domenica 26 gennaio 2020

L'amore per la Chiesa, cum e sub Petro. Incontro con Ferdinand Ulrich - in Regensburg, am 26.1.20

Lipsia. Quando siamo arrivati dormiva; aprendo lentamente un occhio e non avendo riconosciuto la sua carissima Konstanze, mi sono preparato al peggio. Non avevo alcuna "pretesa", se non l'attesa di vedere cosa sarebbe accaduto - con la coscienza che Dio ci avrebbe parlato. Poi ha aperto una seconda volta leggermente gli occhi e Konstanze mi ha detto in macchina, che se anche non avesse aggiunto alcuna parola, lei sarebbe stata sicura di essere stata riconosciuta. Ha pronunciato il proprio nome e Ferdinand Ulrich ha tirato lentamente fuori dalle lenzuola la sua mano, ha preso quella di Konstanze è la tenuta a lungo sul suo cuore. Poi ha chiesto se c'era "Roberto" - a sentire il mio nome ho provato credo qualcosa di simile a ciò che ha provato "Maria", nella scena della risurrezione di Giovanni. Poi ha detto, lentamente, ma in modo chiaro e solenne che in questi decenni tra noi vi è stata sempre un'unione, non vi è mai stata separazione, sebbene fossimo separati a livello spazio-temporale. Tra le parole vi erano lunghi momenti di silenzio; poi arriva la prima domanda: Cosa ne pensate (!) della situazione nella Chiesa? Quando ho risposto che Konstanze ed io "sentiamo" con il Santo Padre e lo consideriamo una mano che il cielo ci ha offerto, il suo viso si è rasserenato. "Si, è così. Dobbiamo pregare tanto per lui". Silenzio. Lui non capisce gli attacchi al Santo Padre, mandato da Gesù; quando Konstanze ha detto che si sorprende come la gente che lo critica non si accorga che fa le stesse azioni di Cristo, Ulrich ha assentito. Ha detto che il diavolo è all'opera in queste critiche così violente ed ingiuste. Ha assentito quando ho detto che è vero ed ho pregato a voce alta il "Sub tuum praesidium" e il "Sancte Michael Archangele"; alla fine ha detto "Amen". Ha assentito anche quando ho detto che, però, questa lotta del diavolo e la lotta di uno sconfitto che non può far nulla, senza che noi glielo permettiamo. Mi ha benedetto in modo solenne, dicendo che se il Signore non mi aiutasse, non potrei dire queste cose in modo così chiaro.

A spesso ripetuto la sua gioia ed ha insistito che non andassimo via subito; siamo stati due ore: abbiamo pregato una decade del rosario ed anche il "Deus ego amo te" (San Francesco Saverio; una preghiera che ci aveva insegnato lui); lui ha incrociato le mani. Ci ha chiesto di Johanna e Ferdinand. Abbiamo parlato del fidanzato di Johanna, David, e del "lavoro" di Ferdinand come fisioterapista,  della sua amicizia con Adrian (ha sorriso quando ha sentito questo nome), in America. Ha ripetuto spesso che gli stavamo dando una grande gioia: gioia su gioia. Abbiamo anche parlato a lungo di Stefan Oster (vescovo di Passau) ed era contento che sto lavorando e meditando sul suo "Persona e transustanziazione" - un libro chiaro che viene letto troppo poco, ha aggiunto. Prega che Stefan non si perda in troppi flussi della sua attività, ma era contento di sentire il mio interesse e la mia vicinanza a questo suo allievo amato. Gli ho anche raccontato del grande lavoro che Konstanze fa a scuola: una mamma per tanti. E dell' amicizia che ci lega a Maria Grazia e Bruno a Roma, a Paola e Nicola a Cremona. Era contento che non eravamo soli a sentirci uniti con il Santo Padre, Francesco. Lui temi che siano pochi chi lo comprende davvero, ma grazie a Dio non è così, mi ha fatto notare Konstanze in auto.

Ad un certo punto era stanco e un po' confuso, non si ricordava tutto, ma sapeva della traduzione inglese di "Homo abyssus"; era contento della mia traduzione di alcuni capitoli di "Gabe und Vergebung" (Dono e perdono) in italiano - dapprima non si ricordava di questa sua opera; poi quando gli ho raccontato in breve il contenuto ha sorriso ed ha detto che è stata un'opera "piena di grazia".

Vi sono stati anche momenti buffi; quando gli ho raccontato che eravamo pronti a stare accanto a lui anche in silenzio, se non si fosse svegliato, ha sorriso e con una faccia "leggermente teatrale" ci ha fatto vedere come avremo dovuto svegliarlo: con una canzone, o facendogli il solletico e poi ha cantato a voce bassa, ma chiara, una canzoncina per bambini tedesca (Alle Vögel sind schon da) ed ha aggiunto che era del tutto assurdo che lui non si fosse svegliato per noi; e nel modo divertente in cui anni fa ci aveva raccontato le prime ore in università di Stefan Oster nei suoi corsi, ci ha per l'appunto fatto vedere come avremmo dovuto svegliarlo. 

Quando siamo andati via ha benedetto noi due e tutti i nostri cari in modo particolare le persone di cui abbiamo parlato e che ci sono care. Ci ha chiesto ancora di aprire la finestra, poi abbiamo chiamato l'infermiera, che ha riabbassato il letto. Ci ha anche confidato che sarebbe bello potersi risedere su una sedia, ma non ho percepito nessuna paura della morte. 

Quando ho nominato il nostro carissimo amico e maestro, Hans Urs von Balthasar, e la sua frase: "solo l'amore è credibile", ha sorriso con tenerezza. Come ha anche sorriso, pieno di gratitudine, quando gli ho raccontato che il Papa è contento anche delle persone che lo criticano, perché non vuole essere sempre adulato.

Forse la cosa che più mi ha colpito è stato quando volendo spiegarmi qualcosa e non riuscendoci ha detto che ora deve imparare cosa sia la "povertà". In queste due ora il "cuore del mondo" ha battuto in questa stanza dell'ospizio della Caritas dedicato a san Elisabetta a Ratisbona. Ancora una volta Ferdinand, il pellegrino, ci ha insegnato come si vive e come si muore, in una grande fiducia in Gesù e nella sua Chiesa, pur percependo tutto il dramma della Chiesa e di un mondo che ha perso il suo bilanciamento. Konstanze ed io eravamo pieni di gioia e in macchina abbiamo sentito insieme alcune canzoni. 

(29.1.20) La consacrata francescana, Michelle, che si occupa in questi giorni di Ferdinand Ulrich mi ha raccontato che oggi è stato seduto tre ore in una poltrona. Deo gratias et Mariae! Konstanze ha parlato al telefono brevemente con lui verso le 19,15 ed aveva una voce più solida. 

(11.2.20) Alle 11, 15 nel giorno mariano di Lourdes, Maria ed attraverso di lei lo Spirito Santo, hanno accompagnato il "piccolo pellegrino di Gesù" da Gesù e dal Padre! Mi hanno chiesto come mai pubblicassi uno scritto così intimo come questo; invero l'ho pubblicato, perché testimonia della luce e la "cosa" davvero personale, una "cosa2 che aveva ferito Ferdinand non l'ho raccontata. Ora tutto è compiuto. 

(12.2.20) Michelle mi ha scritto che il vescovo Stefan Oster celebrerà il funerale di Ferdinand Ulrich; ne sono molto contento. 

