo. Questa è una cosa simile a quella che succede oggi nel Movimento. Il fatto che molti non capiscono nulla di Papa Francesco significa questo: manca il "sentire cum ecclesia". Manca cioè la cosa che più interessava a Don Giussani, anche se si citano altri papi.
Infine nel Movimento è in corso un imborghesimento che accade in forza della inversione della personalità e della riduzione della missione (sentire cum ecclesia) a politica di cui abbiamo parlato prima. 
Che il cielo invii un don Carrón o i Contadini viene visto da molti, in modo particolare dai primi, che vogliono che nulla cambi, come pericolo. Perché anche i Contadini sono un piccolo segno del cielo. E lo saranno sempre di più se, si sentono come una "piccola via" nella grande via iniziata dal carisma di Don Giussani, vivendo di quell'atteggiamento di fondo, che è un entrare in dialogo con gli altri - non un dialogo continuo, perché questo può diventare legittimazione del male - "con il cuore puro e l'intelletto purificato, senza alcun desiderio particolare e senza alcuna volontà di dominio", perché solo così "il Signore verrà in mezzo a noi e ci fornirà i chiarimenti necessari" per affrontare la vita passata, presente e futura (cfr. Bartholomeos I, Gloria a Dio per ogni cosa, Magnano, 2001, 31).
In dialogo interiore con 

Cristiana Donner, Nella via mistica di Adrienne von Speyr, Torino 2019, 42-45)



martedì 14 maggio 2019

Liebe. Unsere menschlich tiefste Sendung - Burkhard Schmitt kommentiert den Festvortrag am Stiftungsfest von Dr. Stephan Scholz

 Leipzig. Eine ganz existentielle Aussage von Dr. Scholz (siehe unten) hat mich in besonderer Weise geradezu elektrisiert:
Sozusagen die Umkehrsicht: Abgesehen von der Hilfe für den anderen, was macht das Trösten und was macht die notwendende Zuwendung und Anteilnahme mit mir?
Wenn unsere grundlegende menschlich tiefste Sehnsucht darin liegt, bedingungslos – also ohne jegliche Nützlichkeitsüberlegung – geliebt zu werden und ebenso zu lieben, zu trösten und Anteil zu nehmen, weil diese Kompetenz zu leben zu einem tiefen Menschsein gehört, dann ist Leid und Not im Kleinen wie im Großen die Chance, in der wir unser Menschsein zutiefst sinnstiftend und sinnerfüllend realisieren können. 
Eine Welt, die so perfekt gerecht und ohne Not und Leid gestaltet wäre – sofern es das jenseits der Utopien gäbe – bedürfte dann noch nicht mal des Trostes und dieser von uns so sehr ersehnten bedingungslosen Liebe, wäre dann trost–los und  lieb-los. Vielleicht bequem, glatt, praktisch - wahrscheinlich steril oder konsumerfüllt für alle. 
Der Ansatz von Dr. Scholz: auch wenn es nie gelingen wird, diese Utopie – sofern es denn unter diesen Gesichtspunkten tatsächlich eine erstrebenswerte wäre – zu realisieren, gilt es, sich für eine gerechte und gute, kluge und soziale Ordnung einzusetzen und immer wieder für Verbesserungen zu kämpfen – und im Angesicht dessen , dass wir es nie erreichen werden – oder gar manchmal Gutes wollend „Verschlimmbesserungen“ produzieren… dass wir also angesichts dessen auch stetig aufgerufen bleiben, im Trösten und tätigen Verschenken des Herzens unser Menschsein zu realisieren und diesen tiefen Sinn auszukosten.
Erst wenn wir die Würde des anderen sichern, realisieren wir in bestem Sinne unsere eigene Würde



Text des Vortrages von Dr. Stephan Scholz 

Stiftungsvortrag  „ Gesichter einer Hoffnung“, Droyssig 11.5.2019 

Einführung 

Betrachtet man die Welt mit offenen Augen, kommt man nicht umhin feststellen zu müssen, dass es viel Leid, sehr viel Leid und Not gibt. Meist hervorgerufen durch Kriege, Verfolgung oder Naturkatastrophen, die oft als Konsequenz eine zum himmelschreienden Ungerechtigkeit zu Tage treten lassen.

