domenica 26 gennaio 2020

L'amore per la Chiesa, cum e sub Petro. Incontro con Ferdinand Ulrich - in Regensburg, am 26.1.20

Lipsia. Quando siamo arrivati dormiva; aprendo lentamente un occhio e non avendo riconosciuto la sua carissima Konstanze, mi sono preparato al peggio. Non avevo alcuna "pretesa", se non l'attesa di vedere cosa sarebbe accaduto - con la coscienza che Dio ci avrebbe parlato. Poi ha aperto una seconda volta leggermente gli occhi e Konstanze mi ha detto in macchina, che se anche non avesse aggiunto alcuna parola, lei sarebbe stata sicura di essere stata riconosciuta. Ha pronunciato il proprio nome e Ferdinand Ulrich ha tirato lentamente fuori dalle lenzuola la sua mano, ha preso quella di Konstanze è la tenuta a lungo sul suo cuore. Poi ha chiesto se c'era "Roberto" - a sentire il mio nome ho provato credo qualcosa di simile a ciò che ha provato "Maria", nella scena della risurrezione di Giovanni. Poi ha detto, lentamente, ma in modo chiaro e solenne che in questi decenni tra noi vi è stata sempre un'unione, non vi è mai stata separazione, sebbene fossimo separati a livello spazio-temporale. Tra le parole vi erano lunghi momenti di silenzio; poi arriva la prima domanda: Cosa ne pensate (!) della situazione nella Chiesa? Quando ho risposto che Konstanze ed io "sentiamo" con il Santo Padre e lo consideriamo una mano che il cielo ci ha offerto, il suo viso si è rasserenato. "Si, è così. Dobbiamo pregare tanto per lui". Silenzio. Lui non capisce gli attacchi al Santo Padre, mandato da Gesù; quando Konstanze ha detto che si sorprende come la gente che lo critica non si accorga che fa le stesse azioni di Cristo, Ulrich ha assentito. Ha detto che il diavolo è all'opera in queste critiche così violente ed ingiuste. Ha assentito quando ho detto che è vero ed ho pregato a voce alta il "Sub tuum praesidium" e il "Sancte Michael Archangele"; alla fine ha detto "Amen". Ha assentito anche quando ho detto che, però, questa lotta del diavolo e la lotta di uno sconfitto che non può far nulla, senza che noi glielo permettiamo. Mi ha benedetto in modo solenne, dicendo che se il Signore non mi aiutasse, non potrei dire queste cose in modo così chiaro.

A spesso ripetuto la sua gioia ed ha insistito che non andassimo via subito; siamo stati due ore: abbiamo pregato una decade del rosario ed anche il "Deus ego amo te" (San Francesco Saverio; una preghiera che ci aveva insegnato lui); lui ha incrociato le mani. Ci ha chiesto di Johanna e Ferdinand. Abbiamo parlato del fidanzato di Johanna, David, e del "lavoro" di Ferdinand come fisioterapista,  della sua amicizia con Adrian (ha sorriso quando ha sentito questo nome), in America. Ha ripetuto spesso che gli stavamo dando una grande gioia: gioia su gioia. Abbiamo anche parlato a lungo di Stefan Oster (vescovo di Passau) ed era contento che sto lavorando e meditando sul suo "Persona e transustanziazione" - un libro chiaro che viene letto troppo poco, ha aggiunto. Prega che Stefan non si perda in troppi flussi della sua attività, ma era contento di sentire il mio interesse e la mia vicinanza a questo suo allievo amato. Gli ho anche raccontato del grande lavoro che Konstanze fa a scuola: una mamma per tanti. E dell' amicizia che ci lega a Maria Grazia e Bruno a Roma, a Paola e Nicola a Cremona. Era contento che non eravamo soli a sentirci uniti con il Santo Padre, Francesco. Lui temi che siano pochi chi lo comprende davvero, ma grazie a Dio non è così, mi ha fatto notare Konstanze in auto.

Ad un certo punto era stanco e un po' confuso, non si ricordava tutto, ma sapeva della traduzione inglese di "Homo abyssus"; era contento della mia traduzione di alcuni capitoli di "Gabe und Vergebung" (Dono e perdono) in italiano - dapprima non si ricordava di questa sua opera; poi quando gli ho raccontato in breve il contenuto ha sorriso ed ha detto che è stata un'opera "piena di grazia".

