lunedì 4 gennaio 2021

Il grido dell'orante - un commento al Padre Nostro di suor Cristiana Dobner, carmelitana

Questo post nasce da un mio desiderio grande: quello di aprire il mio blog ai miei amici. Noi non siamo mai persone isolate, ma sempre nel contesto di una communio. Presento qui un commento al Padre Nostro di suor Cristiana Dobner, che conosco da una vita, anche se per tanto tempo ci eravamo persi di vista. Ci siamo rincontrati tre anni fa durante un simposio romano su Adrienne von Speyr. Lei commenta il Padre Nostro nel contesto della tradizione ebraica e cristiana, con un accenno anche ad un possibile dialogo con i mussulmani. Per le parole ebraiche è offerto in fondo al post un glossario. 

Le immagini mi sono state donate da un altro amico: Bruno Brunelli, con una profonda esperienza fotografica - tutte le immagini sono foto scattate da lui. Suoi sono anche i commenti alle immagini.

Auguro a questo post di  essere meditato lentamente, giorno per giorno, perché nasce dalla preghiera orante ed è espressione di quella gratuità ultima che è l'amore di Dio - il nostro grido più autentico è quello di ricevere gratuitamente l'amore di cui abbiamo bisogno e di esserne degni. Forse la cosa più opportuna sarebbe quella di stamparlo, per meditarlo con più attenzione, ma la nostra epoca digitale permette certamente anche una meditazione al computer. 

Io stesso lo mediterò di nuovo attentamente; qualora trovassi errori di battuta li correggerò nei prossimi mesi. 

Roberto, un piccolo amico di Gesù   


CRISTIANA DOBNER


IL GRIDO DELL’ORANTE

Scorci introduttivi


אַתָּ֣ה אָבִ֔ינו


ATTÀ ABÌNU 




Gesù Cristo, La Deesis di Santa Sofia a Istanbul







PADRE NOSTRO

La preghiera del Padre nostro appare un abisso senza fondo quando la si lasci penetrare nel cuore e si apprenda, guidati dallo Spirito Santo, a lasciarsene trasformare.

Tre passi successivi-pur sempre intrecciati e l’uno rimandante all’altro-sono sottesi ad ogni parola della preghiera ed insieme a tutt’intera la sua invocazione:


  • Il dono della Torah;
  • La tradizione ebraica in cui era immerso e visse il Salvatore
  • La tradizione cristiana susseguitasi nei secoli.


Israele ha appreso a rivolgersi al Creatore e ha plasmato generazioni di oranti, per comprendere il Padre nostro quindi è necessario conoscere l’ambiente concreto in cui Gesù è vissuto, percepire che tutto è dono, anche quanto proviene dal lavoro orante e riflessivo della persona, dal proprio lavorio: eredità che riceviamo, in dono, da Israele.

La voce orante, qol lahashon, canta la lode per


  • Avoth: i patriarchi;
  • Gevurot: il potere di JHWH;
  • Qedushat ha-Shem: la santità di JHWH.


che contengono il ringraziamento in tutte le sue manifestazioni:


  • Avodah quale adorazione;
  • Birkat hoda’ah intesa come ringraziamento;
  • Birkat ha-shalom invocazione di pace.


Per rendere grazie a JWHW Israele usa il verbo hillel, il cui sostantivo è halleluja ed esprime il desiderio di glorificare, benedire, esultare, giubilare.

La preghiera insegnata da Gesù si articola nel solco ebraico in cui esistono due verbi fondamentali per indicare la preghiera:


  • Hitpallel


  • ‘Atar 


In Es 8,4 quando si ritrovano entrambi: il faraone usa il verbo ebraico ‘atar “che evoca lo “squartare” caratteristica dei sacrifici, Mosè invece supplica il Signore (v.8) l’ascolto da parte di Dio è immediato” (Ravasi)


e un sostantivo frequentissimo:


  • tefillah, si tratti della preghiera liturgica o personale, cantata oppure recitata. 


Anche alcuni Salmi vengono detti preghiera.

Verbi e sostantivi racchiudono diverse espressioni del lev, del cuore dell’orante:


- dire le parole della mia bocca;

- chiamare;

- gridare;

- sospirare;

- piangere la propria anima;

- aprire il proprio cuore;

- aprire la propria anima.


Emblematica è la preghiera di Abacuc 3,1-2:


Signore, ho ascoltato il tuo annunzio,

Signore, ho avuto timore della tua opera.

Nel corso degli anni manifestala,

falla conoscere nel corso degli anni.

Nello sdegno ricordati di avere clemenza.


Anche il corpo è coinvolto nella preghiera ed assume diverse posizioni:


- stare in piedi;

- inginocchiarsi;

- chinarsi;

- prostrarsi;

- distendere le mani;

- innalzare le mani;


Un testo ebraico antico recita:


Padre nostro, padre misericordioso, facci misericordia e donaci di custodire, di mettere in pratica, di studiare e di insegnare tutte le parole dell’insegnamento della tua Legge con amore. Illumina i nostri occhi al tuo servizio con verità e noi confesseremo la tua unità con timore e tremore. Benedetto sei tu, JHWH, tu che scegli il suo popolo Israele. Amen


È noto come le benedizioni pervadano la vita dell’Israele fedele alla berit, all’alleanza: 


La berakhà- benedizione - è un bene universale di cui tutti abbiamo bisogno.


[…] possiamo dire che il “nucleo” intorno a cui si forma la preghiera è rappresentato dalla berakhà (la benedizione), dalla tefillà (la preghiera propriamente detta), e cioè le 18 benedizioni, shemoné ‘esré, e dalla qerià (la lettura delle pericopi della Torà).


Un trattato del Talmud, Berachót, (Benedizioni) è dedicato a questo argomento, perché Abramo 


non è soltanto il capostipite d’Israele ma è anche l’antenato spirituale di tutti i cristiani e dei primi musulmani del Corano. È forse soltanto un caso il fatto che l’aramaico shelim e l’arabo ishlam (ashlim, mushlim, ecc.) siano imparentati con quello shalom, che rappresenta il nucleo centrale della benedizione divina (Lv 26,6), nonché il coronamento della benedizione sacerdotale disposta da Dio (Nm 6,26)?

E non è forse possibile vedere nelle tre famiglie religiose abramitiche – l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam- la (iniziale) benedizione, grazie alla quale questo primo eroe della fede fu destinato a vivere come un modello universale e a comunicare a tutti gli uomini lo shalom di Dio? È così che si attua il comando di Dio: “Sii una benedizione” (Gn 12,2), rivolto a suo tempo non solo ad Abramo, ma anche, come un ordine preciso, alla storia del mondo a “tutte le generazioni della terra”, chiamate a pervenire gradualmente alla fede.


Prima di iniziare la lettura della Torah si recita una benedizione:


Benedetto il Signore, degno di lode in eterno. Benedetto Tu, o Signore Dio nostro, Re dell’universo, che ci hai eletto tra tutti i popoli e ci hai dato il tuo insegnamento. Benedetto Tu, o Signore, che ci hai dato l’insegnamento.


