il saggio del 1984, che è una recensione in primo luogo del libro di Balthasar: "La verità è sinfonica" ci presenta il Bergoglio che abbiamo incominciato a conoscere con il libro di Massimo Borghese sulla biografia intellettuale del papa latino americano (Milano, 2017). Il Bergoglio teologo della polarità feconda, che non cede spazio mai allo "spirito della reazione e dell'uniformità" e che non sostituisce mai le persone concrete di un dialogo con una riflessione solo ideologica o "gnostica". Il mistero non è mai controllabile da una gnosi, anche se questa poi cerca un equilibrio, alla sua dimensione logica, in aspetti esoterici: l'astrazione logica e i riti di iniziazione, per eletti, ai "misteri superiori" dell'essere sono le due facce di una stessa medaglia. Bergoglio riconosce il problema, come si può vedere nell'edizione tedesca del libro di cui stiamo parlando: Im Gespräch mit Hans Urs von Balthasar. Die Wahrheit ist symphonisch und der theologische Pluralismus, Friburgo in Br., 201814).
A livello ontologico vi è un solo mistero: il dono gratuito dell'essere! Per tutti!
Per quanto riguarda ciò di cui stiamo parlando e cioè per un pluralismo fecondo ecclesiale, che corrisponde a livello ontologico al dono dell'essere nella sua molteplicità, Bergoglio propone due criteri: quello della con-umanità e quello del "massimo", cioè della non riduzione del mistero (per esempio in un vago panteismo religioso).
Partiamo dal primo: quando cominciamo a conoscere un uomo? Quando, per usare il linguaggio di Ferdinand Ulrich, incominciamo ad intuire che egli non è solo un tu per me o o quando non lo fagocitiamo in un noi unilaterale, ma per l'appunto quando compendiamo che è un "egli", un "lei", quando cominciano a metterci in dialogo con la sua "libertà indisponibile". Così invece di diminuire, dice Balthasar, "cresce davanti a noi e noi cresciamo in lei (nella sua libertà indisponibile)" (ibidem, 15). Queste parole presentano l'esperienza che Balthasar ha fatto con Adrienne o quella che faccio io con mia moglie e questa esemplarità concreta ha ovviamente un significato universale, concreto ed universale. Nel dialogo con persone concrete ci troviamo confrontati con "antinomie" (ibidem, 16) feconde - non con contraddizioni, ma con il mistero della indisponibilità della libertà dell'altro.
Sorella Gabriela esprime bene questo mistero della indisponibilità della libertà dell'altro: il principio della con-umanità implica "l'accettazione della antinomia e il rendere possibile di quel discorso che promuove il dialogo" (ibidem 124). Anche la solidarietà in gioco nel principio della con-umanità viene spiegata bene: si tratta di accettare quella antinomia che da una parte ci rende solidali agli altri e ai loro problemi, coscienti anche della dimensione sociale del problema, dall'altra, però, la solidarietà cristiana è accettazione dell'altro polo, diciamo puramente "teologico" e cioè sempre anche "partecipazione al mistero pasquale" (cfr. ibidem 127), con il suo presupposto dell'ascesa sulla croce e la discesa nell'inferno.
Il cuore di questo mistero, come del mistero dell'essere come dono, che è Logos, non è, però, un "discorso", ma la Croce, quell'avvenimento universale e concreto, in cui ill Dio fatto uomo "conosce" il mistero dell'abbandono - dell'essere abbandonati e dell'abbandonare. Dio che abbandona Dio, l'uomo che abbandono l'uomo. Questo può essere una concreta "discesa all'inferno", che esistenzialmente si può rivelare come desiderio di morte. Sarebbe meglio essere morti, che abbandonati. La gratuità dell'amore non si ferma alla soglia di tutto ciò, ma vive nel modo più profondo il mistero della con-umanità. Con tutti!
Cristo vuole il "massimo", ma un massimo che non ha paura del "minimo". Il massimo di un amore che non tiene fermo a se stesso. Quando Tommaso d'Aquino ci ricorda: "actus credentis non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem" (ibidem, 18), dobbiamo stare attenti a non confondere questa res, con la fissazione di una ousia! Cristo ne ha addirittura due: l'ousia umana e quella divina, ma come esse si rapportino c'è lo ha ricordato una volte per tutte Paolo:
Filippesi 2, [6] il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
[7] ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana,
[8] umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.