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Appendice

(12.2.20) Tra gli scritti su Ulrich vorrei conservare questo del 9.2.20 in cui ho tentato di fare un paragone tra Luigi Giussani e Ferdinand Ulrich: 

Vedo una grande vicinanza spirituale tra Luigi Giussani e Ferdinand Ulrich; il primo è stato il padre di un popolo (e lo è ancora dal cielo); il secondo, nella sua modalità del dialogo faccia a faccia, è stato (e lo è anche nella sua malattia finale) anche il padre di molti. Entrambi hanno una chiara visione della realtà come dono (non come qualcosa che facciamo, non facciamo neppure noi stessi). Ulrich è più preciso nell'uso della parola "(E)essere" che Giussani usa invece quasi sempre nel senso di "Essere" (esse ipse subsistens), mentre Ulrich usa anche nel senso di "essere" (esse est aliquid simplex et completum, sed non subsistens); sulla cosa stessa sono d'accordo, ma Ulrich ci fa comprendere il carattere di "donazione" come "gratuità" in modo filosofico molto più preciso; questa questione non è solo qualcosa di filosofico, ma ha un implicazione esistenziale decisiva; non solo Dio è amore gratis e non solo l'uomo è immagine di questo amore gratuito, ma la "donazione" stessa, la "generazione" è gratuita ed in quanto tale "similitudo divinae bonitatis). Ciò è chiarissimo nel fondatore, meno nei ciellini che spesso vivono l'appartenenza come una sussistenza inesistente. La compagnia generativa non è sussistente e solo l'incontro personale con l'amore gratuito ci può salvare. La teologia e la pedagogia di Giussani sono chiarissime e Ulrich si è sempre sentito molto legato a Giussani, anche se non lo ha conosciuto, ma la filosofia di Giussani non è precisa, perché manca l'espressione della "donazione" come "kenosis": l'essere non è qualcosa da difendere, perché è "niente" (il niente della gratuità). Entrambi gli autori hanno una pedagogia dell'essere bambino non infantile capace di "criticare" (Giussani) e discernere (Ulrich) false dipendenze.

(14.02.20) Ich glaube, dass es 1990 gewesen sein muss als ich das erste Mal Ferdinand Ulrich in München getroffen habe; mit ihm lernte ich die "subjektive Dimension" der Zeit im Sinne von Augustinus kennen: 2 Stunde mit ihm waren ganz anders als zwei Stunde in dem man etwa einkaufen geht. Er hat auch das Herz meiner Frau, die aus der protestantischen Stadt Heidelberg, obwohl sie selbst katholisch ist, für sich, besser für Jesus, gewonnen. Die letzte 2 "ganz anderen Stunden" mit ihm haben meine Frau und ich am 26.01.20, 16 Tagen vor seinem Tod erlebt; mit Gesten und Worten und in verschiedenen Registern (Humor, Feierlichkeit, Freude...) konnten wir nochmals die Communio Christi mit ihm erleben. Seine Zärtlichkeit für uns, seine Frage über die Situation in der Kirche, seine tiefe Freude als ich gesagt habe, dass Konstanze und ich Papst Franziskus als eine Hand sehen, die uns ausgestreckt worden ist, in dieser Krisenzeit der Welt. Welches ein Geschenk! Er hat uns gesegnet und versichert, dass wir nie getrennt waren, auch wenn wir räumlich nicht oft zusammen waren, nachdem wir in Sachsen-Anhalt umgezogen waren. Danke, Ferdinand, kleiner Pilgerbruder Jesu!

(15.2.20) La solitudine può essere vinta solo da una presenza - Luigi Giussani e Ferdinand Ulrich due "testimoni affidabili"
In occasione della morte del filosofo tedesco ho già scritto qualche giorno fa della fratellanza spirituale tra lui e Giussani. Sono due "testimoni affidabili", per usare la formula che Julián Carrón usa in riferimento a don Giussani (Fede e solitudine, Tracce 2,2020, pagina 19), perché hanno provato sulla propria pelle ciò che affermano.
Parlano di solitudine perché l'hanno sperimentata e conoscono tutta la brutalità di essa. Entrambi vedono in Cristo la risposta a questa solitudine. Cristo è lo "scopo" (Carrón) di questa esperienza di solitudine. Uno scopo nel senso della causa finalis aristotelica e non della strumentalizzazione della solitudine stessa.
"Dio non si impone all'uomo, ma attende di essere accolto liberamente" (Giussani); l'attesa di Dio non è alcunché di passivo, ma somma attività. Il padre che attende il figliol prodigo nella parabola di Luca 15 e che Ulrich ha riflettuto filosoficamente in modo unico e profondo, già da sempre ha presupposto nel figlio ciò che il figlio solo lentamente scopre nella terra straniera e poi definitivamente nell'abbraccio sorprendente del padre: il suo essere amato gratuitamente dal padre, che lo spinge ad un ritorno senza pretese, è il suo essere-se-stesso. Per questo chi lo ha compreso da più valore alla "magnanimità" di Dio che alla propria pseudo libertà che ci spinge a sperperare tutto in terra straniera.
Anche alla melanconia ipermoderna (Massimo Recalcati) vi è una sola risposta: il "solus cum solo" (Ignazio di Loyola) che è "grazia". La fatica che facciamo ad addormentarci è il segno forse più grande che nella nostra esistenza la "presenza" di cui parla Carrón è, per noi che ripetiamo le frasi, solo un'astrazione.

(15.02.20) La tentazione del puro sapere (nessuno meglio che Ferdinand Ulrich  ha compreso ciò), della pura gnosi non aiuta la confessione del peccato personale; neppure le distinzioni dialettiche, anche se filosoficamente legittime (io sono una persona e non una cosa…) ci aiutano a comprendere cosa sia l’amore gratuito: questo con misericordia riconosce ciò che opera, riconosce nel nulla dell’altro (povero, senza vestiti, senza cibo…) il tutto dell’amore, pone nell’altro la possibilità stessa della confessione del peccato.

(16.02.20) Una presenza. Questa è il dono più grande e la sfida più grande

Mi accorgo che Ferdinand Ulrich è stato davvero un dono grandissimo, una presenza che rinviava ad una Presenza. Non solo nella nostra ultima visita, ma anche pochissimi giorni prima della sua morte, un'amica mi testimonia come l'umorismo non lo ha mai abbandonato. È morto solo, come Adrienne ed Ignazio, ma i suoi ultimi giorni erano ricolmi di visite di persone che lo hanno cercato e con cui lui è entrato in un dialogo intimo, ma anche di humor. Poco prima di morire ha chiesto di potersi riposare e poi lo hanno trovato morto. Certo ha anche sofferto tanto negli ultimi anni, per diversi dolori, ma da lui ho imparato a vivere ed ora anche a morire: è possibile morire, questo è il messaggio che ha saputo trasportare con diversi registri, ma anche e forse soprattuto quello dell'humor. In lui ho visto quello che dice don Carrón in "Fede e solitudine": "la fede offre un contributo alla soluzione del problema umano". 

Certo ha ragione Paul Claudel quando afferma che "il Figlio di Dio non è venuto per distruggere la sofferenza, ma per soffrire con noi", ma la frase che il poeta francese mette in bocca a Cristo: "sono venuto a rimpiazzare con la mia presenza il bisogno stesso della spiegazione" è ambivalente; da una parte è vera perché il puro sapere, la pura gnosi non aiutano a vivere e morire, ma allo stesso tempo, come spiega bene Massimo Recalcati, noi abbiamo bisogno sempre di una rielaborazione "simbolica" (del linguaggio, della riflessione...) se non vogliamo venire risucchiati da una "cosa informe" che Lacan chiama "reale", ma che non è la "presenza" cristiana, ma appunto quella "cosa" priva di ogni dimensione "personale" e che ci spaventa. Luigi Giussani dice con ragione che "è irrazionale pensare alla realtà contingente, in cui niente si fa da sé, senza implicare quel qualcosa di misterioso da cui tutto fluisce, in cui ogni cosa attinge il suo essere. "Come bello è il mondo e, dunque come grande Chi lo fa!". La madre di Giussani ha fatto un grande lavoro "simbolico" (di congiunzione tra la realtà e le parole), perché la realtà non sia il "reale" di Lacan, ma per l'appunto un "dono", che risplende e risplendendo indica la grandezza del Donatore: che è il tema della filosofia di Ulrich. Un essere che non viene donato in una "grande narrazione", ma nella "piccola via" (come ha spiegato il vescovo Stefan Oster rinviando al rapporto tra la piccola Teresa e Ulrich), nella fragilità di una presenza che ci aiuta a vivere e morire. Aver fiducia in ciò è davvero una grande sfida! 

