sabato 2 gennaio 2021

L'acqua - un tema della letteratura italiana. Appunti su Riccardo Bacchelli e Paolo Malaguti


 

Non è facile e non è mia intenzione fare un paragone filologico tra i due romanzi italiani, quello di Riccardo Bacchelli, Il  Mulino del Po', la cui storia si svolge tra la fine del periodo napoleonico (ritirata dalla Russia) (1812) e la prima guerra mondiale (1918) (pubblicazione unitaria del 1957) e quello di Paolo Malaguti, Se l'acqua ride, con delle annotazioni dal giungo del 1965 al giugno del 1967 (Torino 2020). Vorrei solo fare alcuni appunti su tre temi, in cui ho visto similitudini e differenze tra questi due romanzi. 

Il primo tema è quello dell'acqua:  che si tratti del mulino galleggiante sul Po' san Michele o del burcio Teresina, l'acqua del Po', in modo particolare nel suo delta gigantesco, richiede un lavoro stancante, affascinante e pericoloso. Nel romanzo di Malaguti l'espressione l'acqua ride viene usata almeno due volte. La prima in un avvertimento del nonno Caronte al nipote Ganbeto:  "Niente ciacole! Ganbeto, boia ladro, cori a prua, e sta' tento se l'acqua ride" (ibidem, 26). il ridere dell'acqua in questa espressione segnala un pericolo. La seconda volta, invece, essa si trova, in una polarità tra il ridere e il ringhiare dell'acqua: "Forse sta lí il segreto: è vero che tutto cambia , come l'acqua dei fiumi, che un giorno ride chiara e trasparente, l'altro ringhia nera e vorticosa. Ma è anche vero che le cose , per altra via, resistono e sono dure a morire, di nuovo come l'acqua, che resta sempre lei, e fa sempre lo stesso giro"  (ibidem, 179). Bacchelli si muove anche in questa polarità, tra un'acqua pericolosa per cui Lazaro Scacerni rompe la sua gamba e il continuo fascino dell'acqua che accompagna la vita della Dosolina, di Lazzaro e di Cecilia e i suoi figli. Per ritornare al Malaguti: quando Ganbeto dovrà lasciare la Teresina per la testardaggine del nonno e lavorerà in una fabbrica, il fascino del Po' e della sua libertà non smette. Quest'ultima polarità tra il lavoro sull'acqua e quello in fabbrica percorre tutto il romanzo di Malaguti; non vi è nessun romanticismo nostalgico in esso: "I cambiamenti bisogna seguirli. Non solo seguirli, bisogna dominarli, possederli. Altrimenti anche tu vieni macinato via, assieme alle cose vecchie e ai quattro coglioni che si ostinano a difenderle" (Ibidem, 166). 