Vi sono stati anche momenti buffi; quando gli ho raccontato che eravamo pronti a stare accanto a lui anche in silenzio, se non si fosse svegliato, ha sorriso e con una faccia "leggermente teatrale" ci ha fatto vedere come avremo dovuto svegliarlo: con una canzone, o facendogli il solletico e poi ha cantato a voce bassa, ma chiara, una canzoncina per bambini tedesca (Alle Vögel sind schon da) ed ha aggiunto che era del tutto assurdo che lui non si fosse svegliato per noi; e nel modo divertente in cui anni fa ci aveva raccontato le prime ore in università di Stefan Oster nei suoi corsi, ci ha per l'appunto fatto vedere come avremmo dovuto svegliarlo. 

Quando siamo andati via ha benedetto noi due e tutti i nostri cari in modo particolare le persone di cui abbiamo parlato e che ci sono care. Ci ha chiesto ancora di aprire la finestra, poi abbiamo chiamato l'infermiera, che ha riabbassato il letto. Ci ha anche confidato che sarebbe bello potersi risedere su una sedia, ma non ho percepito nessuna paura della morte. 

Quando ho nominato il nostro carissimo amico e maestro, Hans Urs von Balthasar, e la sua frase: "solo l'amore è credibile", ha sorriso con tenerezza. Come ha anche sorriso, pieno di gratitudine, quando gli ho raccontato che il Papa è contento anche delle persone che lo criticano, perché non vuole essere sempre adulato.

Forse la cosa che più mi ha colpito è stato quando volendo spiegarmi qualcosa e non riuscendoci ha detto che ora deve imparare cosa sia la "povertà". In queste due ora il "cuore del mondo" ha battuto in questa stanza dell'ospizio della Caritas dedicato a san Elisabetta a Ratisbona. Ancora una volta Ferdinand, il pellegrino, ci ha insegnato come si vive e come si muore, in una grande fiducia in Gesù e nella sua Chiesa, pur percependo tutto il dramma della Chiesa e di un mondo che ha perso il suo bilanciamento. Konstanze ed io eravamo pieni di gioia e in macchina abbiamo sentito insieme alcune canzoni. 

(29.1.20) La consacrata francescana, Michelle, che si occupa in questi giorni di Ferdinand Ulrich mi ha raccontato che oggi è stato seduto tre ore in una poltrona. Deo gratias et Mariae! Konstanze ha parlato al telefono brevemente con lui verso le 19,15 ed aveva una voce più solida. 

(11.2.20) Alle 11, 15 nel giorno mariano di Lourdes, Maria ed attraverso di lei lo Spirito Santo, hanno accompagnato il "piccolo pellegrino di Gesù" da Gesù e dal Padre! Mi hanno chiesto come mai pubblicassi uno scritto così intimo come questo; invero l'ho pubblicato, perché testimonia della luce e la "cosa" davvero personale, una "cosa2 che aveva ferito Ferdinand non l'ho raccontata. Ora tutto è compiuto. 

(12.2.20) Michelle mi ha scritto che il vescovo Stefan Oster celebrerà il funerale di Ferdinand Ulrich; ne sono molto contento. 

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Appendice

(12.2.20) Tra gli scritti su Ulrich vorrei conservare questo del 9.2.20 in cui ho tentato di fare un paragone tra Luigi Giussani e Ferdinand Ulrich: 