(30.03.20) Ho parlato mezz'ora al telefono con una mia amica francescana francese, Michelle, che passa il suo tempo a pregare ed ad ascoltare per telefono persone malate. Mi ha donato una grande gioia sapere che ogni mattina segue la Santa Messa del Papa. Purtroppo il virus ha riagguanto l'Africa (Burkina Faso, Ruanda, Madagascar), dove lei è stata per 6 anni. Hs parlato con tanti malati africani. Ma la gioia che lei sa trasmettere, lei che faceva la pendolare nelle ultime settimane di Ferdinand Ulrich, è per me indescrivibile, come è una grande gioia che pregherà domani per il mio 60esimo compleanno. Mi ha fatto notare che ho il compleanno nell'ultimo giorno del mese di san Giuseppe, a cui, già a partire dalla sua cresima, Ulrich era molto legato.

sabato 25 gennaio 2020

Sacerdozio e santità - in dialogo con cardinal Marc Ouellet

Lipsia. È uscita la traduzione tedesca del libro del cardinal Ouellet sul celibato dei sacerdoti e in genere sul sacerdozio. Voglio presentare qui in ordine cronologico inverso alcune meditazioni mie sul libro. 

(30.03.20) Il sacerdote come buon pastore (III, A2, ab)

Stanno morendo in Lombardia tanti pastori buoni, tanti sacerdoti che non usano il loro sacerdozio per avere dei privilegi medici. Quello che il cardinal Ouellet afferma, seguendo la Presbyterorum ordinis del Concilio Vaticano II, sulla spiritualità dei sacerdoti come una chiamata particolare alla santità  e come  pastorale dell'amore del prossimo nella modalità della kenosis lo vedo in questi sacerdoti che hanno perso la loro vita ed in quelli che cercano di essere presenti, come possono, negli ospedali e lo vedo nella figura straordinaria di Papa Francesco, il Grande! È chiaro che quando si legge nel documento conciliare che i sacerdoti devono aspirare "meglio" di altri ad una perfezione nella santità, dopo i tanti scandali accaduti subito dopo il Concilio, in cui molti sacerdoti hanno provocato la kenosis di altri, vengono dei dubbi, se la parola "meglio" sia opportuna (cfr. PO, numero 12, §4); poi in questi giorni della pandemia: anche una persona che lavora in un supermercato sembra servire "meglio" il prossimo, per tacere del personale medico, ma il cardinal Ouellet è riuscito a far comprendere che non si tratta di una performance, ma di un servizio di amore gratuito come quello offerto da Gesù in Gv 13 e che Origine ha saputo commentare in modo meraviglioso (Omelia sul libro dei giudici), in una citazione riportata dal cardinale canadese, in cui si parla di togliersi in vestiti sacerdotali per servire il prossimo.

Nel Santo Padre (ma certamente anche in tanti altri sacerdoti), nel modo in cui celebra l'eucarestia al mattino alle 7, di questi tempi della pandemia del covid19, si vede che il cuore della spiritualità sacerdotale è il servizio eucaristico della Parola di Dio e del suo Corpo. In questo modo, anche a livello liturgico, il buon pastore è al servizio del "popolo fedele di Dio" (Francesco)!

(09.03.20) A proposito dei sacerdoti, responsabili del popolo di Dio (III, A1, c)


" I sacerdoti, in nome del Vescovo, riuniscono la famiglia di Dio, che come comunità di fratelli e sorelle desidera l'unità, e li conducono per mezzo di Cristo nello Spirito a Dio Padre " (Presbyterorum ordinis, 6, §1)...Perché cosa c'è di più importante nelle circostanze attuali della comunione e della fraternità tra i sacerdoti e intorno al Vescovo, al di là delle differenze di età e delle preferenze spirituali, liturgiche e pastorali? I sacerdoti non devono dimenticare, nei loro rapporti con i laici, di essere "fratelli tra fratelli"...". (Cardinale Marc Ouellet, Amici dello Sposo (edizione tedesca), Friburgo 2019, 102-103)

Basterebbe questa citazione per riempire di contenuto la nostra meditazione sul tema. Aggiungerei solo che il cardinale canadese rinvia esplicitamente all'esempio di Papa Francesco, che con il suo amore preferenziale per i poveri si comporta proprio secondo lo spirito dell'amore del prossimo e della solidarietà propri al Vangelo. I sacerdoti non sono "capi" in un senso mondano, ma responsabili del popolo loro affidato che vogliono "guidare", in unità, in questo viaggio dal "Padre al Padre" (Adrienne von Speyr). Cardinal Ouellet ci tiene a sottolineare che i sacerdoti possono agire solo con autentica umanità (eximia humanitate); essi devono stare al servizio dei carismi che lo Spirito Santo fa sorgere anche tra i laici - questi potranno essere carismi semplici, ma anche più significativi. L'arrabbiatura, il sospetto, la gelosia non sono degli indicatori per un lavoro di vero pastore, ma per il suo tradimento. Se noi laici dobbiamo con reale rispetto, vero amore e obbedienza amorosa incontrare i nostri sacerdoti e i nostri vescovi (questo vale anche per i sacerdoti nei confronti dei vescovi e del papa, e dei vescovi nei confronti del papa, etc...), ciò vale anche in senso contrario, nel senso di quella inversione della piramide di cui parla il Papa. La santa madre, la Chiesa gerarchica, è al servizio dei carismi che ispira lo Spirito Santo ed ancora più dell' amore che è il cuore della Chiesa. 


(02.03.20) In III, A1, b il cardinal Ouellet ci presenta il sacerdote come servo della Parola di Dio e dei sacramenti, seguendo la "Presbyterorum ordinis" del Vaticano II. Sottolineo qui solo qualche aspetto: in primo luogo che il sacerdote, spiegando e predicando la Parola di Dio, non presenta i "propri pensieri", ma per l'appunto la "parola di Dio" e cita come esempio le prediche del Santo Padre a Santa Marta. In secondo luogo fa notare il legame intimo tra Parola di Dio ed Eucarestia, che è "fonte e punto massimo dell'Evangelizzazione", perché in essa ci viene dato come cibo Cristo stesso. Infine il cardinale canadese rinvia all'esempio di santità del curato di Ars, che ha convertito la sua parrocchia con la sua santità, che è partecipazione alla preghiera e al sacrifico di Cristo stesso. 

Il cardinal Ouellet è anche cosciente che oggi nella nostra epoca secolarizzata non è facile predicare la Parola di Dio, e sottolinea il ruolo delle "comunità cristiane", il cui compito è annunciare per l'appunto Cristo anche ai non credenti. 

Nella mia esperienza ecclesiale tedesca ho tenuto tantissimi "servizi della Parola", in primo luogo nell'ambito scolastico e sotto richiesta del parroco anche qualche volta alla domenica nella parrocchia. Nella mio tempo davanti al Santissimo del Martedì e nella Santa Messa domenicale, mi rimetto sempre di fronte a Gesù eucaristico, perché sono cosciente che senza questo secondo polmone il servizio della Parola potrebbe diventare un'espressione di sole parole. L'esperienza liturgica nel cenacolo con i dodici, l'ultima cena di Gesù, è per me un momento sommamente intimo e credo davvero che i sacerdoti ricevano il loro compito di servizio da questa intimità con il Signore. I gesti e le parole diventano semplici ed essenziali! Completi nella loro semplicità (la lavanda dei piedi, qualche parole e l'offerta del proprio corpo e del proprio sangue, nella forma del pane e del vino). 