Il secondo tema è quello dell'amore erotico (Malaguti) e sponsale (Bacchelli). Nel Mulino del Po' si trova un espressione di amore sponsale che mi ha molto impressionante, in riferimento all'amore della Dosolina con suo marito Lazzaro: "Specialmente adesso che aveva moglie , e che la passione prendeva forza e fuoco nella consumazione del matrimonio. Tutto la alimentava ed infuocava, il lume dolce degli occhi e delle chiome, le carni gentili, i bei modi, e il ricordo della prima notte, quando la spaurita e dolorosa timidezza della giovinetta l'aveva fermato sulla soglia della camera nuziale, smarrito, pauroso stranamente di farle del male, disperando di trovare parole per incuorarla, e quasi vergognoso di sé, forte e grande, e delle mani robuste, fra le quali soleva poi dirle, aveva sentito palpitarle il cuore d'un uccellino. E se quel pudore gli era piaciuto, tanto da fargli scoprire un che di nuovo e di migliore, in sé, e nella vita, e nell'idea che aveva creduto di essersi fatta fin allora delle donne, anche gli piaceva, e perdutamente, la confidenza affettuosa e carnale che veniva ora a a grado a grado sciogliendolo, quel ritegno, al lievito caldo delle sue carezze, mentre ella maturava all'amore e lo imparava. E anche li univa, per dir tutto, la disparità fuor di misura delle corporature, lei così minuta, e lui così grande, come che la natura abbia messo un'attrazione particolare fra tali disparati fisici" (Il Mulino del Po', Milano 1957, 2015, 138). Il rapporto tra l'apprendista Ganbeto e Maria (la futura sposa) in Malaguti è appena schizzato (qualche bacio), ma il merito suo è un altro, e cioè nel tema dei rapporti erotici di Ganbeto prima del matrimonio (Lucia, che poi se ne va a Torino; Nives) e delle fantasie erotiche. La cultura cattolica di quel tempo sul tema si concentra solo sul tema del peccato e le fantasie polimorfe di un giovane o di una giovane vengono viste solo come peccato. Malaguti non con una teoria, ma con una storia fa vedere che questa riduzione non regge il confronto con i bisogni  espressi nell'esperienza erotica. Ovviamente possiamo lamentare nella nostra epoca trasparente, che comincia proprio in quegli anni del romanzo con l'arrivo della televisione e che si è rafforzata ora nel mondo digitale odierno, un mancato senso di pudore e sponsale dell'amore, come ha saputo esprimere Bacchelli. E tante nostre fragilità hanno a che fare certamente con la dimensione trasparente- pornografica dell'amore erotico,  che  negli anni sessanta faceva i suoi primi passi "digitali". Allo stesso tempo, però, credo che la cultura cattolica non abbia allora considerato seriamente, pagandone poi uno scotto violento (la crisi della pedofilia), quella che chiamerei la dimensione polimorfica e "naturale" (nel senso debole del termine, ma pur esistente e richiedente il suo tributo) del sesso e delle sue fantasie (che non è pornografia, ma bisogno), per cui fantasie erotiche sono un modo per vivere la presenza di una sessualità che a volte non riesce ad esprimersi completamente neppure nella sua dimensione sponsale e che hanno poco a che fare con quell'adulterio nel cuore di cui parlava Gesù. 

Il terzo tema è quello della Chiesa. Il modo di descrivere la salita al pontificato di Pio IX e le critiche che gli sono state fatte e la presa di distanze da esse da parte della cultura mugnaia di Lazzaro sarebbe di per sé tema di un altro articolo; questo racconto preciso del rapporto tra la cultura dei mugnai e il rispetto che avevano per "Pietro" (il Papa), come esempio, mancano, pur tenendo conto del mutatis mutandis, in Malaguti. La cultura cattolica è piuttosto vista solo come cultura del peccato o formale, ma allo stesso tempo va detto, che verso la fine del romanzo, quando Maria e Ganbeto sono insieme dal Santo di Padova, anche se la liturgia non interessa per nulla il giovane, e proprio in quel santuario che Ganbeto rivisita l'esperienza drammatica della grande alluvione del 1967, in cui Caronte perderà la vita, per aver sfidato incautamente l'acqua o per la sua incapacità di vivere i cambiamenti. La cultura di Ganbeto è quella della Vespa, che si mette a posto nel suo tempo libero, ma in primo luogo quella del fascino per l'acqua che è esperienza, mentre la liturgia è formalità - non perché essa lo sia per sé, ma perché forse così è stata vissuta per troppo tempo. 

Come anche negli altri suoi romanzi Malaguti integra in modo molto convincente il dialetto veneto nel suo racconto ed anche il linguaggio tecnico dei bancari di fiume; un glossario minimo ci aiuta nella lettura (ibidem, 181-183).

PS Quanto Papa Francesco, nel suo Angelus odierno (3.1.21) ha detto e cioè che Dio ci ama proprio nelle nostre fragilità e nelle cose in cui ci vergogniamo, tocca certamente anche la sfera erotica di cui ho parlato in questo articolo. Non era mia intenzione né negare che il peccato abbia a che fare anche con questa dimensione né negare che abbiamo in questo ambito fragilità e cose di cui vergognarci, volevo solo fare una proposta di superamento di certe fissazioni in modo che la "purezza" non sia in contrasto con quella "confidenza affettuosa e carnale" di cui parla Bacchelli a livello sponsale e che Malaguti esprime nelle forme di fantasia erotica adolescenziali (e forse nella nostra società siamo quasi tutti fermi a questo stadio della nostra evoluzione personale). Dio ci ama dice il Papa, con grande tenerezza - rendiamoci conto di ciò. Impariamo a fare un discernimento, anche (!) della dimensione erotica, serio, ma a partire da una tenerezza di cui abbiamo profondamente bisogno. 

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