venerdì 3 aprile 2020

Per incontrare l'amore gratuito e libero di Cristo - in dialogo con Massimo il Confessore e Hans Urs von Balthasar

In queste vacanze pasquali comincio una riflessione sul teologo del sesto secolo, Massimo il Confessore, seguendo la monografia di Hans Urs von Balthasar, Kosmische Liturgie, Einsiedeln, 1961. Il mio procedere, come è noto, è quello di una mediazione quotidiana, propria al mio blog diario. Procedo in modo inversamente cronologico. La prima meditazione si trova in fondo.


Il rapporto con Cristo, vero Dio e vero uomo, liberatore e redentore,
non è nemico di questa visione (amazzonica) del mondo
marcatamente cosmica, che caratterizza questi popoli,
perché Egli è anche il Risorto che penetra tutte le cose.
Per l'esperienza cristiana, "tutte le creature dell'universo materiale
trovano il loro vero senso nel Verbo incarnato,
perché il Figlio di Dio ha incorporato nella sua persona
parte dell'universo materiale, dove ha introdotto un germe 
di trasformazione definitiva" (Laudato si')"
Papa Francesco, Esortazione apostolica, Querida Amazonia, 74). 


(30.05.20) Lavoro di terminologia e meditazione quotidiana. 

È chiaro che non posso riprendere qui nel mio "diario" il lavoro terminologico compiuto da Balthasar (edizione tedesca: 213-232) sulle parole: usia (essere esistente), einai (essere), hypokeimenon  (subiectum, substratum) come portatore di qualità specifiche, hyparxis (ciò che consiste, ciò che esiste), hypostasis (persona, il modo di esistere...), libertà della natura con le differenziazioni tra una natura ipostatizzata ed una ipostasi naturalizzata ed infine le parole: sintesi (unione passiva), enosis (unione più attiva), tautotes (essere medesimi ed identità). Un lavoro che accade nei giorni con cui con mio figlio stiamo facendo i primi grandi passi nel libro di Martin Heidegger: "Essere e tempo" (per sua richiesta) anche con il suo linguaggio da imparare passo per passo: ontico, ontologico, pre-ontologico. Un altro linguaggio che sto imparando in questo tempo è quello di Stefan Oster con la sua categoria della "esperienza personale" e della "sostanza personale". Questa meditazione non ha lo scopo di fare una sintesi di tutti questi linguaggi, pur essendoci alcune analogie. Per tutti questi autori lavoro "personale" è un appropriasi non passivo, non come "ab esteriori agente", non "sicut instrumentum tantum" (Tommaso, Ulrich) di ciò che è essenziale (l'amore gratuito), l'unico essenziale che per Massimo il Confessore, Balthasar, Ulrich e Oster è Cristo (il Logos d'amore universale e concreto) in cui Dio e uomo sono uniti ma non confusi e per Heidegger è l'essere che è andato perso. Un essere che si può ritrovare non facendo discussioni solo o primariamente scientifiche o ontologiche, ma solo riflettendo ciò che ci accade nella quotidianità. Anche l'incontro con Cristo non è frutto di un lavoro terminologico, per quanto esso sia necessario come è necessario sapere cosa significhi precisamente "essere" o "persona". Cristo ci viene incontro in un'esperienza personale in cui il disegno della vita e la vita non si trovano in un rapporto di contraddizione, ma di polarità feconda, come lo sono la persona e la natura, la libertà e la natura. Il "personale" non è solo nel soggetto concreto che pensa, ma anche nella natura dell'uomo. Non c'è costrizione né contraddizione nella natura degli essere spirituali e non solo negli esseri spirituali concreti. Per questo è necessario ritrovare "la dimensione dell'essere" (Heidegger), non in un gioco intellettuale, ma nell'esistere stesso - perché solo nell'esitare possiamo comprendere cosa sia necessario ad esso. 


(12.05.20) Riflessioni sul "mistero centrale del mondo"

Non si tratta per me di "concetti" o di una performance di parole,  anche se il lavoro di pensiero su questioni trinitarie e cristologiche non è stato indifferente e ci ha permesso anche di definire cosa e chi sia una persona, si tratta davvero di cercare un po' di comprendere ed adorare il mistero centrale del mondo. Anche una persona che ama il silenzio e che come una santa e poi martire ha vissuto in Somalia, tra i mussulmani, come Annalena Tonelli (1943-2003), per esprimersi sul mistero di Cristo non può far altro che tentare con il linguaggio di descrivere ciò che riteneva, nel silenzio del suo cuore, per vero: "Poi la vita mi ha insegnato che la mia fede senza l’Amore è inutile, che la mia religione cristiana non ha tanti e poi tanti comandamenti, ma ne ha uno solo; che non serve costruire cattedrali o moschee, né cerimonie né pellegrinaggi, che quell’Eucaristia che scandalizza gli atei e le altre fedi racchiude un messaggio rivoluzionario: «Questo è il mio corpo, fatto pane perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli uomini, perché, se tu non ti fai pane, non mangi un pane che ti salva, ma mangi la tua condanna».L’Eucaristia ci dice che la nostra religione è inutile senza il sacramento della misericordia, che è nella misericordia che il cielo incontra la terra. Se non amo, Dio muore sulla terra. Che Dio sia Dio io ne sono causa, dice Silesio; se non amo, Dio rimane senza epifania, perché siamo noi il segno visibile della Sua presenza e lo rendiamo vivo in questo inferno di mondo dove pare che Lui non ci sia, e lo rendiamo vivo ogni volta che ci fermiamo presso un uomo ferito" (https://www.mondoemissione.it/islam/quando-annalena-parlava-di-musulmani-e-conversione/?fbclid=IwAR12iqTE8Lh2YTfcSvbVdwC4AAirGhEsRVr6-_X-M4xBlNUNyz43Yibe1Ho)

Quello che in questa riflessione cerco di avvicinare, alla scuola di Massimo il Confessore, è il mistero dell'incontro tra cielo e terra. Quello che dobbiamo evitare, se vogliamo confessare e dare testimonianza di questo incontro, con Massimo e Calcedonia, si esprime nella formula: cielo e terra sono uniti, ma non confusi. L'uso delle parole essenza/esistenza e natura/persona ci vengono dall'ambito di pensiero greco; questa terminologia serve, ma deve essere "superata" (aufgehoben), perché il Mistero è troppo grande per essere spiegato completamente con categorie antiche. Essendo in gioco l'amore gratuito ed assoluto, si dovranno evitare cortocircuiti cristologici o trinitari: tre persone si, tre volontà no. La volontà divina è solo una, anche se le persone sono tre: amore assoluto e gratuito! Se Cristo deve essere unito davvero a Dio e all'uomo nella sua incarnazione, si dovrà tenere ferma l'idea, meglio l'avvenimento: "Il Logos divenuto uomo rimane proprio in quanto Logos uno dei Tre della Trinità divina" (Balthasar, Liturgia cosmica, edizione tedesca, 210). Ed in genere vale: "una frase di cristologia non può annullare una trinitaria" (ibidem). Tutte le eresie (Nestorio, Ario, Severus, Sergio...) hanno intravisto una parte del vero, ma hanno perso per strada la verità che Cristo e il Padre hanno la stessa natura divina sempre. Quindi quando contempliamo Cristo dobbiamo evitare tante tentazioni: non è davvero uomo, è solo uomo (due tentazioni), ma invece piuttosto, come preghiamo nel "Credo" la domenica: Egli è vero Dio e vero uomo, in unità e senza confusione. Ritorniamo a Annalena. La sua frase: "Che Dio sia Dio io ne sono causa" è una frase audace, ma non tanto le parole, ma il modo con cui lei le usa, il tono, l'ambiente della parole stesse, che è di fatto la sua missione di santità tra i mussulmani, le rendono vere. Dovremo in futuro fare ancora un lavoro terminologico alla scuola di Massimo, ma ciò che non dobbiamo mai perdere di vista è il mistero centrale del mondo stesso: l'amore gratuito ed assoluto incarnatosi in una delle persone della Trinità. 

(06.05.20) La sintesi singolare di Cristo

L'alternativa tra tenebre e luce (Gv 1), tra la fede che grida e il mutismo di chi non crede (storia di Bartimeo nell'interpretazione odierna di Papa Francesco)  non può essere mai raggiunta ad un altro livello che a quello di Cristo stesso; tutte le altre sintesi: sessuale, politica, estetica sono sempre alcunché di provvisorio. Saranno tanto più pure quanto essere irradiano dal centro dell'amore gratuito di Cristo. Cristo, però, è e rimane mistero ed anche la formula di Calcedonia, viene difesa da Massimo, non per difendere un concetto, ma il mistero del mondo, il cuore del mondo unito, ma non confuso  con quello di Dio. 

Il passaggio dal monaco Massimo al suo essere il Confessore della fede, anche se questo passaggio può  essere visto come alcunché di eccessivo, consiste nel passaggio dalla teoria alla confessione concreta di una cristologia che genera ontologia, cosmologia ed antropologia, senza essere ridotte ad esse. Confessando Cristo Massimo confessa che l'uomo non può essere salvato senza una "conservazione e compimento della sua natura". Questo va detto contro ogni tendenza platonica o buddistica che sia. Come Agostino versus Donato e Tommaso versus Averroes Massimo non rimane fissato allo "scontro" contro qualcuno, ma offre una visone del mondo cristiana, che non è ideologia, ma "incarnazione", "inculturazione", ma ancor prima confessione della singolarità salvifica di Cristo, che è venuto a salvare tutti! È il Signore di tutti! 

Per quanto riguarda il tema caro a Papa Francesco dell'inserimento di Cristo nella storia del popolo fedele ed eletto da Dio, se ha ragione Balthasar, questo forse non è il tema di Massimo, ma piuttosto di Agostino - per questo abbiamo bisogno di una comunità di santi! Anche Massimo, però, non arriva, nella presentazione che ne fa Balthasar, alla sintesi di Cristo, senza un'introduzione; e di fatto la prima parte della "liturgia cosmica" è una trattazione filosofica, come abbiamo più volte sottolineato, delle opposizioni polari: universale e particolare, soggetto e ottetto, etc. 

Excursus sull'inculturazione 


"Non abbiamo timore, non tagliamo le ali allo spirito Santo" (Papa Francesco).

Nel capitoletto sull'inculturazione nel suo sogno ecclesiale della Querida Amazonia Papa Francesco cita il Vaticano II (Gaudium et spes, 44), San Giovanni Paolo II ed anche la sua "Lettera al Popolo di Dio che è in cammino in Germania" (29.06.19) - nella polarità kerygma (annuncio del Vangelo) e inculturazione, il Papa sottolinea alcuni dei temi che gli stanno particolarmente a cuore, perché questa polarità sia feconda:

1. In primo luogo che dobbiamo avere memoria che il volto della Chiesa è pluriforme. Non esiste una sola legittima traduzione culturale del Vangelo.

2. La necessità del dialogo. La Chiesa è madre e maestra, ma deve sottoporsi ad un "percorso ricettivo" della posizione dell'altro. Nell'altro vi è sempre un "momento di verità" e dobbiamo evitare ogni "autoreferenzialità". Vi è una sola sintesi che è infallibile: quella di Cristo stesso, come ho cercato di spiegare ieri nel mio dialogo con Massimo il Confessore. Quindi è vero che "una fede che non diviene cultura è una fede non pienamente accolta" (San Giovanni Paolo II), ma per far questo bisogna superare la tentazione di vedere nella propria sintesi culturale, quella che sarebbe la sola vera, mentre il resto è falso.
Cristo stesso, come ha detto questa mattina il Santo Padre, predicando su At 13, 13-25, appartiene ad un popolo (non ad un gruppo o ad un movimento), che Dio ha scelto per gratuito amore. La sintesi di Cristo è quindi inclusiva del "popolo santo fedele di Dio" - questo ci permette di evitare ogni riduzione dogmatica, etica o elitaria della fede.

