mercoledì 1 maggio 2019

Perché ho scritto il racconto della mia vita "Libri ed altri ricordi" - risposta ad un amico

Caro Nicola, 
mi hai chiesto come mai ho scritto la mia "biografia intellettuale“ - uso questa parola usata da Massimo Borghesi in questo suo messaggio su di essa: 

Caro Roberto,

la tua biografia intellettuale è bella e davvero interessante. Piena di umanità e di intelligenza. Permette di comprendere aspetti di te altrimenti non intuibili. Com'è complessa e complicata la vita e com’è ricca quando è vissuta nella densità degli incontri e nella consapevolezza dei passaggi, anche intellettuali! Perchè uno sia pienamente cosciente di ciò occorre una grande libertà, quella che si respira nel tuo racconto. Diversamente tutto scorre su un unico binario. Arrivi in fondo e non ti sei accorto di nulla. (…) Un caro saluto,  Massimo
In verità essa è stata scritta in una crisi profonda! Dopo gli scandali ripetuti per decenni e coperti in modo omertoso, all’interno di CL e della Chiesa, mi sono trovato senza patria, senza una casa. 

Grazie a Dio che mi è stato insegnato a guardare al Crocifisso e alla discesa all’inferno del Logos universale e concreto che è Cristo, se no, non saprei davvero che fare.  Quando parli con tanti amici di questi scandali o li negano o li abbelliscono, ma fanno comunque di te (!) un „problema“.

Forse non sono abbastanza umile per prendere tutto ciò come un occasione di santità, ma non credo che umiltà e accettazione della distruzione del proprio „essere-me-stesso" siano la stessa cosa; se i discorsi con i tuoi amici non arrivano quasi mai alla profondità che il tuo cuore richiede, se intorno a te c’è piuttosto un silenzio imbarazzato e chiaro che qualcosa non funziona o in me o negli altri. 

Vi sono poi alcune persone che cercano di comprendere cosa sia per me importante, ma la fatica diventa davvero tanta, perché ci serviamo di diversi linguaggi. L’arrivo di Papa Francesco ha avuto, come ti accennavo al telefono, mutatis mutandis, l’effetto di Gesù: è diventato un „segno di contraddizione“, venuto per la „caduta e la risurrezione di molti“ (cfr. Lc 2, 34). 

Tra gli amici volenterosi di comprendermi ci sono quelli che attestano che io nel frattempo hai altri amici e che queste nuove amicizie non devono diventare criterio di giudizio, sono semplicemente un’altra sensibilità. Ma ciò non è vero, nel racconto della mia vita faccio vedere come questi amici sono un reale giudizio profetico su quello che non si osa dire apertamente né a confessare davvero. 

Riconosco la paternità di don Giussani e di don Carrón, perché loro hanno sempre seguito Pietro e così Gesù, ma credo che qualcosa come i „Contadini di Peguy“ non sono nati per giustificare il „sistema Cl“, che in varie parti e stato ed è un sistema di corruzione (peculato, ma anche in alcuni casi di pedofilia). 

Io non ho nessuno problema a vedere in tutto una comunione di peccato e non sentirmi meglio di altri. Oggi in un post in Facebook ho cercato di esprimere ciò con una frase di Ferdinand Ulrich e con una meditazione su un testo di Adrienne. Ecco qui di seguito i due passaggi: 