[9] Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome;
[10] perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra;
[11] e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
Quando suor Gabriela dice che una buona teologia nasce certo in dialogo, anche con le altre scienze e quando essa stessa lavora in modo scientifico, ma in primo luogo quando il teologo sa che sta al cospetto di Dio, è giusto ricordare che questo Dio è "quo maius cogitari nequit", ma non bisognerà mai dimenticarsi che non si tratta qui di un mistero astratto filosofico, ma appunto di quel mistero di cui parla Paolo: il mistero di Uno che non ha considerato la sua ousia divina come un "tesoro geloso".
Il mistero del Papa, espresso anche nelle parole cha ha usato nella omelia di questa notte, è un mistero di arrendevolezza, di cedimento di fronte alla tenerezza di Dio (non di arrendevolezza al mondo):
"Voglio arrivare a Betlemme, Signore, perché è lì che mi attendi. E accorgermi che Tu, deposto in una mangiatoia, sei il pane della mia vita. Ho bisogno della fragranza tenera del tuo amore per essere, a mia volta, pane spezzato per il mondo".
Senza fare questa esperienza di tenerezza, che è anche appartenenza al tutto della Chiesa, non sarà possibile essere fecondi, tanto meno nella crisi che oggi nel mondo occidentale e non solo ha colpito la Chiesa nel suo interno. Ha ragione a dire suor Gabriela che la Chiesa "non è puro esercizio del potere" (ibidem, 117), ma proprio questo è il volto che per esempio negli USA si è conosciuto di lei. Senza l'aiuto della "ecclesia immaculata", cioè di Maria, una Chiesa che insistesse solo nella fedeltà legale al suo credo si farebbe del tutto incredibile. Non gli enunciati della sua fede, da soli, la rendono santa, ma la "res" stessa che è amore umsonst (gratis et frustra). Non gli "estremi interessi di interessi esteriori ad essa" (ibidem,112), ma quelli interiori ad essa l'hanno portata negli USA, in Cile, in Germania al cospetto dell'abisso della non credibilità. (2)
Dobbiamo appartenere alla Chiesa, ci chiede Bergoglio, perché senza apparenze si è solo in balia della follia dominante. Dobbiamo, però, anche prendere sul serio la modalità del attacco diabolico della Chiesa dal suo interno, che non ha più principalmente la forma delle richieste liberal progressive (anche se in Germania hanno ancora un certo potere), ma quello della doppia o tripla vita tradizionalistica (come abbiamo potuto vedere nel messicano Marciel Massiel) o nel tradizionalismo aggressivo di una teologia del benessere e della identificazione di sé versus un nemico (come stiamo vedendo nei recenti attacchi al papa di Mons. Vigano). (3)
La verità è sinfonica solo come espressione di un amore gratuito ultimo a cui non si aggiunte la verità, ma che è la verità. Non esiste il pericolo di amare davvero e di giungere al falso, mentre esiste sempre il pericolo della gnosi che si spaccia come amore e non lo è. Ama et fac quod vis!
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(1) Il commento di Rodrigo Polanco è davvero utile per comprendere come la teologia in America Latina ha una dimensione collegiale forte, nata in dialogo con le Conferenze episcopali che da Medellin (1968), Puebla (1979) fino ad Aperecida, dove il cardinal Bergoglio avrà un ruolo importante, in modo particolare nella stesura del documento finale, e che si sviluppa come un contributo per la Chiesa universale. In modo particolare nella comprensione di cosa sia il "popolo fidel", che con Lucio Gera ha un carattere meno politico e più religioso (quindi vi sono delle differenze notevoli anche nei confronti della teologia della liberazione). Per quanto riguarda la comprensione dei pensatori che hanno avuto un grande influsso sul papa, Polanco rinvia con ragione al libro di Massimo Borghesi, Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Milano 2017.