3. Non dobbiamo avere paura del nuovo nel senso della frase attribuita a Gustav Mahler: "la tradizione è la salvaguardia del futuro e non la conservazione delle ceneri".


"Non abbiamo timore, non tagliamo le ali allo spirito Santo" (Papa Francesco). Possiamo contare su una consolazione ultima e la nostra amicizia in Cristo è vera solo se ci aiuta su questo punto: " Nessuno deve dubitare che le nostre tribolazioni, qualsiasi esse siano, qualunque motivo abbiano e qualunque esito avranno, non siano utili alla gloria di Dio" (Padre Lorenzo Ricci, 30.11.1761, in ibidem 32).

Excursus sulla misericordia e la liturgia cosmica


Quando la misericordia diventa solo una parola romantica

Nel paragrafo "Inculturazione della liturgia" Papa Francesco, nella Querida Amazonia, ci fa riflettere su punti molto forti:

1. Nella liturgia "il divino e il cosmico, la grazia e il creato" devono essere uniti sinfonicamente. Dalla sua "Laudato si'" il Papa cita un motivo gigantesco: nella liturgia "la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale". E questo non solo in parole, ma "in canti, danze, riti, gesti e simboli" (Querida, 82).

2. Nell'Eucarestia, "al culmine del mistero dell'incarnazione, Dio vuole raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia". Materia, Mater! Dio si incarna nella Mater, ma la "materia" stessa, contro ogni forma di spiritualismo e neoplatonismo, è da situare nella Trinità stessa che preserva la Mater, da ogni peccato, proprio per dare "materia" al Figlio. Nulla vi è al di fuori di Dio, tanto meno la materia - che dovrà essere "elevata" al suo stato originario trinitario, come ci ha insegnato in una pagine sorprendente del suo "Essere e dono" Ferdinand Ulrich: "Mai il Figlio eterno del Padre, l’Agnello sgozzato non è stato Amore di Dio in persona, nella carne e nel sangue; mai non è stato non verità eterna e mai la verità eterna non è stata non pane della vita, Corpo d’amore" (Dono e perdono, 2006, 637).

3. La festa domenicale deve essere educazione e non perdita di tempo: educazione alla gratuità e ricettività e questo si deve respirare anche nella liturgia eucaristica.


4. Riferendosi con ragione alla sua "Amoris laetitia" il Papa ci ricorda che la natura della Chiesa è la misericordia, non l'essere "dogana"; le norme non sono "pietre" che giudicano invece che consolare. Tutto il diritto canonico, pur essendo al servizio della verità, non deve dimenticare che la verità è Cristo e Cristo è il Logos d'amore gratuito. "Per la Chiesa la misericordia può diventare una mera espressione romantica se non si manifesta concretamente nell'impegno pastorale" (Querida 84).

(04.05.20) Per una filosofia dei sessi - sulla sintesi sessuale in Massimo il Confessore

Nel mio blog/diario si trovano più tentativi di offrire una filosofia dei sessi (mi sembra questa una cosa molto doverosa per un laico spostato e per questo mio tentativo chiedo uno sguardo di simpatia, perché ho cercato di esprimermi nel modo più autentico che mi sia possibile), anche questo sarà solo un frammento; per me è stata sempre una grazia aver avuto ed aver amici vergini ed anche il dialogo con il monaco Massimo mi è di grande aiuto. Non posso scrivere tutto ciò che mi è passato per la testa leggendo il capitolo di Balthasar sul tema (la sintesi sessuale, edizione tedesca 194-203), ma ho apprezzato la chiarezza delle affermazioni del padre della Chiesa ed anche la precisione del commento di questo nuovo padre della Chiesa, che secondo me è Balthasar.

Proprio in questo tema si vede in Massimo tutta l'eredità dell'est, anche buddistica, come liberazione dalle passioni. Vorrei cercare di fare una "critica interna" al tragicismo di Massimo. In primo luogo, se si contempla il rapporto che hanno le persone nel nostro tempo,  particolarmente in una regione secolarizzata come quella in cui vivo io, è innegabile che in questa dimensione sessuale vi è innestata una dimensione tragica. Una ragazza della mia undicesima classe  ha già due separazioni dietro di sé: quella della mamma con il papà ed ora con il patrigno. Questa ragazza ha sofferto per mesi ed in vero non saprei come chiamare questa esperienza, se non appunto tragica o almeno drammatica. 

L'intreccio tra egoismo e piacere carnale e sessuale è innegabile e che nell'eros ed anche nella specificazione sessuale di esso si cerchi qualcosa che esso non può dare, è che invece pu ò essere donato solo dall'abbandono in Dio, mi sembra anche innegabile. Solo che io contestualizzerei questa ferita sessuale ed erotica nella ferita che sta subendo la natura nel suo insieme: l'egoismo che distrugge la nostra casa comune è in gioco anche nella relazione uomo e donna. Questa seguente frase di Massimo non vale solo per l'ecologia dell'uomo, nel suo rapporto uomo donna, ma in genere anche per l'ecologia naturale e sociale: "nella stessa misura la natura castiga (i padri della Chiesa parlavano ancora in modo chiaro; RG) coloro che provano a violentarla, perdendosi in una modalità di vita innaturale; la conseguenza di ciò è che loro non hanno più disposizione in modo naturale tutte le forze della natura, così che la loro incolumità è diminuita e sono castigati" (Massimo, citato in ibidem 195). Forse si può evitare la parola del "castigo", ma è chiaro che un fenomeno come la pandemia che stiamo vivendo richiede certo un atto di confessione del proprio peccato, per il modo con cui abbiamo violentato la natura. 

Massimo è attento a non mettere in dubbio la saggezza del creatore nella sua creazione (insomma il peccato non è destino ontologico), ma la dialettica apparenza/realtà di origine platonica e non cristiana, non gli permette di vedere che anche nella "apparenza carnale" è possibile seguire Cristo vergine. Certo solo in Cristo c'è un ultima salvezza, perché Egli ha assunto la morte e la discesa nella tragedia dell'inferno volontariamente su di sé  e perché è nato da una vergine per una vita vergine, che è la nostra speranza per il cielo, in cui non ci si sposa e non si gode di un orgasmo, perché queste due forme della gioia terrena in cielo sarebbero una diminuzione della gioia stessa e non perché nel cielo si è prudi. Il cammino sessuale è un educazione. L'eros ed anche l'atto sessuale sono forze vitali ed educative. Questo è vero anche se vi è una non simmetria del bisogno tra maschio e femmina ed anche se i matrimoni falliscono. Certo la pace che può dare per un momento, per esempio l'onanismo (realtà viva anche nei matrimoni), non è paragonabile alla pace che dona Cristo ed anche nel rapporto sessuale tra i due, che entrambi ritengono simmetrico e riuscito, alla fine si rimane l'uno accanto all'altro e non in quell'unità che si vorrebbe raggiungere. Se, però, la meta è quella di superare l'egoismo e l'arroganza, allora non sarà d'aiuto alcun spiritualismo ed anche la via ideale monastica è "chiamata per alcuni" e non per tutti. Ciò che in tutto quanto cerco di dire non deve essere perso è l'atteggiamento di confessione del peccato e sarà necessario che non si cessi quel lavoro educativo, che ogni persona responsabile fa con il proprio corpo e con il corpo degli altri; bisognerà evitare in oltre ogni forzatura teologica di tutti gli atti corporali (alcuni sono eticamente neutrali), che per lo più conduce a contrapposizione dialettiche che sono davvero pericolose e che hanno fatto tanto male alla Chiesa e nella Chiesa a tante persone del "popolo fedele di Dio". Sarà bene anche prendere alcuni atti per quello che sono a livello terreno e psicologico senza, come dicevo, forzare tutto in una lettura teologica. Dio non ci educa primariamente con la teologia, ma anche e soprattutto con i nostri tentativi umani, se onesti e rispettosi degli altri, anche se non perfetti. 

Dopo la confessione di tutto il peccato del mondo di Cristo sulla Croce e la sua discesa all'inferno la carne stessa è diventata un luogo educativo per eccellenza sia per il monaco, sia per l'uomo che esprime la sua sessualità e non la offre in modo verginale. Questa possibilità è la più grande, perché Cristo era ed è  vergine, ma in tutto ed anche e soprattutto in questa dimensione sessuale non la meta non è quella di conservare la purità come un "tesoro geloso", ma donarci gratuitamente in atti di amore: ama l'atro come te stesso.  

A chi ha letto con simpatia questo frammento sarà chiaro che esso non nasce dalla volontà "di essere per se stessi" (Balthasar, ibidem 194) versus l'appartenenza a Dio, ma da un desiderio di non usare "maschere" mentre mi cimento in questo tentativo "laico" di riflettere su una filosofia dei sessi. Per quanto riguarda la "filosofia del gender" non ho espresso qui proprio nulla, al massimo sarebbe interessante integrarla nella frase di Paolo: "In Christo enim Jesu non est masculum neque femina", ma non era questo il tema di questa riflessione. 

Sono anche cosciente che, come si espresse il generale dei gesuiti, padre Lorenzo Ricci (30.11.1761), che ogni "tribolazione" è di aiuto e "purifica i nostri sentimenti come un fuoco e li purga da ogni disonore e da ogni vizio" (citazione in Jorge Mario Bergoglio, Lettere della tribolazione, Milano 2019, 31). La mia critica ad una purezza ipostatizzata da difendere come un "privilegio" o "tesoro geloso" non ha nulla a che fare con questo processo educativo del "fuoco", perché di fatto è vero che in questo tema della sintesi sessuale vi è tanto disonore e vizio da purgare. Ma per far ciò non è necessario, anzi è pericoloso, non vedere la forza che proviene dall'eros ed anche dalla sessualità. 

Excursus - sulla natura come casa e come dono


Wetterzeube. La personalità del pontefice, Francesco, è molto semplice, ma anche molto complessa (nel senso di perfetta). Una parte della sua figura unitaria è la spiritualità ignaziana, come viene espressa nelle "Lettere della tribolazione": non accade nulla senza almeno un cenno di assenso di Dio, anche le prove, soprattutto le prove, che accadano perché Dio ci ama. Questa grande „consolazione“ ci invita ad essere ultimamente umili e miti, come suo dono, non come nostra performance. L’altra parte è la voce profetica: l’umiltà cristiana non è servilismo e sa esprimere il dolore del mondo:

„Quelli che credevano che il fiume fosse una corda per giocare si sbagliavano.
Il fiume è una vena sottile sulla faccia della terra. (…)
Il fiume è una fune a cui si aggrappano animali ed alberi.
Se tirano troppo forte, il fiume potrebbe esplodere.
Potrebbe esplodere e lavarci la faccia con l’acqua e con il sangue“ ( Juan Carlos Galeano).

