lunedì 13 maggio 2019

Sull'ateismo moderno - in dialogo con Massimo Borghesi

Lipsia. Caro Massimo, 
mi sembra che anche Balthasar possa essere allineato alle altre persone da te citate (De Lubac, Del Noce, Fabro) nella concezione postulatoria dell’ateismo - cioè un ateismo che si presenta come un postulato di una certa concezione della modernità. La genesi di questa opzione postulatoria può essere poi differente: „siamo di fronte ad una reazione al „falso Dio dei filosofi“, allo sdegno verso una dissoluzione morale della Chiesa, o ad una scommessa sulla condizione umana non bisognosa di salvezza?“ (Ateismo e modernità, 63). 

La differenza tra Fabro e Del Noce consiste nella unicità (Fabro) o differenza (Del Noce) del percorso della modernità. Del Noce vede „ambiguità“ in queste vie dell’ateismo moderno, Fabro, pur riconoscendo queste ambiguità, vede piuttosto un percorso unitario ed a senso unico. Se si considera solamente la filosofia, con grande probabilità Balthasar è più paragonabile alla posizione di Fabro. „Auf den Weg von Leibniz zu Hegel ist kein Haltmachen möglich“ (Herrlichkeit, III, 2, 791, edizione tedesca, 1965). 

Quello che interessa Balthasar nel volume da me citato è la questione della gloria: se la materia è solamente „extensa“ e „calcolabile“ allora non è più luogo di teofania gloriosa. Si potrebbe tracciare un filo rosso da questo interesse di Balthasar fino alla „Laudato si’“ di Papa Francesco. La riduzione della materia (che non è più mater, ma base dei nostri interessi tecnologici) minaccia la nostra „casa comune“ con conseguenze disastrose per i poveri di questa terra, ma distrugge anche la percezione della natura come luogo di apparizione analogica della gloria del divino. In questo Balthasar pensa ancora in modo aristotelico, e forse non vede a sufficienza quello che Del Noce vede in Cartesio: Aristotele si può permettere un certo atteggiamento contemplativo, perché ci sono gli schiavi che lavorano, mentre Cartesio, con la tecnica cerca di ridurre il lavoro da schiavi  - non so più in quale libro di Del Noce avevo letto questa concatenazione di pensieri che presento sempre ai miei allievi della undicesima quando parliamo di „antropologia“. 

Balthasar vede anche l’“ambiguità" del processo moderno che lui riassume con la categoria di „Geistmetaphysik“ - il luogo della gloria non è più la natura, ma l’io. L’io dell’uomo diventa „autoglorioso“, allo stesso tempo Balthasar esprime così l’ambiguità: „Titanismus aus Frömmigkeit“ , un titanismo pio da cui, come affermava Heidegger, citato da Balthasar, sarà difficile liberarsi, per una totale mancanza di senso per l’essere come dono, aggiungo (Ulrich). 

Quello che manca probabilmente a Fabro e Balthasar è un senso per quella dimensione di filosofia della politica, che spinge Del Noce, con Maritain, a vedere nel „liberalismo“ non solo un destino che porta all’ateismo conseguente, ma una „problema“, una „chance“ che permette di resistere al male nazionalsocialista e comunista. 

Balthasar è un „germanista“, non un filosofo in primo luogo, anche se ritiene la filosofia necessaria per la teologia. Sia lui che Ulrich, presumibilmente per vie diverse - si deve tener conto che in un convegno di Gallarate Ulrich formula una filosofia della politica che porta all’idea della „presenza della libertà“ come elemento necessario della sua ontologia - arrivano all’idea della libertà come necessaria per vivere in modo sensato nel mondo. Balthasar critica il neotomismo con il suo libro su Reinhold Schneider, che è lo scrittore che lo rende attento al rapporto drammatico tra santità e potere. In „Gloria“  („Lo spazio della metafisica“) vede come alternativa nella modernità alla modernità che va in senso unico verso il titanismo pio di cui parlavo prima, la „mediazione antica“ (Hölderlin, Goethe, Heidegger) - l’antichità per Hyperion (Hölderlin) è il luogo della libertà, ma il tentativo di assumere il cristianesimo nell’antichità del grande poeta tedesco fallisce. Goethe conosce i limiti della libertà quando essa non ha più alcun senso del disinteresse a sé (le Affinità elettive versus lo spirito della rivoluzione francese privo di ogni senso dell’Entsagen).

Balthasar è anche l’unico teologo che farà conoscere nel mondo tedesco il pensiero romanico (De Lubac, Giussani), ma ancor più quello della letteratura (Claudel, Bernanos) in cui la libertà e l’obbedienza, per esempio nella „Scarpina di raso“, ma anche nel „Curato di campagna“ sono le due facce dello stesso fenomeno. 

Ulrich con la sua filosofia dell’essere come dono, un dono che non viene percepito nell’essenza, ma nel movimento in cui l’essere diventa finito, si trova a pensare in quella rivalutazione dell’esistenzialismo (forse via Kierkegaard, Guardini) in cui pensavano i giovani Del Noce e Fabro, contro ogni forma di „essenzialismo". 

Come vedi, ancora una volta un tuo libro mi apre dimensioni che si intrecciano con quel percorso intellettuale che ho descritto nel mio „Libri ed altri ricordi“. 