 Beschäftigt man sich näher damit insbesondere mit den Regionen des Krieges und der Vertreibung, wird dieses Leid unmittelbarer. Es tritt bis zu einem - allerdings immer noch entfernten - Punkt in den Bereich der eigenen Erfahrung und es wird dadurch nicht geringer, im Gegenteil es rührt einen mehr an, weil man oft berührende persönliche Details erfährt. Es verliert etwas die Abstraktion, die normale Nachrichten notgedrungen oft an sich haben. 

Bei unseren Reisen von Support in diese Länder war das ein Teil unserer Erfahrung. 

Aber eine Erfahrung, die vielleicht noch größer und noch wichtiger ist: man begegnet Personen, die dort, wo die Not groß wird und das Elend unausweichlich, diese Not angehen, nicht aufgeben, sondern im Gegenteil zu handeln beginnen, zu Protagonisten werden, zum Zeichen der Hoffnung für andere. Zum Zeichen der Hoffnung, dass es etwas im Menschen gibt, das größer ist als das Elend, stärker als die Not - eine Hoffnung, für die es sich lohnt zu leben! 

Deswegen hat mein Vortrag auch den Titel „Gesichter einer Hoffnung“  – Gesichter von Personen, in denen sich diese Hoffnung wiederspiegelt. Diese Personen sind sicherlich keine Helden, aber, wenn man das etwas pointiert sagen darf, Heilige in einem gewissen Punkt schon. Heilige, weil sie bewusst oder unbewusst Zeichen und Zeugen sind für ein verborgenen Grund im Menschen, für eine geheimnisvollen Gegenwart. Ein Grund, eine Gegenwart, die größer ist als all die Not um sie herum; sonst würden sie das wohl nicht tun, was sie tun.  

Von diesen Personen also, möchte ich heute zu Ihnen sprechen: 
  • Im ersten Teil diese Personen vorstellen – es ist m.E. wichtig und schön ihr Gesicht zu sehen – sie dadurch etwas besser zu kennen.  Ich versuche dabei zu beschreiben, was uns an diesen Personen fasziniert hat,
  • um dann einem zweiten Punkt zu erklären: Was wir von diesen Personen gelernt haben.
  • Zum Schluss wage ich es noch, da ich hier ja an einer Schule spreche, auf Grundlage meiner Erfahrung ein paar Punkte zu sagen, die hilfreich sein könnten, um jungen Menschen zu helfen selber zu solchen Personen heranzureifen. Denn ich denke und ich werde auch im Verlauf meines Vortrages versuchen das zu begründen: Wir brauchen solche Personen hier genauso dringend wie dort. 


Teil 1 die Gesichter einer Hoffnung: 

Fadi   --------------- Beirut Libanon ----------------------

Er ist der Leiter des „Institut de Reeducation Audio Phonetique“ (IRAP).
Das IRAP ist eine Schule in Beirut im Libanon. Eine Schule für Taubstumme, die als Initiative in den sechziger Jahren gegründet wurde. Dieses Werk wuchs im Verlauf der Zeit, weil man der Schule eine Berufsschule für Taubstumme angliederte, um diesen Personen auch eine volle Berufsausbildung zu ermöglichen und dann entstand aus der Berufsschule auch ein kleines Unternehmen, welches verschiedene Produkte herstellt, die von Taubstummen produziert werden, so z.B. im ganzen Libanon berühmtes Feingebäck und andere Spezialitäten sowie Waren für den Haushaltsbereich (z.B. Handtücher) und Gegenstände zur Dekoration. So wurde dieses Werk auch zum Arbeitgeber. Die Schule selber hat sich darüber hinaus im Verlaufe der Zeit geöffnet für Schüler mit starken Lehrbehinderungen und Kindern mit autistischen Störungen. Insgesamt also ein Werk, dass sehr viel Gutes bewirkt, vor allem für Menschen mit Einschränkungen – was umso wichtiger und bemerkenswerter ist in einer Gesellschaft, die aufgrund der wirtschaftlichen Situation ohnehin noch weniger Raum und Möglichkeiten für Behinderte hat als reiche und hochentwickelte Industriestaaten mit entwickelten Sozialsystemen wie unser Land. 

