lunedì 31 dicembre 2018

Per una teoria del confronto - in dialogo con Massimo Borghesi

In questo post, nei giorni e nelle settimane successive, condividerò alcune riflessioni in dialogo con il libro di Massimo Borghesi, Romano Guardini. Antinomia della vita e coscienza affettiva, Milano, 2018. Non si tratta di recensioni del libro, ma di un dialogo intimo con l'autore. 

I. L'introduzione. 

"La teoria degli opposti è la teoria del confronto, che non avviene come lotta contro un nemico, ma come sintesi di una tensione feconda, cioè come costruzione dell'unità concreta" (Romano Guardini, 21.11.1967). Con ragione, il filosofo italiano Massimo Borghesi, in un dialogo intenso con l'"esistenza storica", dice che questa filosofia degli opposti di Guardini, è "attuale", cioè in dialogo con il cuore pulsante del mondo: "Oggi, dopo la crisi della globalizzazione, il mondo torna ancora una volta a dividersi secondo faglie che da oppositive tendono a diventare contraddittorie. Per questo il modello antinomico, che tiene uniti gli opposti impedendone la guerra, è il paradigma di cui il momento presente ha urgentemente bisogno. Guardini, adeguatamente ripensato, può tornare ad essere un autore chiave per il nostro tempo".Tutti i dialoghi della nostra vita devono essere portati avanti; gli unici dialoghi che devono essere interrotti, con quel senso ironico di autori come Jorge Luis Borges o Gilbert Keith Chesterton e cioè con la coscienza che la nostra opera è solo un piccolissimo punto nell'universo che a priori non è capace ad integrare tutto, sono quelli che portano alla contraddizione. Fino a che si rimane nell'ambito dell'opposizione, bisognerà tentare una sintesi feconda, per non contribuire all'espansione dello "spirito che sempre contraddice" (Goethe).  Dobbiamo impedire la guerra! 

Questa dimensione dialogante ha un presupposto ontologico che io ho svolto e sto svolgendo in dialogo preferenziale con Ferdinand Ulrich. Ci troviamo qui nel cuore di "una concezione antinomica e al contempo analogica dell'essere" (ibidem, 11) che ha avuto certamente una vetta massima, nel ventesimo secolo, nella grande filosofia dell'analogia dell'essere di Erich Przywara, ripresa, per la teologia, in modo particolare da da Hans Urs von Balthasar. In dialogo con Massimo Borghesi mi sono stati aperti alcuni percorsi di cammino che culminano nelle figure di Romano Guardini e Jorge Mario Bergoglio (1). L'essere "bisignificante" in Ulrich, in dialogo con Tommaso d'Aquino, è quello dell'atto dell'essere come dono che presuppone la sostanza donata. Non presuppone a livello cronologico, ma per l'appunto ontologico. L'amore presuppone sempre ciò che ama! L'atto del dono non rinvia a se stesso, ma appunto alla sostanza donata (un fiore, un monte, il mare, l'uomo).

Con questo sforzo filosofico si cerca di prendere sul serio sia l'antinomia della vita che la conoscenza affettiva che sa che prima di ogni forma di giustizia, che non sopporta interrogativi, ma soltanto parole d'ordine (cfr. ibidem 11-12), il cuore pulsante del mondo è l'amore. Un amore che sorge da un Padre che non è un Dio irato che vuole con l'inferno soddisfare le sue esigenze di giustizia. "La misericordia è il volto di Dio" (ibidem, 12) e proprio essa è la prima mossa ontologica, il motivo ultimo per cui l'essere viene donato. Viene donato "pro nihilo" e proprio questo dono gratuito dell'essere è capace di porsi in "opposizione feconda" con quel "nulla" che lasciato al suo destino non può che diventare, perché è, "contraddizione ultima", feconda solo di quella guerra che ci minaccia tutti e che è già all'opera come "terza guerra mondiale a pezzetti" (Papa Francesco). Il Padre che è misericordia lascia andare il figliol prodigo che non crede al suo amore e lascia vivere accanto a sé quell'altro figliol prodigo che dovrà a sua volta passare attraverso un' "uscita" radicale della sua curvatio in se ipso. Sia nel paese lontano in cui si trova il figliol prodigo andato via dalla casa paterna, sia a casa l'amore incondizionato del Padre, come coincidentia oppositorum è "presente", cioè "testimonia" un'apertura ultima, quella che Rembrandt ha saputo riproporre in modo pittorico nell'abbraccio da parte del Padre del figlio inginocchiato. 

II. Vita e polarità (cfr. ibidem, 19-45)

"Il compito appartiene alla vita, non alla biografia" (Hans Urs von Balthasar) - "biografia" per Balthasar è la sottolineatura di episodi scelti della propria vita che non fanno vedere la missione che si ha - anzi sono spesso di impedimento, perché fissano un dolore o una violenza subita, senza fare vedere la luce dell'essere che passa per l'uomo necessariamente attraverso ferite e violenza. Vita e compito sono invece una polarità feconda. Il compito è quello che l'interior intimo meo, il Mistero, ha pensato per me. La vita è il contesto in cui esso si realizza, la "carne" della realizzazione del compito che c'è stato affidato, piccolo o grande che esso sia.

Nel linguaggio di Massimo Borghesi, che usa la parola "biografia" in modo diverso da Balthasar: "Un sistema filosofico non è il mero riflesso dell'Erlebnis (in tedesco nel testo italiano; la parola significa: evento, avvenimento, esperienza, avventura, illuminazione), ha una sua struttura ed autonomia rispetto all'esperienza vissuta del singolo pensatore. Nella storia del pensiero v'è una logica delle essenze, una consequenzialità dei principi, che non si lascia ricondurre al piano del vissuto. Cionondimeno appare difficile immaginare una dottrina filosofica in contrasto con la vita del suo autore" (Ibidem, 19). 

Questo vale sia per la filosofia dell'opposizione polare di Guardini come per la filosofia dell'essere come dono di Ulrich. I "significati" usati: "opposizione polare", "essere come dono" mettono in moto una "logica delle essenze" che non può essere ridotta al vissuto di chi pensa. Questa "logica delle essenze" non è di per sé astratta - quando si accusano gli intellettuali di essere intellettuali e di tradire il "vissuto" - critica che fanno spesso intellettuali ad altri intellettuali - in verità si tratta quasi sempre di un cortocircuito, di un'incapacità di pensiero, altrettanto astratta, che accusa di astrazione ciò che non capisce. Eppure vi è una priorità della vita interiore (filosofia) che non è il mero riflesso del vissuto e che vuole superare ogni forma di "gnosi chiusa" che riduce davvero in logos astratto ciò è vita somma. 

Essendo a tema ciò che è "vivente e concreto" cerco di esprimere concretamente alcune cose che sono sorte in me, in dialogo con Romano Guardini e Massimo Borghesi. 

Germania.  Non solo nel periodo di cui si parla nel libro di Massimo Borghesi ("il periodo che procede ed accompagna la prima guerra mondiale") la Germania ha un'anima con "forti contrasti": cattolicesimo, luteranesimo ed ateismo. Non si può dire nulla di sensato sulla polarità tra divino ed umano senza tenerne conto. Se dal sud, cioè dall'anima mediterranea, si da un giudizio sul "nord", bisogna stare attenti a non dire cose che non servono minimamente all'apocalisse (rivelazione) dell'anima tedesca - e che quindi inversamente impediscono un dialogo che serva a rivelare cosa sia l'anima del sud. Ciò vale per quasi tutti i giudizi sul mondo luterano che abbia letto da parte di teologi italiani - un eccezione è il libro ecumenico di Luigi GIussani sul protestantesimo americano. Giussani sa infatti cogliere il "momento di verità" di ciò che legge. Per esempio la frase da lui spesso citata che non vi è nulla di più infecondo che dare risposte a domande che non ci si è poste, nasce dal dialogo con il protestantesimo. 

Ospite in terra straniera. Questo non vale solo per il nonno di Romano Guardini, in un certo senso vale anche per il teologo italo-tedesco, sebbene abbia fatto una scelta preferenziale per la lingua e la cultura tedesca. Anche le sue amicizie sono tedesche. Ciò vale anche per me, anche se la mia esistenza è ormai da quasi trent'anni tedesca e sebbene io conosca Goethe ed Hölderlin presumibilmente meglio di tanti insegnanti tedeschi, anche di insegnanti di tedesco ed anche se la mia famiglia, moglie e figli siano tedeschi, rimango un ospite della terra che mi accoglie così generosamente. 