Grazie di cuore, Tuo Roberto

Roma. Caro Roberto,
le tue sono riflessioni "essenziali". Concordo con te; Balthasar è,
nel giudizio sul moderno, più vicino a Fabro. Lo è perché risente
molto l'inflenza di Heidegger. In questo senso non esce dall'orizzonte
della neoscolastica, sia pure di una neoscolastica non essenzialista.
Gli sfugge, come dici tu, il filone del liberalismo moderno. Eppure è
il filone che porta al Vaticano II.  I tuoi appunti meritano di
essere ripresi.
Grazie!
Massimo

Lipsia. (14.5.19) Caro Massimo, 
ho riletto quello che Balthasar scrive su Descartes nello „Spazio della metafisica“ e confermo la vicinanza di Balthasar all’interpretazione di Padre Fabro, anche se non so se egli lo conoscesse; nel libro non è mai citato. Volevo paragonare ciò che leggevo in Balthasar con la tua tesi: „il razionalismo, potenzialmente ateo, sorge, primariamente, da un no al Cristo redentore, non all’assunzione del cogito , la quale eventualmente, è un conseguenza. L’ateismo moderno prende forma nel rifiuto del Dio redentore e non, in primo luogo, nella dimenticanza dell’Essere“ (Ateismo e modernità, 83). Questa tesi la approfondisci nella Introduzione con il rinvio alle conseguente devastanti della guerra dei trent’anni. Del Noce può intravedere queste conseguenze, senza perdere di vista lo sviluppo dell’ateismo a livello di „logica del pensiero“ (la necessità delle essenze“), perché non lascia fuori l’esistenza storica dal regno della filosofia. Certo non si può accusare Balthasar di non aver senso per l’esistenza storica e la storia, ma è vero che la sua sensibilità per una filosofia e teologia della politica non è particolarmente sviluppata. Di fatto scrive una teologia dell’estetica (o come si esprime lui un' estetica teologica) e non una teologia della politica. Questa era anche la difficoltà che avevo da giovane a spiegare ad un filosofo come Padre Pirola S.J. l’importanza di Balthasar (vedi „Libri ed altri ricordi“). 

Del Noce vede una via che porta da Descartes a Rosmini e non solo una che porta a Nietzsche o all’ateismo. Balthasar traccia nella sua „Geistmetaphysik“ una linea che va con logica conseguenza da Descartes a Spinoza e Leibniz, cioè ad un soggetto-tutto solipsistico (edizione tedesca di Gloria III, 2, 799). Vedi anche una linea religiosa  verso Francesco di Sales, Lallemant, Bérulle, Fénelon), ma dovrò spiegare ora come mai anche questa linea non è resistente all’ateismo moderno. 

Balthasar non nega che Descartes fosse credente e che vedesse in Dio „la bellezza imparagonabile di una luce straordinaria“ (797), quindi in un certo senso ne veda anche l’ambiguità di cui parla Del Noce. Il grande problema per Balthasar non è il noi politico, ma il tu e questo, secondo lui, manca in Descartes. Il primato assoluto di Dio e dell’anima nella linea che va da Agostino a Newman è presente anche in Descartes. Dio è l’Altro e questo Altro mi apre la via all’essere come dono, all’essere buono dell’altro al tu, ma in Descartes mancherebbe una via „che dall’essere del mondo e dall’essere del tu, proprio ad ogni uomo, conduca a Dio“ (cfr. 798). Insomma la teologia di Descartes non è un problema (qui inteso nel senso quotidiano, non in quello positivo di Del Noce), il Dio di Descartes non è un demiurgo cattivo, ma un Dio buono che dona un essere buono. L’equilibrio tra „sum“ e „cogito“ non conduce all’ateismo, ma la mancanza della percezione del tu umano come una via maestra che porti a Dio! Insomma nella „Geistmetaphysik“ siamo confrontati con un solipsismo che conduce all’ateismo. Il problema che Balthasar ha con Descartes è filosofico, non teologico e l’essere di cui lamenta la mancanza non è l’Essere di Dio, ma l’essere del tu finito come dono gratuito che porti al Tu dell'amore gratuito di Dio! 

Tuo, fraternamente, Roberto 

Lipsia (17.5.19)