E la proclamazione si conclude ancora con una benedizione:


Benedetto Tu, o Signore Dio nostro, Re dell’universo, che ci hai dato il tuo insegnamento, insegnamento verace; e vita eterna hai piantato in noi, Benedetto Tu, o Signore, che ci hai dato l’insegnamento.


La berakhà, «sempre diretta al Tu divino come creatore e largitore di ogni cosa» conosce tre forme espressive:  


la berakhà che JHWH rivolge alla persona e al mondo;

la berakhà rivolta da persona a persona; 

la berakhà che la persona rivolge a JHWH.


L’origine della berakhà si trova nel Tanak donata dallo stesso JHWH, esattamente in Dt 8,10:

Mangerai dunque a sazietà e benedirai il Signore Dio tuo a causa del paese fertile che ti avrà dato.

Sigla, successivamente, tutta la riflessione orante di Israele sulla creazione:

Allora Dio li benedisse dicendo: “Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; e i volatili si moltiplichino sulla terra” Gen 1, 22.

Quindi Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, e abbiate dominio sui pesci del mare, sui volatili del cielo, sul bestiame e su ogni essere vivente che striscia sulla terra” Gen 1, 28.

Maschio e femmina li creò, li benedisse e li denominò “uomo”, nel giorno in cui furono creati Gen 5,2.


Viene così espressa una dimensione particolare: la trascendenza e l’immanenza di JHWH

Per il giudaismo, tutto è benedizione. L’ebreo pio passa la sua vita a benedire Dio. Egli benedice Dio e non gli oggetti. La berakha (benedizione), parola molto simile al suo corollario arabo: “beraka”, non ha alcun potere di cambiamento. È un atto di santificazione che esprime una lode: l’ebreo riconosce la meraviglia dell’opera creatrice e costantemente rinnovata di Dio.

Per questo il rabbino David Rosen specifica:


Nella nostra quotidianità, prima di mangiare, o di bere, o di godere di qualunque cosa, noi recitiamo una benedizione. C’è una formula particolare da recitare, prima di mangiare un pezzo di frutta, una mela. Ma che cosa facciamo quando recitiamo una benedizione? Esprimiamo apprezzamento e riconoscenza. Riconosciamo che ciò di cui stiamo per nutrirci, o il piacere che stiamo per provare, viene da Dio. Così, ciò che stiamo facendo non lo prendiamo per scontato o in modo automatico, ma lo accogliamo in modo consapevole, lo apprezziamo e ne siamo grati.


La tradizione rabbinica conduce ad una postura che bisogna fare nostra:


Rabbi Simlai insegnava: 


Sempre si deve prima lodare il Santo, benedetto Egli sia, e solo dopo pregare (vale a dire chiedere ciò di cui si ha bisogno). Come lo sappiamo? Da Mosè. Sta scritto infatti (che Mosè disse): “E allora Lo supplicai” (Dt 3.23). E sta scritto (vale a dire Mosè introduce così la sua preghiera): “Signore Dio, tu hai cominciato a far vedere al Tuo servo la Tua grandezza e la Tua forte mano: quale Dio vi è in cielo che compia tali potenti atti?” (Dt 3.24). E solo allora sta scritto (Dt 3.25): “Permettimi però di passare all’ altra riva per vedere la buona terra” (b.Berachot 32a).


Rav Jehuda considerando le Diciotto Benedizioni gli fa eco:


Uno non deve mai chiedere cose personali nelle prime tre (delle diciotto benedizioni) e neppure nelle ultime tre, ma in quelle centrali.


R. Chanina ribadisce:


Le prime fanno pensare a un servo che proclama la lode del suo padrone; quelle di mezzo a un servo che chiede favori al suo padrone; le ultime a un servo che ha ricevuto un favore dal suo padrone e ora prende nuovamente commiato (Berachot 34a).


Per comprendere più profondamente il senso del Tanak i Maestri d’Israele hanno coniato un acronimo PARDES che, in antico persiano significa giardino, lo si ritrova in Qohelet 2,5:


Mi sono fatto parchi e giardini e vi ho piantato alberi da frutto d’ogni specie.


Se si considerano le consonanti dell’acronimo si scoprono quattro livelli di comprensione sempre crescenti:


Peshat: il livello letterale, detto pure senso storico;

Remez: l’allusione, il rimando perché una parola rimanda all’altra, un testo ne richiama un altro; 

Darash: cercare nel testo e lasciarsene interpellare;

Sod: il mistero.


Giunti al livello del Sod subentra un mutamento: colui che cerca si scopre invece cercato da JHWH.

Chi abbia percorso i quattro livelli e li abbia superati entra nel Paradiso, nel Pardes, dove si trova l’albero della conoscenza.


UNA PREMESSA TESTUALE


La premessa testuale è necessaria per inquadrare il testo del Padre Nostro come ci è stato trasmesso.

In molti sostengono che il testo originale sia stato pronunciato in aramaico e che, successivamente, la prima comunità di cristiani lo abbia formulato in greco:


IL TESTO ARAMAICO








Avun Devashmayia

Natqadash Shemach

Ti’te’ Malchutach

Nehve’ Tzevianach

 ‘Aikkana’ Devashmayia’ ‘Af Ba’r’a’ Hav Lan Lachma’

Desunqanan Yavmanah

Ushvuq Lan Chavbbain

 ‘Aikkana’ Da’f Chenan Shevaqen Lechayiavain Velo’ Ta’lan Lenesiun’

Ella’ Petzan Men Bisha’

 ‘Amen 



IL TESTO EBRAICO









AVINU SHEBA-SHAMAYYIM

YITKADASH SHEMAYCHA

TAVO MALKUTAYCHA

YE-ASSEH RETZONCHA

K'MO BA-SHAMAYYIM KAIN BA-ARETZ

ET LECHEM HUKAYNU TEN-LONU HA-YOM

U-SLACH LONU ET HOVOTHEYNU

KA-ASHER SOLACHNU GAM ANACHNU

L'HA-YAVAYNU

VIH-AL TIVI-AYNU LI-Y'DAY NISA-YON

KEE IM HAL-TZAYNU MIN HARAH


IL TESTO GRECO 


MATTEO




Πάτερ μῶν ἐν τοῖς οὐρανοῖς· 

ἁγιασθήτω τὸ ὄνομά σου,

ἐλθέτω βασιλεία σου

γενηθήτω τὸ θέλημά σου

ὡς ἐν οὐρανῷ καὶ π γῆς·

τὸν ἄρτον μῶν τὸν πιούσιον δὸς μῖν σήμερον·

καὶ ἄφες μῖν τὰ ὀφειλήματα μῶν

ὡς καὶ μεῖς ἀφήκαμεν τοῖς ὀφειλέταις μῶν·

καὶ μ εἰσενέγκῃς μᾶς εἰς πειρασμόν

ἀλλὰ ῥῦσαι μᾶς π τοῦ πονηροῦ




LUCA


Πάτερ, ἁγιασθήτω τὸ ὄνομά σου·

ἐλθέτω ἡ βασιλεία σου·

τὸν ἄρτον ἡμῶν τὸν ἐπιούσιον δίδου ἡμῖν τὸ καθ’ ἡμέραν·

καὶ ἄφες ἡμῖν τὰς ἁμαρτίας ἡμῶν,

καὶ γὰρ αὐτοὶ ἀφίομεν παντὶ ὀφείλοντι ἡμῖν·

καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν.