Malinconia. È forse il carattere psicologico più proprio per descrivere l'anima di Romano Guardini. Questo implica una certa tendenza all'autodistruzione (come mancanza di vero senso del proprio essere-se-stesso), ma anche una capacità speculativa che non è possibile ad un carattere meramente "solare e illuminato", come per esempio quello della figura di Clara nel "Sandmann" di ETA Hoffmann. Clara, con la sua "filosofia illuminata", non riesce a guarire il malato Nathanael, figura tragica del romanticismo che Romano Guardini ha voluto superare. La filosofia nasce spesso da questo carattere malinconico che nessun "presenzialismo" o "protagonismo" potranno mai appagare. 

Amicizie. Per la polarità tra realtà ed idea le amicizie di Romano Guardini hanno valore esemplare. Per quanto riguarda la mia persona, mi stupisco che sebbene la filosofia, come arte dell'interiorizzazione del reale, faccia parte della mia anima come un momento ineliminabile, sia il mio matrimonio che le mie amicizie più importanti, forse con eccezione di due (Adrian e Leo), sono con persone non filosofe (Konstanze, Bruno, Nicola...), quasi che esse stesse mi ricordino incessantemente quella priorità del reale sulla teoria che evita la riduzione del pensiero ad una "gnosi chiusa". 

Goethe. Anche se per Guardini non vale ciò che vale per Balthasar, che si è orientato al grande poeta tedesco come luce che illumina tutta una vita, pur conoscendone le debolezze, anche per il teologo italo-tedesco "Goethe è il contropolo interno alla cultura tedesca, il suo punto correttivo. Guardini pensa che sia possibile dominare il "il treno germanico diretto nella smisuratezza e mostruosità a partire dalla riprese della cultura di Weimar" (ibidem 43). Balthasar gli dedica due grandi saggi, uno nella giovanile "Apocalypse der deutschen Seele" ed uno nel maturo volume di Gloria: "Nello spazio della metafisica". Quest'ultimo vede in Goethe quella "mediazione antica" (ad essa appartengono anche Hölderlin e Heidegger) che è "roccia di resistenza in una corrente contraria e trascinante", quella di quella immediatezza dello spirito che caratterizza per Balthasar l'epoca romantica ed idealistica. Goethe è la "coscienza tranquilla e tuttavia spesso allarmata" dell'anima tedesca che fugge al sud in Italia, perché non ne sopportava più forse  quei "forti contrasti" di cui si parlava prima. Balthasar sottolinea anche la libera critica alla libertà di Goethe, facendo parlare Goethe stesso nei dialoghi con Eckermann: "in tutte le opere di Schiller corre l'idea di libertà... Che cosa ci serve un eccesso di libertà che non possiamo adoperare!...Non rende liberi il fatto che non vogliamo conoscere niente al di sopra di noi, ma il proprio fatto che noi veneriamo qualcosa che è al di sopra di noi". Qui vengono pronunciati alcuni no che fanno del rapporto di Balthasar/Goethe con la modernità una reale "legittimità critica": "Nella reazione contro l'idealismo la religione Dio-natura di Goethe si approfondisce in religione della venerazione (Ehrfurcht) (...); come nel no radicale contro la rivoluzione francese si approfondisce l'ethos del cuore nobile e della sua rinuncia (Eugenia, Ottilia)" (Balthasar, edizione italiana, 307-308). 

Psicologia e ontologia. La riflessione di Guardini sul carattere psicologico e sui tipi di carattere, anche se tende sempre all'ontologia, e più profilata che in Balthasar o Ulrich che vedono fondamentalmente nell'ontologia e nella grazia una reale dimensione, unita ma non mischiata, terapeutica. Ma in fine anche in Guardini si passa sempre di più dai tipi dei caratteri psicologici alla filosofia dell'antinomia polare. Insomma anche in lui infine si impone l'ontologia.  

Filosofia dell'essere come dono e polarità. La filosofia dell'essere come dono non mette a tema se stessa ma la molteplicità donata. La vita donata non è dento il sistema. Un essere inteso come alcunché di "essenzialistico" è alcunché di asfissiante. In esso la "logica delle essenze" si "oppone violentemente alla realtà" (cfr. Borghesi, 41). Allo stesso tempo una molteplicità senza "definitività" (il tema della mia tesa di laurea con Fulvio Papi a Pavia), senza la definitività del dono semplice e completo dell'essere, è solo caso volontaristico.  

III. Contro la riduzione del cattolicesimo in un fattore culturale. (Cfr. Borghesi, Guardini, 45-52)

Il capitolo è intitolato: "Contro Schmitt. Guardini e Karl Neunförfer. Mutatis mutandis vedo tra me e Borghesi stesso la differenza tra i due amici, Romano e Karl. "Karl è colui che ha il senso della storia e della politica che difettavano grandemente al giovane Guardini, immerso nel suo mondo interiore" (ibidem, 45). Vi è una differenza politica tra le tante cose che ha scritto Massimo e le poche che ho scritto io, in primis il giudizio sull'impero americano (2), ma in vero è chiaro che io cedo, per motivi di sopravvivenza nella "estraneità" della diaspora, ad una tendenza melanconica, ad una immersione nel mondo interiore, come si vede dalle mie continue "meditazioni"; cedimento questo che non c'è in Massimo. A livello filosofico da Massimo Borghesi e a livello di meditazione sulla storia del Movimento di CL (ma non solo) da Bruno Brunelli ho imparato in questi anni, in cui abbiamo tentato e stiamo tentando in Facebook di formare il gruppo "I Contadini di Peguy" che in questi giorni sta raggiungendo la marca dei 1.500 partecipanti, quello che Neundörfer scriveva nel 1926: in Schmitt "il Cattolicesimo viene preso nella sua essenza solo come un fattore culturale, che si può approvare e favorire anche senza personale prassi ecclesiale, anzi addirittura con una professione personale di ateismo" (ibidem, 51). 

Non si tratta qui di atei in ricerca (quelli di cui parlava ieri il Papa dicendo che è meglio essere atei che cristiani ipocriti), ma di quegli atei che definiscono se stessi come "culturalmente cattolici". Sono quel tipo di "cattolici" che ho conosciuto all'università di Halle, quando studiavo latino, nella figura affascinante del docente Markus Beck, che ritengono Pio XII l'ultimo papa (e sant'Agostino uno psicopatico dell'interiorità). Sono quelli per cui il cattolicesimo è solo una "forma" che ci protegge contro il caos. Nel 1923 Carl Schmitt presenterà il libro: "Römischer Katholizismus und politische Form". Questo libro mi fu proposto da Robert Spaemann negli anni in cui tentai di fare il dottorato da lui sulla filosofia di Balthasar. Lo lessi con grande attenzione assumendone la categoria di "rappresentazione" versus quella della "immediatezza". In quegli anni di Monaco di Baviera (1990-1993; poi dovetti lavorare per mantenere la mia famiglia) non mi era però del tutto chiaro che il prezzo di quel positivo elemento della "rappresentazione", che ci protegge da ogni fede credulona nella democrazia diretta, veniva pagato con una sovra-accentuazione dell'aspetto della forma versus la libertà (sia a livello di appartenenza ecclesiale sia a livello di appartenenza politica).  In Schmitt la "Chiesa rappresenta l'autorità che si oppone alla libertà", che viene vista come caotico arbitrio. Alla "perdita delle evidenze" (Julián Carrón) si risponde con un atteggiamento formale e conservatore, ma come ci insegna Borghesi "il cattolicesimo non può identificarsi con il polo conservatore" (52). La filosofia della polarità di Guardini e Bergoglio sono la vera alternativa a questa riduzione del cattolicesimo in cultura conservatrice. 

Sia Balthasar, che fino alla fine della sua vita viene attaccato duramente dai cattolici tradizionalisti (Dio la avrebbe fatto morire per non far entrare un eretico nel collegio cardinalizio) sia Ulrich non sono pensatori "tradizionalisti", anche se ritengono la tradizione e la forma come elementi positivi a cui si deve un'obbedienza liberante e che possono e devono essere intese nella loro dimensione "autonoma" liberante. Balthasar nel suo lo "Spirito e l'istruzione" fa nascere l'istruzione ecclesiale stessa dalla libertà dello Spirito Santo, che è per l'appunto l'elemento oggettivo dell'amore del Padre e del Figlio. Ulrich ha dedicato tutto un libro alla "libertà" come modalità ultima di assenso al dono dell'essere come amore. 