Caro Massimo, il capitolo "Fabro. La libertà come trascendentale moderno" mi ha impressionato alquanto; fai vedere il percorso del filosofo italiano, che con Kierkegaard e l'esistenzialismo, impara a vedere la libertà non solo come "un" pensiero della modernità, ma come "il" pensiero a cui giunge la modernità, anche se Fabro non ne attua fino in fondo le conseguenze filosofiche come invece fa Del Noce. Comunque è impressionante vedere come da un sospetto riguardante il moderno come ateismo che nasce dal "cogito", Fabro arrivi alla "rivalutazione dell'anima profonda del moderno contrassegnata dalla libertà" (Ateismo e modernità, 98). Con la parola "trascendentale" è intesa ovviamente la struttura intima del soggetto umano. 
Sarebbe forse importante se un giovane cattolico facesse un dottorato di ricerca su Fabro e Balthasar; il passaggio dall'estetica alla teodrammatica è in fondo per Balthasar analogo a quello tra il primo e il secondo Fabro: il critico del moderno scopre nel moderno il suo trascendentale "esistenziale"  trascurato dalla scolastica e in genere dal Medioevo (Fabro). Il critico del moderno, perché mancante di "Gloria", scopre nella teodrammatica il dramma essenziale dell'uomo, che è quello dell'incontro/ scontro tra la libertà di Dio e quella dell'uomo (Balthasar). Nel dottorato di ricerca si potrebbe cercare di capire se questo passaggio in Balthasar sia o meno una "svolta" come lo è quello del primo al secondo Fabro.  
Ma facciamo un passo indietro. Come Fabro anche Balthasar è un lettore ed autore troppo intelligente per non scoprire, mentre traccia la linea Descartes, Spinoza, Leibniz, Hegel, che nel moderno sono in gioco non solo "ombre", ma anche "luce". Cerco di farlo vedere ora, considerando il capitolo su Spinoza nello "Spazio della metafisica". Quale è la posta in gioco con la "demostratio ordine geometrico"? Credo in primo luogo la distinzione tra arbitrarietà e libertà. In Spinoza "conoscenza" e "volontà" sono alcunché di identico; anche se c'è un intervallo tra la prima e la seconda, la volontà dell'uomo deve adeguarsi all'ordine geometrico e quando non lo fa, scade nell'atteggiamento del "vulgus", della "plebs" che diventa oggetto dell'arbitrarietà dei potenti. Nel nostro tempo "populista", anche se vedo come Balthasar il pericolo di questo discorso sul "vulgus", che consiste nella possibile identificazione spinoziana di esso  con quel resto di "popolo fedele" che Papa Francesco ci ha insegnato ad amare, credo che si possa imparare qualcosa di importante da Spinoza, cioè a distinguere tra libertà ed arbitrarietà. 
Balthasar critico di Spinoza vede il pericolo di ridurre la libertà di Dio: per quest'ultimo essa non è ricolma di gloria autonoma, ma semplicemente il non essere determinato da null'altro che da se stesso. Tutto quello che c'è, Dio non ha potuto crearlo se non come lo ha creato. Questo si rivela come un problema per la teologia, ma è un criterio importante per una possibile filosofia della politica: la potenza di Dio non può essere scambiata con la potenza e il diritto dei re e degli imperatori mondani. 
A livello etico Spinoza vuole educarci ad un cammino stoico come superamento della nostra confusione ed inadeguatezza, nei confronti dell'ordine geometrico a cui dovremmo invece adeguarci. In questo filosofia l'intervallo tra conoscenza e volontà serve solo per adeguarsi al bene. Io in questo ci vedo un po' di luce, in modo particolare per non lasciarsi trasportare solo dagli affetti egoistici e egoistici collettivi, come accade ora con la riscoperta del nazionalismo come risoluzione di tutti i problemi. 
Cosa critica Balthasar in Spinoza? Il suo ateismo? No, la mancanza di amore in questo ordine geometrico di Spinoza. Dio non è Amor, ma "acquiescentia" assoluta. E per quanto riguarda l'uomo? Nel sistema geometrico non vi è spazio, per compassione, umiltà e pentimento. Per quanto riguarda l'estetica teologica la Gloria di Dio viene eliminata e questo è il problema che ha Balthasar con Spinoza. Non vi è spazio nel pensiero di Spinoza per qualcosa come l'analogia entis; egli pensa in un sistema di identità e l'unica concessione che fa e che l'adeguamento dell'uomo all'ordine geometrico di Dio, che è l'unico modo per "generare nel bello" (Platone) è alcunché di difficile e per questo raro: "Omnia praeclara tam difficilia quam rara sunt". 
Goethe cercò di ereditare il meglio di questo sistema di Spinoza, mantenendo, però, un po' del senso della "gloria" di cui Balthasar lamenta la mancanza in Spinoza,  ma nella modalità di una critica della libertà moderna. "Schiller non era grato nei confronti della grande madre", dice Goethe (citato in "Spazio della metafisica", edizione tedesca, 683), nei confronti della natura; "Attraverso l'opera di Schiller passa l'idea della libertà... ma cosa serve una sovrabbondanza di libertà che non possiamo usare...non ci rende liberi il non voler riconoscere nulla sopra di noi, ma piuttosto il venerare qualcuno che è sopra di noi" (Goethe). 
Insomma il germanista Balthasar scopre, già nell'estetica, come critico del moderno, la libertà non come "trascendentale", ma come avvenimento che si realizza nel riconoscere qualcosa e qualcuno sopra di noi! In Goethe vede Balthasar quel bastione contro la tecnicizzazione del mondo, che è invece è presente, secondo lui, nell'ordine geometrico assoluto di Spinoza e nella sovra accentuazione del "cogito" di Descartes. 
Basta per oggi, grazie per la grande sfida che poni a me "tedesco" con il tuo dibattito nel pensiero cattolico-francese. Tuo, Roberto 
PS Per essere sintetici, mi sembra che Balthasar nell'estetica teologica veda in Spinoza una mancanza di reale libertà di Dio e dell'uomo e così di reale gloria. Al cospetto dell'amore gratuito di Dio - questa è la gloria - la libertà dell'uomo consiste nel riconosce questa gloria a lui superiore e nei confronti dei fratelli in umiltà e compassione.

RomaCaro Roberto le tue osservazioni sono molto pertinenti. Acute come sempre. Interessante è il paragone che fai tra il primo e il secondo Fabro e il passaggio di Balthasar dall'Estetica alla Teodrammatica. Il giovane cattolico con dottorato avrebbe pane per i suoi denti e dubito che saprebbe dominare una materia così complessa. Personalmente penso che occorra tenere presente sia la lettura del filone cartesiano-agostiniano moderno sia la lettura balthasariana. Ciò che Balthasar dice riguardo alla mancanza di estetica nel filone cartesiano-idealistico è perfetto. Gli sfugge però il polo della libertà e della soggettività che si confonde poi nell'alveo del razionalismo idealistico. In realtà la genialità di Del Noce è di tenere insieme, non ecletticamente, il punto di verità dell'ontologismo moderno con il realismo tomista di Gilson. Una filosofia della polarità tiene adeguatamente presenti i due momenti e permette quell'incontro tra essere e libertà, agostinismo e tomismo, che costituisce la possibilità della ripresa di un pensiero fecondo. Quanto a Spinoza il suo razionalismo non è poi molto diverso da quello del cattolico Malebranche. Come reazione al calvinismo il pensiero cattolico finisce con l'assimilare il Dio biblico al Dio filosofico, la tragedia del pensiero francese del '600 contro cui reagisce Pascal. Massimo

(7.6.19)

Aleksandr Duin, Steve Bannon versus Massimo Borghesi

In un chiostro in un convento francescano del 1200 Rainaldo Graziani pone alcune domande ad Aleksandr Dugin sul politologo polacco Bauman.

L'italiano del filosofo russo non fluisce abbastanza per capire tutto, ma fondamentalmente si capace questo: 1. Baumann osserva solamente la società liquida, ma non vi ha nulla da opporvi. 2. La modernità è solo la fase prima della società liquida e come società solida e non spirituale non ha nulla da offrire contro le perversioni che viviamo. In questo contesto filosofico Papa Francesco è solo un simbolo del consumatore attuale e dell'europeo o occidentale abbruttito (nell'intervista non si parla esplicitamente di questo, ma in altri articoli che ho letto di Claudio Bernieri viene detto esplicitamente). 3. Anche se non vi è una tradizione spirituale vi sono degli uomini spirituali (i tradizionalisti?) che con alcuni grandi filosofi come Evola o de Benoist possono aiutare a che il soggetto ritrovi la sua identità. Il nemico è qui la modernità liquida, per riassumere così il percorso dell'intervista.