Si noti come i verbi siano espressi all’imperativo e non all’ottativo per indicare così inequivocabilmente un comando di Gesù Cristo. È lo Spirito che ci comanda di pregare così.


  • δίδου ἡμῖν: dacci: al presente, per dire non oggi ma ogni giorno di nuovo;
  • τὸν ἄρτον ἡμῶν τὸν ἐπιούσιον: l’articolo non sarebbe stato necessario ripeterlo ma serve per far comprendere che l’accento cade proprio sull’aggettivo qualificativo.

- ἐπιούσιον epiousion: il termine che ricorre in entrambe le versioni è molto ricercato. È difficile poter comprendere quale degli evangelisti abbia influenzato l’altro ed è presente anche nella Didaché.


Girolamo ha optato nella traduzione per


  • supersubstantialem, al di là, sopra la sostanza in Matteo;


  • cotidianum in Luca.


L’essenziale, il sostanziale per l’evangelista Matteo, il quotidiano per l’evangelista Luca, può significare anche il pane del domani e si ritrova nel discorso della montagna.

Nel Vangelo degli Ebrei al posto di “supersubstantiali” si trova il termine maar, di domani, quindi il pane del giorno dopo, futuro. 

Il rimando corre a Es 16, 5.29 quando il popolo nel deserto ricevette il dono della manna in doppia misura alla vigilia dello Shabbat.

Per Origene questo pane è il Verbo e la sapienza di Dio quindi la carne di Cristo. 

Successivamente i Padri della Chiesa tradussero sopra-sostanziale pensando a quel pane che nutre lo spirito e non solo a quello del corpo. Quindi a Gesù Cristo Pane eucaristico.


- καθ’ἡμέραν to kath’hemeran si ritrova At 2,46-47 e significa continua a darcelo ogni giorno di nuovo, vi si può ritrovare la prassi delle prime comunità cristiane che “spezzavano il pane”.


LA TRADUZIONE ITALIANA CORRENTE


Padre nostro che sei nei cieli

sia santificato il Tuo nome

venga il Tuo Regno

sia fatta la Tua volontà

come in cielo così in terra.

sia fatta la Tua volontà

come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

rimetti a noi i nostri debiti

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori e

non abbandonarci alla tentazione

ma liberaci dal male.





LA DIDACHÈ


Διδαχή Κυρίου διά τών δώδεκα αποστόλων τοίς έϑνεσιν


La Didaché risale alla prima metà del II secolo d. C. ed è ritenuta


il più antico unico e completo ancora esistente insieme di regole per una comunità cristiana, seguita da altri testi di quel genere nei secoli terzi e quarto.


Leggiamo che, per la prima volta vi viene usato il vocabolo εύχαριστήσατε, eucaristia, successivamente alla frazione del pane, proprio per esprimere il rendimento di grazie:


Nel giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro (14, 1).


Il Padre nostro viene trasmesso con questo testo 8,2:


Πάτερ ἡμῶν ὁ ἐν τͅ οὐρανῷ

ἁγιασθήτω τὸ ́νομά σου

ἐλθέτω ἡ βασιλεία σου

γενηθήτω τὸ θέλημά σου ὡς ἐν οὐρανͅ καὶ ἐπὶ γῆς

τὸν ́ρτον ἡμῶν τὸν ἐπιούσιον δὸς ἡμῖν σήμερον

καὶ ́φες ἡμῖν τὴν ὀφειλὴν ἡμῶν

ὡς καὶ ἡμεῖς ἀφίεμεν τοῖς ὀφειλέταις ἡμῶν

καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν

ἀλλὰ ῥῦσαι ἡμᾶς ἀπὸ τοῦ πονηροῦ

́τι σοῦ ἐστιν ἡ δύναμις καὶ ἡ δόξα εἰς τοὺς αἰῶνας



Padre nostro che sei nel cielo

sia santificato il tuo Nome,

venga il tuo Regno,

sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.

Il nostro pane,

dacci oggi

e rimetti a noi il nostro debito

come anche noi rimettiamo ai nostri debitori,

e non farci entrare nella Prova

ma liberaci dal Maligno,

perché Tua è la potenza e la gloria nei secoli.



  • debito è espresso al singolare;
  • ἀφίεμεν aphiemen invece di ἀφήκαμεν aphekamen come in Matteo e ἀφίομεν aphiomen in Luca;
  • ἡ δόξα la gloria e non il Regno nei secoli.


Nella Didaché il Padre Nostro viene collocato fra due catechesi, quella sul Battesimo (7, 1-4) e quella sull’Eucaristia (9,1-10,7).

La preghiera veniva consegnata soltanto al catecumeno già battezzato come preghiera del Signore ed apriva la strada all’accoglienza della teshuva e all’adesione alle Beatitudini.


LA TRADIZIONE CRISTIANA

Paolo ai Romani: 


Quanti sono condotti dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. Non avete infatti ricevuto di nuovo uno spirito di schiavitù che vi infonde timore, ma avete ricevuto lo spirito della filiazione, nel quale gridiamo: Abba, Padre. Lo Spirito stesso testimonia insieme con il nostro spirito - cioè conferma nella nostra propria coscienza - che siamo figli di Dio (8.14-16).


Paolo ha conservato l’aramaico, affiancato dal greco. Il livello del Sod è raggiunto perché è lo stesso Spirito che grida in noi, espresso con il forte verbo krazo.


In Giovanni 12, 28 leggiamo: 


Padre glorifica il tuo Nome


Solo nel IV secolo il Padre Nostro verrà introdotto nella preghiera eucaristica.

Tertulliano lo definisce breviarium totius evangelii, sintesi di tutto il Vangelo:


Quando poi lo chiamiamo “Padre”, noi implichiamo anche l'appellativo di Dio. Il termine “Padre” nella sua semantica indica tenerezza e autorità. Inoltre nel Padre noi invochiamo il Figlio. Dice infatti: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30). E non tralasciamo neppure la madre, cioè la Chiesa, perché nel Figlio e nel Padre è riconoscibile la madre; da lei infatti il nome del Padre e del Figlio è autorevolmente garantito.


Agostino nella Lettera a Proba afferma:


Se passi in rassegna tutte le parole delle preghiere contenute nella S. Scrittura, per quanto io penso, non ne troverai una che non sia contenuta e compendiata in questa preghiera insegnataci dal Signore.