Questa lavatura della faccia con acqua e sangue sta accadendo ora con il coronavirus (sars-coV-2). Non solo nell’Esortazione che stiamo studiando riguardante l’Amazonia, ma anche nella Lettera enciclica „Laudato si’“ (2015) che leggo e studio con mia moglie prima della nostra preghiera domenicale dell’Angelus o del Regina Coeli, il Papa afferma con chiarezza: „È cruciale tener conto „che per il buon funzionamento degli ecosistemi sono necessari anche i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili e le innumerevoli varietà di microorganismi“" (Esortazione apostolica, 89). Una semplificazione della varietà complessa dei microorganismi porta a delle catastrofi, che ci sono sempre state (la peste manzoniana accade in un periodo pre industriale), ma che ora hanno preso la modalità di una contemporaneità planetaria.

Ripetiamo: in questa attenzione per la cura della nostra "casa comune", che pone i limiti alla natura come „risorsa“ l’attuale Papa eredita anche gli argomenti dei suoi predecessori: per esempio San Giovanni Paolo II nel suo discorso ai partecipanti al Congresso internazionale su „ambiente e salute“ del 24.03. 1997.

La convinzione che tutto accade almeno con un cenno di Dio non ci libera dall’incombenza di mettere in pratica la nostra intelligenza, non per costruire armi, ma per ricercare metodi adatti di cura delle malattie. La biodiversità è necessaria per la cura delle malattie (48). La convinzione che tutto è nella mani di Gesù (piccola Teresa) non significa diminuire l’importanza di un sistema normativo (52) o di legittime forme di protesta (50) per uscire dalla catastrofe della pandemia (tenendo conto che non è opportuno cambiare il cavallo mentre si passa il fiume) e per evitarne di altre ancora peggiori.

PS

Non dovremmo chiedere di più perdono a Dio per come abbiamo trattato il dono della creazione che Lui ci ha affidato?
In questo tempo di pandemia, tra le tante voci che sento, non prevale la richiesta di perdono. Questa richiesta, questa preghiera, non dovrebbe essere il primo strumento di noi credenti nel chiedere a Dio la fine della pandemia? Solo il Papa ci indica la strada del "mea culpa" come tu dici in questo bellissimo post.

Dio, ti preghiamo, poni fine alla pandemia! Noi promettiamo di essere più rispettosi del dono della vita, del dono della creazione, che così poco abbiamo rispettato. Amen (PS di Bruno Brunelli)

Excursus su santità e gioia


"Oggi è necessario mostrare che la santità non priva le persone di "forza, vita e gioia" (Papa Francesco, Querida Amazonia, 80)

Il paragrafo "Punti di partenza di una spiritualità amazzonica" mi sembra decisivo - i lineamenti di santità di un "frammento" (Amazonia, Germania...) devono porsi come "chiamata a interpellare la Chiesa universale" (77), sia a livello dei singoli che dei popoli. Alla santità ci si arriva sempre "ognuno a modo suo".

Non bisogna cercare immediatamente pericoli e tendenze eretiche ("superstizione o paganesimo"). Certo ci si dovrà far guidare dalla Chiesa in modo che non sostituiamo all'unico "Dio e Signore" altri "idoli".

Se penso alla nostra società trasparente dovremmo cominciare a distinguere tra trasparenza pornografica e trasparenza/velamento erotico; noi siamo nati in una società televisiva e dopo di noi si è nati in una società digitale e ci siamo abituati a cercare in certe immagini una sicurezza ed intimità. Tantissimi la cercano nella musica. Dobbiamo arrivare a comprendere che solo la nudità vergine di Cristo ci può donare un'ultima intimità e sicurezza; dobbiamo confessare il nostro peccato, ciascuno a modo suo, ma "forza, vita e gioia" non sono peccato.

Non dobbiamo interrompere "il processo di purificazione e maturazione", ma non dobbiamo bloccarlo già dall'inizio, piuttosto imparare a "discernere". Presentare Cristo come "nemico della gioia" è l'errore capitale per il nostro tempo, tutti gli altri sono meno gravi.


Dall'Amazonia possiamo imparare a trovare la gioia non in primo luogo in immagini, ma nel contatto con la natura. Sia la nostra società trasparente che quella naturale amazzonica ha bisogno di "miti sensati", che non devono essere confusi, senza alcun discernimento, come "miti pagani". Forse è il messaggio principale di J.R.R Tolkien e C.S. Lewis.

(01.05.20) Dialettica della passione e delle passioni

È chiaro che meditando su questo tema non sarà necessario solamente chiarire le idee, ma confessare il peccato e discernere la confusione che in tema di passione (páthe)/passioni sono presenti in me e in voi che leggete. Con il padre Lorenzo Ricci SJ (8.12.1759), chiedo all'inizio di questo mese mariano, lo "spirito di grazia e di preghiera", che non posso costruire, ma che posso solo invocare (cfr. Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, Lettere della tribolazione, Milano 2019, 27). Lo chiedo a Maria, perché so che lei "con le sue mani" può portare le nostra preghiere "a Colui che, avendo deciso di nascere per noi, si è degnato di nascere da lei" (ibidem, 28) Il generale della compagnia, qualche anno prima del suo scioglimento, chiede solo questo "spirito di grazia e di preghiera" e non un successo immediato per la Compagnia stessa. Parlando di passioni la tentazione di "desiderare senza misura le comodità della vita mondana" è ovviamene molto grande. E quindi ci ho tenuto ad inserire nella meditazione questo cappello di discernimento. 

Non credo che l'essere sia "peccato" o "caduta", credo piuttosto che esso sia "dono d'amore" e in questo dono d'amore le passioni giocano un ruolo molto importante. Senza "desiderio" non avrei neppure voglia di leggere questo libro, senza il piacere della carne non potremmo comprendere neppure la gioia della grazia, che sarebbe del tutto astratta, senza la paura saremmo completamente in balia dei pericoli, senza il lutto non ci sarebbe nostalgia della persona amata, che abbiamo perso o ceduto al Padre. O per riassumere il tutto in due punti: vi è un desiderio ed anche un'ira buona, un desiderio saggio ed un'ira ragionevole. 

Allo stesso tempo è però innegabile che in tutte queste passioni vi è connessa anche la philautía (l'egoismo, sia in forme personali che collettive). Nei prossimi giorni cominceremo con Massimo a riflettere sulla filosofia dei sessi e ci sarà ancora più la possibilità di vedere se il grande teologo di lingua greca sia caduto, nella tematizzazione di questa connessione, in una trappola gnostica, che pone la disarmonia del peccato nell'essere stesso, che non è più dono, ma castigo. Dovremmo riflettere anche sul rapporto tra volontà e natura e sulle conseguenze anche fisiche o naturali che hanno determinate scelte: ci si decide per l'atto sessuale e poi cresce fisicamente un bambino per nove mesi nel grembo della madre. Che la fisicità e la materia non siano di per sé peccato è già chiaro meditando il mistero del diavolo e degli spiriti maligni che sono appunto spirito e non materia. 

Che poi per noi uomini, anche se sul serio chiediamo lo spirito della preghiera e della grazia, ci siano due leggi cui non possiamo liberarci o ottenere solo con un atto di volontà, mi sembra del tutto chiaro: la carne ha una sua legge che non si supera con solo un atto di volontà e lo spirito soffia dove vuole e non lo si può ottenere solo con un atto di volontà.  

Excursus. Solo la poesia, con l’umiltà della sua voce, potrà salvare questo mondo“(Vincius de Moraes) - Riflessioni "cosmiche" sulla Esortazione apostolica "Querida Amazonia"

Wetterzeube. La nostra casa, che è nata come la dimora del fattore (procuratore) del mulino, i cui resti sono stati incendiati dolosamente, poco prima del nostro arrivo a Wetterzeube, si trova in un’isoletta tra il canale e il fiume Elster. Raramente viene minacciata dalle inondazioni: una molto grande si verificò nel 1954 (fonte di questa affermazione sono i pompieri del luogo) ed una nel 2013, quando già ci abitavamo; per una settimana abbiamo dovuto abitare da conoscenti, perché non siamo potuti entrare in casa, talmente l’acqua era alta. Dalla finestra del salone vedo il bosco di Zeitz, che pur essendo stato usato militarmente dai russi, è ora ricco di „acque sotterranee“ che vanno a finire nel fiume Elster, percorrendo ruscelli ameni, con quel suono „tenero“ dell’acqua che in essi scorre. Anche la piccola cascata di cui ho parlato qualche giorno fa, viene alimentata da acqua sotterranea. Il bosco di Zeitz è ricco di cavalli selvatici,  in alcuni luoghi anche di serpenti, vi sono alberi grandi ed anziani. Certo la differenza tra gli abitanti della Amazzonia e noi, a parte che il bosco amazzonico è vastissimo, è che noi non viviamo „nella“ foresta, ma „accanto“; leggendo, però, le parole del Papa e dei poeti che cita, per esprimere il suo „sogno ecologico“, posso forse comprendere meglio quello che dice, di uno che non ha alcun „paragone“. 

Il Papa fa parlare poeti „contemplativi e profetici“, perché essi „ci aiutano a liberarci dal paradigma tecnocratico e che soffoca la natura e ci priva di un’esistenza realmente dignitosa“; il Papa non da voce ad alcun sogno medievistico, non critica la tecnica in genere, ma quando essa diventa potere astratto sulla natura; non condanna il commercio, ma quando esso diventa l’unica ragione di vita. Ieri un amico di „Articolo Uno“, il movimento democratico e progressista italiano, mi ha raccontato che nel bergamasco e nel bresciano le fabbriche delle armi hanno continuato a lavorare anche durante la fase prima della pandemia. A questo tipo di tecnocrazia il pontefice romano risponde con il linguaggio poetico: 

„Il mondo soffre per la trasformazione dei piedi in gomma, delle gambe in cuoio, del corpo in tessuto e della testa in acciaio (…). Il mondo soffre per la trasformazione della pala in fucile, dell’aratro in carro armato, dell’immagine del seminatore che sparge semi, in quella dell’automa con i suoi lanciafiamme, dalla cui semina germogliano solo deserti. Solo la poesia, con l’umiltà della sua voce, potrà salvare questo mondo“(Vincius de Moraes).

Come diceva Benedetto XVI nella „Caritas in veritate“, 2009, noi, con il nostro paradigma tecnocratico, non siamo abituati a pensare che la natura sia una „variabile indipendente“, ora il coronavirus ci sta insegnando un’altra lezione, quella „cosmica“: „una relazione stretta dell’essere umano con la natura“ (Esortazione apostolica Querida Amazonia, 41). Quando i poeti o un documento ecclesiale della Bolivia ci fanno comprendere - tra l’altro come ha fatto Friedrich Hölderlin, in modo indimenticabile, per la cultura europea - che „la foresta non è una risorsa da sfruttare, è un essere, o vari essere con cui relazionarsi“, non stanno esprimendo una forma di „panteismo amazzonico“,  ma ci invitano a non abusare di colei che è madre, matrix, materia! San Francesco lo aveva capito già 800 anni fa. 


(Cascata nel bosco di Zeitz in un periodo di siccità - aprile 2020)
(30.04.20) Esistenza come contraddizione?

Massimo Borghesi ha elaborato nella sua biografia intellettuale di Jorge Mario Bergoglio (Milano, 2017), richiamandosi in modo particolare a Romano Guardini, l'importante differenza tra "contraddizione" e "opposizione". Non è possibile pensare ciò che è creaturale senza "opposizioni", come abbiamo visto nelle ultime meditazioni: universale e particolare, soggetto e oggetto, spirito e materia, storia e parusia, paradiso e libertà, páthe e finire. 