I Contadini di Peguy avevano tradotto un lungo intervento di Steve Bannon in Vaticano, prima del pontificato di Papa Francesco, in cui egli formulava la sua filosofia totalmente antimoderna con un nemico ben chiaro: l'Islam; ultimamente, in una lunga intervista al NZZ (questa è stata fatta in un Hotel di lusso a Berlino, Adlon, e non in un contesto religioso), Bannon aggiungeva la Cina come grande nemico. Bannon e Dugin sono i "filosofi" di corte di due grandi potenti del mondo: Trump e Putin. Bannon parla più a livello politologico e Dugin più a livello filosofico. La definizione del nemico tra i due non è identica - ma per un certo periodo di tempo, potrebbero coalizzarsi, per poi scannarsi a vicenda, perché è chiaro che Bannon non è un "uomo spirituale". E poi perché trai i due sistemi: giudaico-cristiano (Bannon) e russo-cristiano (Dugin), con grande probabilità, non vi è una conciliabilità ultima.

Il percorso dei Contadini di Peguy, filosoficamente, ha seguito l'idea della legittimità critica del moderno di Massimo Borghesi (quello che dice Julián Carrón sul tema filosoficamente non è diverso da quello che dice Borghesi ed entrambi, il sacerdote e il filosofo, si riferiscono all'eredità del Vaticanum II): la libertà moderna va ereditata contro ogni spiritualità solo tradizionalista, perché il tradizionalismo, ma questo vale anche per una legittimità assoluta (non critica) del moderno, non è capace di pensare secondo un'opposizione feconda (Guardini, Bergoglio), ma sempre e solo per contraddizioni. Borghesi segue il Santo Padre che è un uomo spirituale, ma anche nemico di ogni forma di proselitismo.

Personalmente non ritengo mai che un nemico esterno a me possa farmi del male, al massimo può uccidermi. Il vero ed unico nemico è sempre all'interno di me. Anche la liquidità è interna a me (come è interna ai tradizionalisti che la compensano con una fatale volontà di potenza). La proposta ecumenica di un Bergoglio (prima di lui di Giussani), di un Bartholomeos I, di un Enzo Bianchi (basta stare dieci minuti a Bose per vedere quanta spiritualità reale si respiri nel monastero e nei suoi dintorni), basata su quella credibilità unica dell'amore gratis (Balthasar, Ulrich) raggiungono il mio cuore perché non lo violentano, ma dall'interno, cercano di mostrarmi una via per una reale salvezza del mio corpo e della mia anima!


Etc.

(7.6.19)

Caro Massimo, il tuo libro sul dibattito nel pensiero cattolico italo-francese è davvero di grande aiuto, anche per esprimere pensieri che più o meno si trovano in me, ma che non avevano ancora trovato del tutto un linguaggio per essere espressi in modo filosofico adeguato.

1. Trovo molto interessante questo pensiero di Del Noce della "Teodicea contro l'incarnazione", per esprimersi con von Balthasar si tratta qui di un problema "del sapere troppo, piuttosto che del sapere troppo poco"; in Leibniz c'è un eccesso di sapere, una trionfalistica difesa del cristianesimo in cui ci si dimentica del Cristo crocifisso e dell'essere come dono gratuito e personale. Il grande lavoro filosofico dell'analogia dell'essere da Przywara a Ferdinand Ulrich consiste proprio in questa connessione: l'ontologia dell'essere come dono gratuito e la notte della passione, in cui il cuore di Dio si rivela non come una necessità filosofica, ma che una sorprendente gratuità pensata in modo del tutto personale e comunionale. Leibniz è un genio, come lo è Hegel e più di Hegel conosce a livello universitario anche matematica e scienze naturali (mentre Hegel conosceva ciò più ad un livello ginnasiale); in un certo senso conosce anche la libertà di Dio, a differenza di Malebranche, ma manca quella che il Cusano chiamava la "dotta ignoranza" - la gnosi universitaria di Leibniz serve per il discorso tra professori e non per anime confuse che cercano un redentore personale. Le diverse monadi sono senza una finestra che guarda la realtà delle altre monadi in modo orizzontale e compassionevole - sono in contatto diretto con la Monade di Dio, ma non sono esposte in un reale dramma reale con le altre monadi. Non hanno bisogno di una "bellezza disarmata", ma di un sistema che al di l'a di ogni congettura spieghi tutto. 

2. L'alternativa Anassimandro / Bibbia che proponi nel capitolo "il razionalismo: una redenzione senza la grazia" mi sembra anche di vitale importanza. Il razionalismo propone un primato della filosofia sulla teologia, in cui la prima non è più ancella , ma domina. Il male c'è ma non ha a che fare con il "peccato", piuttosto con la "finitezza", con cui bisogna trovare un modo sapienziale di arrangiarsi. Non c'è bisogno di un salvatore personale, ma di una gnosi universale. L'Incontro con Ulrich mi ha permesso di vedere in un'unica persona come senza questo personale redentore siamo persi e che questo non è però solo una questione di devozione religiosa personale, ma corrisponde alla struttura ultima dell'essere come dono gratuito e personale.

Buona serata, Roberto

PS Avevo interrotto la lettura del tuo libro perché ho fatto un impegnativo viaggio in Armenia.

Grazie Roberto della tua paziente ed intelligente lettura. La formula di Del Noce- teodicea contro Incarnazione- mostra come il razionalismo sia una deriva che nel '600 attraversa il pensiero cristiano. E' il prodotto di una crisi. La soluzione razionalistica del tema del male presuppone il venir meno del paradosso della croce. La fede non è più sufficiente. Il razionalismo sorge da un oblio cristologico. Pascal lo aveva intuito. Quanto al mito di Anassimandro riletto da Chestov documenta come il razionalismo non è, innanzitutto, una gnoseologia quanto una dottrina della redenzione. Le teorizzazioni odierne sull'eutanasia ne sono una derivazione. Il finito, in quanto finito, è insopportabile. Massimo 