IV. Il fenomeno dell'opposizione è un tratto fondamentale della vita umana". (cfr. p. 53-59)

"L'intero vivere umano nella sua globalità come nei suoi aspetti particolari, qualunque sia il suo contenuto qualitativo più preciso e qualunque siano le sue funzioni particolari , è strutturato in base all'opposizione per essere vivente. Il fenomeno dell'opposizione è un tratto fondamentale della vita umana". (Romano Guardini, citato in Massimo Borghesi, Romano Guardini, 58). Il capitolo 2,1 è un capitolo filosofico "tecnico" e va affrontato passo per passo. Bisogna precisare che con la parola "opposizione" non si intende "contraddizione". Il pensiero "polare" di Guardini non è un pensiero dialettico hegeliano, come non lo è quello di Bergoglio (e quindi ancor meno marxista). Il capitolo dovrebbe essere studiato e spiegato nel dettaglio, cosa che non posso fare nella mia "meditazione". Alla pagina 59 è offerta una tabella che fa capire le polarità dei "categoriali" e dei "trascendentali". Vi sono delle differenze tra il saggio del 14 e il libro del 25 sullo stesso della polarità (Gegensatz) di cui non posso, almeno per ora, tenere conto nella mia meditazione. A livello sintetico si tratta, in questo complesso di temi, dell'alternativa tra Parmenide (essere) e Eraclito (divenire): "Eraclito e Parmenide appaiono come i casi limiti di un'oscillazione polare, di un movimento che passa dall'atto alla quiete, dal genio ribelle alla necessità della forma, dall'individualismo all'esigenza di una totalità organica"(59). Prendiamo degli opposti trascendentali il primo: somiglianza/ diversità: "la "somiglianza" equivale al dato di fatto dell'affinità; "diversità" al dato di fatto dell'estraneità degli opposti" (56, non la tabella di pagina 59). Ci troviamo per l'appunto confrontati con "dati di fatto" della realtà trascendentale dell'essere, della sua "bipolarità" o "onnilateralità". Per usare il linguaggio di Bergoglio abbiamo con Guardini a che fare con una ontologia poliedrica e non sferica. Questo corrisponde anche alla sua idea di verità: "[Ricordo] una discussione da studente in cui lui [Romano Guardini] ha coniato una splendida parola che non ho mai dimenticato e che mi è apparsa vera innumerevoli volte: "la verità è polifonica". Questo potrebbe essere il motto dell'opera della sua vita. Questa profonda comprensione ha evitato che diventasse un fanatico, nonostante ne avesse avuta la possibilità, la sua logica infatti non era quella di fare concessioni" (J. Weiger, cit. in: M. Borghesi, "Romano Guardini. Antinomia della vita e conoscenza affettiva", Jaca Book 2018, pp. 9-10). Ovviamente non è solo un'associazione pensare al titolo del libro di von Balthasar: "La verità è sinfonica". 

Lascio fare a Massimo il riassunto di ciò che vi è in gioco sia nel saggio del 14 che nel volume del 25: "l'elaborazione di una biografia segnata dalla malinconia, un modello delle polarità psicologiche, una concezione del cattolicesimo come coincidentia oppositorum, il disegno di un'antropologica integrale che unisce affettività e razionalità, la speranza di offrire un modello dialogico nel mondo post-bellico segnato da dilacerazioni profonde. Tutto questo è Der Gegensatz" (53). Che tutto ciò sia decisivo nel nostro mondo di una "terza guerra mondiale a pezzetti" (Papa Francesco) non deve essere spiegato ulteriormente.  

Non solo per il fatto di una mia immaturità filosofica negli anni 90 e non solo per aver dovuto interrompere il mio dottorato di ricerca per mantenere la mia famiglia, ma è chiaro che la mia idea originaria del dottorato, quella di lavorare sulla "Schwebe" (oscillazione) nel pensiero teologico e filosofico di Balthasar non avrebbe mai potuto essere compiuta con il mio Doktorvater Robert Spaemann, che pur essendo un pensatore molto acuto, non aveva una sensibilità per questa dimensione dell'oscillazione polare che mi ha sempre interessato. Se la realtà è avvenimento (l'essere dono) allora essa è anche movimento dal Padre al Padre (Adrienne von Speyr), movimento onnilaterale. Nel finale dello "Spazio della metafisica", usando la parola Schwebe in modo diverso da Ulrich, che la usa più come "sospensione" che come "oscillazione", Balthasar mi aveva indicato una strada, che ho poi percorso esistenzialmente e non accademicamente. 

Ulrich stesso, con cui sono diventato amico, e che non voleva che facessi un dottorato di ricerca, ma che vivessi ciò che il Signore mi dava da vivere, mi ha offerto con la sua filosofia, una concezione di bipolarità decisiva. "Esse est aliquid simplex et completum, sed non sussistens" (Tommaso) - l'essere come dono è semplice e completo e da questa semplicità è possibile comprendere da subito, senza cadere in una "ontologia del non essere ancora" (Ernst Bloch) ciò che "die Welt im Innersten zusammenhält" (Goethe: ciò che tiene unito il mondo nella sua intimità). Ma l'essere non è una cosa omologante, una ousia ridotta a res, ma in sé è "nulla", il nulla della gratuità dell'amore che "non rapina arbitratus est" il suo essere "similitudo divinae bonitatis" (Tommaso), ma per l'appunto è dono che non tiene fermo a se stesso, ma si dona radicalmente nella sostanza donata (pietra, fiore, animale e uomo). L'essere è comprensibile solamente nel suo "movimento di finitizzazione" e non fissato nella "sospensione" (Schwebe nel senso di Ulrich) ontologica, ma per l'appunto nel suo movimento di "oscillazione polare" (Schwebe nel senso di Balthasar, di Guardini e di Bergoglio), nella molteplicità sinfonica degli enti. 

V. Opposizione polare tra psicologia e visioni del mondo (cfr. Borghesi, 60-64). 

Guardini cerca di cogliere la tensione strutturale della vita, "astraendo dai contenuti" e quindi da un giudizio di verità su di essi. Questo tentativo ha certamente dei limiti, ma permette di cogliere alcune strutture essenziali ai vari livelli, psicologico e di visione del mondo. Nella mia meditazione vorrei concentrarmi su due punti, che mi sembrano decisivi. Prendiamo una delle "opposizioni" che abbiamo in testa: "apollineo"/"dionisiaco" oppure "creatività"/"ordine", etc. Oppure al dibattito odierno nella Chiesa tra "tradizionalisti" e "progressisti", etc. Nei dibattiti spesso si perde di vista che "i versanti dell'opposizione hanno consistenza essenzialmente autonoma" (Giardini, in ibidem 61) e proprio in questa loro autonomia hanno un "momento di verità" (Alberto Methol- Ferré)   proprio: tradizione o innovazione, la creatività poetica o il calcolo di un'impresa, l'armonia o l'orgasmo vitale, etc. Proprio avendo un momento di verità propria ed autonoma "sono indissolubilmente legati l'uno all'altro" (ibidem). La responsabilità dell'uomo in dialogo non è quella di fare compromessi tra le posizioni, neppure di saltare l'esistenza storica (Ernst Nolte) in cui il "momento di verità" di una posizione può essere appunto "più vero" di un altro. Per questo motivo un autore può in un momento storico della sua vita insistere di più sull'a "abbattere i bastioni" ed in un altro di più sul "sacrificio di Cordula". La verità non è nel cristianesimo equidistanza tra le posizioni. Questo "ritmo puro" potrebbe tradire il compito dell'ora che ci troviamo a vivere. 

Vero è, però, che nessun grande, e questo non solo per evitare una patologia psicologica, crede che la propria posizione sia la verità assoluta, piuttosto crede che nell'indissolubile legame tra le posizioni ci sia un lavoro da fare e cioè quello di non far scadere l'opposizione feconda in  una contraddizione fatale. Il lavoro avrà quindi sempre una modalità polifonica o sinfonica (3).

Credo che un vero filosofo sia tale se pensa solo un pensiero, come nel caso di Guardini quello dell'opposizione polare e feconda - non per cadere in un pensiero sistematico chiuso o omologante, ma per quella esigenza di "unità" di cui testimonia la frase di Goethe che abbiamo già citato: un "quid" che "tenga unito" l'essere, la realtà, insomma un quid che impedisca che l'opposizione, sempre propria alla vita, scada in una contraddizione letale. In tutto ciò vi è anche un'esigenza di sinteticità aperta. 