Non è conciliabile con l'ethos monacale di Massimo il Confessore che questi "opposizioni" diventino "contraddizioni": "la conciliazione delle opposizioni" si esprime in "una visione di insieme più alta". Come figlio dell'Asia, con le sue tendenze "gnostiche" non si può liberare Massimo dal sospetto che nella molteplicità sensibile e sessuale tenda fortemente al peccato, ma essa non è solo peccato è anche "gloria". Compito della filosofia aristotelica e tomista è quello di pensare la natura come "posta", "donata", come qualcosa di compiutamente e semplicemente sensato. Il dialogo stesso tra oriente e occidente deve aiutarci nel suo reciproco arricchimento, visto che è innegabile che la natura materiale sia anche caos, come pensa l'oriente; ma è anche vero che tutta la struttura sensuale (ed anche sessuale) e spirituale della natura stessa ci permetta di vedere, anche nel peccato, non una insuperabile demonia, ma un dramma ed un dialogo in cui il Dio misericordioso sa usare anche il peccato per un percorso di vita sensato e da ogni forma di oscurità sa trarne luce. 

Nei suoi "fratelli Karamasow"  Fjodor Dostojewskij ed in modo particolare nella figura di Aljoscha citata da Balthasar, ci racconta con quale forza la tensione tra il bacio erotico della terra e la natura angelica dell'uomo possono arrivare a far tremare quella unità di tensione verso l'amore gratuito di cui ha bisogno il cuore dell'uomo e forse a far perder quella misura e quella distanza che fanno parte dell'amore finito e creaturale e che lo rendono alcunché di bello; insomma nel romanzo di Dostojewskij, in forma letteraria,  dovremo vedere (sono alla pagina 544 di esso - III libro, I) se vince infine un' opposizione polare feconda o se la tensione diventerà solo contraddizione (il principio Karamasow). Il padre Paissij, dopo la morte e i primi segni della putrefazione del cadavere del padre Sossima, spera in un ritorno di Aljoscha, che lascia disperato il convento perché la putrefazione viene vista, anche da lui, come segno di non santità. 

Balthasar nella linea Agostino-Claudel pensa che "anche il peccato" sia una possibilità di salvezza, certo se confessato, non giustificato. La confusione tra natura come peccato e natura come ordine donato non può essere sciolta o "superata" in un sistema, ma non è tale che si debba arrivare a pensare la natura come totaliter corrupta; sensi e sesso sono possibili linguaggi per esprimere quella priorità inclusiva dello spirito sulla materia di cui abbiamo parlato ieri. 

Per quanto riguarda il dolore che "praeviso peccato" fa parte anche del cammino creaturale: la nascita di un bambino e il lavoro come fatica, ma anche la non sempre presente simmetria dei bisogni tra uomo e donna - bene, tutto ciò fa parte del cammino di salvezza; l'espiazione dei peccati passa anche attraverso il "lavorare stanca" (Cesare Pavese) e non solo attraverso esercizi di penitenza, che sono estranei all'uomo postmoderno. Guardando il Crocifisso e solo così, come ci ha insegnato Papa Francesco in questo periodo di pandemia, è possibile sperare che il caos nella natura, provocato anche dal peccato dell'uomo (disprezzo della nostra casa comune e dei poveri), possa essere superato. Il Crocifisso è un evento di salvezza e gloria e non un prodotto del disprezzo della materia gnostico. 

Excursus su Dialogo e Identità 


Verso la fine del secondo „sogno culturale“, nel capitoletto „incontro culturale“ il Papa ci fa comprendere che i poli „identità“ e „dialogo“ si trovino in un’opposizione polare feconda e non nella modalità della „contraddizione“. „La propria identità culturale si approfondisce e si arricchisce nel dialogo con realtà differenti e il modo autentico di conservarla non è un isolamento che impoverisce.“ Questa è - per quanto riguarda noi in Europa o negli USA -  anche una critica ad ogni forma di „egoismo collettivo“ (nazionalismo), che cerca un’alternativa alla crisi provocata dalla globalizzazione solo per sé. Per quanto riguarda l’Amazonia significa: „non è perciò mia intenzione proporre un indigenismo completamente chiuso, astorico, statico, che si sottragga a qualsiasi forma di meticciato“.

Solo nel dialogo con gli altri è possibile comprendere le proprie „ombre“, che il Papa riassume con queste parole: „consumismo, individualismo, discriminazione, diseguaglianza“ (36). In dialogo con popoli che hanno un forte senso della vita nella natura e della famiglia, dovrebbe essere chiaro che con le nostre forme del „solo lavoro“ (mia espressione), senza alcuna comprensione del „sola gratia“ l’economia della globalizzazione, ma anche la „globalizzazione“ del modo con cui facciamo scuola, quasi che non la vita, ma la scuola sia lo scopo di quest’ultima, gli spazi per una vita famigliare e nella natura vengono minimizzati; neppure il coronavirus ci ha fatto imparare qualcosa a questo livello: la preoccupazione del ministro della cultura in Sassonia-Anhalt consiste, tanto per fare un esempio, solamente nel „ricuperare il tempo perduto“ - attivismo globalizzante puro! 


Per quanto riguarda l’Amazonia il Papa nell’ultimo capitoletto del „sogno culturale“ propone alla nostra attenzione il tema delle „culture minacciate e dei popoli a rischio“, minacciati e a rischio nella loro comprensione del rapporto con la natura e dei rapporti famigliari, senza i quali non vi è „trasmissione dei valori“. Il Papa propone tra l’altro un „protagonismo“ dei popoli indigeni a questo livello di trasmissione di cultura ed anche di presenza nei „mezzi di comunicazione già presenti“ (39).  Per quanto riguarda la regione, Sassonia-Anhalt (ex DDR) in cui io vivo si pensa che sia compito della scuola di „trasmettere i valori e la cultura“; non metto in dubbio che ciò sia vero, ma non contro la famiglia, piuttosto con essa. L’isolamento a casa forzato a causa del virus ha fatto vederem in questo tempo di pandemia, come la cultura del „solo lavoro“ riveli come le famiglie abbiano abdicato quasi completamente al loro compito primario di trasmissione di valori e cultura.  

(29.04.20)  Pathos (páthe) e passare (nel senso di trascorrere) 

Per quanto riguarda il "passare", questo è qualcosa che la filosofia conosce già a partire dal presocratico Anassimandro: il nascere delle cose ha come contrapposizione il loro "passare" (Vergehen) "secondo una necessità". La parola "pathos" è molto complessa: ha un polo attivo come affetto, affezione e passione ed uno passivo come  sensualità da cui non ci si può difendere. 

Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un "opposizione polare" (Romano Guardini) - il libro di Balthasar su Massimo il Confessore è il libro sul "Gegensatz" di cui parla il teologo filosofo italo tedesco. Nel caso di questa coppia: pathos e passare, la soluzione per Massimo non è la riconquista dell' origine andata perduta, ma la meta di tutto il movimento cosmico che cerca una "priorità" dello spirito. 

La domanda a cui si deve rispondere, nel modo più chiaro possibile, è la seguente: come mai nello stato primordiale in cui l'uomo viveva di questa priorità dello spirito sulla materia, egli ha sentito il fascino della materia, la legge dei sensi? Questa domanda è decisiva sia per comprendere il valore dei "sensi", ma anche per una "teologia dei sessi". A me non sembra una vera risposta quella che afferma che Dio, conoscendo la disobbedienza, aveva già previsto la via di uscita: la nostra dipendenza dai sensi e dal "passare". Che "Eros" e "Thanatos" siano connessi, però, lo sa non solo la teologia o la filosofia, ma lo possiamo osservare in modo fenomenologico. I figli che ci nascono moriranno. 

La priorità dello spirito non deve essere necessariamente intesa nel senso neoplatonico e origeniano come svalorizzazione della materia; anche il passaggio più bello, anche il vento più affascinate tra le fronde degli alberi, anche l'orgasmo più riuscito sarebbero tutte cose che passano se non promettessero una permanenza spirituale. Ed infine, senza spirito, sarebbero anche del tutto noiose. Affermare ciò non vuol dire essere neoplatonici, ma realisti.

Sono d'accordo con Massimo che la risposta decisiva ha a che fare con il "telos" e non con il rimpianto dell'origine, ma voglio seguire bene questo suo percorso che lo porta al di là dell'idea della dell'essere finito come caduta, che gli permette di distinguere "creazione " e "peccato originale", ma solo nella modalità di una polarità che comprendiamo a livello "intellettuale", ma che è "fisicamente" interconnessa. Per ora lascio la questione aperta e seguo Massimo nel suo percorso teologico e filosofico.   

Excursus sull'essere canoa nell'Esortazione apostolica "Querida Amazonia"


Wetterzeube."C'era una volta un paesaggio che appariva con il suo fiume
i suoi animali, le sue nuvole, i suoi alberi.
A volte però, quando da nessuna parte si vedeva
il paesaggio col suo fiume e i suoi alberi,
a queste cose toccava apparire nella mente di un ragazzo"
(Juan Carlos Galeano)

Capisco questa nostalgia; in tutte le foto che ho fatto in questi anni del pezzo di territorio intorno alla mia casa con il suo fiume e i suoi alberi e i suoi animali, etc. ho cercato di esprimere un paesaggio legato intimamente a quello che sono.

"Del fiume fa' il tuo sangue (...),
Poi piantati,
germoglia e cresci
che la tua radice
si aggrappi alla terra
perpetuamente
e alla fine
sii canoa,
scialuppa, zattera,
suolo, giara,
stalla e uomo"
(Javier Yglesias)

Anche in Baviera quando i bambini erano ancora piccoli, per esempio a Moosburg, le passeggiate alla riva del fiume Isar, in cui tante volte ho portato mia figlia Johanna, mentre dormiva, sul petto, con un nastro, meditano Adrienne (il vangelo di Giovanni), e assorbendo il fiume, i paesaggi sono stati per me importanti, anche se ovviamente forse non così vitalmente importanti come uno che vive di fiume e di terra. A Dorfen ho sentito tanto l'iniziare del paesaggio prealpino e nelle passeggiate o biciclettate verso Armstorf, nel convento delle francescane, in cui Ferdinand Ulrich passava ogni tanto alcuni giorni di riposo, lo sguardo si allungava sempre verso le Alpi e i boschi mi sono ancora in memoria.

Nelle ore di preghiera in questo tempo di pandemia per me non era indifferente conoscere uno stagno che ancora non conoscevo. Lunedì prossimo quando ricomincerà la scuola, la cosa che più mi fa difficoltà non è rivedere i ragazzi, che è gioia, ma il pensiero dell'essere totalmente assorbito da persone che hanno solo una cosa in mente: "organizzare" il giorno, in cui non ti è possibile essere canoa o zattera o uomo.

Quindi il "sogno culturale" di Francesco, nell'Esortazione apostolica, non riguarda solamente la lontana Amazonia, ma quel pezzo di terra in cui sono e per quanto riguarda l'educazione ha totalmente ragione, sia per le persone di una regione come "gente della Sassonia Anhalt o della Turingia" che per i singoli. Educazione è sempre e solo, se vuole essere un contributo al "buon vivere":"coltivare senza sradicare; far crescere senza indebolire l'identità; promuovere senza invadere" (ibidem 28).