Excursus su un'intervento di Massimo Borghesi in una trasmissione del "Diario di Papa Francesco": Caro Massimo, mi sono ascoltato con attenzione questo dialogo tra laici sull'intervento del Santo Padre all'assemblea della CEI. I tre punti mi sembrano molti importanti: la sinodalità, l'accelerazione del riconoscimento di nullità matrimoniale e il rapporto vescovo e sacerdoti. In vero i tre punti sono uniti: un protagonismo del vescovo sulla questione della nullità è possibile solamente se il vescovo conosce i suoi parroci, che poi conoscono le persone. Quindi se è vero che la paternità del vescovo è decisiva perché il sacerdote non sia solo, è vero anche che è decisiva per il vescovo, in modo che egli non sia solo, per esempio nel giudizio sulla nullità. Per quanto riguarda la sinodalità essa è importante non solo per il rapporto tra vescovi, ma anche nel rapporto tra i membri di un Movimento. Io sono un lupo solitario nella diaspora sassone anhaltina con due per cento di cattolici. Vivo la vita di parrocchia e quella del Movimento, a livello istituzionale, una tantum, per esempio, nella diaconia allargata; questa in Germania è solo un poco sinodale; certo ogni persona può fare la sua testimonianza, ma chi da la linea di appartenenza è di fatto il sacerdote che guida il Movimento in Germania e che spesso è portavoce dei suoi interessi teologici e non di reale comunione con il Santo Padre. Il visitor ha piuttosto la funzione paterna. Ovviamente il sacerdote di cui parlo negherebbe ciò che sto dicendo e egli che cita sempre don Carrón; appunto lo cita, ma scendo me non lo sente e questo lo si vede nelle frasi che collegano le parti della diaconia: preghiera, testimonianze e proposta culturale. Comunque, questo sarebbe un teme da approfondire. Di vitale importanza è quello che tu dici sul popolo fedele. Dopo che hai parlato dell'importanza della polarità tra clero e popolo fedele, mi sono chiesto, Massimo Borghesi, che cosa sia per me l'essenziale come parte di questo "popolo fedele"; sebbene sia per me importante la riflessione filosofica, essa ha una dimensione mariana, di servizio e non la pretesa di stabilire "cosa" si creda. Così mi comporto anche con il mio parroco. Quello che mi preme è piuttosto "come" (hai fatto una bella citazione del Papa su questo tema) si crede ed in particolare come si crede nella nostra società trasparente e liquida, ma anche ossessivamente "regolativa" di tutti i rapporti umani (per esempio nella scuola). Per me il "come" ha alcuni elementi: 1. in primo luogo quello "paolino" della libertà, di Dio e dell'uomo. La giustificazione è un atto libero di Dio e non dipende dai miei sforzi giustificativi. Noi siamo cattivi come dice Gesù ed abbiamo bisogno tutti della Sua giustificazione. Secondo: sto leggendo la biografia di un sacerdote tedesco che si chiama Franz Kentenich (1885 - 1968); lui nella sua fase di noviziato capisce come sia importante, per una ascesi non spiritualista prendere sul serio il "gratia perficit naturam, non tollit". Come hai detto giustamente tu nel tuo intervento nella trasmissione "Il diario di Papa Francesco", noi non possiamo che prendere sul serio il contesto di secolarizzazione in cui viviamo; non è che in questo contesto storico la "natura" sia diventata altra, ma la sua percezione è cambiata; questo vale per esempio per comprendere che cosa è in gioco in un matrimonio cattolico oggi (con una conoscenza minima del suo significato teologico) - cosa significa sposarsi oggi nella nostra società trasparente e pornografica? Quali livello di confusione tra natura e proiezione sociali sul modo di vivere il sesso? Qui ci vuole tutta la libertà "paolina" se non si vuole soccombere ad una "legge" che non può che uccidere. 2. Il secondo elemento che vorrei sottolineare, Massimo Borghesi, è quello "giovanneo", quello dell'amore, del laico o del sacerdote, che non dipende da un'istituzione, ma da un compito che proviene direttamente da Cristo. Se io voglio che lui stia con me, a te che importa?, dice Gesù a Pietro (Gv 21). Questo vale per tutte le donne e tutti gli uomini che nella Chiesa, nel luogo affettivo e lavorativo che vivono, sono testimoni del suo amore gratuito. Questo è il mio compito anche nella Fraternità di CL. Confrontare tutti con un desiderio di autenticità che proviene da Cristo. Senza questa dimensione "giovannea" l'appartenenza ecclesiale diventa solo una formalità. Continua. 3. Il terzo elemento è quello "petrino", nei confronti dell'autorita ecclesiale ed ultimamente del Papa. Nel senso del motto di Ambrogio: ubi Petrus, ibi ecclesia, ubi ecclesia vita aeterna. È molto interessante che sia proprio un laico ed un filosofo come te, Massimo Borghesi, che debba ricordare alla chiesa vescovile italiana, che quanto il Papa da un'indicazione, questa debba essere seguita. Se il Papa vuole che la Chiesa italiana rifletta sulla "Evangelii gaudium", questo lavoro deve essere fatto. Li ci sono indicazioni missionarie importanti: la gioia del Vangelo, la critica alla mondanità spirituale, l'attenzione agli ultimi su cui si deve riflettere ed agire. 4. Infine l'elemento "mariano": io non sono minimamente degno dello sguardo vergine e materno di Maria (materno e vergine direbbe il padre Schmemann), ma mai al mondo vorrei perdere il contatto con questa donna semplice e coraggiosa, con la Theotokos! Per questo quando in Israele sul monte Carmelo, con mia moglie, abbiamo offerto la nostra vita e noi stessi al cuore immacolato di Gesù, lo abbiamo offerto anche a Maria. Io non conto mai sulla mia stabilità morale per la fedeltà a mia moglie e ai miei figli, ma sempre sulla sua materna capacità di scogliere i nodi. Tuo, Roberto

(31.7.19) Il razionalismo è la filosofia della „giustificazione della morte“.
Augusto Del Noce, 1947 (Citato in Massimo Borghesi, Augusto Del Noce, Genova-Milano, 2011, 124)

Confrontarsi con Augusto Del Noce (nell'interpretazione di Massimo Borghesi) significa per me entrare immediatamente in dialogo intimo con alcuni temi della mia riflessione filosofica, per quanto essa si esprima solamente nel mio insegnamento liceale, nei miei frammenti e nel mie passeggiate nel bosco.