Il Catechismo della Chiesa Cattolica unisce le due preghiere:


Se il discorso della montagna è dottrina di vita, l’Orazione domenicale è preghiera, ma nell’uno e nell’altra lo Spirito del Signore dà una nuova forma ai nostri desideri, ai moti interiori che animano la nostra vita. Gesù ci insegna la vita nuova con le sue parole e ci educa a chiederla mediante la preghiera (CCC, 2764).



LA STRUTTURA


La struttura del testo possiede una caratteristica specifica presentando forme diverse:


- l’invocazione;


- le richieste relative alla natura e all’azione dell’Altissimo nella storia, per Matteo sono tre, mentre Luca ne esplicita due;


- in conclusione il grido che afferma la miseria dell’orante: per Matteo in forma doppia, in Luca invece semplice.


MATTEO


Matteo include il Padre Nostro nel suo primo grande discorso, il “discorso della montagna” (Mt 5-7) nella parte centrale (6,1-18).  Ci troviamo quindi nel vero centro del Discorso della Montagna.

Il testo si articola in tre parti:


  • un’invocazione;
  • sette richieste;
  •   una dossologia.


Le sette richieste si distinguono per la loro tonalità:


  • Le prime tre sono relativa al Regno e quindi l’Altissimo stesso;
  • Le ultime tre concernono il perdono e la vittoria sul male.


Al centro le richieste del pane di ogni giorno perché per la mentalità, ebraica e greca, se si espongono tre richieste quella centrale è la più rilevante.

Sempre ci si rivolge dapprima lodando l’Altissimo mentre le suppliche seguono successivamente, rispettando la struttura della preghiera ebraica e quella dei primi Padri della Chiesa.

Le Diciotto Benedizioni erano pronunciate nella sinagoga al tempo di Gesù: tre di lode, le suppliche al centro, le ultime tre delle richieste.

LUCA


Luca (11,1) inserisce l’insegnamento di Gesù in un contesto diverso da quello di Matteo:


Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare»


Anche Israele si rivolgeva all’Altissimo come Padre ma i cristiani lo fanno inserire nello stesso animo e con la stessa voce del Figlio, di Gesù Cristo.


TOMMASO D’AQUINO


Tommaso d’Aquino ci ha lasciato alcune pagine penetranti:

 

Esempio di perfetta armonia, nel Padre Nostro non solo vengono domandate tutte le cose che possiamo rettamente desiderare, ma anche nell’ordine in cui devono essere desiderate: cosicché questa preghiera non solo insegna a chiedere, ma plasma anche tutti i nostri affetti


Il teologo, Dottore della Chiesa, sottolinea la presenza di 


Tre impegni


- sia santificato il tuo nome: da cui sgorga la testimonianza;

- venga il tuo regno: che esige la fedeltà;

- sia fatta la tua volontà: la cui risposta è l’amore.


cui seguono 


Tre richieste


 - dacci oggi il nostro pane quotidiano: il sostegno di Dio;

- rimetti a noi i nostri debiti: il perdono dei peccati;

- non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male la salvezza.


Tommaso afferma che la preghiera non viene conclusa da una lode o da un ringraziamento, ma resta sospesa in un intenso grido di miseria.


Passo ora a considerare ogni singola parola della preghiera del Signore:


PADRE NOSTRO


Israele pronuncia: Tu sei il nostro Padre, Abìnu attà.


Is 63, 16: 


poiché tu sei nostro padre, anche se Abramo non ci conosceva e Israele ci ignorava, Tu, o Eterno sei nostro padre, nostro redentore, da sempre questo è il tuo nome


Is 64, 7-8: 


Non c’è alcuno che invochi il tuo nome, che si scuota per afferrarsi a te, perché tu ci hai nascosto la tua faccia e ci lasci consumare in balia delle nostre iniquità. Tuttavia, o Eterno, tu sei nostro Padre, noi siamo l’argilla e tu colui che ci formi; noi tutti siamo opera delle tue mani.


Sap 14,3; 12,18


Tutto è governato, o Padre, dalla tua Provvidenza... Tu ci tratti con grande riverenza 


Ml 1,6


Se io sono il Padre, dov’è l’onore che mi spetta?”


Ml 2,10


Non abbiamo forse tutti noi un solo Padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza dei nostri padri? 


Ger 3,19


Voi mi direte: ‘Padre mio’, e non tralascerete di seguirmi 


La tradizione ebraica ripropone costantemente l’invocazione Abìnu attà


5 - 6 benedizione


Facci tornare, Padre nostro, alla tua Torah... Perdonaci, Padre nostro…


Ahavah rabbah



la seconda benedizione che precede la recita dello Shemà ed è antecedente a Cristo

 

Per i nostri padri che hanno avuto fede in te e ai quali hai insegnato la legge della vita, abbi pietà di noi e insegnaci. Padre nostro! Padre di misericordia, il Misericordioso! Abbi pietà di noi! Nostro Padre! nostro Re!

Tu ci hai amati con amore

eterno, con una grande pietà hai avuto pietà di noi a motivo dei

nostri padri che hanno avuto fiducia in te e che tu hai istruito

con i precetti della vita, così facci grazia. Padre nostro, padre

misericordioso facci misericordia e donaci di custodire, di mettere

in pratica, di studiare, di insegnare tutte le parole della tua

Torah con amore.


R. Eleazar di Modiim (ca. 90 d.C.) insegna:


Chi ha pane nel suo cesto e dice: ‘Che cosa mangerò domani?’, appartiene agli uomini di poca fede (b.Sotah 48b).



La tradizione cristiana


La preghiera è sempre formulata al plurale nelle Diciotto Benedizioni e nella preghiera cristiana perché tutti insieme si rivolgono allo stesso Padre.

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In Matteo 5, 48 troviamo:


Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste 


In Luca 11,2 


Abba, Padre 


L’invocazione di Luca è la più antica espressione aramaica che i cristiani abbiano trasmesso alle comunità cristiane di lingua greca.


Lc 6,36


Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro


Lc 11, 13.


Se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono.


Paolo per due volte riprende quest’invocazione:


Rm 8,15


Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi e di paura, ma avete ricevuto lo Spirito dei figli adottivi che ci fa esclamare ‘Abbà, Padre’.


GaI 4, 6-7


E la dimostrazione che siete figli, è che Dio ha inviato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abba, Padre. Così non siete più schiavi, ma figli. 


Nel I secolo della vita della Chiesa nella Litania recitata all’inizio di un Nuovo Anno, siamo nel I secolo d. C., un’invocazione recita:


Non abbiamo altro Re che te, nostro Padre, nostro Re, per te stesso, abbi pietà di noi


Cipriano afferma del Padre Nostro:


È una preghiera amica e familiare quella con la quale preghiamo Dio usando le sue stesse parole.


Agostino riflette su come pregare: 


Se vogliamo pregare in modo retto e conveniente, qualunque sia la parola che usiamo, dobbiamo chiedere solo ciò che è contenuto nella Preghiera del Signore.


