Lipsia. Con ragione scrive Gianni Valente che il Papa non è un eroe, ma il vicario di Cristo, che come spesso i vicari di Cristo, pronti a portare la croce di Cristo, è disponibile a portarla a sua volta e forse anche ad essere crocifisso (anche se non lo spera, perché come tutti gli uomini non ama soffrire). In un memorabile articolo di Hans Urs von Balthasar ne "Il Sabato" (credo del 1978), il grande maestro svizzero diceva cose analoghe, parlando di Paolo VI, che ora proprio per questo è santo. Non si è santi perché non si sono fatti errori, tutti i Papi ne hanno fatti (errori di valutazione e di decisioni), ma perché ci si piega a portare la Croce come ha fatto il "Figlio dell'uomo".
Con il metodo che mi è proprio della filosofia orante cerco di capire il motivo ultimo del disastro "cristianista" (Remí Brague): a partire dal verso 17 del capitolo 15 del Vangelo di Luca il figliol prodigo "vive la differenza dialogica come mistero dell'amore-unità con il padre. Si ricorda in modo grato dell'amore del padre, nell'accettazione di se stesso come figlio. La misericordia lo accoglie là, lo trova là, dove egli si trova nella sua miseria." (Ferdinand Ulrich, Dono e perdono, edizione tedesca, 557). Il "cristianismo", con il suo virus difensivo e pseudo apologetico, ha perso completamente il senso dell'essere figli. I cristianisti sono tutti autonominati/e"padri o madri della Chiesa" e non hanno nessun senso della loro umana miseria! Senza aver il senso della propria umana miseria, non è possibile, però, ritornare al padre misericordioso.
Solo il figlio conosce il mistero della "passività" feconda di cui ha parlato il papa ultimamente, che non ha nulla a che fare con la pigrizia. Si tratta di quella passività che sa che il mondo è già stato salvato da Cristo, anche se soffre degli attacchi di Satana. Che sa che il primerear ontologico consiste in un dono di un altro e non nel nostro agire. Hannah Arendt, che nel suo libro vita activa, ci ha insegnato a distinguere tra lavoro, produzione ed azione, alla fine giunge al mistero della passività feconda: "non si è mai così attivi di quando, secondo l'apparenza esteriore, non si fa nulla, non si è mai meno soli di quando nella solitudine si è soli con se stessi".
Il filosofo orante non chiacchiera, ma cerca di comprendere nel mistero della passività quella analogia ultima tra la "exinanitio" (annichilamento amoroso) ontologica che accade nel dono dell'essere che non fa tesoro di se stesso, ma per l'appunto si lascia donare completamente nelle cose, negli animali e nelle persone e la "exinanitio" di Cristo "cum in forma Dei esset, non rapinam arbitratus est esse se aequalem Deo, sed semetipsum exinanivit (!!!), forma servi accipiens" (Fil 2, 6 sg.). Tommaso d'Aquino dice che il dono dell'essere è "similiutudo divinae bonitatis". La bontà divina si manifesta singolarmente ed ultimamente in Cristo che ha annichilito se stesso per amore, in analogia a quel dono dell'essere che non è una "rapina", né un "tesoro" da difendere, ma un atteggiamento ultimo di gratuità. Il cristianista non comprende nulla di tutto ciò ed è che come uno che mentre ti regala una rosa ti fa pesare il fatto di avertela donata. Dio non è così; Egli dona l'essere così che uno potrebbe avere la sensazione che il dono stesso non sia nulla, mentre i doni (le pietre, gli animali e le persone) siano tutto. Ed in vero il "medesimo uso di essere e nulla" dice proprio questo: l'essere è il nulla della gratuita amorosa. Più simile alla compassione di Schopenhauer che non ha una volontà o una rappresentazione da difendere, più simile ad una gratuità da condividere che a tutte quelle sedicente forme di difesa della "cristianità", come sapeva bene il servo di Dio Luigi Giussani.