Dopo gli anni della rivolta in nome dello "spirito dell'utopia", dell' "ateismo nel cristianesimo" e dell' "ontologia del non essere ancora" in cui la polarità della vita: passato-presente-futuro" si lanciava, per motivi di autenticità, totalmente nel "futuro", nel "non luogo", nella "contrapposizione tra Padre e Figlio, tra AT e NT", tra l'essere ora esistente come "oppressione" e il "futuro" come "essere autentico", l'incontro con Ferdinand Ulrich mi donava quell'abbraccio umano che mi permetteva di "sentire", non solo di "comprendere" che l'essere donato è già ora, nella sua semplicità e completezza, totalmente donato come manifestazione di amore gratuito. Il Padre che dona non è avaro, ma dona realmente e radicalmente, ma dona un essere finito che non è assolutamente autonomo, ma realmente, cioè relazionalmente autonomo. In questo dono non vi è nessuna "necessità" (costrizione) - chi dona, dona "pro nihilo", gratuitamente , ma in questa gratuità si sviluppa una necessità ontologica, come viene indicata dalla parola tedesca not-wendig! Qualcosa che giri-il-bisogno. Che superi-il-bisogno che sorge nel mondo non con il dono, in sé semplice e completo, ma con la libertà che è possibilità di dire di no al dono stesso. Questa negazione è, però, proprio in quanto tale legame con ciò che nega e la gratuità del dono stesso la può abbracciare e così superare, per così dire dall'interno e non come una magia o un deus ex machina. L'opposizione tra dono donato e dono accolto diventa feconda se non cade nella contraddizione di intendere l'opposizione stessa non come figura di amore libero, ma come contrasto, per esempio nella dialettica tra servo e padrone che spinge Bloch a vedere nel Padre dell'AT un vecchio tiranno e nel Figlio colui che ci libera dalla tirannia. Hegel ha un'altra idea di "necessità" di Guardini ed Ulrich: l'uomo doveva necessariamente disubbidire per diventare uomo. Questo è un modello dialettico, non di opposizione polare! Guardini e Ulrich invece pensano che nel si al dono dell'essere, che è in se stesso "bipolare", la libertà non consiste in una contraddizione dialettica, ma in un'opposizione feconda, quella, in modo esemplare del Figlio, che è totalmente libero e pur riconosce che il "Padre e più grande di me". O quella tra l'uomo e la donna che possono riconoscere, per parlare con il Goethe delle "affinità elettive",  che l'uomo è più per la singolarità del compito e la donna più per i legami tra tutte le azioni e le persone in gioco, senza per questo ridurre l'opposizione feconda tra l'uomo e la donna in un contrasto (questo è possibile in Charlotte, ma non lo è in Eduard). L'opposizione polare vuole "la differenza nell'unità", la dialettica: lo scontro tra le differenze! Charlotte ed Ottilie nelle affinità elettive sono figure di un'opposizione feconda in forza di una disponibilità alla "rinuncia" dell'assolutizzazione della propria posizione, mentre Eduard è figura dell'imposizione dialettica della propria posizione come assoluta. 

Nella grande intuizione ontologica della trilogia balthasariana, non un "trascendentale" ( pulchrum versus bonum, etc.) ma i tre "trascendentali" in opposizione polare: pulchrum, bonum/libertas, verum sono rivelazione del mistero dell'essere nella sua totalità, che per Balthasar si rivela nello stupore che ci sia qualcosa invece che nulla (Gloria), nell'opposizione teo-drammatica tra libertà infinita e quella finita (Teodrammatica) e nel legame intimo e dialogico tra verità del mondo e verità di Dio (Teologica). In Balthasar questa intuizione ontologica non si caratterizza quasi mai a livello di "tipi psicologici"; Balthasar andava a prendere Przywara e lo portava a casa sua quando quest'ultimo cadeva nella depressione malinconica, che ha conosciuto anche Guardini, ma non per farne una "psicoanalisi", ma per incarnare ad personam quella bellezza gratuita, vera e libera che ha descritto nei quindici volumi della Trilogia. Il suo unico amico psicologo, con cui suonava il piano a quattro mani a Vienna da giovane, R. Allers, lo ha convinto nell'unico modo con cui si può convincere chi ha pensato che "solo l'amore è credibile" e cioè facendo dell'amore stesso un metodo di cura terapeutico. 

VI. Il bene non è un polo (cfr. Massimo Borghesi, ibidem, 65-74



La foto presenta una citazione presa dalla pagina 67 dell'opera di Borghesi; tratta di un atteggiamento di misura nell'etica: i limiti umani non possono essere annullati nel discorso etico, né sorvolati. Rispettando i limiti umani "l'esistenza assume una forma umana: "il suo ethos più profondo consiste nel mantenersi nella sospensione". Sto cercando di vedere se la parola "sospensione" nell'originale tedesco di Guardini sia "Schwebe". Come ho già spiegato nei giorni scorsi, volevo fare una ricerca di dottorato sul significato di "Schwebe" in Balthasar, agli inizi degli anni 90. Ho scritto oggi a Massimo Borghesi: 

Caro Massimo, la mia intuizione (nel mio progetto di dottorato) era la seguente: se l'essere è un dono d'amore che si muove dal donatore al donatore, allora sia a livello ontologico che a livello etico si dovrà mantenere un equilibrio tra leggerezza e pesantezza. Un'ontologia forte perde di vista che l'essere finito non è sussistente; da un'ontologia dell'essere come amore non nasce una verità forte, la quale non può che scadere in ideologia (come abbiamo visto nel XX secolo con le ideologie forti); un'ontologia debole invece dimentica che l'essere come dono è semplice e completo; un'ontologia dell'essere come amore non nasce neppure una verità debole, che è solo registrazione dei fatti. Similmente per l'etica: un'etica forte dimentica che l'uomo è finito e non può comportarsi come Dio, se va bene può comportarsi come Dio vuole che egli si comporti, dice Tommaso. Un'etica debole è giustificazione del peccato. Bisogna muoversi insomma in una Schwebe (oscillazione) tra leggerezza e pesantezza. Grazie, tuo r
Detto ciò bisogno specificare che la mia idea di essere come amore, come pure l'idea di polarità di Guardini, non è legittimazione nascosta del male. Come dice Guardini: "il bene non è un polo e non richiama alcun polo opposto. Il bene è ciò che deve (moralmente) esistere; il male ciò che non è lecito esista e, in senso metafisico, non vi è necessità che esista" (ibidem 73-74). O detto da Borghesi in modo molto esplicito: "Il male non è un polo fecondo contrapposto al bene, ma è la negazione del bene. Sussiste perciò fra le due determinazioni non l'unità in tensione della polarità, ma l'aut aut della contraddizione" (74). 

Ma se è così in cosa consiste l' equilibrio tra leggerezza e pesantezza di cui si parla nella citazione fotografata? Nel superare ogni forma di assoluta purezza - un tema anche molto caro a Bergoglio "Il tipo "puro" non è più una possibilità vivente, nemmeno una possibilità del pensiero vivente". Il tipo puro è un valore limite: avvicinarsi ad esso è nella vita un pericolo mortale" (Romano Guardini, citato in ibidem, 66). Nel suo "Dono e perdono" Ulrich fa vedere che il figlio prodigo non arriva all'idea del ritorno al padre per l'assioma della purezza, per la volontà di purezza. Si trova addirittura a mangiare il cibo dei maiali. Il vero desiderio di purezza dell'abbraccio del padre si realizza solamente nella rovina, direbbe Guardini. Nella grazie del dolore, dice Ulrich. 

Ma anche dopo quell'abbraccio ricomincia la vita normale: "il rapporto di equilibrio è una situazione d'eccezione, possibile solo come passaggio". Ed anche se dopo quell'abbraccio del padre il figlio vivrà di quel ricordo presente, i suoi limiti umani non sono scomparsi. Il suo si a quel bene che si trova in aut aut con il male è work in progress. Il polo forma/materia è un polo davvero profondo e fecondo e bisogna evitare un idealismo pseudo cristiano "che svuota di ogni consistenza e nobiltà la vita e la natura" (72), una consistenza ed una nobiltà che non hanno il carattere di un "principio" o di un "assioma", ma della carne vulnerabile e desiderosa di un amore concreto. 

La filosofia della "sospensione" non è sospensione del giudizio tra il bene e il male, ma accettazione del viaggio dell'essere finito verso la sua meta ultima, in cui il nostro si al bene sarà sempre e solo un'approssimazione. Sia in Guardini che in Ulrich vi è un chiaro no alla  struttura sopra-sotto, a quella struttura "essenzialistica" come la chiama Ulrich, in cui l'essenza sarebbe la "forma" o lo "spirito"; anche in un dettaglio - materiale, vitale -  insignificante può rivelarsi/nascondersi l'essenza. 

Il cammino della vita, per esprimermi con Ulrich, è un cammino di unità della vita e della morte e per esprimermi con Guradini della leggerezza e della pesantezza: vivere in unita del vivere e morire, della leggerezza e della pesantezza, sapendo che fino all'ultimo respiro abbiamo bisogno dell'amore gratis del "Padre". E la vita è movimento dal Padre al Padre (Adrienne von Speyr). 

VII. Responsabilità nei confronti di Dio, non religiosità panteistica (cfr. 74-84)

Caro Massimo,
forse sono le pagine tue che più mi hanno toccato il cuore, queste del capitolo 2.3.Polarità vivente  e contraddizione tra bene e male. Sono le pagine in cui il grande motivo della tua filosofia: "distinguere per unire" mi è apparso nella sua chiarezza "necessaria", nel senso tedesco della parola "not-wendig". Sono pagine che possono superare il bisogno (Not) in cui l'uomo si trova, pagine che rivelano il "senso necessario dell'essere" (Ferdinand Ulrich).  