Hr. Fadi ist eine Person von außerordentlicher Güte und sehr großer Aufmerksamkeit für das ganze Werk aber auch und besonders für jede einzelne Person. Allen ist er mit großer Zuneigung zugetan. Er strahlt eine große, geduldige Güte aus. Er ist für uns ein Beispiel, wie man ein großes und durchaus anspruchsvolles Werk was Organisation und Management angeht, führen kann - mit Güte, mit Liebe und Zuneigung und gerade dadurch mit Autorität und das in einer alles andere als einfachen Umgebung. 

Gerges ----------------------- Flüchtlingslager im Libanon ----------------------------

Gerges ist ein junger Christ – er ist der wesentliche Koordinator aller Hilfsaktivitäten der ca. 75 Zeltstädte mit insgesamt über 5000 Flüchtlingen in der Ebene von Mariayoun im Süden des Libanon im Dreiländereck Libanon, Syrien, Israel.   
In diesen Lagern unterstützen wir als Support eine Reihe von Nothilfe und Selbsthilfe-Maßnahmen.     
Gerges ist uns sofort aufgefallen, weil er von allen (Männern, Frauen und Kindern) in jedem kleinen oder größeren Zeltlager sofort freudig begrüßt wurde. Er kannte alle und alle kannten ihn – er war mit allen im Gespräch und kannte alle Sorgen – er war allen mit großer Aufmerksamkeit und Zuneigung zugetan. Er hilft sehr pragmatisch, realistisch und wie gesagt mit großer Zuneigung. In seinen Händen weiß man, dass das Geld den Personen wirklich zugutekommt!


Ima --------------------------- Flüchtlingslager im Libanon  -----------------------------

Die Frau heißt Ima und ist eine 24 Jahre junge muslimische Frau. Sie hat zwei Kinder, lebt seit nunmehr fast 8 Jahren in der Zeltstadt Majidye (über 120 Personen davon 65 Kinder). Sie war sofort bereit mit uns ein kleines Interview zu führen. Wir haben in den ca. 2 Stunden, die wir im Lager verbrachten, sofort bemerkt, dass sie sehr initiativ nicht nur für sich selber, sondern für alle anderen insbesondere jungen Frauen. Sie sorgt dafür, dass diese sich proaktiv um die Bildungsangebote kümmern und an den angebotenen Kursen teilzunehmen. Es werden dort vor allem Kurse zum Erwerb grundlegender Kenntnisse der Landwirtschaft angeboten. Sie war wie eine Mutter, die sich um die überwiegend sehr jungen Flüchtlinge kümmert. In diesem Lager war eine insgesamt merklich positivere Stimmung zu spüren und die Frauen in diesem Lager haben uns auch gebeten, ob wir Gelder übrighätten, um in ihrem Lager einen kleinen Platz mit Bänken und Blumen auszustatten, wo sie sich regelmäßig am Abend treffen und zusammensetzen könnten. Dieser Sinn für Schönheit und Gemeinschaft hat uns sehr berührt!