Anch'io credo che non si debba annunciare se stessi, ma credo che come laico abbia il dovere di parlare in un atteggiamento di reale ecumenismo (la cui importanza in rifermento alla Chiesa ortodossa viene sottolineata anche dal cardinal Ouellet) con tutto ciò che di bello, buono e vero io incontri nella mia esperienza e nella mie letture. Da qui il mio dialogo anche con ebrei (Etty Hillesum) e con l'Islam (attraverso in primo luogo la figura di Padre Dall'Oglio), etc. Il mio blog è stracolmo di questi miei dialoghi interiori...

(27.02.20) Nel capitoletto III, A1,a il cardinal Marc Ouellet riflette sull'essenza del sacerdozio, sia nel senso dell'ordine sacerdotale sia nel senso del sacerdozio di tutti i fedeli. Cita un passaggio della "Presbyterorum ordinis", che riflette il senso del sacerdozio ordinato:

Dato che i presbiteri hanno una loro partecipazione nella funzione degli apostoli, ad essi è concessa da Dio la grazia per poter essere ministri di Cristo Gesù fra le nazioni mediante il sacro ministero del Vangelo, affinché le nazioni diventino un'offerta gradita, santificata nello Spirito Santo (2, §4, http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19651207_presbyterorum-ordinis_it.html).

Il "sacro ministero del Vangelo" è comunque un compito di tutti i cristiani come singoli e come communio tra i carismi (quest'ultimo elemento è sottolineato in modo particolare dal cardinale canadese). Questo ministero ha un solo significato: annunciare al mondo che Cristo vive! L'ordine sacerdotale si trova in servizio di questo annuncio, in modo che vi sia "unità" tra chi annuncia. Questo servizio di unità è la compiutezza propria all'ordine; fa parte, secondo me, dell'umiltà del servizio la consapevolezza che questa pienezza è "rappresentativa". Ma non una rappresentazione astratta, perché l'azione eucaristica e quella della assoluzione dei peccati è reale, ma è reale, perché Cristo in essa è presente. 

Mettere in dubbio questa funzione del sacerdozio ordinato unito ai vescovi significa semplicemente aver smesso di essere cattolici romani. Sia il sacerdozio di tutti i credenti sia quello ordinato sono al servizio della communio d'amore che è la Chiesa; è un atteggiamento importante ciò che il cardinal Ouellet ha vissuto nel Congresso eucaristico in Quebec nel 2008: il riconoscimento reciproco dei carismi - attacchi a senso unico ad un carisma sono un altro segno del non essere più cattolici. Anche il riconoscimento di tutte le realtà ecclesiali e in mondo in particolare delle parrocchie (Papa Francesco) fa parte di questo compito di partecipazione all'amore trinitario e permette a noi tutti e non solo ai sacerdoti di coltivare qualità umane (virtù) che il decreto del Vaticano II che citiamo riassume così: 

"Per raggiungere questo scopo risultano di grande giovamento quelle virtù che sono giustamente molto apprezzate nella società umana, come la bontà, la sincerità, la fermezza d'animo e la costanza, la continua cura per la giustizia, la gentilezza e tutte le altre virtù che raccomanda l'apostolo Paolo quando dice: «Tutto ciò che è vero, tutto ciò che è onesto, tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è santo, tutto ciò che è degno di amore, tutto ciò che merita rispetto, qualunque virtù, qualunque lodevole disciplina: questo sia vostro pensiero » (Fil 4,8) (3, §1). 

(24.02.20) Nel capitolo III, A il cardinal Ouellet ci introduce al tema della "Presbsyterorum Ordinis" (Concilio Vaticano II) e ci fa riflettere sul sacerdozio come "servizio a Cristo" nelle sue dimensioni di "maestro, sacerdote e re". La Chiesa viene vista in esso come popolo di Dio, come corpo di Cristo e come tempio dello Spirito Santo. 

In questa breve introduzione mi ha colpito molto la frase di Papa Francesco: la Chiesa è in un certo senso una piramide, ma con la testa in giù; colui che guida si trova sotto, a servizio di tutti. Questo servizio di diaconia missionaria ha elementi kenotici. Il vescovo Oster ha detto nella predica funebre per Ferdinand Ulrich - credo non si trovi nel testo scritto preparatorio alla predica - che il filosofo tedesco, sebbene laico, è stata la persona più sacerdotale che egli abbia mai conosciuto (quindi più kenotica). Per evitare inutili polarizzazioni nella communio ecclesiale cum et sub Petro (il cardinale canadese usa con ragione questa formula), dovremmo approfondire questa dimensione kenotica, senza Ia quale abbiamo cristianismo (l'ideale di una società perfetta sociale con cui si è identificata la Chiesa in passato spiega Ouellet) e non cristianesimo (communio con Cristo). 

(24.02.20; pomeriggio) Da un saggio che ho letto "pro manuscriptu" (nella data del 8.3.20 pubblicato nel mio blog: https://graziotto.blogspot.com/2020/03/a-propos-du-sacerdoce-marie-jacques.html ) del gesuita belga Jacques Servais si evince che vi sono delle chiare tracce dell'origine apostolica del celibato sacerdotale e che esse percorrono tutta la storia della Chiesa. Uno studio del 1969 del gesuita francese Christian Cochini (Origines apostoliques du célibat sacerdotal), uno studio considerato di importanza vitale da parte di Jean Daniélou e Henri de Lubac, ma osteggiato da molti, anzi boicottato, ha mostrato con precisione scientifica questa tesi, poi confermata da uno studio del 1997 del prof. Stefan Heid (Zölibat in der Kirche. Die Anfänge einer Enthaltsamkeitspflicht für Kleriker in Ost und West: Il celibato nella chiesa. L'inizio dell'obbligo dell'astinenza sessuale per il clero dell'est e dell'ovest). Chi ha letto attentamente queste meditazioni avrà visto che non vi è nessuna sudditanza nei confronti delle tesi di Marc Ouellet o di Jacques Servais (ovviamente vi è rispetto) - ho cercato e cercherò di riflettere sul valore kenotico sia del sesso che del rapporto matrimoniale, ma non ho nessuna intenzione di negare l'innegabile e cioè il valore del celibato sacerdotale, come una forma speciale, voluta dal Signore stesso, di partecipazione al suo servizio eucaristico per la chiesa e per il mondo. 

(13.02.20) Prima di procedere con il mio dialogo con il cardinal Ouellet, presento qui nell'originale tedesco e in una traduzione di deepl.com in italiano, da me rivista, una mia lettera ad un amica, che mi aveva donato un'intervista al vescovo di Lourdes, Nicolas Brouwet, a riguardo del celibato: 

Liebe (...), 
vielen Dank für Ihre freundliche Aufnahme gestern, so wie in den Zeiten meiner sehr geliebten (...); ich habe den Interview mit Bischof Nicolas Brouwet von Tarbes und Lourdes del 03.02.20 in „Religion“ gelesen, den Sie mir gestern gegeben haben; ich bin nicht ganz sicher alles verstanden zu haben, da meine französische Sprache nicht gut ist.

Die Grundidee ist sehr gut und sie ist auch die Grundidee von Kardinal Ouellet: „Das Herz eines Priester ist bereit (disponible) für allen“, aber in besonders für Christus; die Priester sind die Freunde des Herrn. Und sie dürfen in einer reziproken fruchtbaren Beziehungen mit den Familien leben. Allerdings gibt es eine Liebe „senza preferenze“ nicht, auch für den Priester nicht.

Aber dieser Interview ist ganz weit weg von der geistigen Lage, in der ich mich befinde: 

1. Zuerst über den, der die Frage gestellt hat: es existiert kein Buch vom Kardinal Sarah und von dem „pape émérite Benoît XVI“, sondern es gibt nur ein Buch des Kardinals Sarah mit einem Aufsatz von Benedikt XVI und womöglich ist der Titel "pape émérite“, wie der Jesuit Pater Ghirlanda gezeigt hat, auch missverständlich. Es gibt nur einen Papst, der Amtierende; Benedikt ist der "vescovo di Roma emerito", senza alcuna „funzione“. 