Anche se con Paul Claudel credo che "anche il peccato" sia utilizzabile da Dio per la mia salvezza, bisogna, però, distinguere il peccato dal male. Il male non è mai necessario alla mia salvezza. Il peccato testimonia la mia debolezza a realizzare il bene e diventa "mortale" solo quando diventa giustificazione del male. 

Anche se penso che le "Affinità elettive" di Goethe siano il romanzo più geniale dell'epoca moderna, non ho nessuna simpatia per la confusione tra "grazia" e "magia" nel secondo volume del Faust, né ho simpatia per il demoniaco riavere la giovinezza. La genialità delle "Affinità" consiste nell'idea di "Entsagung" (rinuncia alla volontà di potenza) delle donne Charlotte e Ottilie. Questa idea non è il forte del Goethe biografico, ma della sua missione letteraria che non concede nulla alla dialettica di Hegel. 

Posso confermare che nella spiritualità di CG Jung, come la ho incontrata nella mia vita, ho visto sempre ciò che ci ha visto Guardini: "il panteismo è una tecnica per avere una vita piena di religiosità e neanche un ombra di vera responsabilità nei confronti di Dio" (ibidem 84), neanche un'ombra di vera confessione del peccato e della fede! Neanche un'ombra di vera appartenenza alla Chiesa. Ciò che più di convincente ho letto di "psicoanalisi" viene dalla tradizione di Lacan, Recalcati: la sua critica dell'idea fantastica di sacrificio, da non confondere con il sacrificio simbolico e fecondo.  

Quando con il padre Paolo Dall'Oglio o il padre Christian de Chergé dico che vorrei vedere i mussulmani e l'islam, come li/lo vede Dio Padre o che l'Islam è una religione "necessaria", non ho mai inteso superare la singolarità della mia confessione nel Logos concreto ed universale, che è Cristo: l'assoluto amore gratuito!  

O quando parlo di una necessaria armonia tra pesantezza e leggerezza nella teologia dei sessi, non ho mai inteso giustificare il peccato, che accade ogni volta che tradisco la concreta presenza dell'amore gratuito che è Cristo nella mia vita o riduco le persone ad oggetto della mia volontà di potenza. 

Ti sono infinitamente grato per queste pagine e chiedo l'intercessione di don Tantardini perché essi diventino sempre più la mia vita! Distinguere l'opposizione feconda dalla contraddizione fatale, ecco il programma delle tue pagine

Anche il "medesimo uso di essere e nulla" (Ferdinand Ulrich) non è un piegamento alla contraddizione, come non lo è il suo "vivere nell'unita della vita e della morte". Il nulla dell'amore gratuito, che è un'altra parola per il dono dell'essere, è solo quell'arma che ci permette di non cadere nella contraddizione di pensare che l'essere abbia bisogno del demoniaco, del nulla nichilistica per essere! L'essere non ha nessun bisogno e proprio da ciò nasce il suo essere dato pro nihilo! 
Con sincera amicizia, Roberto 


VIII. La Chiesa non può essere una polizia spirituale. Cfr. Massimo Borghesi, ibidem 85- 89

La "legittimità critica del moderno" è espressa da Guardini con la filosofia della polarità degli opposti. Una filosofia che cerca con successo di differenziare tra "opposto" e "contraddittorio". L'opposizione polare è alcunché di fecondo. Pensiamo dapprima alla dimensione tra il "dato ultimo oggettivo" (Medioevo) e il "dato ultimo soggettivo" (Modernità) - tra questi due dati ultimi non vi è contraddizione, ma un'opposizione feconda.  Qui mi aiuta molto la filosofia di Ulrich. Cosa è il dato ultimo oggettivo? In fondo non è null'altro che la donazione dell'essere come atto di amore gratuito. Quello soggettivo invece è l'accoglienza "critica" di questo dato da parte del soggetto. La nostra personalità non è altro che questo: accoglienza critica del dato oggettivo. Critica significa qui: un'accettazione che è frutto di decisioni e di discernimento degli spiriti, e non di ripetizione pappagallesca. Analogamente a ciò dobbiamo pensare il rapporto tra la Chiesa come dato oggettivo ed istituzionale e l'accettazione del soggetto. La persona bisognosa di amore gratuito può vivere "la" Chiesa e non solo "nella" Chiesa in un rapporto d'amore solamente se l'istituzione stessa è amore. Gesù chiede a Pietro in Gv 21: mi ami, tu? Non chiede: sei capace di governare bene la Chiesa? Il governo nella Chiesa è finalmente un atto d'amore, che vive di quell'amore oggettivo che è lo Spirito Santo stesso. Quest'ultimo "soffia dove vuole", ma non per una sorta di arbitrarietà divina, ma perché "è signore e da la vita" (4). E la dona come "oggettività dell'amore del Padre e del Figlio". Questa oggettività, anche la dove governa, non potrà mai avere una funzione poliziesca, perché proprio anche come oggettività è amore! 

IX. Uscire dalla minorità. (cfr. Borghesi,  ibidem, 89-92

Vi è l'uscita dalla minorità illuminista di cui parla Kant - abbi  il coraggio di usare il tuo cervello, per riassumere -, ma vi è anche un'uscita "ontologica", che sa cogliere il momento di verità della prima, ma non si lascia ridurre ad essa. L'uscita ontologica dalla minorità incomincia ad essere davvero efficace, quando si comincia a giudicare tutto a partire da una filosofia dell'essere, pensata come riflessione sul proprio compito e sulla propria missione nella vita. Ci vuole molto coraggio per fare i passi giusti in questa direzione che porta ad un reale uscita dalla minorità. 

Un elemento molto importante nel modo con cui Guardini pensa l'ontologia è il ruolo dell'esperienza ed io aggiungerei della "esistenza storica". C'è un modo di pensare "essenzialistico" dell'ontologia che è la negazione della vita concreta e del suo cammino. 

Per Heidegger, l'uscita dalla minorità,  passa attraverso l'angoscia nei confronti del nulla, inteso nichilisticamente  come contraddizione all'essere e non come suo polo fecondo. Nel "medesimo uso di essere e nulla" di Ferdinand Ulrich non si tratta di questo livello nichilistico, ma del "pro nihilo" dell'amore gratuito. Questa dimensione dell'amore gratis, come bisogno ultimo dell'uomo, è secondo me ancora più "radicale" che l'angoscia heideggeriana, che aveva colpito cosÍ profondamente Romano Guardini. Non la paura nei confronti del nulla dilagante, ma il bisogno del cuore pensante di un incontro con il "pro nihilo" è la dimensione ultima de Dasein dell'uomo. Questa gratuita che ci viene donata in un "primerear" radicale è anche l'unica "spada" (nel senso come usa la parola Gesù nel Vangelo) che ci permette di combattere contro il nichilismo imperante (gaudente e non), perché è più gratuita dell'angoscia stessa. È l'unica critica che non nasca come un deus ex machina al nichilismo. Il volto ultimo di questa gratuità è Cristo stesso, il Logos universale e concreto. 

X. Come posso incontrare me stesso nella mia interiorità? (cfr. Massimo Borghesi, ibidem 92-98)

Abbiamo parlato ieri dell' uscita ontologica dalla minorità. Non si tratta di un'idea, ma di un'esperienza. Se non si è fatta l'esperienza della gratuità, nessuno discorso sulla gratuità sarà mai convincente. Questa esperienza della gratuità è per me legata alla dimensione dell'autenticità, che Hölderlin esprime con una poesia in cui invita a fare guerra aperta alla bellezza di Cristo. Il dialogo interiore di Agostino con Dio è forse la prima grande esperienza di interiorità nell'antichità, espressa con un latino che ha ancora il livello di Cicerone. Questo è un pregio, ma anche un difetto: ogni retorica sull'io rischia di perdere quella dimensione di autenticità di cui parlo, tanto più se non si ha a che fare con il genio di Agostino, ma con i suoi ripetitori e poi vi è il pericolo di "cercare solo se stessi". Hölderlin, come fa vedere Guardini, nel suo libro sul poeta tedesco, ci introduce alla realtà tutta, non solo a quella dell'io e della sua problematicità, ma alla realtà degli elementi: aria, terra, acqua e fuoco. La coscienza dell'uomo si apre in lui al grande mistero dell'essere come dono. 

