lunedì 8 ottobre 2018

Un incontro con la sinistra italiana - intervista a Nicola F. Pomponio

Lipsia. Nicola F. Pomponio è un compagno di strada della mia vita della prima ora, dei tempi di un liceo nella periferia di Torino, dell'Ettore Majorana. Dopo esserci persi di vista, ci siamo incontrati di nuovo, in Germania, all'inizio di Ottobre e sono nati tre giorni di intenso dialogo. È un uomo molto colto ed attento, con interessi culturali che spaziano dall'antichità (e non solo europea, ma anche persiana, assira) fino ai nostri giorni. Si è laureato con una tesi su Ernst Bloch (sul primo Bloch) nell'università di Torino con Gianni Vattimo; ha conoscenze profonde sia in ambito filosofico che teologico. Qui voglio presentare ai lettori del mio blog e dei Contadini di Peguy un'intervista su temi politici. Nicola Pomponio presenta una dura ed onesta critica al PD, il tentativo politico di "Liberi e uguali" ed un giudizio su Papa Francesco che vorrei che fosse preso sul serio anche dai miei lettori cattolici.


1. Sei stato attivamente impegnato in politica a Torino per il PD. Potresti raccontarci l'ambito della tua attività? 

Sono stato Consigliere Provinciale a Torino fino al 2014 e candidato al Consiglio Comunale di Torino nel 2016. Come esponente della sinistra del partito (PD) ho fatto parte della segreteria metropolitana.

2. Da questa attività nasce anche un giudizio duro nei confronti del PD di Renzi. Puoi spiegarcene la ragione? 

Il PD è un partito nato da quella che fu chiamata "fusione a freddo" (cioè senza calore, senza reale volontà di commistione) tra Margherita e DS. Ambedue i partiti avevano al loro interno diverse componenti (laiche, socialiste, cattoliche, comuniste); questa unione, fin dall'inizio, significò un'estenuante, costante, sfibrante competizione interna vedendo nel partito il semplice presupposto per la scalata al potere. Questa competizione interna ha avuto due aspetti complementari: da un lato le cosiddette primarie come luogo ove, attraverso la conta permanente (aperta per di più, sciocchezza senza pari, a chiunque anche non iscritto e magari pure di centrodestra), si regolavano i conflitti, dall'altro l'abbandono di qualsiasi elaborazione teorica che chiarificasse all'iscritto , al dirigente e ai cittadini il modello di società e/o di azione politica che si volesse perseguire. Ci si è così tanto sbilanciati sulla permanente competizione interna da dimenticarsi di formare una classe politica e dirigente degna di questo nome e, cosa ancor più grave, da dimenticare completamente i bisogni della società mentre le varie etichette (appunto: laico, cattolico ecc.) servivano solo a identificare tribù l'un contro l'altra armate e non differenti, propositive visioni riformiste della società. In questo momento disgregativo sia della riflessione sia della forma-partito si è inserita l'esperienza renziana che non ha, sostanzialmente, inventato nulla di nuovo ma ha saputo sfruttare con abilità tutte le contraddizioni a cui accennavo facendo emergere con particolare purezza sia la totale inadeguatezza culturale e politica del "nuovo" che veniva proposto da Rignano sia il vero fine a cui la lotta interna al PD, ab initio, tendeva: mirare al potere per il potere.

3. Ora fai parte del movimento politico che porta il nome di "Liberi e uguali". Quali sono le intenzioni di questa tua apparenza e cosa rappresenta "Liberi e uguali" nel contesto italiano ed europeo odierno? 

 "Liberi e Uguali" per il momento è un cartello elettorale che, sotto la guida di Piero Grasso, ha riunito varie sigle e singoli personaggi a sinistra del PD. Chi, come me, provenendo dal PD ha fondato "Art.1/Movimento democratico e progressista", ha visto in LeU un primo momento di preparazione verso la fondazione di un vero partito riformista a sinistra del PD. Non ci si può però nascondere che questo progetto sta segnando il passo. Il risultato elettorale è stato deludente, alcune personalità hanno segnalato (peccato che l'abbiano fatto dopo le elezioni) difficoltà politiche nella realizzazione di un nuovo soggetto, rispettabili ma magari da evidenziarsi per correttezza prima di essere messi in lista sapendo in quel momento che si tendeva a fare un partito e, infine, bisogna confrontarsi con l'eterno problema di una sinistra lacerata tra chi ritiene che in politica, in quanto "arte del possibile", si ha sempre a che fare con persone e organizzazioni che, al di là di un afflato ideale comune, la pensano diversamente da me (vedi il PD) e chi, invece, legittimamente, ma non è la mia strada,intende la politica come testimonianza che non scende a compromessi.

4. Ultimamente si è parlato di una perdita di idealità nel PD a Torino paragonato più ad una "ditta" che ad un partito politico.Cosa ne pensi? Si tratta di una perdita di "spirito dell'utopia" (Bloch)? 

Il PD di Torino è nient'altro che un caso particolare di ciò che avviene a livello nazionale. Anche qui il contenitore PD ha vari gruppi e sottogruppi in competizione l'uno con l'altro e riproduce in piccolo meccanismi analoghi a quelli generali. Certo vi sono le specificità locali con leaders e interessi legati a Torino e al Piemonte ma l'aspetto più significativo, e si potrebbe dire quasi comico, è che tutti passano più tempo a pensare come e dove "posizionarsi" o come e dove gli altri si sono "posizionati" che a elaborare progetti e interpretazioni della realtà (cosa questa che tutti i partiti storici, nonchè le loro correnti, presupponevano in qualsiasi dibattito interno). Questo è stato particolarmente significativo quando si sono perse le elezioni nel 2016 quando, dopo ben 23 anni di gestione del Comune di Torino da parte del centrosinistra, non una riunione fu fatta per analizzare la situazione e cercare di capire cos'era successo. Si era concluso, ingloriosamente, un intero ciclo storico ( con crollo delle preferenze anche in chi aveva avuto responsabilità dirette in Comune) ma si fece finta di niente! Per dirla con una battuta: non ha importanza il "come" o il "cosa" ma sempre e solo il "chi". Altro che "spirito dell'utopia"!

5. Quale speranza metti nel pontefice attuale, Papa Francesco, per la crisi populistica in cui ci troviamo a vivere?

 In Papa Francesco non ho una grande, ma una enorme speranza. I suoi discorsi, le sue prese di posizione e il suo coraggio oltre ad essere d'esempio, danno all'agire degli uomini quell'orizzonte ideale che la politica di oggi non esprime più e non a caso molte persone, anche dichiaratamente atee, trovano in lui un maestro. I nostri, sono tempi difficili in cui la globalizzazione ha impoverito e precarizzato ampi strati di popolazione scatenando reazioni con connotati  xenofobi e razzisti. Il Papa in quanto capo di una Chiesa "diffusa su tutta la Terra", provenendo da un continente che storicamente ha sofferto più di altri per povertà, malattie, emarginazioni con in più la solida dottrina teologica che lo caratterizza diventa, inevitabilmente, un punto di riferimento per chi ha a cuore la dignità dell'uomo. E non a caso, ultimamente, è oggetto di una vera e propria campagna di odio e diffamazione orchestrata oltreoceano. Preoccupa vedere molti cattolici sposare le tesi di Steve Bannon (il vero mandante, insieme a a Trump, di questa campagna) invece di prestare ascolto alla voce di Jorge Mario Bergoglio.

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