2. Der Verweis auf das Priesteramt im AT ist missverständlich; wie auch der Kardinal Ouellet sagt, Christus war ein Laie, kein Levit. Und es ist wahr, dass während des Dienstes ein Priester des AT enthaltsam gelebt hat, aber er hatte nicht stetes Dienst. 

3. Zölibatär leben oder als Single leben (vgl. die zitierte Statistik von Januar 2018 in der zweiten Seite des Interviews) sind zwei vollkommen unterschiedlichen Sachverhalten; sie zu verglichen ist nicht ehrlich! 

4. Ja, die Ehe ist keine Garantie von mehr sexuellen und psychischen Gleichgewicht, da nicht immer, sogar fast nie, es zwischen den Eheleuten eine harmonische Symmetrie der Bedürfnissen gibt. 

5. Die universale Kirche, also die Catholica, sub et cum Petro, könnte diese Disziplin des Zölibats für die Weltpriester ändern, aber sie tut es jetzt nicht und ich denke, dass sie Recht hat: verheiratete Priester in unseren Breitengraden würde an das Problem des Mangels am Sinn unseres Lebens, des Mangeln an Glauben nichts ändern! Eher nur Chaos hervorbringen. 

6. Der Kardinal Ouellet schafft Argumenten hervorzubringen, mit dem ich in meinem Blog in Dialog bin (https://graziotto.blogspot.com/2020/01/sacerdozio-e-santita-in-dialogo-con.html); mit dem Interview mit Bischof Nicolas Brouwet, fühlte ich mich wie Goethe sagt: „man spürt die Absicht und man ist verstimmt“. 

7. Im Allgemeinen würde ich sagen, wie ich es gestern versucht habe, als wir von der Gender Theorie gesprochen haben: die Zeit der Ideologien ist zu Ende; unsere melancholische Zeit (Massimo Recalcati), braucht nicht unbedingt Widerspruch:  dieser lässt nur Mauern entstehen, Bastionen, die zu schleifen gilt. Christus ist nicht gekommen, um die Welt zu analysieren, sondern um sie zu retten, in dem Er das Christentum (nicht eine Theorie der „Christianisten", um die Sprache von R. Brague zu benutzen) gebildet hat, so wie uns Charles Peguy erinnerte.

Gruß und Dank, Ihr Roberto

Traduzione italiana: (( Cara (...), 
Grazie per la vostra gentile accoglienza di ieri, come ai tempi della mia amatissima (...); ho letto l'intervista con il vescovo Nicolas Brouwet di Tarbes e Lourdes del 03.02.20 in "Religione" che Lei mi ha dato ieri; non sono sicuro di aver capito tutto, perché la mia lingua francese non è buona.

L'idea di base è molto buona ed è anche l'idea di base del cardinale Ouellet: "Il cuore di un sacerdote è pronto (disponibile) per tutti", ma in particolare per Cristo; i sacerdoti sono gli amici del Signore. E possono vivere in rapporti reciproci e fecondi con le famiglie. Tuttavia, un amore "senza preferenze" non esiste, nemmeno per il sacerdote.

Ma questa intervista è molto lontana dalla situazione spirituale in cui mi trovo: 

1. Prima di tutto, su chi ha posto la domanda: non esiste un libro del cardinale Sarah e del "pape émérite Benoît XVI", ma c'è solo un libro del cardinale Sarah con un saggio di Benedetto XVI e forse anche il titolo "pape émérite", come ha dimostrato il padre gesuita Ghirlanda, è fuorviante. C'è un solo Papa, quello in carica; Benedetto è il "vescovo di Roma emerito", senza alcuna "funzione". 

2 Il riferimento al sacerdozio nell'Antico Testamento è fuorviante; come dice anche il Cardinale Ouellet, Cristo era un laico, non un levita. Ed è vero che durante il ministero un sacerdote dell'Antico Testamento viveva in astinenza, ma non aveva un servizio liturgico costante. 

3) Vivere celibe o vivere single (vedi la statistica citate del gennaio 2018 nella seconda pagina dell'intervista) sono due cose completamente diverse; confrontarle non è onesto! 

4. Sì, il matrimonio non è una garanzia di maggiore equilibrio sessuale e psicologico, perché non sempre, anzi quasi mai, c'è una simmetria armoniosa dei bisogni tra i coniugi. 

5) La Chiesa universale, cioè la Catholica, sub et cum Petro, potrebbe cambiare questa disciplina del celibato per i sacerdoti secolari,  ma non lo fa ora e credo che abbia ragione: i sacerdoti sposati alle nostre latitudini non cambierebbero nulla del problema della mancanza di senso della nostra vita, della mancanza di fede! Piuttosto, non farebbero altro che aumentare il caos. 

6 Il cardinale Ouellet riesce a proporre argomenti con cui sono in dialogo nel mio blog (in questo post); con l'intervista al vescovo Nicolas Brouwet, mi sono sentito come dice Goethe: "si percepisce l'intenzione e si è di cattivo umore". 

7) In generale, direi, come ho provato ieri quando abbiamo parlato della teoria del genere (gender): il tempo delle ideologie è finito; il nostro tempo malinconico (Massimo Recalcati), non ha necessariamente bisogno di "obiezioni": queste creano solo muri, bastioni da abbattere  Cristo non è venuto per analizzare il mondo, ma per salvarlo, facendo il cristianesimo (non una teoria di "cristianisti", per usare il linguaggio di R. Brague), come ci ha ricordato Charles Peguy.

Saluti e ringraziamenti, il vostro, Suo Roberto )

(5.2.20) Troverà il figlio dell'uomo al suo ritorno ancora fede sulla terra? - Riflessioni sul celibato sacerdotale in dialogo con il cardinal Marc Ouellet

In IIC del libro che stiamo meditando, il cardinale riflette sulla formazione sacerdote al cospetto delle sfide attuali; credo che abbia ragione nel dire che la grande sfida è quella che ci pone Cristo stesso:  "Ma voi chi dite che io sia?" (Lc 9,20); oppure in modo ancora più radicale: Gv 6, [67] Disse allora Gesù ai Dodici: "Forse anche voi volete andarvene?". Pietro ha risposto per noi, una volta per tutte: ""Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna"; crediamo che Cristo possa fare ai nostri giovani una chiamata radicale del tipo: ho bisogno di te, per testimoniare l'esistenza reale della vita eterna, ho bisogno di te, nella modalità di un'offerta radicale della tua libertà, della tua sessualità e dei tuoi averi? Cristo, che non ha bisogno di nessuno, si è fatto "debole", "servo" per offrire in tutta radicalità il suo corpo come cibo eucaristico per tutti ed ha preso con sé dodici uomini per distribuire questo cibo al mondo intero. Con ragione dice Ouellet: anche se i sacerdoti diocesani non vivono nella loro radicalità tutti i consigli evangelici (obbedienza, verginità e povertà) non possono che orientarsi ad essi, se vogliono essere una presenza eucaristica nel mondo. Credo che la Chiesa debba prendere molto sul serio la domanda che ci pone Cristo:  "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" (Lc 18,8).