 Lungi dalla preghiera le molte parole. Non manchi però il molto supplicare finché dura il fervore.


CHE SEI NEI CIELI


Salmo 123,1


A te levo i miei occhi, a te che abiti nei cieli.


Salmo 19,2


I cieli narrano la gloria di Dio.


Nel Qaddish si recita: 


Colui che crea la pace nel suo alto cielo, crei pace per noi e per tutto Israele. E di’: Amen!


Che le preghiere e le suppliche di tutto Israele siano accolte dal loro Padre che è nei cieli 


Ricordiamo che Aristotele afferma che, per la loro incorruttibilità, tutti i popoli ritennero che i cieli fossero la sede degli esseri spirituali.

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La tradizione cristiana


Tertulliano



Inizia con il riconoscimento della paternità di Dio (“Padre nostro”) e con un atto di fede (“che sei nei cieli”).


I “cieli” hypertheos, come si esprime Dionigi Areopagita, rappresentano l’inaccessibilità di Dio.



SIA SANTIFICATO IL TUO NOME




Immagine: San Gimignano - Lippo Memmi - Preghiera del Getsemani
Gesù che prega il Padre ci insegna a santificare il Suo Nome



Ezechiele 36,23


il mio Nome grande ! 


Ezechiele 36,22-29 


Così dice Dio, mio Signore: non è per voi che agisco, o casa d’Israele, per il mio santo nome, che avete profanato fra le genti dove andaste. Mostrerò santo il mio grande nome profanato tra le genti, nome che profanaste in mezzo a loro. Le genti riconosceranno che io sono il Signore, quando mi si riconoscerà santo per mezzo vostro, al loro cospetto, e vi prenderò di tra le genti, vi radunerò da tutte le parti del mondo e vi condurrò al vostro paese... Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno Spirito nuovo.


Levitico 22,31-32. 


Osserverete dunque i miei comandi e li metterete in pratica. Io sono il Signore. 

Non profanerete il mio santo nome, perché io mi manifesti santo in mezzo agli Israeliti. Io sono il Signore che vi santifico, che vi ho fatto uscire dal paese d'Egitto per essere vostro Dio. Io sono il Signore.


Salmo 8


O Signore, Signore nostro, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: al di sopra dei cieli è la tua magnificenza


Salmo 110,9


Santo e terribile è il suo Nome 


La vera santificazione del Nome è il dono della vita e santificare il Nome è accettare la separazione, essere santi 


Sia santificato il tuo Nome

perché santo è il suo Nome


Come nel primo salmo dell’Hallel viene ripetuto per tre volte: 


Salmo 113, 1-3


Benedetto il Nome del Signore


Salmo 103


Voglio chiamarlo con il suo Nome il Dio santo, com’è vero che vivo


Daniele 2, 20


Daniele prese a dire: “Sia benedetto il nome di Dio, d’eternità in eternità! poiché a lui appartengono la sapienza e la forza”.


Shemoneh-esre


Santo sei tu e terribile è il tuo Nome 


3 benedizione 


Tu sei Santo e il tuo Nome è santo, e i santi ogni giorno ti loderanno. Benedetto sei tu, Signore, il Dio Santo! Noi santificheremo il tuo Nome nel mondo, come lo si santifica nelle altezze celesti 


Qaddish


Sia magnificato e santificato il suo Nome grande nel mondo che egli ha creato secondo la sua volontà 


Il Kiddush haShem, la santificazione del Nome, è il perno della nostra vita quotidiana, deve scaturire dal lev, dal cuore, e custodisce dal Hillul haShem, dalla profanazione del Nome.


Nella tradizione cristiana risuona la riflessione orante di Agostino:


Quando diciamo: “Sia santificato il tuo nome”, eccitiamo noi stessi a desiderare che il nome di lui, ch’è sempre santo, sia considerato santo anche presso gli uomini, cioè non sia disprezzato, cosa questa che non giova a Dio ma agli uomini˙.


Ogniqualvolta chiediamo qualche cosa, dobbiamo prima cercare di guadagnare la benevolenza di colui al quale ci rivolgiamo. Poi gli si presenta l’oggetto della propria richiesta. Ora, la benevolenza di qualcuno si ottiene lodandolo, e questa lode si pone normalmente all’inizio della supplica. Perciò il Signore ci prescrive di dire semplicemente: Padre nostro che sei nei cieli 


L’Altissimo quando nel roveto ardente rivela a Mosè il suo Nome, in realtà non intende manifestargli la sua identità quanto il suo modo di operare nella storia. 

Anche Padre si muove in questa stessa linea, quella dell’agire di JHWH nelle vicende del popolo d’Israele e della singola persona.

Se il Padre ha donato la vita, egli la custodisce per sempre. Nella cultura semita il figlio porta il nome del Padre che così trasmette la vita costantemente.

Sia santificato il tuo Nome: di quel Dio che conosciamo come Padre, così come Egli entra nella vita del popolo e del singolo. Esige però una risposta che deve provenire dal popolo e dai singoli, per questo viene detto: Venga il tuo regno.


In Giovanni 17.11 ritroviamo l’invocazione


 Padre santo


Santifichiamo il Suo Nome quando realmente il Nome stesso può entrare dentro il nostro cuore, nel nostro agire quotidiano perché Egli, il Nome stesso, ci santifica e ed è santificato nella nostra storia.


La preghiera sacerdotale Giovanni recita:


Padre, glorifica il tuo Nome 


Padre, glorifica il Figlio tuo affinché il Figlio glorifichi te.


Perché nel Nome del Padre si radica quello del Figlio. 


Quanto alla preghiera che rivolgiamo dicendo “sia santificato il tuo nome”, essa tende a che il nome di Dio sia. santificato in noi ed in tutti coloro che sono lontani dalla grazia di Dio. In tal modo non solo preghiamo per noi ma anche, secondo il precetto evangelico, per tutto .il nostro prossimo ed anche per i nostri nemici.


Per Origene, commentando Mt 14, 7, affermava che  Gesù Cristo è


il Regno in persona, autobasileia


VENGA IL TUO REGNO




Immagine: Arco Trionfale in Santa Prassede Roma

L'iconografia dell'arco trionfale fa riferimento al capitolo 21 del libro dell'Apocalisse. Al centro dell'arco, all'interno di una cittadella stilizzata (che rappresenta la Gerusalemme Celeste), sono raffigurati 21 personaggi. Al centro c'è Cristo con tunica rossa, affiancato da due angeli; al di sotto di questi, a sinistra le figure di Maria e Giovanni Battista, a destra santa Prassede. Seguono i dodici apostoli, sei per lato. Alle estremità si trovano: a sinistra Mosè che tiene in mano una tavola con la scritta Lege (legge); a destra il profeta Elia che tende le braccia verso Cristo. Vicino ad Elia, vi è la raffigurazione di un angelo, con in mano un libro, presumibilmente simbolo del Nuovo Testamento - in contrapposizione con la "Legge" veterotestamentaria di Mosè - e una canna. La cittadella ha due porte aperte, a destra e a sinistra, entrambe custodite da un angelo.