E quando si parla di un territorio così vasto come l'Amazzonia non si deve dimenticare ciò che dice il Papa sul poliedro amazzonico: "non sono la stessa cosa i popoli dediti alla pesca e quelli dediti alla caccia, etc." (32), la gente sradicata in una grande città o i popoli che vivono in isolamento volontario, a cui spesso ho pensato in questi tempi di pandemia.


Le poesie con cui ho cominciato questa meditazione fanno vedere una priorità dello spirito sulla materia (ne ho parlato ieri nella mia meditazione su Massimo il Confessore), senza questa priorità non si comprende la frase: "sii canoa", ma fa anche vedere che lo spirito include la materia del fiume e di un paesaggio.

(27.04.20) Paradiso e libertà 

Nella polarità tra paradiso e libertà il monaco Massimo il Confessore sostiene un atteggiamento esistenziale che ho sempre ritenuto essere la posizione polare che io come laico non voglio perdere nel mio dialogo interiore ed esteriore. 

Come Agostino Massimo pensa che la "libertà di scelta" sia più una questione di essere bisognosi piuttosto che indipendenti. La domanda che viene sollevata è se senza il peccato originale, che è stato un peccato di orgoglio, ci sarebbe stata una libertà spirituale che ci avrebbe permesso di "usare" (uti) (il monaco Massimo non prevede un "godere" (frui) come gratuità) in modo migliore della materia che ci è stata donata. 

Per Massimo come per Agostino l'amore corporale è egoismo. Con il peccato lo spirito non assimila più la dimensione sensuale (ed anche sessuale direi), ma questo assimila lo spirito. Come laico mi sembra di dover fare opposizione su questa contraddizione tra spirito e sensi, tra spirito e materia, anche se la dipendenza dalla materia, come si vede nel caso del coronavirus, non può essere vista come la meta a cui tendiamo. 

Non so bene la soluzione del dilemma, anche per la teologia dei sessi: un orgasmo che fosse solo un processo chimico, sarebbe alla fine del tutto noioso; l'orgasmo stesso deve esprimere una dimensione spirituale, per essere qualcosa di buono. 

Se ci fossimo fidati, se non avessimo ceduto alla tentazione ci sarebbe stato certamente un altro modo per vivere la polarità spirito e materia ed anche un modo diverso di intendere la polarità tra libertà di scelta e libertà-per. Con Massimo credo che non serva niente il rimpianto di ciò che è andato perso. Noi dobbiamo guardare la realtà non in direzione di Adamo, ma di Cristo, che si è incarnato, salito sulla croce e disceso all'inferno per la nostra salvezza e che come risorto ritornerà alla fine dei tempi.  Quale è la meta della nostra libertà spirale e corporale? La gratuità del dono dell'essere è per me sia corporale che spirituale, nel senso di una polarità reciproca e non di una alternativa. E ciò è possibile perché Cristo ha già (!) redento il mondo. 

Excursus su una poetessa amazzonica 


"Quella stella si avvicina aleggiano i colibrì
più che la cascata tuona il mio cuore
con le tue labbra irrigherò la terra
che su di noi giochi il vento" (Yana Lucima)

Con queste strofe di una poetessa amazzonica il Papa ci vuol far comprendere il rapporto tra il corpo umano e la natura - la nostra comprensione individualistica del corpo non è propria degli indigeni amazzonici. Gli spazi di individualismo sono minimi, senza che per ciò non venga rispettato l'altro. Non vi è una differenza tra il mio cuore e il tuono della cascata. Anche per me la piccola cascata a 40 minuti di cammino dalla mia casa in mezzo al bosco, mi ricorda questa intimità di rapporto tra me e la natura. Con le labbra della cascata si può irrigare la terra, ma anche con le labbra dell'amata si può irrigare il mio cuore. Il gioco del vento non è qualcosa di estraneo e quando il vento ci fa male, come nel caso di mia mamma che non ci vede da un occhio, è per l'appunto perché siamo malati.




"Cristo ha redento l'essere umano intero e vuole ristabilire in ciascuno la capacità di entrare in relazione con gli altri" (Papa Francesco, Esortazione apostolica Querida Amazonia, 22) - quindi Cristo ha redento anche le labbra dell'amata, l'occhio ceco della mia mamma, la piccola cascata nel bosco vicino a casa che soffre per la siccità - e questo in un bosco tedesco. Ha redento il mio cuore. Già e non ancora, ma più già che non ancora. Nei versi della poetessa amazzonica vedo anche una correzione dell'alternativa tra materia e spirito nel grande Massimo il Confessore.

In Terra e Cielo III, 2193 (1954) Adrienne von Speyr ci fa comprendere la rilevanza trinitaria di ciò che stiamo esponendo e che tutto, anche i fiori, che sono un dono d'amore, appartengono alla "preghiera"; tutto è al servizio di Dio, e può essere "inserito nell'adorazione del Dio trinitario. Dello Spirito Santo, perché tutto deve essere vissuto nello Spirito d'amore ed essere un invito all'amore. Del Padre, perché tutto è stato creato da lui...improvvisamente compresi che la bellezza della chiesa ricopre un ruolo analogo a quanto esposto: tutto si conforma alla preghiera. Tutto è creato in prospettiva del Figlio. E questa frase la si può ampliare a tutto ciò che egli uomini significano per il Figlio: una cattedrale, un'immagine, una predica, ed in primo luogo una preghiera, ma anche tutto ciò che può essere integrato nella preghiera". E questo non riguarda solo l'uomo, ma anche la nostra casa comune, prolungamento del nostro corpo.

(23.04.20) Storia e parusia 

L' "incontro" con san John H. Newman, santificato da Papa Francesco, ha significato per me l'inizio di un lavoro patristico qui sul blog; quello su Agostino ha avuto anche come ispirazione Massimo Borghesi e Giacomo Tantardini: la "civitas Dei" offre una teologia della storia che questo lavoro su Massimo il Confessore non offre. Il lavoro su Agostino è nato da un'esigenza, quella di evitare ogni fanatica identificazione "univoca" di chi faccia parte della civitas Dei e di chi non ne faccia parte (in esso ho fatto fluire anche alcuni miei piccoli studi sull'Islam); ho sospeso il lavoro (per un'esigenza di meditazione personale) dapprima per riflettere sull' abitazione di Stefan Oster, un grande allievo di Ferdinand Ulrich, sul tema "persona e transustanziazione" e poi per questo lavoro su Massimo il Confessore. L'abilitazione di Oster è un serrato dialogo con alcuni filosofi del XX secolo ed ovviamente con la filosofia di Ferdinand Ulrich per comprendere l'importanza della "sostanza personale" e quindi per non ridurre la persona solamente alle sue "relazioni", al "tra" delle persone. Se Dio vorrà compierò questi lavori in statu nascendi e che servono, come ho già detto, in primo luogo a me, per la mia riflessione quotidiana e personale.

Ora con le polarità di Massimo il Confessore sto approfondendo l'intuizione filosofica della "opposizione polare" di Romano Guardini e Jorge Mario Bergoglio, che era oggetto del libro di Massimo Borghesi sulla biografia intellettuale del Papa. Come nel lavoro su Agostino ho fatto fluire qualcosa sull'Islam, in questo lavoro su Massimo ho aggiunto alcuni Excursus su un mio studio mattutino dell'Esortazione apostolica "Querida Amazonia", che di fatto riguarda tra l'altro la polarità "universale e particolare".

Nello studio di Massimo, accompagnato da Hans Urs von Balthasar (ultimante il padre J. Servais mi ha ricordato come questo sia stato per me l'incontro originario), sono ora arrivato al capitolo "uomo e colpa" ed al paragrafo "storia e parusia"; il maestro svizzero fa vedere come non ci si può aspettare un'interesse storico da parte di Massimo, come di quello che impariamo ad amare in Agostino. Ma vi è in Massimo un interesse, anche se non il pathos di Gregorio di Nyssa, per una filosofia del divenire e vi è certamente un vero interesse per l'idea del "telos" aristotelica, su cui ho imparato a riflettere con i saggi del mio amico americano Adrian Walker. Ne avevo parlato nella mia biografia intellettuale: "Libri ed altri ricordi", che si trova anche qui nel blog.

L'interesse per la storia un po' come nel libro "esistenza storica" di  Ernst Nolte, sebbene quest'ultimo sia stato un grande storico, mentre Massimo è un teologo , si lascia riassumere in categorie schematiche. Per lo storico tedesco sono per esempio: Religione (gli dei, il Dio), dominio (stato), nobiltà (arte), guerra e pace, la rivolta o la nascita della sinistra, scienza storica e coscienza di superiorità, città e campagna, scuola e scienza, la quotidianità (sessualità ed economia) ed infine dinamica, processo e emancipazione (cfr. Ernst Nolte, l'esistenza storica. Tra l'inizio e la fine della storia?, Monaco di Baviera, Zurigo, 1998, 181-269. Per Massimo sono la "caduta" e la "parusia". Questo è il suo modo per non pensare solo un'estetica teologica, ma anche una "teodrammatica". Caduta significa caduta dall'unità originaria, movimento verso il nulla nichilistico, abbracciato e salvato dal movimento amoroso dell'incarnazione di Cristo ed il compimento del percorso storia viene pensato come riunificazione nell'unità dell'inizio: la parusia di Dio nel mondo. Massimo non ha interesse particolare per il ritorno finale di Cristo (il tema di Walker Percy): "La parusia di Cristo come punto finale storico lo interessa appena, la parusia per lui è considerata come l'annuncio aperto che accade nell'oggi della presenza celata del nuovo eone" (ibidem, 177) - nel senso che abbiamo spiegato l'altro giorno: il "per sempre" di Dio si rivela ora. Così anche un'avvenimento drammatico come la pandemia non verrebbe interpretata da Massimo con toni apocalittici finali, ma come un messaggio che Dio ci manda ora. 

Anche il Cristo storico non interessa molto a Massimo, forse era troppo impegnato nelle lotte per una formulazione dogmatica della natura e della persona di Cristo - ma forse ciò che Cristo ha da dirci per lui è in primo la rivelazione del senso della storia nell'oggi che dura sempre, a partire dallo sguardo che su di essa ha il Padre. Come guarda il Padre la storia? 

Excursus Sulla questione delle donne e sul metodo dialettico del Papa
1. Il Papa come anche le donne che ho letto nella mia vita e di cui ho meditato i testi come Adrienne von Speyr, ma anche come la Lucetta Scaraffia, non sono per il sacerdozio delle donne; in fondo, non lo sono, per una difesa nella Chiesa dell'unità nella differenza. Il che non vuol dire che le donne si nascondino: Balthasar ha dedicato tantissimo tempo alla gigantesca opera biblico teologica di Adrienne, che era compiuta prima della sua trilogia teologica. Forse il più grande teologo del XX secolo e non solo ha fatto il segretario di Adrienne, per così dire. Hildegard von Bingen ha predicato nel duomo di Colonia, come ho imparato dalla Lucetta Scaraffia e come dice Padre Antonio Spadaro SJ "è bene ricordare che tali servizi (delle donne nella Chiesa) comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del Vescovo" (ibidem, 45). La presenza della donna nella Chiesa, però, deve orientarsi alla "figura di Maria" ed essere un prolungamento "della tenerezza e della forza della Madre" (Esortazione apostolica Querida Amazonia, Nr. 101) 
2. Quando nella Chiesa vi sono per un problema due soluzioni diverse il metodo dialettico di Papa Francesco prevede una creatività ed una dialettica per sollevare il tutto in un piano superiore, senza perdere la forza dei poli che si contrastano: "il criterio di Francesco... non annulla il conflitto", ma lo "assume e lo supera in un piano superiore" (Antonio Spadaro). Questo non significa "fuggire dai problemi", ma "desbordar", "trascendendo la dialettica che limita la visione per poter riconoscere così un dono più grande che Dio sta offrendo" (ibidem 46). Tutto il lavoro sulla polarità che sto facendo su Massimo il Confessore fa vedere che questo metodo dialettico del Papa ha origini che giungono fino ai Padri della Chiesa e fino al NT. Si tratta sempre di prendere sul serio entrambe le polarità i contrasto: universale e particolare, soggetto e oggetto, spirito e materia, storia e parusia... Nella "Querida" si tratta del contrasto riguardante i "probi viri" sposati, che potrebbe ricevere l'ordine sacerdotale, senza che il Papa ne faccia direttamente menzione e senza bloccare il processo di riflessione del sinodo sul tema.