Il cardinale, come ho già spiegato nei giorni scorsi, non mette in dubbio anche la via intrapresa da altre chiese, in modo particolare quella ortodossa, ma non vuole sacrificare la via latina, per dare una risposta veloce ad un problema di logistica pastorale; e su questo ha ragione. Credo che la sua proposta trinitaria (da cui per esempio nasce l'idea di una comunione tra i sacerdoti, oltre che l'idea di gerarchia) e di teologia del patto (essere gli amici dello sposo) sia seria; credo che tutto ciò che dice sulla formazione in seminario sia molto importante: in primo luogo bisogna offrire ai giovani da subito una teologia della novità escatologica del celibato sacerdotale, in dialogo con i laici sposati e non contro di essi; credo, però, che almeno in questo capitolo la sfida dell' "iper-erotismo" della cultura occidentale non sia approfondita con la necessaria serietà; non metto in dubbio che l'astinenza sessuale sia una costante sia nella Chiesa dell'ovest che in quella dell'est, ma non credo che si facciano i passi necessari se non si dice con chiarezza che vi è un momento di verità nell'eros ed anche nell'erotismo libertino della cultura occidentale, che non può essere ignorato, senza che ciò ricada nelle catastrofi, non ancora superate, in cui è stata coinvolta la Chiesa, in modo particolare a partire dagli anni settanta (sebbene il fenomeno della pedofilia sia probabilmente più antico). Il momento di verità è che l'uomo senza la gioia non può vivere e che la gioia ha una dimensione sessuale ed erotica, che è piacere, ma anche kenosis. Ora il cardinal Ouellet ci invita a prendere sul serio una gioia più grande ed io prendo molto sul serio il suo invito, ma ciò mi è possibile solamente se si scoprono di più le carte in gioco, di come, almeno fino al punto in cui sono arrivato (pagina 87), con il suo linguaggio erudito, il cardinale sia disposto a fare (anche se è del tutto cosciente della situazione in cui ci troviamo). 

(3.2.20) In II, 3 del suo libro "Gli amici dello sposo" il cardinal Marc Ouellet ci fa comprendere che il celibato non è un dogma, ma un dono che Dio ci ha offerto (e che la tradizione latina ha preso molto sul serio) e che solo la Chiesa universale (nella responsabilità ultima del Papa) può decidere se vi sia la possibilità o meno che anche dalla forma del matrimonio vi sia un accesso al sacerdozio, che non avrà la stessa valenza del sacerdozio celibatario; le possibilità che vi sono ora, sono delle pratiche divergenti dalla normalità della tradizione latina, per esempio nel caso della conversione di un sacerdote sposato da un'altra confessione. Ma ancora più ci permette di comprendere il motivo per cui il cardinal Ouellet ritiene che il celibato sia una proposta giusta  anche per il nostro tempo, approfondendo la paternità spirituale del vescovo e del sacerdote; l'amore pastorale del sacerdote e la simbolica dello sposalizio; la radicale offerta di sé nei consigli evangelici come risposta alla radicale chiamata di Cristo. 

Il cardinale, responsabile dei vescovi della Chiesa universale, argomenta in modo trinitario ed in forza della simbolica dello sposalizio. Le processioni trinitarie, mi esprimo così, sono delle processioni "gerarchiche": l'ex Patre non è superabile e "comunitarie": le tre persone sono lo stesso Dio. Da questa teologia trinitaria deriva sia l'idea di gerarchia che quella di collegialità, sia dei sacerdoti sia dei vescovi. Deriva anche l'idea di paternità spirituale (in modo particolare per il vescovo come ci ha insegnato Ignazio di Antiochia). Nella stessa radicalità in cui il Figlio da il suo assenso alla sua missione trinitaria, chiede (li chiama) ad alcuni di donarsi completamente a Dio (obbedienza, povertà, verginità) - nella dimensione della consacrazione laica, come risposta del cuore amante e nella dimensione del sacerdozio ministeriale come partecipazione al modo radicale con cui si offre il Figlio, sia nel suo sacrifico unico del Venerdì Santo, sia nella discesa dell'inferno del Sabato Santo, sia nella dimensione rappresentativa e ministeriale del sacerdozio e del servizio eucaristico del Giovedì Santo.

Credo che il nostro tempo faccia fatica a credere tutto ciò che spone il cardinale canadese perché vede una "Kluft" (spaccatura) tra le parole e la prassi; credo che anche noi, nel nostro tempo, abbiamo davvero bisogno di padri spirituali che rispondano radicalmente alla chiamata del Figlio, ma non abbiamo bisogno di ipocriti, che dicono certe cose e ne fanno altre. Ed anche chi come me crede che vi sia una dimensione kenotica anche in una teologia e filosofia dei sessi, sa che vi è il pericolo della "perversione", che oggi nella mia bacheca in Facebook ho espresso così: "La sovra accentuazione della gnosi e la voluttà perversa sono le due facce di una stessa medaglia: quella del peccato. Di fronte a ciò non basta un'inversione di marcia della coscienza, ci vuole una reale conversione di tutto l'uomo, che è grazia." Non una gnosi che rifletta sul senso del celibato, ma solo una reale appartenenza alla Chiesa gerarchica e comunionale permette di dire cose sensate sul tema. Nelle mie meditazioni sull'abilitazione di Stefan Oster, "Persona e transustanziazione" (anche nel mio blog) sto approdando lentamente il tema: cosa rende davvero libera la persona?  

(1.2.20) A partire da II, 3a il cardinal Marc Ouellet ci fa comprendere alcune cose molto importanti riguardanti il celibato nel sacerdozio della  chiesa latina, con un spiccato interesse ecumenico e pronto a precisare che non si tratta di un esigenza di purezza rituale, quasi che il matrimonio fosse impuro; cita per la tradizione ortodossa la grande figura del sacerdote sposato Alexander Schmemann. 

In primo luogo precisa, citando Benedetto XVI, che la grande crisi della nostra epoca riguarda la fede in Dio, che non aumenta in forza di un cambiamento della disciplina del celibato. Quando l'altro giorno davanti al Cristo eucaristico ho sentito molto forte, seguendo un'indicazione sul "principio e fondamento" (Ignazio) di san Alberto Hurtado, l'esigenza di essere avvolto da Dio, mi sono accorta della valenza del tutto esistenziale del problema; uscendo poi dalla cappella ho cercato di non perdere quella "sensazione", ma il vero passo da compiere è che non si tratta di una "sensazione", ma di un "dono" che per l'appunto non possiamo forzare, ma che ci viene per l'appunto donato gratuitamente, sia nella donazione dell'essere sia nella donazione della Chiesa come sposa di Cristo. 

Una volta che il cardinale canadese precisa che sia la tradizione ortodossa che quella latina hanno la loro legittimità, sparisce per me una prima grande difficoltà: non è l'impurità del matrimonio (e in un certo senso si dovrà anche dire esplicitamente che non si tratta neppure dell'impurità dell'atto sessuale) a legittimare la tradizione latina, ma il dono di un segno della fede e dell'amore in cui la sposa, la Chiesa, si dona al suo Sposo, presente con tutta la forza escatologica che si realizza in modo massimo a partire dall'incarnazione del Figlio. 

Cosa succede nel Giovedì Santo? Cristo che nel Venerdì Santo si donerà in modo unico ed irripetibile al Padre come Colui che è stato fatto peccato, senza aver peccato, come Colui che confessa tutto il peccato del mondo e che nel Sabato Santo discende nell'inferno per perdersi nella melma senza forma del peccato stesso, e che nella Domenica di Risurrezione risorge come dono del Padre (amante) e dello Spirito Santo (amore), nel Giovedì Santo, anticipa a livello di rappresentazione reale e concreta, nell'ambito dei suoi discepoli (maschi) questo mistero di amore assoluto chiedendo loro di vivere non solo il rito, ma tutta la loro vita come "memoria" di quel sacrifico d'amore. In questa "memoria" viene anticipato ciò che sarà il compimento escatologico: l'unione eucaristica e nunziale tra lo Sposo e la Sposa. 

Nella Santa Messa questa memoria è formata da due parti di una stessa medaglia: il servizio della Parola e il servizio eucaristico; quando il mio parroco mi chiede - raramente - come assistente laico alla comunione e come insegnante di religione, di tenere il servizio della Parola alla domenica per mancanza di sacerdoti è stato sempre un mio grande desiderio, non fare il pseudo parroco: durante quella parte della Santa Messa in cui si vi sarebbe la transustanziazione del pane e del vino, il pane si trova già nel tabernacolo ed io mi metto in ginocchio davanti ad esso, al di la dell'altare ed invito la comunità parrocchiale a pregare (rosario, preghiera in silenzio...); nessuno si trova sull'altare a parte la monstranza con il Santissimo, cioè Cristo stesso, cosi che la comunità parrocchiale senta il desiderio del sacerdote, amico dell'Agnello immacolato e non di me suo sostituto. Per quella domenica il Servizio della Parola ha poi un valore sovra dimensionato, ma con l'accortezza di cui parlo, non credo si trovi in concorrenza con l'esigenza unitaria di servizio della Parola e servizio eucaristico, in cui Dio stesso si fa in Cristo "nutrimento" per miliardi di persone. 