Vedo una grande vicinanza spirituale tra Luigi Giussani e Ferdinand Ulrich; il primo è stato il padre di un popolo (e lo è ancora dal cielo); il secondo, nella sua modalità del dialogo faccia a faccia, è stato (e lo è anche nella sua malattia finale) anche il padre di molti. Entrambi hanno una chiara visione della realtà come dono (non come qualcosa che facciamo, non facciamo neppure noi stessi). Ulrich è più preciso nell'uso della parola "(E)essere" che Giussani usa invece quasi sempre nel senso di "Essere" (esse ipse subsistens), mentre Ulrich usa anche nel senso di "essere" (esse est aliquid simplex et completum, sed non subsistens); sulla cosa stessa sono d'accordo, ma Ulrich ci fa comprendere il carattere di "donazione" come "gratuità" in modo filosofico molto più preciso; questa questione non è solo qualcosa di filosofico, ma ha un implicazione esistenziale decisiva; non solo Dio è amore gratis e non solo l'uomo è immagine di questo amore gratuito, ma la "donazione" stessa, la "generazione" è gratuita ed in quanto tale "similitudo divinae bonitatis). Ciò è chiarissimo nel fondatore, meno nei ciellini che spesso vivono l'appartenenza come una sussistenza inesistente. La compagnia generativa non è sussistente e solo l'incontro personale con l'amore gratuito ci può salvare. La teologia e la pedagogia di Giussani sono chiarissime e Ulrich si è sempre sentito molto legato a Giussani, anche se non lo ha conosciuto, ma la filosofia di Giussani non è precisa, perché manca l'espressione della "donazione" come "kenosis": l'essere non è qualcosa da difendere, perché è "niente" (il niente della gratuità). Entrambi gli autori hanno una pedagogia dell'essere bambino non infantile capace di "criticare" (Giussani) e discernere (Ulrich) false dipendenze.

(14.02.20) Ich glaube, dass es 1990 gewesen sein muss als ich das erste Mal Ferdinand Ulrich in München getroffen habe; mit ihm lernte ich die "subjektive Dimension" der Zeit im Sinne von Augustinus kennen: 2 Stunde mit ihm waren ganz anders als zwei Stunde in dem man etwa einkaufen geht. Er hat auch das Herz meiner Frau, die aus der protestantischen Stadt Heidelberg, obwohl sie selbst katholisch ist, für sich, besser für Jesus, gewonnen. Die letzte 2 "ganz anderen Stunden" mit ihm haben meine Frau und ich am 26.01.20, 16 Tagen vor seinem Tod erlebt; mit Gesten und Worten und in verschiedenen Registern (Humor, Feierlichkeit, Freude...) konnten wir nochmals die Communio Christi mit ihm erleben. Seine Zärtlichkeit für uns, seine Frage über die Situation in der Kirche, seine tiefe Freude als ich gesagt habe, dass Konstanze und ich Papst Franziskus als eine Hand sehen, die uns ausgestreckt worden ist, in dieser Krisenzeit der Welt. Welches ein Geschenk! Er hat uns gesegnet und versichert, dass wir nie getrennt waren, auch wenn wir räumlich nicht oft zusammen waren, nachdem wir in Sachsen-Anhalt umgezogen waren. Danke, Ferdinand, kleiner Pilgerbruder Jesu!

(15.2.20) La solitudine può essere vinta solo da una presenza - Luigi Giussani e Ferdinand Ulrich due "testimoni affidabili"
In occasione della morte del filosofo tedesco ho già scritto qualche giorno fa della fratellanza spirituale tra lui e Giussani. Sono due "testimoni affidabili", per usare la formula che Julián Carrón usa in riferimento a don Giussani (Fede e solitudine, Tracce 2,2020, pagina 19), perché hanno provato sulla propria pelle ciò che affermano.
Parlano di solitudine perché l'hanno sperimentata e conoscono tutta la brutalità di essa. Entrambi vedono in Cristo la risposta a questa solitudine. Cristo è lo "scopo" (Carrón) di questa esperienza di solitudine. Uno scopo nel senso della causa finalis aristotelica e non della strumentalizzazione della solitudine stessa.
"Dio non si impone all'uomo, ma attende di essere accolto liberamente" (Giussani); l'attesa di Dio non è alcunché di passivo, ma somma attività. Il padre che attende il figliol prodigo nella parabola di Luca 15 e che Ulrich ha riflettuto filosoficamente in modo unico e profondo, già da sempre ha presupposto nel figlio ciò che il figlio solo lentamente scopre nella terra straniera e poi definitivamente nell'abbraccio sorprendente del padre: il suo essere amato gratuitamente dal padre, che lo spinge ad un ritorno senza pretese, è il suo essere-se-stesso. Per questo chi lo ha compreso da più valore alla "magnanimità" di Dio che alla propria pseudo libertà che ci spinge a sperperare tutto in terra straniera.
Anche alla melanconia ipermoderna (Massimo Recalcati) vi è una sola risposta: il "solus cum solo" (Ignazio di Loyola) che è "grazia". La fatica che facciamo ad addormentarci è il segno forse più grande che nella nostra esistenza la "presenza" di cui parla Carrón è, per noi che ripetiamo le frasi, solo un'astrazione.