(2) I problemi di fronte ai quali si trova questo testo di Bergoglio nel 84, sono quelli che Puebla riassume così: si deve superare "un interesse esagerato per l'ampio ambito dei problemi terreni". La risposta della teologia della liberazione ai problemi di allora, a differenza di quella intuita dal popolo fedele, è stata quella di una liberazione astratta, cioè che astrae dall'appartenenza ecclesiale, per dare troppo valore ai schemi interpretativi mondani e di liberazione mondana. Puebla assume l'invito di San Giovanni Paolo II: l'identità cattolica si può salvare solamente con un'appartenenza verticale (cfr. ibidem 36). I problemi di fronte ai quali ci troviamo noi sono del tipo che l'assunzione nel proprio esprimersi di questi pensieri non ha evitato una totale crisi, una separazione tra ciò che si dice e ciò che si fa, all'interno della Chiesa. Un'appartenenza di ideali espressi a parole o di forme di successo sociologico (seminari pieni, soldi che si trovano per la Chiesa) non garantiscono la santità di un reale rapporto con Dio. Da Puebla Papa Francesco eredita due importanti dimensioni o luoghi teologici: l'inculturazione del Vangelo/ evangelizzazione delle culture e la pietà popolare di cui Bergoglio si è sempre fidato. Per quanto riguarda il problema del pluralismo la posizione del Santo Padre non si lascia imprigionare da nessuna posizione ideologica: bisogna che nella Chiesa vengano integrate un massimo di opposti fecondi nell'unità di Cristo, quindi senza scadere in contraddizioni non feconde.
(3) Cfr, Andrea Tornielli, Gianni Valente, Il giorno del giudizio, Milano 2018. Di fronte o meglio all'interno di questo disastro, una certa difesa della identità cattolica non potrà che essere controproducente. Come mi ha fatto notare l'amico Federico Picchetto: "Papa Francesco su “i metodi sbagliati dell’evangelizzazione”. Un testo censurato dal mainstream cattolico, pronunciato più di un anno fa sulla tomba di Mazzolari:
“Il secondo metodo sbagliato è quello dell’“attivismo separatista”. Ci si impegna a creare istituzioni cattoliche (banche, cooperative, circoli, sindacati, scuole...). Così la fede si fa più operosa, ma – avvertiva Mazzolari – può generare una comunità cristiana elitaria. Si favoriscono interessi e clientele con un’etichetta cattolica. E, senza volerlo, si costruiscono barriere che rischiano di diventare insormontabili all’emergere della domanda di fede. Si tende ad affermare ciò che divide rispetto a quello che unisce. E’ un metodo che non facilita l’evangelizzazione, chiude porte e genera diffidenza”.
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18.5.19 Excursus su un libro di padre Henri de Lubac, uscito nel 1992 nella traduzione tedesca dello Johannesverlag, Auf den Wegen Gottes, che ha lo stesso tema di questo post:
Lipsia. L' ebraismo, il cristianesimo e l'Islam contraddicono le teorie dello sviluppo religioso, che hanno un certo senso per comprendere altre forme religiose. Prima della "Egira" gli arabi non erano per nulla un'unità, spiega padre Henri de Lubac. Gli ebrei festeggiano il loro trionfo come religione in un momento di declino e di prigionia. Gesù di Nazareth non sarebbe neppure stato percepito da una analisi sociologica attenta ai fenomeni religiosi importanti del tempo.
Vi è una elezione che Dio fa! Non che fa il popolo o un singolo, che lo rende un Dio singolare che non è una via, una verità ed una vita tra le altre. Al cospetto di questo Dio la cosa più intelligente da fare non è festeggiare un trionfo religioso sugli altri, ma disinteressarsi a se stesso, per lasciare parlare sempre di più Lui. Usare questa sua singolarità per declassare le altre religioni monoteistiche non ha nessun senso, perché si tratta del "medesimo", anche se non dello "stesso" Dio (Robert Spaemann) - non è lo "stesso" Dio nelle parole che usiamo per parlare di Lui. Non tanto nelle Scritture sacre, ma nel modo in cui le interpretiamo. Anche sulla questione della Trinità, secondo Klaus von Stosch, c'è solo un passaggio nel Santo Corano che la contraddica esplicitamente, ma non è ben chiaro se non si tratti di una contraddizione di un'interpretazione difettiva della Trinità stessa. Anche con il buddismo, come dimostra l'amicizia tra Luigi Giussani e Shodo Habukawa, non dovrebbero nascere questo tipo di problemi - tanto più che il buddismo non ha un Dio personale che si metta in concorrenza con quello personale delle tre religioni monoteistiche.
La mia insistenza sul Logos universale e concreto che è Cristo capace di integrare tutto ciò che è bello, buono, libero, vero non deve farci dimenticare la singolarità di Cristo. Può farsi sentire molto forte nella nostra intimità il suo "o con me o contro di me", ma questo invito non è mai rivolto contro il Padre, il medesimo Padre degli Ebrei e dei Mussulmani. Piuttosto contro nostre interpretazioni riducenti l'amore e la gloria di Dio.
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