  1. 1. La filosofia razionalista ha la pretesa di essere una filosofia della dimostrazione, priva di presupposti e come tale si presenta con una certo senso di superiorità; ma in vero non vi è nessuna filosofia priva di presupposti; il lavoro da fare è quello di giustificare il proprio presupposto. Per la filosofia dell'essere come dono, il presupposto è l'atto di donazione dell'essere gratuito. La giustificazione consiste nel vedere se questa ipotesi di lavoro aiuta o meno a comprendere la realtà.
  2. 2. Il razionalismo come filosofia giustificante la morte come qualcosa di normale; legata a questa tesa vi è quella dell'ontologicità della colpa; l'essere finito è qualcosa di colpevole di per sé, quindi è giusto che esso finisca. Non vi è spazio per quel miracolo, come atto di moralità massima, presente nelle parole di Gesù a Marta: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà" (Gv 11,25)..
  3. 3. Da qui nasce il problema dell'indifferenza. La versione ignaziana si trova nel "Principio e fondamento" degli Esercizi (23): "L'uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio Nostro Signore e per salvare in questo modo la propria vita e le altre cose sulla faccia della terra sono create per l'uomo affinché lo aiutino al raggiungimento del fine per cui è stato creato. Da qui segue che l'uomo deve servisene, tanto, quanto lo aiutino a conseguire il il fine per cui è stato creato e tanto deve liberarsene quanto glielo impediscono. Per questa ragione è necessario renderci indifferenti verso tutte le cose create...in modo da non desiderare da parte nostra più la salute che la malattia...". Questa indifferenza ignaziana presuppone il miracolo di cui parla Cristo a Marta. L'indifferenza del razionalismo o del'Idealismo consiste in questo: se il pensiero diventa realmente universale, allora è indifferente la esistenza o non esistenza nella vita finita del filosofo. Qui viene giustificata la morte come normalità. Si tratta insomma di due differenti indifferenze. Nella postura (posizione) ignaziana il tutto serve alla salvezza dell'anima che consiste nel fare ciò per cui si è creati.
  4. 4. Tra la valutazione della biografia delnociana e la critica alla stessa balthasariana vedo un momento comune: entrambi vogliono evitare autobriografismo e psicologismo, ma il filosofo italiano sottolinea l'importanza della soggettività del pensiero del filosofo (e chiama ciò "biografia"), mentre il teologo svizzero la sua missione, il suo compito, che è vita e non biografia. Credo che Balthasar identifichi "biografia" con "psicologismo". In uno dei suoi ultimi libri (come ripresa di un libro prima scritto su Reinhold Schneider, dedicato alla comunità da lui fondata con Adrienne, scrive: "L'esistenza appartiene al compito, non alla biografia" (Nochmals Reinhold Schneider, edizione tedesca, 18) Lascio aperta la questione di quale si la scelta linguista migliore. Importante è comprendere la posta in gioco. Per entrambi è importante che l'io non sia ridotto in un Es anonimo e che ci sia una reale possibilità di prendere sul serio una chiamata personale, che per il filosofo significa: anche i problemi eterni non possono essere risolti per me: "devo risolverli in prima persona"! Quindi non è possibile aspettarsi da un filosofo una sequela ceca ad un capo, tanto meno se si tratta del proprio destino. Il filosofo non può inchinarsi ad alcun "sistema".
  5. 5. Sia Balthasar, che Del Noce, che Ulrich criticano non solo il sistema razionalista, ma anche quello neoscolastico. Ogni forma di "essenzialismo" pretende di comprendere cosa sia l'uomo confrontandosi solamente con l'essenza dell'uomo e non con la sua storia. L'essere viene visto come una neutralità senza presupposti (razionalismo ) o come un'assolutezza presupposta (neotomismo), in entrambe le varianti manchi l'uomo con il suo compito specifico, l'uomo come abyssus. Nel sistema è tutto chiaro a priori come giustificazione della morte o di una vita astratta.

    (3.8.19) Caro Massimo, sono ritornata a Del Noce e alla sua lotta per salvare l'altro Cartesio; una lotta che forse Balthasar non avrebbe compreso, che in questo dipende dalla lettura tedesca di Cartesio. Il tema della libertà, in un certo senso, non è il suo tema anche se era certo un uomo libero, come uomo e come pensiero. Tra Goethe e Schiller sul tema della libertà Balthasar sceglie Goethe. Per me Del Noce è in questo momento molto importante, proprio per quei tre temi che cerca di salvare del moderno: libertà, soggettività e atteggiamento anti totalitario. Allo stesso tempo Balthasar non è diventato per me meno importante, anche se non ha fatto un certo percorso filosofico... Tuo, Roberto

    Grazie Roberto. In realtà Del Noce tiene insieme Cartesio e Gilson. Agostino e Tommaso. E quindi, potremmo dire, libertà e forma. La polarità di Guardini permette di unire i due poli in una tensione. Buone vacanze nel freddo Nord!! Massimo

    (4.8.19) Ontologia e storia della filosofia

    Caro Massimo,
    come sai io sono andato nella mia vita, per quanto riguarda l'ontologismo cristiano e l'interpretazione della storia della filosofia, su un percorso franco-tedesco (Hans Urs von Balthasar). Solo ora con te - anche se le mie letture di Augusto del Noce sono cominciate 20 anni fa - sto approfondendo la linea franco-italiana (Augusto Del Noce). Quella che hai approfondito nel tuo ultimo volume "Ateismo e modernità", ma anche per esempio nel volume "Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno".

    Vorrei toccare due temi, per far vedere come queste linee si tocchino e si arricchiscano, a vicenda: importanze della storia e coerenza del pensiero.

    1. Im primo luogo l'importanza della storia (e con ciò non intendo solo della storia della filosofia). Senza una sensibilità per l'esistenza storica quello che diciamo forse ha valore eterno, ma con più probabilità ha inconsciamente quel valore che non si può che "rappresentare" in un certo tempo della propria storia. Senza comprendere cosa significhi l'anno 1979, per fare un esempio (ritorno di Ruhollah Khomeini in Iran, viaggio di Giovanni Paolo II in Polonia) o l'anno 2001 (attacco alle torre gemelle di New York...), tanto per fare un altro, ma infine senza tenere conto degli ultimi anni di guerra in Siria (a partire dal 15.3.2011) e di esodo da questo paese, non si può pensare filosoficamente: la frase "essere come dono" sarebbe solamente una frase più o meno intimista.