Qaddish


Egli stabilisca il suo regno nella vostra vita e nei vostri giorni, e nella vita di tutta la stirpe d’Israele, ora e sempre


Sia santificato il suo nome... Venga il suo Regno durante la nostra vita. 


3 benedizione di Shabbat


Dalla tua Dimora, Padre nostro, risplendi e regna su di noi, perché noi attendiamo che tu regni in Sion


Assunzione di Mosè: 10,1


Allora il tuo regno si manifesterà ad ogni creatura 


11 benedizione


Ristabilisci i nostri Giudici... e regna su di noi, Tu solo Signore, con amore e misericordia... Benedetto sei tu Signore, Re, che ami la giustizia e il diritto.


R. Eliezer insegna:


Fa’ la tua volontà, in cielo, in alto, e dona un coraggio tranquillo a coloro che ti temono sulla terra 


La preghiera del mattino


Tale possa essere la tua Volontà, Signore... guidare i nostri passi nella Torah e farci aderire ai tuoi comandamenti



La tradizione cristiana 


Marco 1,14


 Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo. 


Quando diciamo: “Venga il tuo regno”, il quale, volere o no, verrà senz’altro, noi eccitiamo il nostro desiderio verso quel regno, affinché venga per noi e meritiamo di regnare in esso.



Poiché il regno di Dio e la Sua volontà coincidono e di ambedue noi chiediamo l’avvento e la realizzazione, è ovvio che questa petizione noi la rivolgiamo affinché possiamo sfuggire quanto prima alla schiavitù della vita terrena.


Siamo soliti affermare: il Regno è vicino, il Regno verrà. Il Regno è presente, il Regno seguirà la parusia del Figlio dell’Uomo.

Come uscire da queste contraddizioni? È un’aporia insolubile oppure si può trovare il modo di esplicarla e darvi un senso profondo?

F. Manns offre una soluzione che, oltre ad essere credibile, è radicata nella Torah e nella tradizione d’Israele:


Nella preghiera Egli chiede al Padre la venuta del Regno, in altre dichiarazioni questa venuta segue la Parusia del Figlio dell’uomo (Mt 16,28), o sarà durante la sua generazione (Mt 9,1). [….]. Invece di cercare una contraddizione tra queste due affermazioni, possiamo discernere due momenti del “già lì” e del “non ancora tutto” che caratterizzava la teologia della festa di Sukkot. La distruzione di Gerico simboleggiava la distruzione del male e doveva essere ripetuta ogni anno durante la liturgia di Sukkot che imitava la presa della città. I pellegrini giravano attorno all’altare con le palme in mano, come durante la presa di Gerico. Non c’è più contraddizione che tra l’inizio di un’azione e la sua realizzazione finale. Una contraddizione apparente trova spesso una soluzione nel contesto biblico generale. Ricorrere a fonti diverse per spiegarla non è una soluzione perché la Bibbia non si basa sulla logica cartesiana .


Lo sguardo non si ferma al presente, si slancia oltre:


La santificazione del Nome e la venuta del Regno fanno parte della preghiera di Gesù; non è un semplice caso che Gesù abbia introdotto il suo insegnamento nel culto sinagogale, che apre le porte verso il futuro: è l’ambiente più adatto per l’annuncio della sua parola perché questo culto risveglia la speranza d’Israele.




SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ.




immagine: l'annunciazione di Lorenzo Lotto

In questo che è il suo quadro più famoso, Lorenzo Lotto da corpo fisico alla volontà del Padre. Dipinto nel quadro come nell'atto di tuffarsi nella storia della Vergine. Lei che disse Fiat voluntas tua prima ancora che nel Padre Nostro


Qohelet 5,1 

Dio è in cielo e tu sei sulla terra 


1Maccabei 3,60

Avverrà quel che in cielo si vuole 


Rabbi Eliezer

Fa' la tua volontà, in cielo, in alto, e dona un coraggio tranquillo a coloro che ti temono sulla terra 


Preghiera


Che la tua volontà faccia dimorare tra noi la Tua Divina Presenza e stenda su di noi la protezione (sukkah) della Tua Pace, poiché osserviamo il comandamento della capanna (sukkah).


La preghiera del mattino

Tale possa essere la tua Volontà, Signore... guidare i nostri passi nella Torah e farci aderire ai tuoi comandamenti


La tradizione cristiana


Il verbo è tradotto scorrettamente non fare, quale l’agire delle persone, ma compiere. Il soggetto però è sempre JHWH:


Quando diciamo: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”, noi gli domandiamo l’obbedienza, per adempiere la sua volontà, a quel modo che è adempiuta dai suoi angeli nel cielo


ogni volta che diciamo “sia fatta la Tua volontà” affermiamo che tale volontà non è mai un male per noi e ciò anche quando Egli ci tratta con severità per i nostri peccati. E ancora: con queste parole noi ci incoraggiamo ad affrontare le sofferenze.



DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO



Immagine: il mosaico di Tabga
Tabga, sulla riva del mare di Galilea, un mosaico medievale raffigura la cesta dei pani e dei pesci che Gesù, commosso, chiese al Padre per la folla che lo seguiva


Pr 30,8


Non darmi né povertà né ricchezza, ma fammi avere il cibo necessario.


2 benedizione 


Tu nutri ogni vivente per amore, per la tua grande misericordia risusciti i morti, sostieni coloro che cadono, guarisci i malati e liberi i prigionieri. Chi è come te, Maestro delle potenze?


9 benedizione 


Benedici per noi, Signore Dio nostro, questo anno e tutti i suoi raccolti, per il bene. Saziaci della tua bontà.


Birkat ha-Shenim


Benedici per noi questo pane, JHWH nostro Dio 


R. Eliezer


Dio sia benedetto ogni giorno, per il pane quotidiano che ci dona 


La tradizione cristiana 



Occorre, tuttavia, che a queste parole diamo in primo luogo una portata spirituale. Quando chiediamo al Padre di darci il nostro pane quotidiano, in realtà invochiamo Cristo che, essendo la nostra vita, è il nostro pane. Del resto lo stesso Gesù lo aveva detto esplicitamente: “Io sono il pane della vita” (Gv 6, 35).



Quando diciamo: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, con la parola oggi intendiamo “nel tempo presente”, in cui o chiediamo tutte le cose che ci bastano indicandole tutte col termine “pane” che fra esse è la cosa più importante, oppure chiediamo il sacramento dei fedeli che ci è necessario in questa vita per conseguire la felicità non già di questo mondo, bensì quella eterna.



Cipriano De oratione dominica


Ma ci sono anche altre due specie di pane: quello sacramentale e il pane della Parola di Dio.