Allo stesso tempo, però, il dialogo con Agostino e Pascal, autori che vivono alla fine di un'epoca, è molto importante perché permette di vedere la problematica dell'uomo in una inquietudine che non viene acquietata da una "cristianità", che non c'è ancora in Agostino e non c'è più in Pascal. L'abisso dell'uomo cerca una risposta che non gli sia estranea, che non sia solo "oggettiva" ma adeguata alle esigenze ultime del soggetto. La risposta che da Ulrich all'uomo abisso è il rischio (Wagnis) della domanda riguardante l'essere. Questo Wagnis è simile a quello di Guardini, espresso nel suo libro riguardante la polarità  antinomica e feconda. Antinomica, cioè contraria ad ogni sistema di legge chiuso, per quanto Guardini sia anche sensibile all'importanza della legge come superamento dell'arbitrio (cfr. Le icone della legge di Massimo Cacciari). Ora, secondo me, la vera questione della filosofia della polarità e dell'essere come dono gratuito consiste nella scommessa sulla libertà. MI scrisse Balthasar in una delle sue lettere quando gli parlai dell'incontro del sé di Bloch: questo potrebbe essere anche l'inferno. La scoperta di sé stesso come scoperta dell'inferno. Mentre la libertà è il punto di non ritorno di ogni filosofia interessata ad una risposta liberante per l'uomo.   

XI. Sull'ambiguità della formula essere un "uomo cristiano" (cfr. Massimo Borghesi, 98-103)

Vi sono certamente tipi psicologici e tipi religiosi ed anche tipi confessionali ma la "cattolicità" come coincidentia oppositorum o complexio oppositorum trascende questo tipo di tipologie religiose o psicologiche, per questo non ho mai capito quando nel Credo gli amici luterani pregano: credo la chiesa cristiana, invece che la chiesa cattolica. In questo modo cercano di distinguersi dalla chiesa romano cattolica: il prezzo che pagano è quello di ridurre la propria chiesa in un "tipo", quella "cristiana" che come la formula "uomo cristiano" è alcunché di totalmente ambiguo. Io non sono un uomo cristiano, ma un uomo e come tale cerco di dire il mio si al Logos universale e concreto che è Cristo, "figlio dell'uomo". La forma romano cattolica non è poi una forma di "teologia politica", ma è una forma concreto universale di risposta ad un avvenimento concreto ed universale. Se lo fosse capito allora si sarebbe potuto certamente integrare l'uomo luterano nella complexio oppositorum. Purtroppo anche oggi in certi interventi pseudo"cattolici" per distinguersi dai luterani o da chi sia, si corre il rischio di ridurre la Catholica (universale) in un "tipo" confessionale. Come invece dice Guardini "la Chiesa è complexio perché il punto di vista della fede trascende ogni tipo storico" (ibidem, 102)

Questo è importante anche per la comprensione di un certo "carisma" donato alla Chiesa: se in Ignazio o Agostino o Giussani o Balthasar o Martini si cerca solo il tipo storico o psicologico,  che queste persone sono certamente state, allora non si comprende più la loro "missione" che è un momento della grande sinfonia cattolica; ma per essere questa voce nella sinfonia bisogna dapprima non ridurli solo ad un tipo storico e psicologico. Il carisma donato non è neppure un tipo, ma una determinata modalità concreto cattolica della chiesa come complexio. C'è una bella storiella che lo ricorda: a chi chiese a Filippo Neri come prendeva le sue decisioni difficili il santo italiano, che Goethe ha tanto amato, rispose: cerco di immaginarmi cosa farebbe Ignazio e poi faccio il contrario.  

Pensiamo ora alla nostra piccola missione come "Contadini di Peguy" - in essa vi sono tanti tipi storici e psicologici ed anche un'interpretazione politica tipica del momento che stiamo vivendo. La nostra missione, però, si definisce nella sequela del Vangelo e di Papa Francesco. Chi ci guarda con simpatia ha sempre visto questo e per questo ci ha anche chiesto di pregare per persone concrete come la piccola Cecilia. Che certe tipi politici non ci piacciono non dipende mai dal fatto che noi pensiamo che un tipo politico di per sé sia meglio da un altro, ma perché essi, nella concreta esistenza storica che ci è data da vivere, non seguono né il Vangelo né il Papa: in questo si comprende la piccola missione profetica del gruppo. Che spesso non ricorda una certa tipo di interpretazione politica, ma l'umano stesso. Non è umano che muoiano persone nel Mediterraneo, etc. 

XII. Il cristianesimo non è una struttura (cfr. Borghesi, ibidem 103-108).

Il cristianesimo è sovra-strutturale, come l'essere è sovra-essenziale. Il cristianesimo, per Guardini, non è una delle strutture interpretative del mondo, come l'essere, per Ulrich, non è una delle "essenze" del mondo, ma è un atto di donazione gratuita. Il cristianesimo è anche un atto di donazione gratuita. Per prendere sul serio il "dividere per unire" si dovrà fare un grande lavoro per evitare gli estremi: "quando la realtà delle cose in quanto create si obnubila e il mondo stesso si sposta nell'assoluto, ma anche quando l'assoluto religioso è visto così direttamente come il solito autentico che il finito perde lo spessore della sua realtà e del suo significato" (Guardini, in Borghesi108). Sarà necessario distinguere la donazione dell'essere da quella di Cristo, senza cadere in dualismo come se l'azione del Figlio e quella del Padre siano separabili radicalmente. Il dono dell'essere da parte del Padre non può né essere diviso né mischiato con il dono di sé fino alla discesa all'inferno del Figlio. 

Nel mio blog si trovano tanti esempi, sia a livello di filosofia della politica che di filosofia dei sessi per tentate un lavoro di distinzione ed unione della gratuità ultima dell'essere infinito e di quello finito. L'ambito umano della politica o quello della sessualità può essere schiacciato da uno degli estremi della citazione di Guardini appena fatta. Quando Ursula K.Le Guin dice che il sesso è il fenomeno più sopravvalutato e allo stesso tempo più sottovalutato, dice cose analoghi a quelle di Guardini: la sopravvalutazione del sesso sarebbe la sua elevazione in assoluto che obnubila la realtà creata, la sottovalutazione (per motivi religiosi, che interessavano poco, forse, all'autrice americana) quando l'assoluto entra nel reale e si perde ogni spessore del fenomeno "finito" trattato. È solo un esempio. 

Nelle pagine su cui stiamo riflettendo il filosofo italiano cerca di far vedere, con successo, che sia in Maritain che in Guardini non vi è una dipendenza dalla struttura medievalista come quella del prefetto cristianesimo, In gioco sono la libertà umana e il concerto vissuto che non possono essere assorbite in frasi strutturali e generali. Il tentativo è quello di ricuperare il momento di verità del modernismo senza cadere nel sospetto modernista che tutte le forme di per sé sono tradimento del concreto vissuto. 

XIII. Al di là delle formule e delle risposte lisce per scolaretti. (cfr. Massimo Borghesi, Romano Guardini, 109-116)

Caro Massimo,
avevo del tutto sottovalutato l'impatto emozionale che Romano Guardini avrebbe avuto su di me. Ho pensato che i grandi incontri della mia vita erano già successi, ma mi accorgo che questo autore italo-tedesco, romanico-germanico, che ha insegnato in una città non romano cattolica come Berlino, sta arrivando nella parte più profonda del mio cuore! Il capitolo del tuo libro di cui vorrei parlarti in questa lettera, ha nuovamente preso la mia attenzione più integrale. Anche se io non ho la sua statura ed ho scritto solo frammenti, cerco sempre nei frammenti l'intero e vedo in me questo bisogno che "S.Benedetto, Tommaso, Goethe, Newman e Lucie Christine" siano in unità; per me S. Benedetto con il suo "ora et labora"; Ignazio con il discernimento e il Suscipe; Tommaso e Urich con il mistero dell'atto dell'essere, semplice e completo, ma non sussistente; Goethe e Balthasar con il loro bisogno di una forma che non sia formalista; Adrienne von Speyr con la sua discesa all'inferno; Giussani e Papa Francesco con il loro dialogo con i giovani e il senso religioso e l'idea di polarità poliedrica siano in una vera unità. 

Tutto nella mia vita è polarità, in primo luogo l'anima italiana (che in qualche modo rimane sempre legata alla missione del pontefice) e quella tedesca (con il suo complesso anti romano), la nobilita ungarica di mia moglie e le mie origini istriane contadine e tutto cerca un'unità cattolica, che non si chiuda nel ghetto. So troppo poco di Heidegger, ma condivido ciò che gli scrisse Guardini nell'aprile del 1916: lo spirito del cattolicesimo consiste nell'unita di ideale e reale, ma con una priorità del reale sull'ideale aggiungo io (Bergoglio). 