1. Sul mistero della misericordia nella parabola del figliol prodigo (Lc 15)
La grazia (nella forza della misericordia del Padre, che è il narratore di questa parabola, in carne e sangue) del vuoto, che il figliol prodigo ha sofferto completamente gli ha profondamente tolto ogni illusione: lì non c'è nessun "perché" oggettivo, nessun motivo che potrebbe giustificare una svolta riguardate il proprio io verso se stesso. Non c'è nessun motivo per ritornare-in-se-stesso, nel vuoto del deserto: a parte il sì senza fondamento ("per nulla") dell'amore per l'essere amato, che accade a sua volta senza fondamento ("per nulla"), a parte l'amore per l'amore: sono figlio del padre, sono umsonst, sono amato per me stesso. Il figlio riconosce se stesso a partire dalla memoria presente della sua origine, è diventa se stesso a partire dal padre, nel genitivo della figliolanza, presente come figlio del padre. Per questo motivo possiamo affermare: il "nessuno gli dava nulla" è la traccia leggera del suo essere guidato da padre, che in questo modo fa vedere al figlio, per quale dono, per quale generazione, per quale origine egli è figlio. Nel mezzo della morte-separazione dell'abbandono sorge il creativo essere-separato per amore, per mezzo della potenza del padre che rende libero il figlio. In forza dell'essere-separato per amore il figlio è consegnato a "se" stesso; è libero, di sua propria volontà, con amore nella modalità del poter chiedere perdono, cioè nell'impegno di se stesso come preghiera e senza perché, in una fiducia senza fondamento, di ricevere l'umsonst donato dell'amore del padre, e di renderlo fecondo a partire da se stesso: nel mezzo della sua confessione del peccato. Il suo peccato non è "solo il suo", cioè un peccato confessato fissandosi su se stesso; non ha più questo peccato " per sé da solo", piuttosto l'amore misericordioso lo porta in lui donandogli così la vita. Incomincia a percepire il suo peccato nell'amore del Crocifisso, che lo confessa al Padre, in lui e per lui, donandogli così la grazia della confessione del peccato: nella forza del perdono ricevuto. 

Ferdinand Ulrich 
Nota di RG
Questo è un grande tema che conosco anche dalla teologia di Adrienne von Speyr. "Quia peccavi nimis" - non esiste la separazione tra il mio e il peccato degli altri. Essa c'è giustamente a livello giuridico, non a livello teologico. Formigoni condannato o per fare un esempio più grave del peculato, McCarrick, a cui è stata tolta la dignità cardinalizia e sacerdotale, sono anche in me. Se uno si fissa solo nel suo peccato non saprà confessarlo, non saprà neppure identificarlo. Non si tratta neppure di guardare il peccato degli altri, ma di imparare a guardare il peccato nel mistero dell'amore crocifisso e del suo perdono. In questo modo ci verrà donato di confessare sul serio "quia peccavi nimis".

2. Stanchezza 
C'è un tipo di sofferenza e la stanchezza che essa implica che non è "la sofferenza che Cristo prova sulla Croce o sul monte degli ulivi" - Adrienne è sempre molto cauta nel paragonare la nostra sofferenza con quella del Signore, anche se in qualche modo la nostra piccola è nella sua immensa. "È piuttosto un vago far esperienza della nostra impotenza, nel senso di una espiazione. Forse anche nel senso di una punizione che è stata inflitta a tutti gli uomini perché peccaminosi. Ma forse la parola punizione è troppo dura. Tutto è più armonico, con un profilo più leggero che un castigo. Il motivo qui dominante è la cura che Dio ha per gli uomini che lascia percepire il Suo amore per le sue creature, in modo particolare per quelle malate o deboli. Anche in quella oscurità vaga in cui non si può né contemplare né pregare è presente l'amore di Dio come alcunché di tenero ed allo stesso tempo teso" (Adrienne, 2178). Per "teso" Papa Francesco direbbe "tensionante".

Come dicevo: Io non ho nessuno problema a vedere in tutto una comunione di peccato e non sentirmi meglio di altri. Ma non ho nessuna intenzione di dire si, quando è no e dire no, quando è si. Io stesso a volte non so se confondo i miei peccati con pulsioni legittime. Ho un bisogno grande di autenticità. Per questo motivo è nato questo racconto della mia vita, in cui non vengono nascoste le polarità dei miei incontri: Robert Spaemann non è Massimo Borghesi, per fare un esempio, quindi non appiattisco il mio pensiero ad una certa sensibilità. Spero che si veda una „figura“ di unità nella molteplicità. Anche solo se la si intravede, allora avrò raggiunto il mio scopo. 

Come si vede nel mio racconto cerco di vedere il mio io non in un isola (Defoe), ma in un continente di incontri, anzi in continenti di incontri. Grazie per la tua domanda e per la tua amicizia, Tuo, Roberto 

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