Cesario di Arles, VI sec

    

Il povero ti chiede un pezzo di pane, e tu chiedi a Dio la vita eterna. Da’ al povero, per diventare degno di partecipare a Cristo. Ascolta come dice: Da’ e ti sarà dato (Lc 6.38). lo non riesco a capire come puoi pretendere di ricevere ciò che rifiuti di dare.


RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI





Immagine 1: Lorenzo Lotto L'adultera del Louvre


Immagine 2: Il pittore medievale-bizantino di Sant'Angelo in Formis
in entrambe le rappresentazioni dal gruppo degli anziani si punta il dito contro la donna. Gesù con un gesto della mano ferma le accuse e perdona l'adultera


Sir 28,2


Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati 


 6 benedizione


Perdonaci, Padre nostro, perché abbiamo peccato; facci grazie, nostro Re, perché abbiamo fallito, perché tu sei colui che rendi grazie e perdoni. Benedetto sei tu, Signore, che rendi grazia e moltiplichi il perdono


Abînu Mal-kènu


Padre nostro, nostro re, perdona e rimetti tutte le nostre colpe, allontana e cancella i nostri peccati davanti ai tuoi occhi 


Selishah 21


Perdonaci, nostro padre, perché abbiamo peccato contro di te. Cancella i nostri peccati davanti ai tuoi occhi, perché sei buono e perdoni 


Liturgia di Yom Kippour


Perdona i nostri peccati come noi li perdoniamo a tutti coloro che ci hanno fatto soffrire



La tradizione cristiana 


Il Signore sa di essere l’unico i senza peccati e per questo ci insegna a dire: rimetti i nostri debiti. Con la confessione dei peccati, noi chiediamo a Dio il perdono: infatti sollecitare il perdono è manifestare il proprio peccato. Questa è la prova di quanto Dio gradisca la penitenza più della morte del peccatore.



Quando diciamo: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”, richiamiamo alla nostra attenzione che dobbiamo chiedere e fare per meritare di ricevere questa grazia.




E NON ABBANDONARCI ALLA TENTAZIONE



Immagine: Tentazione di san Benedetto 

Nell'abbazia di Monte Oliveto il Sodoma e Luca Signorelli dipingono in tanti riquadri nel grande chiostro tutta la vita di San Benedetto. In questo affresco il Sodoma tratta della tentazione di Benedetto. Il Signore manda un angelo a scacciare la tentazione. La tentazione ha una forma molto concreta...


Immagine, dettaglio: Tentazione di san Benedetto 


Preghiera del mattino


Non ci abbandonare nel potere del peccato, della trasgressione, dell’errore, della tentazione né della vergogna. Non lasciar prevalere in noi l’inclinazione al male.


La tradizione cristiana 



In conclusione della preghiera, noi invochiamo il Padre non solo di rimettere i nostri peccati, ma di allontanarci da essi: di non permettere cioè di essere sedotti dalla tentazione. Con questo però non dobbiamo credere che Dio ci tenti non considerando così la nostra debolezza ovvero per distruggere la nostra poca fede. Questa malizia è propria soltanto di Satana.



Quando diciamo: “Non c’indurre in tentazione”, ci eccitiamo a chiedere che, abbandonati dal suo aiuto, non veniamo ingannati e non acconsentiamo ad alcuna tentazione né vi cediamo accasciati dal dolore.




MA LIBERACI DAL MALE



immagine: Duomo di Orvieto. Facciata. Il Signore raccomanda ad Adamo ed Eva di non mangiare del frutto dell'albero del bene e del male


7 benedizione


Guarda la nostra miseria e guida la nostra lotta. Liberaci sena tardare per il tuo Nome, perché tu sei il Liberatore potente. Benedetto sei tu, Signore, Liberatore d’Israele.


Ghe’ullah: n.22


Guarda la nostra afflizione e sostieni la nostra causa e liberaci per il tuo Nome 



Berakhoth 


Salvaci dagli impudenti e dall’impudenza, dall’uomo malvagio, dal cattivo incontro, dalla forza cattiva, dal cattivo compagno, dal cattivo vicino, da Satana il corruttore, dal tuo giudizio rigoroso, da un cattivo avversario in tribunale


La tradizione cristiana 



In una preghiera così breve sono racchiusi i profeti, gli evangelisti, gli apostoli; sono riassunti i discorsi del Signore, le parabole, gli esempi, i precetti; sono espressi tutti i doveri. Omaggio alla paternità di Dio, testimonianza di fede in Lui, sottomissione alla Sua volontà, speranza nella venuta del Suo regno, richiesta della vita nel pane, riconoscimento dei nostri peccati, vigilanza nella tentazione, richiesta di protezione. Non ci si deve stupire della completezza del Padre Nostro: solo Dio infatti poteva insegnarci come voleva essere pregato! È proprio Dio che dà forza alla preghiera, le conferisce il potere di trasportarci in cielo e di toccare il suo cuore. Dio provvede tuttavia anche alle necessità umane.


La conclusione della preghiera del Padre Nostro con questa accorata richiesta riporta il pensiero orante al nostro limite esistenziale: ancora non siamo giunti al momento in cui nessun male potrà colpirci. Con la certezza che Colui che ci accompagna nel nostro cammino terreno, ci custodisce sempre e ci libera.


IL PADRE NOSTRO E LE BEATITUDINI


Il Padre Nostro ha la stessa struttura delle Beatitudini: otto Beatitudini perché otto indica il numero della risurrezione mentre le parole sono 72 come erano ritenute allora le nazioni.

La struttura si articola in quattro battute:


L’invocazione a Dio;

  • Tre riferimenti: il Nome, il Regno, la Volontà;
  • I bisogni comunità: il pane, i debiti, la prova;

Liberaci dal maligno.


  • Per tre volte viene pronunciato Abbà che santifica cioè separa, consacra. 

Le prime generazioni dei credenti, dei cristiani, per questo si autodefinivano santi: tolti dal male, operavano il bene. L’Altissimo li separa, li santifica, togliendoli dal male.


Marco 16,17


Nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati, e questi guariranno.


LA MENÔRĀH E IL PADRE NOSTRO


Il numero sette ritorna e ritorna nei commenti biblici: fin da Bereshit e l’opera creatrice di JHWH.

Anche la menôrāh che risale all’esperienza del deserto del popolo di Israele ha sette bracci come si legge in Es 25, 31-33:


Farai un candelabro d’oro puro: farai d’oro massiccio il candelabro con il suo tronco e i suoi rami; avrà i suoi calici, le sue corolle e i suoi fiori. Sei rami usciranno dai suoi lati: tre rami del candelabro da un lato e tre rami del candelabro dal secondo lato. Tre calici in forma di mandorlo su un ramo, con corolla e fiore, e tre calici in forma di mandorlo sull’altro ramo, con corolla e fiore. Così per i sei rami che escono dal candelabro.


Che cosa però significa?


La menôrāh come simbolo della presenza di JHWH appartiene alle metafore vegetali della divinità. È la menôrāh di Mosè che si profila nel “grande spettacolo” di un roveto che brucia e non si consuma, Es 3,3- Gli elementi della composizione sono infatti gli stessi, ignei e vegetali. JHWH sarà poi identificato come “Colui che abitava nel roveto” (Dt 33,16). 