(1.2.20) Prima di riproporre un'approfondimento teologico, a livello cristologico, pneumatologico ed ecclesiologico, Marc Ouellet presenta una storia in sintesi della posizione romano latina; a differenza di altre letture che vedono all'origine una libertà di scelta del sacerdozio celibatario, il cardinale canadese fa vedere che l'adeguamento allo stato di vita di Cristo nella sua novità escatologica è stato sempre il motivo ultimo del celibato; questo adeguamento è entrato spesso in crisi e vi sono stati grandi tentativi spirituali (nel senso della Ecclesia sempre reformanda) che hanno riportato a questo primo ed ultimo richiamo: Cristo stesso. Il Vaticano II, e i Pontefici dopo di esso confermano questo grande dono di adeguamento e partecipazione allo stato di vita di Cristo stesso. E con ragione Paolo VI diceva che l'abrogazione del celibato non avrebbe fatto aumentare le vocazioni sacerdotali, come non farà aumentare i credenti nella vicinanza di un Dio che, mi esprimo con il padre Klein SJ, alla fine della nostra vita ci vuole tutti: vergini (casti), poveri e obbedienti. Allo stesso tempo non posso far altro che notare una certa "Kluft" tra le parole della tradizione latina e la realtà di essa e non solo nella diocesi di Boston negli anni 70. Con le mie meditazioni in questo post voglio approfondire pian piano il tema, in modo da comprenderlo con il cuore. 

(29.1.20) Non solo per il fatto che il Cardinal Marc Ouellet ha tenuto in braccio entrambi i miei due figli ed è stimato molto da mia moglie che non ha una particolare bisogno di clero, non solo per il fatto che è stato il motivo del mio confronto con il cardinal Newman, ma anche per il tema stesso su cui situiamo riflettendo (il sacerdozio) mi piace molto lo stile del cardinale canadese: in primo luogo non tace nulla dei problemi su cui si dibatte oggi, anche se forse io vorrei saperne di più sulla reale vita di "castità" dei sacerdoti nelle diocesi, per esempio quelle tedesche. In secondo luogo si confronta con la Scrittura e con i Padri della Chiesa e con i primi Concili (Elvira, Cartagine...), importanza questa che ho imparato dal cardinale e santo Newman. Prende sul serio le ricerche del metodo storico critico e letterario, senza però perdere di vista la novità ultima rappresentata da Cristo, paragonabile ad una "nuova creazione". Fa comprendere lo sviluppo di questa novità, che per quanto riguarda il celibato, passa attraverso alcune fasi come quella dell' "unius uxoris virum" (cfr. 1 Tim 3,2-12).  Pur in un dibattito aperto, mi sembra chiaro che l'invito a lasciare tutto per seguire Cristo (Mt 19,27; Lk 18, 28-30) sia innegabile ed io ritengo i miei amici che hanno vissuto e vivono una vita di radicale consegna a Cristo, come tra i miei amici più cari. 

Capisco anche che sia legittimo chiedersi se sia opportuno proprio ora lasciare il percorso della Chiesa romano latina a riguardo del celibato e capisco anche che sarebbe un passo gigantesco, per nulla facile da gestire. Allo stesso tempo, però, ci sono alcune domande che vorrei lasciare aperte, per approfondirle nel seguito di queste "meditazioni": la prima grande questione è quella della "dittatura del relativismo" (Benedetto XVI): io mi chiedo se questo approccio non sia unilateralmente critico (una dipendenza unilaterale da una "teoria critica", piuttosto che dall'esperienza dell'amore che non giudica)? Quale è il momento di verità di questo relativismo? Quale è il momento di verità della "rivoluzione sessuale"? Concretamente: il lasciare tutto per seguire Cristo è davvero non conciliabile con quel "lasciare se stessi" che è implicito anche nell'orgasmo sessuale ed ancor più nell'educazione dei figli? Io capisco che il lasciare tutto "verginale" abbia nella vita consacrata una radicalità ancora più forte, sia per chi la vive nella forma della vita dei consigli evangelici, sia per chi la vive nella forma matrimoniale, astenendosi dal sesso - cosa questa che io ho visto sia in persona di santità indubbia (Ferdinand Ulrich), ma anche in persone squilibrate. Il cardinal Ouellet non insiste tanto, però, sull'idea della verginità, ma su quella del servizio sacerdotale: qualora il sacerdote fosse sposato ciò non permetterebbe quel radicale essere a disposizione del popolo di Dio, nella preghiera e nella pastorale, che tanto ama Papa Francesco e che è propria del servizio sacerdotale. Come dice san Paolo, ma anche come mi ha ricordato qualche giorno fa mia moglie: la presenza reale nel matrimonio e quella reale nel servizio sacerdotale possono entrare in contrasto. San Paolo parla di una obbedienza a Cristo e alla moglie nel caso dell'uomo sposato, insomma di un'obbedienza sdoppiata. 

(27.1.20) In nessun modo voglio mettere in discussione l'esistenza del sacerdozio filiale di tutti coloro che sono battezzati e il sacerdozio gerarchico o di servizio (sacramento dell'ordinazione), che ha un carattere ultimamente "paterno" e non "clericale" (Papa Francesco). In questo mi sento del tutto unito al cardinal Marc Ouellet; e mi sento anche unito con lui quando apre la via "carismatica": la libertà dello Spirito si comunica nel suo modo generoso e libero di donare carismi, in modo particolare nella "vita consacrata", ma io aggiungerei subito, in modo da evitare ogni "installazione" (Adrienne intende con ciò un modo piccolo o alto borghese di vivere la chiamata, per esempio, avendo come "Memores Domini" sempre le case più belle in un centro cittadino: l'esempio ovviamente è mio), anche in tutte le forme di vita (come tra l'altro dice il cardinal Ouellet stesso in forza della sua esperienza, se capisco bene): i carismi, che servono al bene della Chiesa e del mondo, vengono dati ai "singoli" (cfr.  1 Con 12, 7- 11: 

[7] E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: 

[8] a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; 
[9] a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; 

[10] a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue. 

[11] Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole. 


Le processioni trinitarie testimoniano un'unico Dio che è Amore, ma hanno anche un carattere diverso, che noi chiamiamo le persone: vi è il Padre (l'Amante), da cui tutto origina; vi è il Figlio (l'Amato), l'unigenito, è vi è lo Spirito Santo (l'Amore) che è verità, amore, vita! Quindi anche le "differenze" sono necessarie per testimoniare l'unità dell'amore gratuito. Con la mia esperienza posso confermare che vi è fecondità ecclesiale e non solo rabbia per questo o l'altro motivo, quando vi è una sinfonia di stati di vita che si rispettino a vicenda e che sono "partecipazione" all'Amore trinitario. 

La meta ultima è la salvezza del mondo: Dio ha tanto amato il mondo e ci ha inviato il Suo Figlio per cui libertà ed obbedienza sono la medesima cosa e ci ha donato la Chiesa che è continuazione di questa donazione d'amore: una donazione che non è una melma confusa di sentimenti, ma è comunicazione di un "ordine" il cui fuoco ultimo è l'amore. Con il battesimo siamo tutti al servizio degli uomini, ma secondo me non solo in una "mediazione ascendente" come glorificazione di Dio (45) perché il dono dell'essere è sempre in primo luogo "discendente"; è bene che Ouellet sottolinei la "mediazione discendente" specifica di chi ha un'autorità, che nella Chiesa è sempre "servizio" (Gv 13). La mediazione sacerdotale gerarchica è voluta da Dio, come viene testimoniato nell'ultima Cena, ma essa deve essere del tutto "trasparente", in modo che non sia di ostacolo ma di aiuto all'uomo che ha bisogno di una "comunità" (come amicizia e come istituzione). Non dobbiamo mai perdere di vista lo scopo ultimo: la salvezza dell'anima e del corpo delle "sostanze personali", che non sono "monadi" ma in comunione tra di loro e con tutto il cosmo. 