Kinder von Sarada ---------   Flüchtlingslager im Libanon --------------------------------------

Man sieht das oft, sehr oft, das mit dem Lachen oder Lächeln von Kindern geworben wird – besonders im Kontext von Caritativen Organisationen. Dadurch wirkt das Motiv oft abgegriffen. Aber das Lachen von Kindern ist allermeist authentisch und nicht aufgesetzt oder gespielt – es zeigt diesen unmittelbaren, positiven, unvoreingenommenen Zugang zur Wirklichkeit aus, der Kinder oft auszeichnet. Man mag das als naiv oder gar infantil beurteilen – aber eigentlich steckt ein großes Zeichen, eine große Wahrheit dahinter (gerade weil es so direkt, vorurteilslos ist): Kinder leben sehr in der Gegenwart und sind daher auch in schwierigen Umständen froh, weil sie genau wahrnehmen was jetzt passiert – sie sagen uns damit, dass auch in schwierigen Situationen das Leben schön und erfüllend sein kann. Das ist überhaupt nicht als Ausrede zu verstehen, sich nicht dafür einzusetzen die Umstände zu ändern – aber es ist eine Verheißung das jedem Umstand des Lebens etwas Wahres und Schönes innewohnt. Wenn mal also mit in diese Zeltstädte der Flüchtlingslager in das Lachen der Kinder schaut, wie es das Bild für die Kinder des Flüchtlingslagers Sarada wiedergibt, versteht man ein Stück mehr was Jesus wohl gemeint hat, wenn er sagte „Wer das Reich Gottes nicht so annimmt wie ein Kind, der wird nicht hineinkommen“ Er war weder naiv noch hat er vom Reich Gottes nach dem Tod gesprochen – sondern vom Hier und Jetzt.  


Schwester Ibtihaj  ---------------- Kindergarten Quarakosh  Irak -----------------------------

Schwester Fabriona Ibtihaj ist Dominikanerschwester und leitet den Kindergarden Casa Bambino Gesu in Quarakosh. Sie ist 1968 in den Dominikanerorden eingetreten – sie hatte Mathematik studiert und war Mathematik-Lehrerin. Sie ist mit allen anderen im Jahr 2014 aus ihrer Heimatstadt Quarakosh geflohen vor dem Terror des IS, der die Ebene von Ninive im Norden des Irak überrannt hat. Sie hat zusammen mit anderen Schwestern und Laien im Exil der Stadt Erbil den Kindergarten wiedereröffnet und ist im September 2017 mit dem Kindergarten wieder zurückgekehrt in die nunmehr befreite, aber völlig zerstörte Stadt Quarakosh. Der Kindergarten als Institution, besonders aber Schwester Ibdihaj als Person, waren und sind ein ganz wichtiger Ort der Ruhe und Gewissheit in dem Chaos der Flucht und Vertreibung – für die Kinder, aber interessanterweise fast noch mehr für die Erwachsenen Eltern der Kinder und Mitarbeiter.  Wir haben sehr lange mit Schwester Ibtihaj und ihrer Mitschwester Feodora gesprochen – es war sehr beeindruckend mit welcher Liebe und Aufmerksamkeit für alle Details und mit welchem Blick für die Schönheit sie diesen Kindergarten zweimal wiederaufgebaut haben. Ein kleines Beispiel: trotz der schwierigen Umstände haben die Schwestern auch begonnen zu überlegen, wie man auch behinderte Kinder in den Kindergarten integrieren könnte. Gerade die Umstände der Flucht haben die Anwesenheit von behinderten Kindern noch offenbarerer werden lassen, da solche Kinder in diesen Kulturkreisen von den Eltern oft versteckt werden (leider auch in christlichen Familien) und das aufgrund der Fluchtsituation oft nicht mehr möglich war.   

Filipo und Fabiola ------- Casa Familiga Griechenland -------------------------------------------



