sabato 1 dicembre 2018

"Io penso di non poter più vivere se non lo sentissi più parlare" (J.A. Möhler)

Lipsia. Con grande capacità sintetica Monica Scholz-Zappa, all'inizio del suo libro Giussani e Guardini. Una lettura originale, (Milano 2017, 39-47) schizza "momenti di verità" che hanno influenzato il sacerdote italiano e quello italo tedesco, a partire da alcuni maestri comuni. Tra questi maestri si trova J.A. Möhler, di cui ho riportato nel titolo del post la frase: "Io penso di non poter più vivere se non lo sentissi più parlare". Non se non sentissi più parlare determinati maestri della modernità filosofica e teologica, ma se non sentissi più parlare Cristo!  

Per usare una parola di Massimo Borghesi possiamo dire che sia Giussani che Guardini sono interessati ad una "legittimità critica della modernità", ma non dipendono da nessuno pensiero moderno, proprio perché hanno nel cuore Cristo, nella sua "contemporaneità" (Kierkegaard). 

Ferdinand Ulrich, che ha conosciuto personalmente Guardini a Monaco di Baviera e a cui quest'ultimo aveva confidato la sua paura di parlare in un aula dell'università di fronte ad un grande pubblico e al modo di superarla (si immaginava che ci fosse nella salai un grande palloncino d'aria che bastava pungere con un ago), è stato per me il "maestro" che mi ha permesso di vivere in contemporaneità con Cristo, rivelatore del Padre, donatore dell'essere pro nihilo. 

Prima di Ulrich ci sono state le lettere scambiate con Hans Urs von Balthasar (proprio in una di queste mi parlò di due filosofi tedeschi: Robert Spaemann e Ferdinand Ulrich) che sono state l'incontro con un maestro che ha saputo accogliermi, vendendomi a prendere nella mia confusione giovanile, senza captatio benevolentiae, ma introducendomi nel cuore della sua preghiera e della sua comunità: così nacque l'amicizia durata fino alla sua morte con Cornelia Capol. L'amicizia tra Balthasar e Giussani, iniziata nel 1971 è "durata per lungo tempo", insomma non fino alla fine, ci si chiede leggendo questa frase. Forse verso la fine della vita vi è stata un'irritazione (ma è solo una mia impressione)  - anche la "Vita di Giussani" di Savorana non chiarisce gli ultimi momenti di questo percorso comune. A me non interessa il gossip, né esageratamente le questioni biografiche, eppure il mio intuito mi dice che in questa mia impressione si nasconda qualcosa di importante (1). 

Per quanto mi riguarda, pregando alla tomba di Balthasar (non so al momento ricostruire l'anno, forse il 2010), quando entrambi erano morti, avevo avuto una forte certezza che l'amicizia che avevo visto a Roma nell'abbraccio dei due al simposio su Adrienne fosse uno dei passi decisivi della mia vita e che dovesse essere tenuta insieme "come punto di non ritorno" nella mia missione ecclesiale.  Don Julián Carrón ha ripreso negli Esercizi del 2017 l'impegno del cristiano nel mondo, anche la parte scritta da Balthasar, che dovrebbe essere intitolata: l'impegno di Dio con il cristiano nel mondo. Quello che io ho imparato da Balthasar nelle sue lettere è stato in primo luogo la svolta di prospettiva: non quello che devo far io per essere un buon cristiano, ma quello che Dio vuole che io faccia, è la cosa essenziale del cristianesimo e questo vale anche "ora" che non ho più 18 anni, come all'arrivo della prima lettera di Balthasar. La parole riportate da Monica Scholz-Zappa del cardinal Ratzinger a Giussani mi sembrano decisive: "mi pare che esiste una consonanza, una coincidenza tra le sue doti essenziali (di Balthasar) e il vostro carisma, perché anche lui era un uomo dell'essenziale". 

Quello che Giussani ha imparato da Newman, la differenza tra "assenso reale" ed "assenso nozionale" io l'ho imparato dapprima da Balthasar e poi da Adrienne e da Ulrich. Per un "assenso reale" ci vuole un "incontro concreto" - questo c'è stato anche con Robert Spaemann, ma quest'ultimo è fondamentalmente un intellettuale che a livello etico mi ha insegnato alcune "nozioni" importanti ed anche se nel mio libretto intervista (Robert Spaemann, Testimone della verità, Venezia 2012) do testimonianza di un incontro anche di valore pedagogico, il vero incontro esistenziale vi è stato in primo luogo con Ferdinand Ulrich, che mi ha insegnato filosoficamente ed esistenzialmente l'importanza dell'amore umsonst (gratis et frustra). L'amicizia tra lui e mia moglie è stata certo uno degli atti più fecondi della mia vita. Ulrich vive dell'amore incarnato di Cristo ora. Per questo è stato per me motivo di grande gioia e sorpresa l'interesse che don Carrón ha mostrato per questo "mio" filosofo. Da questa gioia profonda nascono le traduzioni di Ulrich che sto facendo qui nel mio blog per don Julian. 

Balthasar, Ulrich e Giussani sono stati nella mia vita l'antidoto più forte contro "quella comunicazione della verità diventata astrazione" (Kierkegaard). Un tema che ho approfondito in dialogo profondo con l'autore americano Walker Percy (anche di questo dialogo si trovano tracce nel mio blog), che fa vedere come tra "comunicazione della verità come astrazione" e la "sessualità liberale" vi è una correlazione necessaria. 

Da Newman Giussani impara il discernimento del relativismo del "liberalismo contemporaneo". In un saggio di sette pagine pro manuscripto in dialogo con il filosofo marxista Christoph Menke ho rifletto a lungo sul liberalismo dei "nuovi diritti" che assumono la volontà del singolo come "divina". Essi sono per Menke una perdita di rilevanza politica. Il soggetto dei diritti borghesi paga per la sua autorizzazione politica a formulare nuovi diritti il prezzo della perdita di potere della politica come cambiamento della società. Per me, seguendo don Carrón, non si tratta solamente di una perdita di rilevanza politica, ma di rilevanza "filosofica": il prezzo è la perdita delle evidenze del cuore dell'uomo. Una traccia giornalistica di questo mio dialogo si trova anche in un articolo de Il Sussidiario su Menke.

Per quanto riguarda la Chiesa imparo da don Giussani il suo valore sacramentale e di incontro. Ieri in un post sulle pagine attuali della sdc (perché la Chiesa? "Li riconoscerete dai frutti") ne ho parlato riferendomi all'esperienza forte dei "Contadini di Peguy". Per questo capitolo della mia vita sarebbe molto importante capire bene il rapporto che vi è stato tra Giussani e Tantardini - l'ottima "Vita di don Giussani" di Alberto Savorana  non illumina questo punto. 

(1) Qualcosa che deve essere chiarito, tenendo conto di ciò che Balthasar ha ripetuto fino alla sua morte: la vita appartiene al compito che si ha non alla biografia. La biografia alla fine rischia sempre di finire in un non fecondo gossip. 

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