(26.1.20) Marc Ouellet, Freunde des Bräutigams (gli amici dello sposo), Freiburg, 2019. L'originale francese è stato tradotto nella Casa editrice fondata da Hans Urs von Balthasar, Johannesverlag, da Albin Blümmel, Peter Becker, Sr. Dominica Frericks, Claudia Müller, Susanne Greiner e Dorothea Sperling . 

Il cardinal Ouellet non vuole sottovalutare il sacerdozio universale o comune di tutti i credenti, ma sottolinea con il Vaticano Secondo (Lumen Gentium, 10) una differenza non solo di grado, ma "essenziale" tra il sacerdozio universale e quello gerarchico (Sacerdotium autem commune fidelium et sacerdotium ministeriale seu hierarchicum, licet essentia et non gradu tantum differant, ad invicem tamen ordinantur)

"Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo [16]. Il sacerdote ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del loro regale sacerdozio, concorrono all'offerta dell'Eucaristia [17], ed esercitano il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e la carità operosa." (http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html)

Per quanto riguarda Cristo stesso, il cardinale ci offre un' affermazione di "opposizione polare" (Romano Guardini, Jose Mario Bergoglio, Massimo Borghesi): da una parte afferma: "Gesù è un laico della tradizione profetica" (36), non fa quindi parte del sacerdozio levitico, dall'altro canto afferma anche che "il sacerdozio di Cristo è il suo essere divino stesso" (35). Ho dovuto interrompere ieri, perché sono andato a trovare il Prof. Ferdinand Ulrich all'ospizio della Caritas a Ratisbona. 

(27.1.20) A livello pneumatologico, il cardinale ci presenta anche una, la chiamo così, "inversione polare"; dapprima è lo Spirito Santo che è per così dire "attivo" (con il Padre): Maria concepisce Gesù per mezzo dello Spirito Santo; Gesù va nel deserto, predica ed opera ispirato dallo Spirito Santo in comunione con il Padre e sulla Croce riconsegna lo Spirito Santo. Questo gli permette, direi, di discendere nell'inferno e, nell'unica obbedienza cadaverica sensata, di immedesimarsi, di conoscere dall'interno tutta la forza negativa e senza forma del peccato del mondo (Adrienne); poi risorge, perché il Padre, rinvia lo Spirito Santo. Come Risorto si invertono i compiti ed è Gesù che ora diventa "attivo" (con il Padre) inviando lo Spirito Santo sui suoi perché portino frutti nel mondo, perché salvino le anime e i corpi degli uomini. Non esiste un'era dello Spirito Santo che non sia in comunione con il Padre e il Figlio, come ha fatto vedere Henri de Lubac, nella sua "posterità di Gioachino da Fiore". Marc Ouellet ci permette di comprendere il Cristo trinitario che è venuto a ricomunicare il Padre al mondo e che io approfondisco sempre in questa preghiera di Adrienne: 

Corpus Christi adoro te tribus sub tuis formis,
sub forma divina simili Deo Patri,
sub forma hominis, sacrificii et crucis,
sub forma hostiae rotundae, sine principio et fine.

Ubi es, est amor sempiternus,
omnia tangens, quae creavit Pater,
omnia quae passus est Filius,
omnia, quae vivificat Spiritus.

Amorem tuum cum gratia mihi dones,
ac dives sum satis nec quidquam ultra posco.
Amen.
Ignazio ad Adrienne.

I sacerdoti che ci presenta Marc Ouellet sono gli amici di questo Cristo; egli vede nella rinuncia al celibato - ma voglio approfondire questo punto durante le prossime meditazioni - la rinuncia alla chiamata radicale a seguire Cristo e crede che vi saranno anche conseguenze per quanto riguarda la vita consacrata; insiste sul fatto che la sequela non è funzionalistica. E che pur considerando tutto ciò che analisi psicologiche e sociologiche ci possono insegnare di buono, la prospettiva teologica di sequela del Cristo trinitario, debba rimanere il criterio ultimo del nostro riflettere ed agire. Questa associazione tra il destino del sacerdozio celibatario e la vita consacrata non mi convince molto; in tutte due le forme ci si può "installare" (Adrienne), ma credo che solo nella "vita consacrata" ci può essere una "kenosis" del tutto non funzionale; ieri nella stanza dell'ospizio a Ratisbona l'ho incontrata faccia a faccia, quando il vecchio pellegrino di Gesù, ha detto che deve imparare la "povertà". E lui è sposato. Non mi è per nulla chiaro come mai un processo di radicale kenosis non sia possibile anche nell'educazione dei figli e nell'atto sessuale stesso, ma mi è del tutto chiaro che lo stato di vita di Cristo era vergine e che solo in quella verginità corporale e non solo spirituale si può discendere all'inferno per salvare il mondo. 

Il cardinal Ouellet ha del tutto ragione a dire che ciò che oggi ci tormenta è una crisi di fede: chi crede ancora che Dio Padre ci chiami, donandoci l'essere in unione assoluta con il Figlio, senza il quale nulla ci sarebbe di ciò che c'è e senza il quale non vi sarebbe redenzione (di fatto anche nell'Islam, se ha ragione Wael Farouk, vi é una singolarità di Cristo che non ha neppure Maometto)? Dal Padre e il Figlio procede lo Spirito Santo, che soffia dove vuole, ma che vuole anche testimoniare questo amore del Padre e del Figlio. La coppia polare: Spirito ed Istituzione è oppositiva, ma non contraddittoria, perché l'amore del Padre e del Figlio non è sentimentalismo spontaneo  e per questo può essere testimoniato oggettivamente (cioè istituzionalmente) dallo Spirito Santo. 

Christus vivit! È il Cristo vivo e che ci chiama alla sequela è quello trinitario - il cardinal Ouellet nel dirlo è in continuo dialogo interiore con il Santo Padre Francesco e con i suoi temi, con tutti i suoi temi: la sensibilità ecologica integrale, la Chiesa in uscita, il Cristo che chiama in modo particolare i giovani ad una sequela radicale...

Per quanto riguarda la differenza essenziale tra il sacerdozio di tutti i credenti e quello gerarchico, io istintivamente la penso come Ignazio di Loyola, che parla della "nostra madre, la Chiesa gerarchica" e non solo teoricamente, ma anche praticamente - per questo con grande gioia vivo non solo la fedeltà al Papa, ma anche l'amicizia con il nostro parroco Andreas Tober; allo stesso tempo ho conosciuto sacerdoti come il Padre Schmemann (attraverso i suoi scritti) ortodosso, o il mio amico Michael Greßler, luterano, che sono davvero sacerdoti, anche se sposati. Io non voglio forzare nulla, anzi mettermi alla scuola del cardinal Ouellet ed imparare i suoi argomenti e sono anche d'accordo con lui che tutte le realtà particolare (l'Amazzonia o la Germania) devono essere integrate nella Catholica. Ho piena fiducia in Papa Francesco, come d'altronde anche il cardinal Ouellet, per le decisioni che vorrà prendere a riguardo dell'Amazzonia e non solo.

A livello filosofico vorrei capire come la differenza essenziale tra le forme del sacerdozio si unisca all'idea di Tommaso d'Aquino che "non est aliquid inter Deum et creaturas" (insomma come unire in modo polare fecondo l'idea mediatrice del sacerdozio gerarchico con l'idea della comunicazione diretta con Dio) e con il vescovo Stefan Oster vorrei approfondire l'idea di una teologia e filosofia realmente "aperta" e che cerca nell'idea di "sostanza personale" questa apertura al dono gratuito dell'essere e ai fratelli uomini.