Lo sfondamento del sistema è stata sempre una mia esigenza, direi ontologica, per questo ho cercato di rimanere sempre fedele a quel approccio che vede nell'essere un dono d'amore e non una gnosi (Ulrich). Formule e risposte lisce non mi hanno mai accontentato, perché vedo in me quel bisogno ultimo di conciliazione anche tra il polo della misura (Goethe) e quello della profezia (Hölderlin). Se nelle "affinità elettive" Goethe cerca di salvare l'unità del matrimonio con l'idea regolativa della Entsagung, Hölderlin con la sua poesia di sfida in forza della bellezza di Cristo lotta contro tutti i farisei che hanno fatto di questa bellezza, un'istanza piccolo borghese. Guardini nel suo libro su Hölderlin ci apre la strada ad una genialità germanica e greca che cerca il senso di tutto il reale (aria, acqua, fuoco e terra) in una tensione che il poeta tedesco non può far altro che esprimere con un'unità tra Dioniso e Cristo. Guardini sapeva cosa faceva presentando questo genio solitario, perché lui stesso ha cercato di unire Kierkegaard (interiorismo cristiano) con Nietzsche (naturalismo pagano). 

Io scrivo a volte con un linguaggio troppo pio, ma in me ribolle l'avvertimento che ho sempre sentito come aiuto e non solo come sconfitta: la natura si arroga sempre il suo diritto, per questo la mia ribellione contro una teologia dei sessi, troppo idealistica e mancante di una seria fenomenologia dei sessi (come si vede nel mio piccolo saggio su Claudel). Quello che Guardini dice sul liberalismo lo sento del tutto vero anche per me, anche se l'atteggiamento giusto, come Guardini sa, è quello di una legittimità critica. Nel mio confronto con Christoph Menke e la sua critica dei nuovi diritti ho insistito di più sul momento critico, ma in vero c'é anche quello legittimo: il rispetto della libertà altrui!  

Dopo 17 anni nella terra di Lutero che ora è piuttosto una terra pagana è chiaro che io non possa far altro che pensare la mia missione di insegnante e filosofica in partibus infedelibus! Non è caso che con amici abbiamo fondato un gruppo in Facebook che porti il nome di Charles Peguy: Balthasar non aveva mai sentito parlare così cristiano, e questo proprio da parte di chi sentiva la sua missione "in terra estranea". Per questo non sopporto le stupidaggini che si dicono su Lutero, la non competenza di discernimento teologico di cosa sia protestantesimo e cosa sia luteranesimo, che non necessariamente sono la stessa cosa. In un modo apocalittico come il nostro, in mezzo ad una terza guerra mondiale combattuta a pezzetti ho ritentino sempre il "tono giusto" del dialogo ecumenico e tra persone di diverse religioni, nella modalità dell'incontro reciproco tra la farfalla che giunge e il fiore che si apre, assolutamente necessario e non solo per una quesitone di armonia psicologica, ma perché ho sempre preso sul serio la confessione del peccato del mondo da parte di Cristo e la sua discesa all'inferno: il Suo cuore è rimasto, è e rimane intatto anche dopo tante sconfitte e scismi nella cristianità! 

In forza della Sua confessione del peccato del mondo, della Sua percezione della sconfitta del peccato che nell'inferno è percepito come melma senza alcuna forma e quindi senza volti concreti (nell'inferno ci sono per ora solo effigi dei peccatori e non i peccatori stessi) e nella assoluzione gratuita che riceve alla domenica mattina di Pasqua in modo del tutto sorprendente Cristo ha posto quella certezza ultima che non ha più bisogno di tensioni esagerate romantiche; solo nel Suo cuore, di Logos universale (cattolico) e concreto vi è spazio per una reale coincidentia oppositorum.  Solo per questo possiamo contare sulla "discretio cattolica". Non c'è bisogno infine di nessuna esagerazione romantica, il mondo è già salvo! 

Con amicizia, tuo Roberto  

Caro Roberto, 
grazie di queste tue riflessioni. Sono contento che ti abbiano colpito i passi di Guardini in proposito. E' un Guardini inedito di cui gli studiosi non si sono proprio accorti. Eppure è la sua vera anima, la sua ferita. Le critiche sull'integralismo come rifiuto della religiosità indiretta sono perfette, eppure non ho mai letto di Guardini critico dell'integralismo. Il carteggio con Weiger permette di entrare dentro l'animo di Guardini. Sul resto condivido pienamente la tua esigenza. Il papa la esprime nell'idea di un cristianesimo per persone "normali". Al contrario gran parte dei modelli cristiani sono mirati su persone "eccezionali". Massimo

XIV. Sull'autoaffermazione moderna come rivolta - in dialogo con Massimo Borghesi (Romano Guardini, Milano 2018, 126)
Chi conosce solo ciò che scrivo in rete e non la mia attività come insegnante di filosofia potrebbe pensare che io non conosca a sufficienza la rivolta moderna contro Dio! 
In vero nella scuola insegno autori come i presocratici, Platone, Aristotele, Epicuro, Kant, Hegel, Nietzsche, Heidegger e non solo gli autori cristiani come Agostino, Tommaso e Ulrich. E la storia della filosofia che ho scelto è di un autore non cristiano, quella di Otfried Höffe.

Il mio stile più monastico in rete ha forse a che fare con il fatto che insegnando in una regione tra le più secolarizzate del mondo, non ho quasi mai la possibilità di esprimere la mia anima cristiana. Non mi vergogno del mio stile monastico, ma devo stare attento che non venga confuso con uno stile cristianista che non tenga conto che "l'autoaffermazione moderna non è una posizione originaria. È l'esito di una reazione all'assolutismo teologico" (ibidem, 116). In nessuno caso è lo stile monastico dell'ora et labora da identificare con una forma di "assolutismo teologico". 

Nelle pagine di Massimo Borghesi viene descritto bene l'atteggiamento di rivolta della modernità nell'esempio di Nietzsche e della sua difesa della natura dell'uomo, che gli è sembrato di poter difendere solamente con un "ateismo postulatorio" - o esisto io o esiste il Dio che mi opprime. Guardini non si mette in polemica apologetica contro Nietzsche, anzi cerca di far vedere la "fratellanza" polare tra Kierkegaard e Nietzsche stesso, come fece il giovane Balthasar in un capitolo della sua "Apocalisse dell'anima tedesca" e ancora prima nella sua tesi di dottorato in Germanistica (Geschichte des eschatologischen Problem in der modernen deutschen Literatur. Il terzo capitolo si intitola: Die Alternative: Kierkegaard und Nietzsche). Insomma cerca di fare vedere che la rivolta moderna la si comprende solamente se se ne comprende il momento di verità. E non si può tornare a Tommaso senza tenere conto dell'esperienza di fallimento del cristianesimo nella modernità. Oggi, poi, dopo i fallimenti descritti nel "giorno del giudizio" (Gianni Valente, Andrea Tornielli) si può ancora di meno dimenticare la critica di Nietzsche. 

Anche il mio confronto con Ulrich non è un semplice ritorno a Tommaso. Quando parlo di una critica immanente, per così dire, del nulla della gratuità versus il niente del nichilismo, esprimo una via originale per ereditare la filosofia debole postmoderna. L'essere non è solo semplice e completo, ma è anche non sussistente - insomma è dono gratuito che solo può convincere il mondo e l'uomo in rivolta, ad un livello per cosi dire precategoriale (Guardini). Non è l'amore gratuito alcunché di più grande della rivolta gratuita, che di fatto finisce in pazzia e non in una "luminosa e delicata integrità dell'essere" (Madeleine Sémer)?

Excursus 

Sulla formula "un piccolo amico di Gesù"
Essa nasce nella tradizione dei "piccoli fratelli e sorelle di Gesù" fondati nella sequela di Charles de Jesus e dalla formula che accompagna le lettere di Ferdinand Ulrich: "un piccolo fratello viandante di Gesù".
Ogni persona ha una sua ultima missione personale che io cerco di esprimere con la formula "un piccolo amico di Gesù". 


Amico non per un mio merito, e lui che che in Gv 15 ci chiama "amici", per cui ho rinunciato alla prima formula che usavo: "un servo inutile (LC) di Gesù".

"Piccolo" perché nei confronti dei mei amici Charles e Ferdinand, sono un piccolo tentativo di seguire Gesù, essendo fin troppo "nel" mondo, ma in fine per una una sua grazia non "di" questo mondo! ". Non ritengo che si possa allontanarsi dal mondo in cui siamo nati, per noi la società trasparente e consumistica, ma possiamo chiedere sempre di nuovo e con umiltà di essere fratelli degli altri fratelli, ma di non essere assorbiti totalmente nella società in cui ci tocca vivere. Quindi di non essere assorbiti nel "mondo" nel senso della parola giovannea. Questa tradizione mi è arrivata nella „forma“ di Adrienne von Speyr e Hans Urs von Balthasar. 

Questa formula è la mia "confessione minima" a ciò che più mi sta a cuore. A volte uso un linguaggio troppo monastico che non esprime bene quello che "sento". In qualche post nel mio blog, per esempio quello sulla "scarpina di raso" di Paul Claudel, mi è riuscito di essere meno monastico. Non che questo sia male, ma non sono del tutto io. In dialogo con Etty Hillesum mi sento particolarmente me stesso. Anche la filosofia di Massimo Borghesi mi aiuta di essere meno monastico. 
In Papa Francesco vedo Gesù in azione oggi! Nella fraternità di CL il luogo preferenziale (non esclusivo) in cui incontrare Gesù.