Das Bild zeigt das Ehepaar Filipo und Fabiola Bianchini. Sie gehören der Gemeinschaft Papst Johannes XXIII. an, deren Charisma es ist das Leben mit den Ärmsten zu teilen. Filipo und Fabiola haben im Jahre 2012 alle Sicherheiten (Arbeit, Haus etc…) in Italien aufgegeben und sind mir ihren 2 Kindern (heute sind es vier) nach Athen in Griechenland gezogen, um dort eine sogenannte „Casa Famiglia“ oder „Haus der Familie“ zu gründen. Die Casa Famiglia ist eine Zuflucht für Menschen in Not. Zum Beispiel Personen, die überhaupt kein Geld mehr haben und auf der Straße leben, Waisenkinder, junge unbegleitete Flüchtlinge. Diese Personen werden in das Haus aufgenommen und teilweise auch in die Familie integriert, als wären sie Sohn oder Tochter, Bruder oder Schwester. So können sie aus diesem Ort der Annahme und Liebe wieder ins normale Leben zurückzufinden wie andere Kinder oder Erwachsene. Die „Casa famiglia“ in Athen beherbergt insgesamt 18 Personen: 8 gehören unmittelbar der Familie an und weitere 10 Personen (3 Familien) leben im 2. Stock des Hauses, autonom aber der Familie eng verbunden.

Als erste Antwort durch die sehr große und offensichtliche Not vieler Obdachloser (viele Personen, die durch die Wirtschaftskrise völlig verarmt sind) entstand neben der Casa Familgia im Oktober 2017 eine „Capanna di Betlemme“ (Hütte von Bethlehem) – dort treffen sich  Obdachlose. Sie essen gemeinsam, können ihre Wäsche waschen, sich duschen, Zeit miteinander verbringen. Manche bleiben über Nacht, andere kommen nur für ein paar Stunden. Der „Traum“ von Filipo und Fabiola ist es die Gründung eines therapeutischen Zentrums für junge Drogenabhängige, in welchem die Abhängigen unter professioneller Begleitung eine Drogenentzug machen können und dann Schritt für Schritt begleitet in einer Wohngemeinschaft wieder zurück ins normale Leben finden. 

Papst Franziskus ----------------------Franziskusfond Deutschland  --------------------------
Hier ein Gesicht das sicherlich alle von Ihnen kennen. Sein Gesicht steht für ein Werk, das hier an der Schule präsent ist. Dem sogenannten Franziskusfond: einem Hilfsfonds, mit welchem wir hier an dieser Schule seit 2014 d.h. nunmehr 5 Jahren Schülerinnen oder Schüler, die aus irgendeinem Grund, einer besonderen Unterstützung bedürfen, helfen. Dieses Werk hat auch an dieser Schule eigentlich einen Namen und ein Gesicht genauer gesagt 2 Namen und 2 Gesichter nämlich die von Konstanze und Roberto Graziotto, die sie alle kennen.  Sie sehen also man braucht nicht bis nach Libanon, Irak oder Griechenland zu gehen, um die Gesichter einer Hoffnung zu treffen. 

Damit komme ich auch zu meinem zweiten Punkt:, was können wir hier für uns von diesen Personen lernen, man kann auch etwas pointierter Fragen: warum machen wir diese Arbeit eigentlich? … oder provokativer formuliert: ist die Hilfe nicht einfach ein Tropfen auf den heißen Stein, sind diese Personen nicht verloren in einem Meer von Not und Elend – ja ist es nicht vielleicht sogar noch schlimmer, was manche Kritiker der Entwicklungshilfe generell vorwerfen: fördert man nicht oft die vorhandenen Macht- und Ausbeutungs-Strukturen, indem man denen hilft irgendwie zu überleben? 

Sie können sicher sein, dass wir uns genau diese Frage gerade als kleine, nahezu unbedeutende Entwicklungshilfe Organisation oft und immer wieder stellen und es gut so, denn nur wenn man sich einer solche Frage stellt, die tatsächlich auftaucht, lernt man – und das was wir gelernt haben ist sehr wichtig für uns persönlich! 


Teil 2 was also können wir von diesen Personen, aus dieser Arbeit lernen? 

Wenn man dieser Frage etwas tiefer nachgeht kommt man schnell zur der sehr grundsätzlichen Frage: Vertrösten wir die, die Leiden nicht nur anstatt uns den Ursachen des Leidens zuzuwenden und alles zu tun, um diese abzuschaffen?