Excursus sul Papa e Hans Urs von Balthasar 


 Una delle prime intuizioni che ho avuto già all'inizio del pontificato di Francesco fu che abbiamo a che fare con un papa filosofo (mentre molti dicevano che era un parroco confusionario), intuizione confermata poi dal grande studio di Massimo Borghesi sulla biografia intellettuale del Papa ed un'altra era che senza un teologo come Hans Urs von Balthasar (ma non solo) non ci sarebbe mai stato un tale pontefice; non perché egli sarebbe del tutto nuovo (questo sarebbe piuttosto un segno dubbio), ma perché la novità, come quella di tutte le riforme ecclesiali, è un ritorno all'origine (Romano Guardini). È questo Papa è del tutto evangelico. 


L'inizio della "Querida Amazonia" è una sintesi non solo del Documento che vogliamo studiare dopo lo studio del'Esortazione, visto che questa non vuole "né sostituirlo né ripeterlo" (Esortazione, 2) ma anche della trilogia balthasariana: "l'amata Amazonia si mostra di fronte al mondo con tutto il suo splendore (Estetica teologica), il suo dramma (Teodrammatica), il suo mistero (Teologica)". 

Il padre Antonio Spadaro ha già ricostruito la struttura dei quattro sogni nell'introduzione che abbiamo studiato e riflettuto fino ad ora, non ripeto ciò che egli ha fatto con competenza più grande della mia. Io vado solo nel campo già raccolto per raccogliere qualche resto e per inserirlo in quel percorso teologico e filosofico che ho fatto nella mia vita, attento al nuovo. 

Il Papa ha scritto la sua Esortazione sull'Amazzonia per tutto il mondo, insomma vuole che studiamo "il tutto (!) nel frammento" (Balthasar) amazzonico. In questo frammento le dimensioni polari dell'essere finito sono presenti in modo tale da diventare insegnamento per tante altre realtà; penso per esempio alla polarità tra unità e molteplicità: abbiamo a che fare, per quanto riguarda l'Amazzonia, con una "totalità multinazionale interconnessa", che può proporsi come un modello di azione politica anche in altre parti del mondo, in modo che si arrivi a quel "buon vivere" di cui parla il Papa e in cui l'unità ha una priorità sulla molteplicità, ma un'unità inclusiva della molteplicità e armoniosa, che tenga conto dell'interconnessione tra sociale (poveri) ed ambiente (ecologia).

(22.04.20) Sulla polarità di spirito e materia

Anche se a me sembrava, riflettendo sul testo di Balthasar sulla "liturgia cosmica" in Massimo il Confessore, di vedere una qualche "priorità" nelle polarità su cui abbiamo riflettuto negli ultimi giorni, vedo oggi che egli insiste sull'eguale valore tra universale e particolare e tra soggetto e oggetto. Questo "valore uguale" vale anche per la coppia spirito e materia - non è che lo spirito umano sia più vicino a Dio che il suo corpo. Dio è il "totalmente altro", sia nei confronti dello spirito che nei confronti del corpo. Ovviamente se pensassimo con Nicola Cusano l'altro opposto, ciò in qualche modo varrebbe anche per il "non aliud". Ma per ora questo non è il tema. Il nostro tema è cercare di capire come questo "valore uguale" (che non mette in dubbio una certa priorità dello spirito (come ci si può aspettare dalla teologia di un monaco) si addica sia all macrocosmo come al  microcosmo. 

C'è una compenetrazione reciproca (perichōresis) tra la materia e lo spirito sia a livello di macrocosmo (la nostra casa comune, ma anche l'universo con le sue galassie) che di microcosmo (l'uomo)  - questa impostazione nasce dal "caro factum est" e non può essere anticipata da nessuna filosofia di stampo platonico o neoplatonico, sebbene bisogna anche dire che Platone, quello storico, forse non è platonico. Il filosofo di riferimento è Aristotele con il suo hylemorphismus.  Questa impostazione teologica e filosofica, come ho fatto vedere in due Excursus sulla Esortazione apostolica "Querida Amazonia", nei giorni scorsi, è tipicamente cristiana e se ne può rintracciare il filo rosso dai Padri fino a Papa Francesco. Non è possibile formulare una spiritualità cristiana in cui spirito e materia siano nemici; quando Giovanni parla di un alternativa tra carne e spirito, come nel grande schizzo teologico del dialogo con Nicodemo (Papa Francesco ha fatto notare in una sua predica che in questo dialogo vi è tutto un trattato di teologia), intende la parola "carne" in modo diverso da come l'ha intesa in Gv 1,14 (kai o Logos sarks egeneto) - si tratta di un' ovvietà che nasce dalla verginità corporale di Cristo, che però non è spiritualismo. La verginità ha a che fare in modo molto serio con Gv 1,14, ma è sacrificio di quella "carne" che non si vuole connettere con lo spirito, che si pensa come alternativa allo spirito. 

Le dimensioni dell'essenza (ousia), della natura (physis) e dell'esistenza (einai) nell'uomo sono unite, ma non mischiate e ciò vale per la materia e lo spirito in generale: l'universo è uno, ma rispettoso delle differenze, che non vengono mai mischiate. Siamo noi uomini che con le nostre "confusioni" creiamo problemi a livello globale. 

Excursus su laici e presbiteri. 


Laici e presbiteri. Quello che il Papa nella sua Esortazione pastorale, su cui stiamo lavorando in queste mattine, afferma sul tema, mutatis mutandis, vale per la Chiesa intera e mi incoraggia ad essere quello che sono: un laico che agisce nel mondo e che riconosce la struttura gerarchica cattolica.

Riconosce che il sacerdozio è un dono, non una questione di potere: un dono che ci dona l'Eucarestia e la Confessione sacramentale. Come dice il documento conciliare "Presbyterorum ordinis", 6 in questi due sacramenti ed in modo particolare nella "celebrazione della Santa Eucarestia" (radice e cardine della comunità ecclesiale) c'è la conditio sine qua non di una comunità cristiana ed in tempi in cui i sacerdoti, per esempio qui in Germania, mancano, si dovrà riflettere e pregare per affrontare in modo sensato questa situazione. I tre punti che ci indica il Santo Padre per l'Amazonia, devono fare riflettere la Chiesa intera: preghiera per le vocazioni, precisazione di cosa sia una vocazione missionaria e formazione permanente dei sacerdoti, anche perché distinguano "potere" e "sacerdozio".

Allo stesso tempo dovremo insistere anche su una presenza ecclesiale marcatamente laica, che in casi estremi come, nel Giappone passato, è stata la presenza che attendeva i sacerdoti, anche per secoli. Ieri sera nella mia bacheca in Facebook ho recitato il Salmo 61, per ricordare a me e agli altri, in questo periodo di pandemia, chi sia il nostro rifugio e la nostra forza. Per far questo non c'è bisogno di essere un sacerdote. Con la mia insistenza sull'atteggiamento di confessione e sulla parresia preparo il terreno per un confessione sacramentale. Come insegnante di religione e come aiutante eucaristico ho "celebrato" in questi 30 anni di presenza missionaria in Germania (ci ritengo a sottolineare che da 18 vivo in una terra con il 2 % di cattolici) tantissimi "servizi alla parola". Nella scuola con un accento più pedagogico e nella parrocchia come preparazione all'Eucarestia. Come insegnate di Religione ho contribuito alla nascita di una cultura cristiana in una delle zone più secolarizzate del mondo. Nella mia presenza in rete ho cercato di essere quello che sono: un laico cristiano. Un laico cristiano passato in diverse crisi. Ma anche come insegnante di filosofia e latino, sono un laico cristiano.  Per quanto riguarda la mia attività in Sassonia-Anhalt, terra di Lutero, è chiaro che il mio impegno ha avuto una dimensione ecumenica, di cui ho lasciato alcune tracce online sia in articoli nel quotidiano online "Il Sussidiario", sia nella mia bacheca in Facebook.
Etc.

Per quanto riguarda il rinvio che il Papa fa al suo predecessore Benedetto XV ed in modo particolare alla sua lettera apostolica, "Maximum illud" del 1919, qui ci troviamo di fronte a quel grande tema del rapporto tra universale e particolare che stiamo riflettendo in dialogo con Massimo il Confessore e Hans Urs von Balthasar (ultimo post nel mio blog in statu nascendi). Per quanto universale e particolare abbiano un "eguale valore" - la presenza di Cristo in Amazonia o in Germania è decisiva come il suo annuncio universale a Roma.

La priorità dell'universale sul particolare (una priorità di servizio e non di dominio) ci fa capire che la Chiesa deve sempre, per essere fedele alla sua missione, contrastare tutti gli approcci colonialisti e nazionalisti. Questo contrasto insieme ad un grande lavoro per la pace è l'eredità di Benedetto XV e di tutti i papali del XX e XXI secolo.

(21.04.20) Sulla polarità di soggetto ed oggetto

Quando Balthasar pubblica la sua monografia su Massimo aveva 35 anni, la ripubblicherà 20 anni dopo, come uomo maturo, che non ha cambiato quell'atteggiamento filosofico e teologico che fa si che tra Massimo ed Hegel, prima facie, poteva vedere più similitudini che differenze, sebbene verso la fine della sua vita, pur avendo letto Schelling fino alla fine, ci ha tenuto di dire che i Padri della Chiesa sono stati, per la sua biografia (sit venia verbo) intellettuale, molto più importanti che l'idealismo tedesco. 

Cosa significa tutto ciò per il rapporto tra soggetto ed oggetto? In primo luogo che vi è una priorità del soggetto sull'oggetto. Questa astrazione non dirà molto a tanti, ma per me significa che nel rapporto tra la mia soggettività e l'oggettività di una comunità, tanto per fare un esempio, è sempre "il tempo della persona" (Luigi Giussani), cioè del soggetto, senza per questo cadere in forme di individualismo estranee al pensiero cattolico, che è e rimane un pensiero universale. E senza cadere in forme di estraneità contraddittoria tra soggetto ed oggetto. 