È quindi simbolo della luce che si irradia nel tempo e nella storia dell’umanità in relazione con l’Altissimo.

Vi è inscritta la settimana: il braccio centrale rappresenta il Shabbat mentre gli altri due vi sono inclinati.

Se si osserva il nome della città santa Gerusalemme scritto in ebraico יְרוּשָׁלַיִם si noterà come contenga sette lettere, esattamente come i bracci della menôrāh.

Si cammina nella Luce di JHWH quando si cammina nella luce della ‘emunah, della fede, e della tephilla, della preghiera. La menôrāh quindi scomparsa con la distruzione del Tempio di Jerushalaim continua a risplendere in Israele.

Dire Presenza dell’Altissimo alla storia e nella storia significa dire menôrāh, offerta a chiunque desideri porsi in ascolto di JHWH che si rivela.


La tradizione rabbinica insegna che il volto della persona ha sette aperture, proprio come i sette bracci della menôrāh, egli/ella è una menôrāh vivente che arde se il suo lev/levav arde ricevendo la Luce ed è spenta invece quando non l’accoglie e si lascia intristire dalle tenebre.


Nella Regola carmelitana si intravvede inscritta la menôrāh e si apre così il cammino della Salita del Monte Carmelo con il volto illuminato dalla Presenza.

Nel Tempio della Gerusalemme celeste è presente la menôrāh in Apocalisse 4,5:



Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio.


Propongo, avendo riflettuto sul Padre Nostro l’intuizione di Gian Antonio Borgonovo:






La struttura del Padre nostro… è costruita su una particolare simmetria, attestata anche nel Salmo 67 e studiata dall’eminente biblista israeliano della Bibbia Ebraica (Tanak), Amos Hakham (1921-2012). Si osservi la figura qui riportata. La menôrāh a sette bracci, posta come sfondo del testo per non perdere il riferimento illustrativo, è il rimando simbolico che spiega la struttura del testo: sul basamento sta l’invocazione di apertura: «Padre nostro che sei nei cieli». Da qui parte, scritta in verticale, la richiesta fondamentale: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». (Sarebbe stato interessante che si ritornasse al significato proprio del greco epiousion «supersustanziale», vale a dire «il pane che viene dal cielo»; traduzione questa preferita e sostenuta dallo stesso san Gerolamo). I tre bracci di sinistra portano le tre domande della prima parte, partendo dall’alto: «sia santificato il tuo Nome»; «venga il tuo regno»; «sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra». I tre bracci di destra, in simmetria partendo dal basso, portano le tre domande della seconda parte: «rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori»; «e non ci indurre in tentazione»; «ma liberaci dal Male (o dal Maligno)».

Da questa struttura, si deduce che la domanda «venga il tuo regno» è in simmetria con la domanda «e non ci indurre in tentazione», e quindi le due frasi s’illuminano a vicenda. Ebbene, nella retroversione ebraica/aramaica c’è il medesimo verbo (bô’), utilizzato però in due coniugazioni differenti, e quindi con due significati diversi: nella prima, significa «entrare, accadere, avvenire»; nella seconda, invece, «far entrare» appunto «indurre» (valore causativo) o anche «permettere di entrare, lasciar entrare» (valore permissivo). Sì, perché la medesima coniugazione verbale semitica corrisponde ai due valori: il causativo e il permissivo. È il contesto a far capire quale dei due sia più appropriato.


IL GRIDO DELL’ORANTE



Ogni orante quando recita il Padre nostro diventa una menôrāh ardente, una luce di presenza dell’Altissimo.

Il Padre nostro raccoglie la pienezza ricca e vivida della Liturgia della Chiesa e si dimostra come un symbolon, una sorta di Credo di tutta la via che i cristiani desiderano percorrere.

L’intervento dell’Altissimo è sempre dettato dalla gratuità, non dall’attesa della reciprocità; nella dinamica del dono d’amore che discende dall’Altissimo a noi, si inserisce la nostra risposta che, quale moto di gratitudine sale verso di Lui in senso verticale ma deve anche individuare e percorrere la direzione orizzontale, quella rivolta verso gli altri.

Le due versioni differenti che il Vangelo ci dona, sia in Matteo sia in Luca, si uniscono nella conclusione espressa nel grido dell’orante che riconosce la propria miseria: battito di lode, lamento o supplica e ringraziamento che scaturisce dall’abitare nella berit dell’Altissimo che si è rivelato, il Vivente.





GLOSSARIO


Berakhot: benedizioni, ma è anche il titolo del primo trattato Berakhot della Mishnah e del Talmud, appartenente al primo Ordine: Zera’im, sementi. 

Berith: patto, alleanza.

 Harizah: collana, è una tecnica midrashica rabbinica, un’argomentazione a base di luoghi biblici, che raccoglie una serie di testi, l’uno seguente all’altro, espressi con un’immagine accattivante: proprio come il susseguirsi delle perle di una collana. 

Midrash: ricerca, indica la ricerca dei sensi della Torah; concerne le norme da seguire nella prassi della vita religiosa e giuridica, cioè la halakháh. Gli elementi narrativi integranti i racconti biblici, gli insegnamenti su Dio, sull’uomo, sul mondo, gli elementi folkloristici (proverbi, favole, tradizioni popolari) costituiscono invece la haggadáh: meditazione ed espressione libera del pensiero ebraico in campo spirituale. 

Miqra: lettura del sefer, il rotolo della Scrittura. 

Mishnah: ripetizione, studio, insegnamento, cioè la raccolta della dottrina tradizionale confluita nell’opera omonima di R. Jehuda ha-Nasi (135-217), che volle mettere al sicuro il patrimonio delle tradizioni ebraiche dando vita a un testo autorevole: la Mishnah, appunto, cioè il codice della Legge orale. Il commento alla Mishnah, detto Ghemara, costituisce il Talmud. Esso viene redatta in ebraico, puro e scorrevole, e si divide in 6 Sedarim (Ordini), a loro volta suddivisi in 63 Massekhot (Trattati). 

Shekhinà: presenza, il manifestarsi di Dio sulla scena del mondo, sebbene egli abbia sede nel cielo più lontano. 

Shema’ Israel: Ascolta, Israele, letture di tre passi della Torah (Dt 6,4-9; Dt 11,13-21; Nm 15,37-41. 

TaNaKh: acronimo per designare la Bibbia; le iniziali indicano: Ta, la Torah; Ne, i Nevi’im cioè i Profeti anteriori, i libri storici o più esattamente quelli della storia deuteronomistica, e posteriori, cioè i profeti scrittori, con l’esclusione di Daniele; Kh i Ketuvim, cioè gli Scritti o Sapienziali. 

Targum: traduzione, il termine designa una versione aramaica della Miqra. 

Tiqqun: il tutto originario ristabilito dalla redenzione. 








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