Fragen wir uns also ganz praktisch: was macht ein Fadi mit den Taubstummen, ein Gerges oder eine Ima mit den Flüchtlingen, oder eine Schwester Ibtihaj mit den Kindern im Kindergarten? Sie alle können das Leid, den Krieg und seine Folgen, die tragische Situation der Flucht nicht aufheben oder gar rückgängig machen! 

Holen wir deren Erfahrung näher an uns ran mit einer Analogie: was machen wir mit einem Menschen dem Unrecht geschehen ist oder mit einer Mutter, einem Vater der sein Kind verloren hat: keiner von uns kann das geschehene Leid aufheben oder zauberisch die Welt mit ihrer Tragik verwandeln. Aber er kann eintreten in die Einsamkeit der zerstörten Liebe, in die Traurigkeit über die verlorene Heimat, in die Tragik der verlorenen Arbeit als Mitleidender als Mitliebender. Obschon er das Geschehene nicht aufhebt ist er nicht bloß ein „Wortemacher“, ein „Vertröster“ sondern in dem er eintritt in eine Beziehung, begleitet verwandelt er die Situation gewissermaßen von innen her. Es sind eben nicht nur Worte – sondern Taten, vor allem der Begleitung der Anteilnahme, die konkret helfen und zumindest anfänglich heilen – auf jeden Fall etwas zum Positiven wenden. 

Wenn ich mir hier an einer dezidiert christlichen Schule erlauben darf eine wie mir scheint nicht ganz unwesentliche Nebenbemerkung zu machen: man versteht dadurch vielleicht etwas besser,  das Gott in die Welt eingetreten ist, um uns zu begleiten, um „DA“ zu sein,  nicht um das ganze Leid wegzuzaubern und das System grundlegend zu verändern, was er wohl auch hätte tun können, so dass man keinen Trost mehr bräuchte. Dann wäre es eben auch eine trostlose Welt. Das gehört wohl zum Menschsein dazu – eine Welt, in der kein Trost, keine Hilfe mehr nötig ist, verliert etwas ganz Wesentliches etwas für den Menschen Notwendiges.
Dieser sicherlich sehr tiefe Zusammenhang wurde zumindest mir neu ins Bewusstsein gerufen mit dieser Arbeit, in der Begegnung mit diesen Personen und dafür bin ich sehr dankbar! 

Ist es nun so, dass wir deswegen aufhören sollen, die Strukturen zu verändern, aufhören sollen uns für politische Veränderungen ein zusetzten, mitnichten - ganz im Gegenteil. Auch hier hilft ein Blick auf unsere eigene Erfahrung hier bei uns: wir haben halbwegs funktionierende Sozialsysteme (Kranken- Renten, Arbeitslosenversicherungen etc.) , wir haben einen Rechtsstaat, wir haben seit 70 Jahren Frieden in Westen Europas - solange wie vielleicht noch nie in der neueren Geschichte dieses Kontinentes. 
Angesichts dieser Erfahrung muss man sagen: ganz klar lohnt es sich für die Verbesserung von Systemen einzusetzen, sich in der Politik zu engagieren – es ist absolut notwendig und wichtig. Aber schauen wir noch einmal auf unsere Erfahrung: ersetzt dieser Einsatz unsere Menschlichkeit, unsere Freiheit?  – nein sicher nicht. 

Wo also ist es besser mildtätig zu helfen, wo ist es besser sich für mehr die Verbesserung und Veränderung eines Systems einzusetzen, ja wo könnte Hilfe sogar falsch sein? Darauf gibt es m.E. keine allgemeingültige für alle Situationen richtige Antwort – gottseidank! – hier ist im Einzelfall immer wieder jeder von uns als Person gefragt, als Person in ihrer Freiheit, die aufgerufen ist, selber zu entscheiden, zu handeln, sich einzusetzen – hier wie dort… womit ich bei meinem letzten Punkt wäre: 

Teil 3 Was kann man als Lehrer, als Eltern tun, um jungen Menschen zu helfen zu wirklich freien Personen heranzureifen?

