Ci sono certo alcuni richiami "religiosi" nel grande scrittore siciliano, che nel 1960 scriveva, nell'ambito letterario, un primo racconto non apologetico sulla Mafia, Il giorno della civetta, ma quello che mi ha sempre colpito in lui, è la sua umanità, espressa nella frase che ho messo come titolo a questo post: "Abolita l’immagine dell’uomo, la legge nella legge si specchia". Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Milano 1993, 101. Durante il rapimento di Aldo Moro nel 1978 lo scrittore siciliano è stata la persona che più seppe esprimere il mio desiderio di trattativa con le Brigate Rosse, per liberare il politico democristiano, il desiderio di un giovane di 18 anni.
Non vi è nessuna apologia della Mafia nel racconto, che tra l'altro proprio come racconto è molto bello: in esso la "mafia è un 'sistema' che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel 'vuoto' dello Stato (...) ma 'dentro' lo Stato. La mafia insomma altro non è che una borghesia parassitaria, una borghesia che non imprende, ma soltanto sfrutta", scriverà nel 1972 Sciascia, in un'Avvertenza, in occasione dell'uscita del racconto nella collana "Letture per la scuola media" dell'editrice torinesi Einaudi. Non vi è nessuna apologia, ma uno sguardo di uomo su altri uomini, per usare la formula che il mafioso don Arena usa per il capitano Bellodi, che originario di Parma, si trova in Sicilia, come rappresentante dello stato. Il capitano, ex partigiano, è un uomo che tratta anche i mafiosi come uomini, pur sentendo tutta l'impotenza dello Stato nei confronti della mafia. Ma Sciascia stesso o se si vuole il narratore (non credo che la precauzione di distinguere tra narratore ed autore serva molto per questo racconto) ha uno sguardo da "discernimento degli spiriti" (Ignazio di Loyola) sui suoi personaggi.
Ascoltiamo per esempio come nel racconto si parli della "famiglia" per i mafiosi e non solo, per tutti i siciliani: "la famiglia è l'unico istituto veramente vivo nella coscienza del siciliano: ma vivo più come drammatico nodo contrattuale, giuridico, che come aggregato naturale e sentimentale. La famiglia è lo Stato del siciliano (...) Dentro quell' istituto che è la famiglia, il siciliano valica il confine della propria naturale e tragica solitudine e si adatta, in una sofistica contrattualità di rapporti alla convivenza" (Il giorno della civetta, ibidem 101-102). Su tutte le parole usate si potrebbe scrivere un libro di filosofia, ma mi limito all'inversione che viene qui espressa: il mafioso è "giuridico" nelle sue scelte famigliari e d'amore, mentre il capitano, è "naturale e sentimentale", sia per il modo con cui guarda le donne, per esempio la ragazza di Parma nell'ultimo capitolo, Livia, sia per come guarda quella donna che è la Sicilia stessa: "Ma prima di arrivare a casa sapeva" - nella lunga passeggiata in una Parma ricoperta di neve - "lucidamente, di amare la Sicilia: e che ci sarebbe tornato. "Mi ci romperò la testa disse ad alta voce" (ibidem, 129). Insomma non ci tornerà per mettere in galera i mafiosi, ma perché ama la Sicilia e perché non vuole "abolire l'immagine dell'uomo", così che alla fine rimanga solo la legge, che nella legge si rispecchia. Per quanto sia importante la legge, se rimaniamo solo con questa "icona", alla fine non si la serve neppure, ma si contribuisce a quello che C.S. Lewis ha chiamato "the abolition of the man".
Certo è impressionante che Sciascia andasse ad ascoltare in parrocchia le conferenze su padre Pierre Teilhard de Chardin SJ, il grande gesuita che ha cercato di armonizzare Vangelo e evoluzione, o che si chieda se "Dio abbia gettato la spugna" in Sicilia (ibidem, 91), perché significa che lo scrittore siciliano aveva un senso di quella "lotta e sconfitta di Dio nel cuore umano", che è il grande tema della teologia del Sabato Santo di Adrienne von Speyr; dicevo è importante tutto ciò, come è importante che ci ricordi, indirettamente, a noi credenti, che non ci si va a confessare solo per paura della morte (ibidem, 97), ma il suo sguardo tutto umano sulla donna del mafioso "nuda e bellissima" (ibidem, 90) ed ancor più per quella osservazione di don Mariano sul rispetto per l'uomo che rende un uomo tale (ibidem, 110), mi rendono questo scrittore della mia giovinezza un compagno di viaggio che riprenderò, Deo volente, di nuovo in mano.
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