    Per quanto riguarda la storia della filosofia: le due linee sopra indicate hanno per quanto riguarda la modernità, un punto cruciale nell'interpretazione di Cartesio. Augusto Del Noce e Hans Urs von Balthasar hanno identificato in Cartesio un punto di rottura e ne hanno visto le identità, ma anche se Balthasar nella sua immensa cultura fa parlare anche il Cartesio cristiano, non vede la necessità intravista da Del Noce di identificare un "altro Cartesio", non solo quello che si sviluppa immanentisticamente in direzione di Hegel, ma quello che è ha coltivato le sue radici cristiane, anche se senza un senso particolare per la storia. Insomma quel Cartesio il cui nemico non era in primo luogo il pensiero neoscolastico, ma quello libertino. Il Cartesio che ha pensato il dubbio come scuola di libertà e non come scuola di decomposizione del reale, per scopi di massimalizzazione del "piacere".

    Balthasar vede piuttosto in Nicola di Cusa, un nodo cruciale del moderno, sia per la definizione di Dio, sia per un dialogo "ecumenico" con altre confessioni e religioni. Questo atteggiamento ecumenico dovrebbe essere di grande aiuto anche per affrontare temi importantissimi nella nostra epoca: la fratellanza di tutti gli uomini (Papa Francesco, Gran Imam Al Tayyeb) e la difesa e cura della nostra casa comune (Sinodo in Amazonia).

    Sono solo frammenti da approfondire.

    2. Il problema di Del Noce di conciliare, non in modo eclettico, l'esistenzialismo teologico e l'ontologismo, Cartesio con Gilson, mutatis mutandis, è il problema che si è presentato nella mia vita, nella conciliazione tra Balthasar e Ferdinand Ulrich. Come conciliare il teologo della libertà e gloria di Dio e della singolarità di Cristo confessante il peccato del mondo sulla Croce e nella discesa all'inferno, con l'ontologia dell'essere come dono, senso necessario ultimo dell'essere, di Ulrich? Questo problema "teoretico" non ha mai messo in dubbio la certezza che nella "communio sanctorum" non ci sono contraddizioni sterili.

    Per me i due sono come due "fratelli nello spirito" (a parte che sono stati due sinceri amici), eppure vi sono differenze, per esempio anche nella presa di distanza di Ulrich da Adrienne, ma non solo a questo livello "biografico". Secondo me Ulrich è riuscito a prendere sul serio la gratuità del dono dell'essere che non è una monade essenzialistica, ma un movimento finitizzante che tiene conto sia della libertà di Dio nel donarlo, sia la libertà dell'uomo nell'accogliere questo dono. Se nel dono dell'essere si svela, però, il "primerear" dell'amore gratuito del Padre, in cosa consiste allora la specifica novità di Cristo? In questa domanda si vede quale lavoro ci sia da fare per conciliare i due pensieri.

    La categoria che hai sviluppato dell'opposizione feconda (da non non confondere con quella di una contraddizione sterile) da Romano Guardini fino a Papa Francesco, aiuta per fare questo lavoro di conciliazione filosofica.

    Una buona giornata, Roberto

    PS Molto interessante quello che mi hai scritto nel tuo ultimo messaggio sulla conciliazione tra libertà e forma; questo per il dialogo tra Goethe e Schiller, ma anche in genere, per noi uomini, è decisivo.

    Caro Roberto, Del Noce e Balthasar possono davvero integrarsi. La loro integrazione è il punto qualificato per la possibilità di un pensiero cattolico oggi. La possibilità del loro incontro è già prefigurata nell'incontro tra Del Noce e Gilson. D'altraparte Del Noce è sempre stato un realista, un anti-idealista. Il suo maestro, Carlo Mazzantini, era un tomista sui generis. Del Noce coglie bene i limiti dell'agostinismo-cartesiano moderno ma ne coglie anche la valenza "moderna" positiva, il valore dell'io e della soggettività. Coglie il valore "politico" del momento soggettivo poiché la Verità non può prescindere dalla libertà. In ciò la differenza tra modernità e Medio Evo. Balthasar su questo punto è più legato ai quadri della Neoscolastica, rafforzati da Heidegger. Epperò la sua valorizzazione di Cusano, come autore di una sinfonia del vero, è squisitamente moderna. In Del Noce v'è la consapevolezza, drammatica, che la débacle del pensiero cristiano moderno sta nella contrapposizione tra agostinismo e tomismo, spiritualismo e naturalismo, soggettività ed oggettività. Occorre ricucire la frattura per procedere oltre. Per questo io raccolgo l'indicazione delnociana a partire dalla filosofia polare di Guardini che ritroviamo in Przywara,e, da ultimo, in Bergoglio. In questa polarità si inserisce il valore del pensiero dialogico del '900, quello di Buber-Rosenzweig-Ebner-Marcel, per il quale l'io si offre a partire dal "tu". Lévinas muove da qui. La costituzione dell'ego avviene a partire da una relazione fondamentale con l'alterità. A questo livello è possibile recuperare la lezione del tomismo, nella valenza estetica e teodrammatica balthasariana, e riconciliarlo con il filone del personalismo, fuori da sterili contrapposizioni. Massimo 

    (5.8.19)