(15.02.20) La tentazione del puro sapere (nessuno meglio che Ferdinand Ulrich  ha compreso ciò), della pura gnosi non aiuta la confessione del peccato personale; neppure le distinzioni dialettiche, anche se filosoficamente legittime (io sono una persona e non una cosa…) ci aiutano a comprendere cosa sia l’amore gratuito: questo con misericordia riconosce ciò che opera, riconosce nel nulla dell’altro (povero, senza vestiti, senza cibo…) il tutto dell’amore, pone nell’altro la possibilità stessa della confessione del peccato.

(16.02.20) Una presenza. Questa è il dono più grande e la sfida più grande

Mi accorgo che Ferdinand Ulrich è stato davvero un dono grandissimo, una presenza che rinviava ad una Presenza. Non solo nella nostra ultima visita, ma anche pochissimi giorni prima della sua morte, un'amica mi testimonia come l'umorismo non lo ha mai abbandonato. È morto solo, come Adrienne ed Ignazio, ma i suoi ultimi giorni erano ricolmi di visite di persone che lo hanno cercato e con cui lui è entrato in un dialogo intimo, ma anche di humor. Poco prima di morire ha chiesto di potersi riposare e poi lo hanno trovato morto. Certo ha anche sofferto tanto negli ultimi anni, per diversi dolori, ma da lui ho imparato a vivere ed ora anche a morire: è possibile morire, questo è il messaggio che ha saputo trasportare con diversi registri, ma anche e forse soprattuto quello dell'humor. In lui ho visto quello che dice don Carrón in "Fede e solitudine": "la fede offre un contributo alla soluzione del problema umano". 

Certo ha ragione Paul Claudel quando afferma che "il Figlio di Dio non è venuto per distruggere la sofferenza, ma per soffrire con noi", ma la frase che il poeta francese mette in bocca a Cristo: "sono venuto a rimpiazzare con la mia presenza il bisogno stesso della spiegazione" è ambivalente; da una parte è vera perché il puro sapere, la pura gnosi non aiutano a vivere e morire, ma allo stesso tempo, come spiega bene Massimo Recalcati, noi abbiamo bisogno sempre di una rielaborazione "simbolica" (del linguaggio, della riflessione...) se non vogliamo venire risucchiati da una "cosa informe" che Lacan chiama "reale", ma che non è la "presenza" cristiana, ma appunto quella "cosa" priva di ogni dimensione "personale" e che ci spaventa. Luigi Giussani dice con ragione che "è irrazionale pensare alla realtà contingente, in cui niente si fa da sé, senza implicare quel qualcosa di misterioso da cui tutto fluisce, in cui ogni cosa attinge il suo essere. "Come bello è il mondo e, dunque come grande Chi lo fa!". La madre di Giussani ha fatto un grande lavoro "simbolico" (di congiunzione tra la realtà e le parole), perché la realtà non sia il "reale" di Lacan, ma per l'appunto un "dono", che risplende e risplendendo indica la grandezza del Donatore: che è il tema della filosofia di Ulrich. Un essere che non viene donato in una "grande narrazione", ma nella "piccola via" (come ha spiegato il vescovo Stefan Oster rinviando al rapporto tra la piccola Teresa e Ulrich), nella fragilità di una presenza che ci aiuta a vivere e morire. Aver fiducia in ciò è davvero una grande sfida! 

(30.03.20) Ho parlato mezz'ora al telefono con una mia amica francescana francese, Michelle, che passa il suo tempo a pregare ed ad ascoltare per telefono persone malate. Mi ha donato una grande gioia sapere che ogni mattina segue la Santa Messa del Papa. Purtroppo il virus ha riagguanto l'Africa (Burkina Faso, Ruanda, Madagascar), dove lei è stata per 6 anni. Hs parlato con tanti malati africani. Ma la gioia che lei sa trasmettere, lei che faceva la pendolare nelle ultime settimane di Ferdinand Ulrich, è per me indescrivibile, come è una grande gioia che pregherà domani per il mio 60esimo compleanno. Mi ha fatto notare che ho il compleanno nell'ultimo giorno del mese di san Giuseppe, a cui, già a partire dalla sua cresima, Ulrich era molto legato.

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