XV. L'opzione Bonaventura - interroga la grazia,  non la dottrina (cfr. Massimo Borghesi, Romano Guardini. Antinomia della vita e conoscenza affettiva, ibidem 129-142)

Chiarmante non posso qui nel mio blog offrire un riassunto del ricco capitolo su Bonaventura e sulla philosophia-theologia cordis. I miei appunti segnano solamente un cammino interiore che faccio alla scuola di Guardini e Borghesi e in questo caso anche di Bonaventura.

Cosa imparo in primo luogo in questo capitolo? Che la filosofia e la teologia non possono fare a meno, se non vogliono perdere il rapporto con l'esistenza storica, di riflettere su quegli avvenimenti colossali come lo è l'entrata nella storia della figura di san Francesco.

Non si può far filosofia come prima di San Francesco,  dopo di lui. Questo significa la scelta di san Bonaventura da parte di Guardini. Quello che è in gioco è una dottrina della redenzione che non si basa sulla dottrina da sola, ma in primis sulla grazia. Per approfondire il dono ontologico dell'essere, e di quella vetta singolare che è in esso la redenzione, cioè per chiedere cosa tutto ciò significhi, "interroga la grazia, non la dottrina, il desiderio, non l'intelligenza , il gemito della preghiera, non lo studio e la lettura; lo sposo, non il maestro" (Bonaventura).

Un filosofo come Max Scheler ha capito immediatamente cosa fosse in gioco in tutto ciò: di fronte ad un avvenimento di amore, non ci sono categorie "essenzialistiche" e "dottrine" che tengano. Scheler ha rischiato molto, forse ha esagerato, ma questo entusiasmo e libertà di sguardo filosofico non può lasciar indifferenti. Vi sono avvenimenti come il Cristo risorto che si possono solo vedere con gli occhi della Maddalena, con gli occhi dell'amore. Guardini è impressionato da quanto dice Scheler, corregge solo il tiro quando la critica all' essenzialismo, diventa negazione quasi di ogni affermazione "ontologica" (come accade mutatis mutandis con Jan Luc Marion) di verità. Per questo Guardini insiste su Bonaventura, che invece Scheler ignora, e prende sul serio il suo "ne crea sistema" dell'avvenimento che è e rimane Francesco. Un avvenimento che dopo 800 anni Papa Francesco ci ripropone. La polarità conoscenza ed amore ha un cuore: la priorità dell'amore su di tutto.

XVI.   L'amore di Dio e la sua comunione con l'uomo e il pensiero polare di Bonaventura (cfr. Massimo Borghesi, ibidem, 142-149)

Proprio per comprendere cosa sia la redenzione abbiamo bisogno di un pensiero realmente aperto e polare. Non ci si può fissare né su un solo pensiero né solo sulla "medietas" pura tra le posizioni. Ciò a cui Guadini, alla scuola di Bonaventura, ci educa è dare maggior importanza a quel pensiero in cui l'amore gratuito di Dio viene tenuto maggiormente in conto.

Sia il modello giuridico di Anselmo, in cui la redenzione ristabilisce la maestà di Dio, sia quello fisico-mistico dei Padri della Chiesa, ricreativo dell'anima, sono poli che dobbiamo tenere uniti se non vogliamo perdere un momento della verità del tutto, ma la peculiarità di Bonaventura non consiste solo nel trovare una via di mezzo "aristotelica", per così dire, ma di trovare quel cuore, una nuova posizione, che non sta proprio nel centro puro, ma che permette veramente una conoscenza affettiva, che "rende migliori gli uomini!", cioè capaci di amare gratuitamente, perché amati gratuitamente.

Per quanto riguarda la filosofia si tratta di vederne la sua anima di "ancella", di servizio e cioè come un pensiero aperto e non fondamentalista omologante, un pensiero che sia realmente capace di integrare i poli, in modo che non scadano in una pura contraddizione.

XVII.  



Continua.  


(1) Sul libro di Massimo Borghesi su Bergoglio ho scritto una seria di riflessioni, in dettaglio, in Facebook - dovrò una volta riprendere il tutto in un post del mio blog, come faccio ora con il libro su Guardini. 

(2) Nei miei articoli per il Sussidiario (2012-2018) si può vedSiere come ho cercato, però, di superare questo cedimento all'interiorità con un confronto con i temi dell'esistenza storica in Germania ed in modo particolare in quella dell'est. 

(3 La parola "polifonia" (Guardini) dal greco significa "molteplicità dei suoni" o "componimento a molti voci e strumenti"; si parla per esempio delle "polifonie di Palestrina". Riassunto:" musica vocale e strumentale con più parti o voci che esprimono ciascuna una speciale melodia" (Zingarelli). Lo stesso Zingarelli da l'etimologia dal greco di sinfonia (Balthasar) con"insieme di voci". La differenza tra polifonia e sinfonia è secondo me temporale - sinfonia viene più tardi e dice anche di una struttura di solito di 4 movimenti. Il riassunto, però, è lo stesso: complesso armonioso di differenti suoni e voci, come si vede nella nona sinfonia di Beethoven.

(4) Et in Spíritum Sanctum,
Dominum et vivificantem:
qui ex Patre Filioque procedit.
Qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur:
qui locutus est per prophetas
. (

Simbolo niceno-costantinopolitano)


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03.06.20

Sull'era post secolare tra teologia politica e orizzonte precostantiniano (cfr. Massimo Borghesi, Critica della teologia politica, Genova 2013, 270-282)
La riflessione filosofica di Massimo Borghesi ci permette di comprendere quello che sta succedendo negli USA, ma non solo, in questi giorni di crisi mondiale. Forse quello che manca nella sua ricostruzione (almeno nel capitolo su cui stiamo riflettendo) è la Cina - sarebbe interessante chiedersi se quello che afferma il filosofo italiano in riferimento alla "caduta del marxismo" valga e come per la Cina. Ma lasciamo da parte questo problema, sebbene per chiarire la questione della caduta del marxismo non dovrebbe essere di poco conto. 
Borghesi sottolinea l'importanza di due avvenimenti, di due "crolli": la caduta del muro di Berlino nel 1989 e il crollo delle torri (Twin Towers) di New York nel 2001. Ci permette di comprendere come questi avvenimenti abbiano rafforzato due tentativi di "teologia politica": quello americano e quello islamista, che ora sembra essere in crisi, anche per l'azione di fratellanza di due giganti come Papa Francesco e il Gran Imam Al Tayyeb (Abu Dhabi 2019). 
Non so se la pandemia a causa di sarà-covid2 che stiamo vivendo sia un avvenimento storico della portata di quelli citati da Borghesi e se si che cosa esso significhi per le questioni trattate, in modo particolare per la differenza tra la fede, che può nascere da un incontro e la religione che come sistema di appoggio politico non è una risposta al cuore dell'uomo che cerca amore gratuito. Anche per questa questione si dovrà illuminare la posizione "laica" dalla Cina.
La pandemia sembra mettere in crisi il predomino del mercato sul politico e il progetto tecnocratico dell'Occidente - che sembravano aver dominato dopo la caduta del muro di Berlino come "forma totalmente dissacrata della borghesia" (ibidem, 273). E nella figura del pontefice romano ha proposto un atteggiamento spirituale, nella trasmissione della Santa Messa di santa Marta, che ha raggiunto anche i cattolici cinesi. In Italia è stata seguita da milioni. 
Per quanto riguarda la figura di san Giovanni Paolo II, a cui Donald Trump con la moglie ha portato i fiori, Borghesi dice che dopo essere stato usato per il crollo del comunismo, il pontefice era stato lasciato da solo nella sua battaglia contro la guerra e le guerre nel Golfo. Perché ne ha bisogno Donald Trump? Il cardinale di New York Timothy Dolan, in un video in Facebook in occasione della ricorrenza del viaggio di san Giovanni Paolo II nel 1979 nella sua patria, ha presentato la figura del santo Papa polacco, non come rivoluzionario politico, ma come guida spirituale, certo anche contro il comunismo, ma in primo luogo come colui che ha gridato al mondo che abbiamo bisogno di Dio per una testimonianza di autentico amore. Ma che uso ne fa Trump? In vero nel modo con cui sta gestendo la crisi politica di questi giorni agisce piuttosto come un autocrate comunista che un presidente democratico americano: vuol servirsi della figura politica del Papa polacco per farci credere che egli è davvero un democratico? 
Questo post ha la modalità di una riflessione a voce alta e non vuole presentare alcuna tesi. Credo che Borghesi, più di me, sia capace di riflettere su questi nodi di filosofia della storia.