    Caro Massimo, ho pensato a lungo sulla tua risposta. Sono al mare del nord ed a parte il tuo libro su Del Noce non ho altri libri con me. Cerco di risponderti, fidandomi della mia memoria. Sui tre punti, che tu metti in evidenza nel tuo capitolo "La via franco italiana del pensiero moderno" e nel tuo intervento qui, cioè: importanza della libertà e della soggettività ed anche del atteggiamento politico contrario al totalitarismo, vi è certamente un accordo finale tra Del Noce e von Balthasar, anche se argomentano in modo diverso. Non bisogna dimenticare che Balthasar è in primo luogo un germanista e non un filosofo, anche se ha letto fino alla fine della sua vita testi di filosofia (per esempio l'ultimo Schelling). 1. Sulla questione della libertà, nel capitolo su Goethe in Gloria III, 2, Balthasar cita dai "Gespräche mit Eckermann" la frase, a cui implicitamente ho già ricordato prima: Schiller parla tanto di libertà, ma che farsene di così tanta libertà che non si è capaci realmente di usare. Balthasar si è impegnato molto nella sua vita e nel suo confronto con la "metafisica dei santi", in primo luogo con Ignazio, di mettere a fuoco il vero senso dell'obbedienza. L'obbedienza come una scuola di libertà vera. 2. Non Heidegger, ma Goethe è colui che gli permette di difendere la "forma" nei confronti di un idealismo che vorrebbe superare la filosofia trascendentale della soggettività di Kant nel senso di una riduzione di tutta la realtà a "soggetto". Il soggetto non è meno importante per Balthasar, poche è colui che riceve la chiamata personale di Dio, ma questo è invitato a fare parte di una forma che faccia sorgere tutte le sue potenzialità. Di fatto Balthasar sa che né la "metafisica dei santi", che non è capace a differenziare la realtà a livello filosofico, prendendo sul serio il pensiero, né Goethe lo possono aiutare fino in fondo, perché se si chiedesse al grande maestro della forma, cosa essa sia ultimamente lo metteremmo in imbarazzo, dice Balthasar di Goethe. L'amicizia di Balthasar con Ulrich nasce su questo punto: nel raccordo tra santità e filosofia. 3. Aver il senso per la forma, vuol dire avere anche il senso dell'istituzione. In "Pneuma und Institution" è lo Spirito Santo stesso che da forma all'amore tra Padre e Figlio. Gli autori che citi tu giocano un ruolo importante in Balthasar: Buber-Rosenzweig-Ebner-Marcel. Di fatto anche per un motivo trinitario: non è impossibile comprendere l'io senza il tu, che però è anche sempre un misterioso "egli". In questa dimensione del io-tu-egli/lei nasce anche un senso grande per il "noi". Il totalitarismo, come il populismo, si presenta sempre come negazione ultima del senso dell'istituzione. Grazie per il dialogo. Roberto 

    (16.12.19) Caro Massimo, 

    è stata davvero una lettura importante il tuo capitolo sulla "teologia politica di Giovanni Paolo II"; a partire dal mio articolo uscito lo scorso mese ne "La Nuova Europa" sull'anniversario trentesimo della caduta del muro sto riflettendo sulla figura di GPII. Lo trovo straordinario per quanto riguarda la sua coraggiosa presa di posizione contro le guerre nel Golfo e per il modo con cui ha sopportato attentato e malattia (cose che menzioni anche tu), ma ci sono alcune cose che non mi convincono; in primo luogo il suo essere unisono con la politica di Ronald Reagan - pur avendo proposto una terza via tra capitalismo e socialismo, questa sua simpatia per Reagan mi è sospetta e secondo me, anche se non sono ora capace di dimostrarlo, ha a che fare anche con errori madornali nella scelta dei vescovi in USA, in primo luogo, verso il 2000 di Theodore McCarrick: secondo me non è una svista, ma proprio un errore sistemico: quando si ha un nemico in comune, si guarda meno cosa fa il presupposto amico. 

    Poi per quanto riguarda il mito della Polonia con una missione sacra è bastata un po' di libertà occidentale per farlo sparire completamente: ancora oggi se sei a Cracovia si sente la sua presenza e i polacchi ne sono orgogliosi, ma credo un po' nel senso che citi di Finkielkraut: celebrità e contenuti di chi è celebre sono del tutto divergenti. Comunque rimane la sua santità indubbia e i suoi grandi gesti del Vangelo: da Assisi, all'insistenza sulla misericordia per i piccoli, etc. ma credo che si debbano ridimensionare alcune cose, in primo luogo anche il senso storico del suo viaggio nel 1979 in Polonia; certo ha scosso il sistema, ma anche perché il sistema non poteva più vivere; anche nella DDR, dove il sistema non aveva alcuna influenza polacca, sono bastate un po' di candele e un po' di processioni per mandarlo in malora; avvertimi se pensi che sono impazzito. Il Papa che viene dal sud mi sembra che pian piano conquisti molto di più il titolo di "magnus", perché davvero mette il mondo in dialogo, senza dimenticare Cristo e senza dimenticare il mondo (la nostra casa comune). GPII lo ha fatto anche con lo spirito di Assisi, ma secondo me era molto meno coerente di Francesco e forse davvero più sensibile alla "teologia politica" ma non nel senso debole di Böckenförde (molto più debole della posizione da lui criticata di Peterson). Nella secolarizzata ex DDR mai nessuno mi ha mai detto qualcosa di GPII, mentre invece mi parlano di Francesco, che non ha il problema di dire che tutto quello che fa parte di quella storia era il "nemico"; ti prego, dimmi se pensi che sia impazzito, Tuo, Roberto

    Caro Roberto, No, niente follia, è proprio come dici: grandezza e limiti. Una certa concezione romantico-sacrale della Polonia, il suo ethos come modello, la sottolineatura etica di chi presuppone ancora la cristianità, l'abbandono (già prima della malattia) della vita interna della Chiesa a Ruini-Sodano -Dziwisz... Poi invece la sua grandezza, il vigore ritrovato della fede, la sua gioventù impetuosa, "Dives in misericordia", "Redemptor hominis", Assisi, il dialogo ecumenico, La richiesta di perdono nel Giubileo del 2000, la malattia, la lotta contro Bush per l'Iraq...Tuo, Massimo

    Caro Massimo, Per quanto riguarda poi il "modello von Galen" di cui parla Böckenförde, annuncio del Vangelo come predicazione teologica, che diventa "eo ipso" un messaggio politico, forse, in un certo senso vale più per Francesco, che di fatto annuncia solo il Vangelo, mentre il messaggio di GP II non era solo annuncio, ma per l'appunto davvero "teologia politica". Ma forse mi sbaglio. O forse sono troppo partigiano di Francesco. 

    Per quanto poi riguarda la questione della dottrina e della testimonianza a partire dall'uscita del CCC nel 1992 credo che sia davvero la forza, ma anche la debolezza di BXVI: una volta che hai detto chiaramente che cosa sia la fede, rimane tutto un lavoro di discernimento da fare, senza il quale la dottrina risplende, ma per chi? La testimonianza invece, sia nella malattia di GP II sia nel ritiro di BXVI è davvero molto luminosa. Buona notte.



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