Da questo errore onto-teologico, il non sapere più di essere figli nella miseria, nascono quegli atteggiamenti che ci sono stati presentati nell' "ultimo giudizio" (Tornielli, Valente), come quello di un arcivescovo, appoggiato da altri vescovi, che chiede la dimissione di Pietro. Essere figli significa essere al sevizio dell'amore sempre più grande e piccolo allo stesso tempo, significa sia a livello formale che contenutistico, non superare mai quella mediazione ultima dell'essere, che è l'unico reale antidoto ad ogni forma di prometeismo spirituale o materiale che sia.
Facciamo degli esempi. Partiamo dalle cose di questo mondo. A chi parla della giustizia, rispettando la differenza ontologica tra essere e enti, non verrà mai in mente, in ultima istanza, di lasciare il colpevole alla vittima, ma cerca la mediazione giuridica. Senza quest'ultima siamo in balia di un giustizialismo vendicativo. Come quello che ha ucciso Benito Mussolini e Claretta Petacci e di cui Amos Oz dice, con ragione afferma, che si trattava di un "castigo davvero troppo crudele" (Una storia di amore e tenebre, Milano 2003, 28), cioè senza alcuna compassione. Una grande scrittrice americana, Ursula K. Le Guin dice che "senza la compassione l'amore non è temprato, non è completo e non può durare" e questo vale anche per la giustizia!
Quando si usa del potere che si ha, come Chiesa o come stato, senza passare attraverso alla mediazione ultima dell'essere come amore, si corre il rischio sempre del "populismo" politico o del "governismo clericale". La mancanza di governo è un peccato, ma quello che chiamo il governismo clericale è un peccato di eccedenza. La chiesa - al suo livello di dicasteri - ha impedito o ritardato spesso missione e carismi voluti dal cielo con un ingerenza che non è servizio, ma espressione di quel anello del potere che non può che essere distrutto. E se da parte sua i carismi e le missione ecclesiali devono passare anche attraverso la mediazione del dicastero, quest'ultima può offrire solo un servizio di ordine secondario (1) , perché la vera obbedienza ontologica - a livello di Chiesa - è sempre ad personam: si è obbedienti ad un abate, al papa, non ad un dicastero.
Peguy ci ha insegnato che siamo in epoca "dopo Cristo e senza Cristo". Cosa significa questo? Che non ci sentiamo più, anche come cristiani in quella calma interiore che sa che il mondo in Cristo si muove dal Padre al Padre (Adrienne), insomma che siamo figli miseri, attirati dal suo amore gratuito, ma crede che il mondo possa essere salvato da un sistema che funzione meglio di un altro! Un sistema di gnosi o di azione!
Chiediamo al Signore di essere liberati da quella vita che ha sempre paura che una spada di Damocle ci cada sulla testa e che cerca pseudo sicurezze, che ci lasciano totalmente nudi di fronte al potere dominante!
L'apologetica cristianista che attacca la Chiesa pensa sempre in forza di un "tesoro" da difendere, ma in vero non vi è proprio nulla da difendere, perché la migliore difesa è la capitolazione totale che vive del mistero della "bellezza disarmata" (Julián Carrón) o della passività ontologica, feconda perché vive di quell'ultimo dono gratuito dell'essere. Questo tipo di apologetica cristianista è ben più pericolosa che atteggiamenti di pensiero chiaramente non cristiani, proprio perché è solo similmente cristiana, come la bestia dell'apocalisse è similmente trinitaria. Ed è infine incapace, come si è certo già capito la mia riflessione sulla mediazione ontologica dell'essere, di accettare mediazioni culturali che non siano un cortocircuito di posizioni da difendere. Da qui nasce il sospetto per tutte quelle istanze di mediazioni, come sono i giornali o le scienze umane che non difendono una posizione, ma cercano di riflettere il pro e contra di un argomento o di un problema.
(1) La Chiesa ancora più che lo Stato deve essere trasparente dall'amore gratuito in tutte le sue istanze giuridiche e di dicastero.
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