Also auf diese Frage, gestatte ich mir bei allem Respekt vor der Größe und Tragweite der Frage – nur 4 kleine Anmerkungen oder besser Beobachtungen unter anderem eben aus meiner Arbeit bei Support aber durchaus aus meiner ganzen Lebenserfahrung. Die erste Anmerkung wäre:   

Offenheit gegenüber der Wirklichkeit: was diese vorgestellten Personen alle auszeichnet ist eine große Offenheit gegenüber der Wirklichkeit. Wenn etwas man genauer hinschaut ein liebevoller Blick auf das was passiert, auf die Personen – also so etwas wie eine positive Annahme der Wirklichkeit so wie ist, der Personen wie sie sind.  

Wie Gerges auf alle Fragen, Probleme geschaut hat, die wohl oft seinen Tagesplan durcheinanderwirbeln – immer offen, froh und geduldig auf das reagiert was passiert; das konnten wir schon an dem einen Tag, den wir mit ihm verbracht haben beobachten. Oder den Blick, den die Schwestern Ibtihaj und Feodora auf die Kinder hatten auf alle und auf jedes einzeln – es so zu nehmen wie es ist, sich dafür Zeit zu nehmen … und alles anzunehmen gerade auch in der Fluchtsituation, wo man sich sicherlich häufig einiges anders wünscht. Ich denke es war gerade die Tatsache, dass sie diese Situation so genommen haben wie sie ist, als sei es das Selbstverständlichste von der Welt, was im Augenblick so sein muss, genau dieser Blick auf die Realität hat sie für andere zum Anker der Ruhe in dem Chaos der Flucht gemacht!  

… also Kinder und Jugendliche dazu ermutigen und ihnen zu helfen offen und positiv auf die Wirklichkeit zuzugehen, das ist m.E. ein großer Wert der Erziehung. 

Respekt von der Freiheit der Person. Wenn wir eine Person vor Augen haben, ist es immer gut sich Erinnerung zu rufen, dass sie genauso wie sie ist, gewollt ist, und gerade in der Erziehung uns anvertraut ist als ganz eigene freie Person. Sie ist nicht unser Besitz oder ein Objekt zur Erfüllung oder Verifizierung unserer eigenen Wünsche und Vorstellungen. Das gilt ganz besonders wenn sie persönliche und charakterliche Eigenschaften und Ansichten hat, die nicht gerade in mein Weltbild passen oder wenn sie ein Verhalten an den Tag legt, das besonders herausfordernd ist. 

Ein sehr schönes Beispiel war für uns der ganz bemerkenswerte Umgang mit den Kinder im IRAP – das ganze Institut trägt gleich mehreren ganz verschiedenen Gegebenheit Rechnung: verschieden Sprachen (English, Französisch und Arabisch) verschiedene Religionen (Christen, Muslime) verschiedene Vorrausetzungen (Taubstummheit, Lerneinschränkung, Autismus) und das alles mit großer Liebe und Offenheit – das war wirklich beeindruckend. 

Der Respekt vor der Freiheit der Person ist m.E. ein ganz zentrales Gut in der Erziehung, nicht zuletzt deshalb – ich sage das wieder bewusst, weil ich an einer Schule mit einem dezidiert christlichen Erziehungsideal spreche – weil es wohl (so denke ich) die Eigenschaft des Menschen ist, die Gott am teuersten ist, da echte Freiheit die Voraussetzung für wahrer Liebe ist.

Die letzten beiden Punkte die ich erwähnen möchte sind vielleicht nicht ganz so “Commen Sense“ wie die ersten: ein klarer Vorschlag und eine Autorität diesen Vorschlag macht, dem es zu folgen gilt : das den Kinder und Jugendlichen vorzuschlagen, was man selber als wahr und richtig erkannt hat mit Klarheit, um dadurch für sie auch zu einer im guten Sinne des Wortes Autorität zu werden. Es geht nicht darum, dass sie genau diesen Standpunkt später übernehmen, dass sollte auch nicht das Ziel sein – sondern dass sie im Erzieher eine Person vor sich haben. die weiß was sie will und für was sie steht – eine Person die mit Gründen lebt. 