Per quanto riguarda la coscienza empirica e razionale si tratta di distinguere quattro fasi: il soggetto pensante (nous) e percepente; l'oggetto pensato (nooumenon) o percepito; l'atto del pensare (noesis) o del percepire; il pensiero o il risultato del pensiero (noema) o il risultato della percezione (phantasma). Nel soggetto finito è importante sottolineare la relazione tra i poli soggetto ed oggetto, che Massimo chiama skesis. Questa relazione tra soggetto ed oggetto è paragonabile e viene paragonata, sia da Massimo che da Hegel, al "mangiare", insomma all'assimilazione del soggetto come un cibo, che è poi un modo metaforico di sottolineare la priorità del soggetto. L'oggettivo come "essere-in-sé" viene superato dall'"essere-per-sé" dello spirito; si tratta di una vera "penetrazione", ma non, come ci si può aspettare da Massimo, nella modalità del "mischiare", o di un'addizione di quantità. Anche l'insalata che mangio, anche se viene digerita dallo stomaco, non si "mischia" con me ed io non divento uomo + insalata (somma quantitativa). E poi ovviamente tutti gli esempi zoppicano. 

Per quanto riguarda la conoscenza di Dio essa non funziona come la relazione tra soggetto ed oggetto, perché Dio è Mistero (da Agostino a Giussani a noi). Anche lo sforzo filosofico e pedagogico di Luigi Giussani nel "Senso religioso" non può essere inteso come una razionalizzazione del Mistero, l'aiuto che offre il sacerdote lombardo consiste nel fatto che l'atto di fede, al cospetto dell'assoluta semplicità di Dio, che non si può ridurre alle categorie del soggetto o dell'oggetto, non è irrazionale, ma un momento ragionevole, come afferma anche Massimo. La prosbolé (l'essere attratti da Dio) non è sentimentalismo irrazionale; ma ciò non dice ancora nulla su Chi sia Dio: non è né il punto di fuga del nostro desiderio (Gregorio di Nyssa) ne la scintilla in noi (Evagrio); in modo antropomorfico diciamo che Egli è amore assolutamente gratuito, che non dipende da alcun "patto" tra soggetto ed oggetto, ma in vero è "id quod maius cogitari nequit" (ciò che di più grande non è possibile pensare) e ci offre un "patto" come risposta ragionevole al suo primerear. Il "senso religioso" non domestica Dio - tutte le nostre categorie falliscono difronte al Mistero - ma ci aiuta a capire che l'atto di fede è qualcosa che ci corrisponde, come ci corrisponde la partecipazione che ci viene offerta alla Sua divinità, senza per questo poterla in qualsivoglia modo "anticiparla" o "dedurla". La gioia divina è puro dono, non costruibile. 

Tra noi e questa gioia non vi è alcuna "costruzione" che ci faciliti il passeggio, anche se ovviamente in tempi che si muore da soli, come ora nella pandemia, il passaggio sembra essere, ed umanamente parlando lo è, più difficile. Ma al di là del tunnel c'é luce ed aria pura ed assoluta. 

Excursus sulla questione della liturgia 


Avendo in questo tempo di pandemia la possibilità di iniziare la giornata con la Santa Messa, celebrata dal Santo Padre alle sette del mattino, mi è possibile vedere ed ascoltare con quale semplicità e profondità egli viva quello che afferma: la liturgia è per lui "l'esperienza quotidiana di trovarci al cospetto del Signore risorto e vittorioso, per partecipare con lui alla salvezza della creazione tutta intera" (citazione in Padre Antonio Spadaro, ibidem 37). Il Papa ci ricorda il grande gesuita e biologo Pierre Teilhard de Chardin, che gli integralisti usano come spauracchio eretico, come nei secoli avevano usato ed usano Origene, e che forse non in tutto si è espresso nel modo del tutto preciso preciso, ma che nella sua intuizione ultima aveva ragione, quell'intuizione che il Santo Padre riassume così: "in effetti l'Eucarestia è di per sé un atto di amore cosmico: " Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, L'Eucarestia è sempre celebrata, in certo senso, sull'altare del mondo". L'Eucarestia unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato. Il mondo che è uscito dalle mani di Dio, ritorna a lui in gioiosa e piena adorazione" (ibidem 38).

Il cristiano non ha bisogno di immagini fake di Maria che appare nel cielo - quando appare davvero ne siamo grati - perché nella Liturgia, ed in modo particolare nella Santa Messa abbiamo una medicina cosmica, l'unica che è capace di riportare il mondo a Dio Padre, da cui era partito come "cosa buona"; la creazione è "malata", ma non è "totalmente corrotta" e può essere vissuta, confessando il peccato, in quel movimento dal Padre al Padre dell'intero cosmo che contrassegna tutta la grande teologia dai Padri della Chiesa fino ad Adrienne von Speyr ed oltre.

La Santa Messa deve essere semplice ed accessibile, non vissuta come una "dogana" che fa passare solo uno stile elitario. E deve essere "inculturata": questo approccio "ci consente di raccogliere nella liturgia molti elementi propri dell'esperienza degli indigeni nel loro intimo contatto con la natura e stimolare espressioni native in canti, danze, riti, gesti e simboli" (numero 82 dell'Esortazione, citato da Spadaro, ibidem 39).


Questa questione dell'inculturazione è molto importante anche per l'equilibrio tra universale e particolare di cui abbiamo già scritto in riferimento al linguaggio ecclesiale usato (non solo quello liturgico, anche quello della propria comunità o movimento). Se questo linguaggio diventa del tutto dominante non è più un servizio alla libertà dei soggetti ecclesiali sparsi nel mondo, ma diventa solamente una conferma autoreferenziale di quello che tutti devono ripetere per essere riconosciuti come leali: quando ciò accade è la fine della libertà.

(18.04.20) Sulla polarità dell'universale e del particolare 

Non solo per Hegel, ma anche per Massimo il Confessore, uno dei temi principali della filosofia è il rapporto tra universale (Katholou) e particolare (Kathekaston); nella meditazione odierna non posso ovviamene parlare in modo esauriente di questo tema; per esprimersi con Jorge Mario Bergoglio abbiamo, anche in Massimo, una priorità dell'universale sul particolare, ma non nella modalità di una "distruzione", piuttosto di un equilibrio dei movimenti opposti (non contraddittori) ed abbiamo una chiara presa di posizione che questo equilibrio è contingente e non assoluto - anche l'universale "finito" non è assoluto; il movimento tra universale e particolare è un segno della creaturalità e quindi della finitezza, ma di una finitezza aperta a colui che ha donato gratuitamente l'essere. 

Per ora ci accontentiamo di sottolineare solo alcuni punti. 
In primo luogo "l'essere universale non è in nessun modo per Massimo, cosa che corrispondeva ad un'abitudine di pensiero neoplatonica, solamente il motivo sovra-ordinato dei particolari, ma anche la loro opera e il loro risultato"; per un ontologia cristiana l'essere non è un concetto 'nobile' astratto, ma è atto di donazione 'lavorativa' dei particolari; l'essere è dono dirà Ferdinand Ulrich. Ed il movimento in cui l'essere come dono si finitizza nei particolari, non fa si che esso si confonda con essi, ma neppure che essi siano alcunché di "meno importante" (da sfruttare). Nel qual caso non vi sarebbe equilibrio, ma dominazione dell'universale sul particolare (vi è anche una possibilità del viceversa). L'individuo si vuole universalizzare, perché sa che quell'universale è amore e non dominio. Possiamo così comprendere come queste frasi astratte sono in vero un reale punto di partenza per una filosofia ed una teologia della comunità (che essa sia una comunità ecclesiale o una scuola o altro). 

In secondo luogo vorrei sottolineare che una molteplicità di particolari implica sempre una differenza dei particolari stessi, che non possono essere "mischiati": un lavoro di un dirigente scolastico sarà riuscito, non se costringerà i "differenti" (insegnanti, scolari, genitori) in un'unità ideologica, ma se aprirà dei "processi"  che portino ad una vera "universalizzazione" dei particolari. L'unica forma di leadership che nasce da questo tipo di pensieri è quella dell'ascolto umile delle differenze in gioco. 

In terzo luogo vorrei dire che questi pensieri hanno anche un aspetto ecologico e sociale. La molteplicità di cui parliamo è "connessione" - nel reale tutto è connesso e quando nascono degli squilibri, essi hanno a che fare con un modello di dominio di una certa forma di universalità, come può essere quella capitalista o colonialista, sulla differenza legittima dei particolari. La molteplicità in Amazzonia, per fare un esempio, non può essere sacrificata ad una pseudo idea di universalità globale, che non integra, ma distrugge le differenze biologiche, culturali e sociali. Per quanto riguarda il tema della connessione, nell'aula sinodale in occasione del sinodo amazzonico "più volte è risuonato canto brasiliano ispirato all'Enciclica "Laudato si'": "tudo está interligado" - "tutto è interconnesso come fossimo una cosa sola, tutto è interconnesso in questa casa comune" (Antonio Spadaro SJ, "Tutto è connesso". La Chiesa in ricerca di profezia in Amazzonia, in Francesco, Querida Amazonia. Esortazione apostolica, Venezia 2020, 14)

Ma per quanto tutto ciò sia importante rimane il fatto che tutti questi processi di equilibro tra universale e particolare non sono un sistema chiuso, ma sono un segno che si apre a quell'unica vera unità trinitaria che è amore assoluto e che non è riducibile o confondibile al/con l'essere finito, pur essendone unità, essendone quell'unità che nella donazione dell'essere, come amore, ha voluto tutto ciò che esiste e come esiste. Abbiamo davvero bisogno di una trascendenza e non solo di una trascendenza immanente, perché solo essa è "interior intimo meo".  E quando Ulrich in uno dei suoi pensieri più arditi afferma che l'essere come dono non è stato "causato", ma per l'appunto "donato" ci offre un pensiero che ha delle conseguenze del tutto geniali per comprendere cosa sia "il senso necessario dell'essere": esso è gratuità, non un "fare", un "causare" (pianificare, progettare) e proprio perché in tutti processi di interconnessione tra universale e particolare è "impiantato" questo seme, tutta la nostra esistenza grida "più avanti", "più in alto", "più in fondo". 

Nel linguaggio poetico è forse possibile esprimere questo "più" meglio di quando sia possibile farlo con il linguaggio filosofico. Una poetessa amazzonica di origine cinese, Sui Yun, che Papa Francesco cita nell'Esortazione apostolica "Querida Amazonia" (Nr. 56), esprime molto bene ciò che cerchiamo di esprime: "Coricati all'ombra di un vecchio eucalipto" - questa è la dimensione del senso necessario della finitezza; nell'essere donato per amore, nella "sostanza" di un "vecchio albero", ci si può coricare. La poetessa continua: "la nostra preghiera di luce si immerge nel canto di fronde eterne" - ecco espresso il "di più", l'eternità, senza distruggere il senso necessario dell'essere finito. 

Excursus su un lavoro che sto facendo in Facebook sull'Esortazione apostolica "Querida Amazonia" : 


Inculturazione, saggezza ancestrale, impegno per la giustizia e la sanità amazzonica

1. In Massimo il Confessore il grande tema teologico è quello del rapporto tra universale e particolare, che è poi, tra l'altro, il problema dell'inculturazione della Catholica in una cultura particolare. Lo schema del Padre della Chiesa del sesto secolo non è quello del dominio, sebbene vi sia una priorità dell'universale sul particolare. Francesco, come ci fa notare padre Antonio Spadaro SJ sa mettere in contatto fecondo la tradizione della Chiesa cattolica con la nascita di particolare Chiese autoctone, come per esempio quella amazzonica. La priorità dell'universale sul particolare viene espressa nel numero 73 dell'Esortazione che stiamo studiando come elevazione e donazione di pienezza e non come domino. Ancora una volta il Santo Padre si trova nel flusso della grande tradizione della Chiesa ("come ricchezza di sapienza trasmessa nei secoli"), mentre spesso non lo sono i suoi critici.