Bei dieser Frage Autorität geht also mehr um eine methodische Frage: wie gelange ich zur Gewissheit, gerade in den Dingen die einerseits wesentlich für mein Leben sind, für die aber die unmittelbar evidente Erkenntnis nicht möglich ist?  
In den vielen Bereichen gerade in der Schule spielt die Evidenz die überragende Rolle: in der Mathematik, Physik, Englisch, …sind die Dinge so wie sie sind – aber in Fragen der Weltanschauung, des Umgangs miteinander, der Beziehung untereinander, der religiösen Überzeugung bedürfen wir einer anderen Erkenntnismethode, der des Vertrauens, des Glaubens, des Folgens und Verifizierens. Wir haben da manchmal eine eigenartig Scheu  entwickelt, diese anzuerkennen. Wenn man den zweiten Punkt, den ich erwähnte nämlich den Respekt für die Freiheit der Person wirklich im Auge behält – ist eine klarer Vorschlag der mit richtig verstandener persönlicher Autorität vorgetragen wird m.E. essenziell für ein gute Erziehung.    

Diesen Punkt haben wir bei allen vorgestellten Personen erlebt. Ich möchte aber am Beispiel von Fabiola und Fillippo das nochmal etwas verdeutlichen: das Herzstück des Vorschlages der sogenannte „Casa Famiglia“ (Haus der Familie) ist die Familie bestehend aus den Eltern mit ihren Kindern. Sie selber haben die Erfahrung gemacht, dass die Familie für sie ein Ort der Liebe und Geborgenheit ist, wo ein Mensch aufblühen und wachsen kann.  Sie leben diesen Vorschlag gerade angesichts von Personen, deren Lebenswege oft anders verlaufen sind, die gebrochen sind, deren Familien aus welchen Gründen auch immer zerbrochen sind – angesichts von Obdachlosen, Waisen, Drogensüchtigen, Prostituierten. Sie leben diesen Vorschlag aber nicht als dogmatische Behauptung (obwohl diese vielleicht sogar im logischen Sinne richtig sein könnte) sondern als Erfahrung und vor allem als Teilhabe – es ist gerade das, ein Herzstück dieses Charismas: den Armen und Bedürftigen nicht etwas von oben herab zu geben sondern das Leben, so wie sie es selber als positiv erfahren haben, mit ihnen zu teilen, weil sie letztlich wissen, dass sie selber arm und bedürftig sind. 


Damit möchte ich schließen, weil das den für mich den wichtigsten Punkt betrifft, dessen wir  von diesen Personen lernen können: wir alle sind letztlich bedürftig und in diesem Punkt eins. 
Uns in dieser Bedürftigkeit zu helfen, das ist es was wesentlich zu uns Menschen gehört. Das gilt gerade auch für uns: damit wird die Hilfe, die wir materiell geben, zu einer Hilfe für die in Not geratenen vor Ort und gleichzeitig eine Hilfe für uns selber, wir sind damit nicht einfach Helfer (aus einem Überfluss heraus) und die anderen Empfänger – sondern wir sind auf beiden Seiten Menschen, Personen, die letztlich selber hilfsbedürftig sind, weil wir alle dieser Hoffnung bedürfen, für die es sich zu leben lohnt!  Die Hilfsbedürftigkeit ist damit nicht ein letztlich tragisches Spiel des Schicksals oder gar ein Makel, sondern sie kann begriffen werden als etwas, das uns wirklich zu Menschen macht etwas das auf etwas Größeres verweist, auf eine geheimnisvolle Gegenwart – der gläubige Mensch würde sagen auf Gott. 


Ich bedanke mich ganz herzlich für Ihre Aufmerksamkeit!