2. Il tema degli anziani, mi ha sempre lasciato perplesso, perché noi spesso qui in Europa siamo confrontati con anziani dominanti e non narratori di una sapienza, di un dominio che rende impossibile la vita, ma grazie a Dio ci sono anche qui in Europa quegli anziani di cui parla il Papa. Gli anziani che il Papa ci propone come modello di sapienza sono quelli che sanno narrare una vita, ma anche miti (penso subito a J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis, ma anche alle narrazioni di mio padre della sua vita di ferroviere). Nel mito, a differenza che nel discorso scientifico, la "natura è un soggetto vivente", come Romano Guardini ci ha fatto comprendere in riferimento al poeta tedesco Friedrich Hölderlin, per cui l'acqua e l'aria, per fare due esempi degli elementi, sono "soggetti". E soggetti sono carichi di "intenzionalità", non li su può ridurre ad un uso solo tecnocratico della natura. Elementi tecnici (la scrittura è anche un elemento tecnico, mi ha fatto notare in suo articolo Claudio Amicantonio) sono utili come mezzi e non come scopi del vivere - come fa notare nello stesso articolo il filosofo italiano (cfr. nella mia bacheca di ieri "Tecnicizzazione della scuola. Da Socrate alla didattica a distanza).
Non tutto ciò viene visto come natura intenzionale è "panteismo" - Dio rimane un Tu, ma anche nella grande tradizione di Nicola Cusano del "Non aliud"- cosi si esprime Pedro Casaldáliga:

Galleggiamo ombre di me, legni morti.
Ma la stella nasce senza rimprovero (!)
sopra le mani di questo bambino, esperte,
che conquistano le acque e la notte.
Mi basti conoscere
che Tu (!) mi conosci,
interamente, prima dei miei giorni.

Si è esperti nella conquista delle acque e della notte non come dominio, ma come intenzionalità rispettosa di un'altra intenzionalità.

3. Santità è sempre superamento di una fede alienante ed individualista; certo vi è anche una santità della contemplazione e monacale, ma anche questa, come ci ha fatto vedere Charles de Jesus, è "in contatto con i bisogni quotidiani delle persone che cercano una vita dignitosa". In mia moglie la vedo sempre in opera nella "piccola via" che si metta all'opera per esempio nel "risolvere le crisi famigliari".


Alla fine una parola sulla gioia: l'esperienza ci fa vedere anche la virulenza del dolore che supera le nostre forze, ma solo la gioia è segno di vera autenticità.

(17.04.20) Sul mistero della provvidenza

Massimo, nel sesto secolo dopo Cristo, pensa a cavallo tra l'est (che parla e scrive greco) e l'ovest (che parla e scrive latino, ma che ovviamente aveva scritto anche greco, con Platone ed Aristotele) - e sa, in una reale e feconda opposizione polare, tenere insieme gli estremi: da una parte l'inconoscibilità di Dio e dall'altro in suo essere creatore, che dona l'essere finito come qualcosa che non può essere "superato" nella modalità della "distruzione", ma "superato" nella modalità  della "integrazione" - questa è un antidoto contro ogni forma di "integralismo". Il senso necessario dell'essere donato può essere pensato solamente se esso ha un "fine" - la gratuità dell'essere non significa che esso sia senza un "fine", un telos. 

Il pensiero della provvidenza - non solo generale, ma particolare - una "compagnia" che ci viene donata anche la dove ci sembra essere tutto molto folle, è decisivo per un pensiero metafisico che non intenda perdere il senso necessario del dono fatto. Non vi è nulla che minacci totalmente l'essere finito.

Noi uomini possiamo sempre e solo comprendere in modo "polare", perché sono Dio è "semplice" - gli avvenimenti e i pensieri dell'uomo hanno sempre la modalità dell' "opposizione polare" - per esempio tra la conoscenza specifica di un virologo e quella generale di un politico.  

In Massimo è la "cristologia", l'annuncio del Logos universale e concreto, quel mediatore singolare che permette che la polarità non venga ridotta a contraddizione: nel Logos universale e concreto, il divino e l'umano sono davvero uniti, senza alcuna forma di "confusione" dia-bolica. 

(16.04.20) Realizzazione naturale ed umana e grazia (cfr, ibidem c) 

Non possiamo fare errori anacronistici: in Massimo, sesto secolo, non troveremo formule tomistiche e tridentine sul rapporto tra natura e grazia, tanto più che Massimo pensa il concreto ed unico ordine del mondo e dell'essere finito che ci è dato di vivere - in questo senso interpreta la "casa chiusa" di Aristotele, che ha un senso necessario della propria esistenza. Vero è quindi che gli sono estranee, per motivi strettamente cristologici, tutte le forme di "confusione" tra natura e grazia. 
Il capitolo di Balthasar è troppo ricco per essere pensato fino in fondo; qui vorrei sottolineare solo alcuni aspetti che mi aiutano a vivere "l'esistenza storica"(Ernst Nolte) che mi è data di vivere. 
In primo luogo Massimo ha una visione ottimistica della natura, sia della nostra casa comune che della natura dell'uomo; ottimismo non di stampo psicologico, piuttosto quello che Papa Francesco chiamerebbe una "speranza certa"; una speranza certa che la natura ha un suo "telos" sensato. Il male non ha sostanza, come invece ha sostanza il bene; quando le cose vanno storte, ciò significa che l'uomo, in modo arbitrario, ha compiute azioni che hanno o possono avere conseguenze catastrofali, ma che non possono mettere in dubbio radicalmente la triade di cui abbiamo parlato ieri: divenire-movimento-pace. Un virus in un ghiacciaio non è pericoloso, ma se il ghiacciaio si scioglie può diventare pericoloso; la pena per un peccato non è altro che la conseguenza intrinseca di un azione cattiva e non la pena di un Dio che ci vuole castigare, etc. 
La grazia della "divinizzazione" non è un opera della natura, ma un dono gratuito di Dio; un dono che non possiamo costruire, che è dentro di noi, ma non lo possiamo costruire, perché noi non ci diamo l'essere - l'essere è un dono gratuito. Eppure in tutte le cose che desideriamo c'è "un più" che non le distrugge, ma che esse non sanno neppure costruire. 
La ricapitolazione di tutto e tutti in Cristo svela un'unità della natura e dell'uomo che noi non possiamo costruire: ci è gratuitamente donata. 
Noi originiamo dal "non essere". Dobbiamo comprendere che "il non essere è il fondamento del nostre essere"; con Ferdinand Ulrich direi, però, che questo "non essere" non è da intendere nel senso del nichilismo, ma della gratuità dell'essere finito come amore. La gratuità dell'amore è "senso necessario" di ogni nostra realizzazione umana e di ogni realizzazione naturale, che trascende la limitatezza dell'essere finito nella modalità di un non costruibile "interior intimo meo". 

(15.04.20) Essere/essere-buono/essere-sempre (cfr. (La sintesi del cosmo. Essere e movimento, b)

Che cosa ha da dire un filosofo in un periodo di crisi singolare in cui la "distanza", che è un momento proprio dell'amore, viene vissuta in primo luogo come "provvedimento medico"? In forza della sua competenza ontologica e non derivata da altre "scienze", pur trovandosi sempre anche in dialogo con esse, può dire che tutto è "in movimento", anche il periodo della pandemia è un momento del movimento e non una manifestazione dell' "essere-sempre", anche nel caso che con essa davvero finisse la storia, non sarebbe comunque qualcosa di assoluto. La prima triade che abbiamo imparato da Massimo è stata quella di "origine-movimento-meta"; l'origine e la meta non dipendono dall'uomo, perché egli è un essere finito che né si fa da sé né si finisce da sé (anche il suicidio non è una fine né un fine). Lo stesso vale per la nuova triade: "essere/essere-buono/essere-sempre"; il dono dell'essere l'uomo non se lo da da sé (quando ciò viene pensato, viene pensato come un'ontologia utopica e non biblico-cristiana), come non può darsi l'essere-sempre. "Nessuna creatura è la propria meta, perché non è neppure la propria origine... infatti tutto ciò che basta-a-se-stesso è in qualche modo senza origine" (Massimo). Ma l'uomo può "lavorare" per il suo essere-buono. Essere-fedele ha detto questa mattina il Papa, come risposta all'Essere-gratuitamente-fedele di Dio. Essere-buono ed essere-fedele si trovano in un rapporto di "Selbigkeit" (sono la medesima cosa). 

Queste triade si possono anche esprime nella modalità ontologiche dell' Esserci/essere-buono/essere-sempre); a livello psicologico possono essere espresse in questo modo: stato di possibilità e la disposizione operativa (dúnamis), lo stato della realizzazione (enérgeia), lo stato di calma e pace (argía) ed infine a livello ontologico-teologico come natura (ousía), la realizzazione spirituale e libera della natura come "intenzionalità", la grazia (cháris).  A qual si voglia livello della nostra riflessione ci troviamo, noi siamo sempre e solo responsabile del secondo momento e questo non nella modalità della autoredenzione, ma di un "desiderio e lavoro continuo"; noi non siamo mai responsabili del movimento-in-sé, della dinamica-in-sé, perché a questo livello siamo sempre "passivi" - non ci creiamo da noi e la nostra responsabilità è sempre "limitata". Anche se una persona dovesse ammalarsi con il contatto con me, se non ho fatto cose stupide ed irresponsabili, non è una mia responsabilità, perché la dinamica di un processo in sé non dipende da me. Noi non abbiamo la "conoscenza-in-sé", ma sempre una conoscenza relativa e quindi anche una responsabilità relativa. Il nostro lavoro è appunto una risposta fiduciosa ad un primerear della fiducia: un adeguamento ad un origine che è prima del suo esserci ed ad una meta che lo trascende. Quindi questo limitarsi al secondo momento della triade non è qualcosa di chiuso, ma di aperto perché lo schema della triade è appunto in un processo da un origine ad una meta che si trovano nella modalità della Selbigkeit; teologicamente si tratta di un movimento "dal Padre al Padre" (Adrienne von Speyr).  

(14.04.20) - Aion, ciò che è sempre (La sintesi del cosmo. Essere e movimento, a)

Nell'epoca moderna abbiamo imparato a pensare in modo "trascendentale", con Kant, su "spazio" e "tempo"; ovviamene la teologia e la filosofia dei Padri della Chiesa conosce anche  queste categorie (pur tra le tante cose interessanti che scrive Vito Mancuso, la sua predilezione tra pensatori veramente geniali, cioè laici e i teologi, mi è del tutto estranea). Agostino ha scritto pagine molto geniali sulla differenza tra il tempo "cronologico" e quello "soggettivo"; anche Massimo il Confessore ci aiuta a comprendere cosa siano il "quando" e il "dove"; per Massimo il"movimento temporale è espressione dell'essere finito che egli colloca tra génesis (nascere) e stásis (stabilità). Le parole "finitezza", "non identità", "divenire" sono tutte parole che esprimono la stessa idea di movimento; mentre l'aion, è ciò che è sempre. Per quanto riguarda il dono dell'essere finito come amore, esso non è comprensibile senza il "quando" e il "dove" - non veniamo amati in generale, ma sempre in modo specifico, con un "quando" e un "dove" - senza questi concetti non è possibile comprendere cosa sia il dono dell'essere finito come atto gratuito d'amore. 

Per un lavoro in profondità bisognerà distinguere anche tra tempo (il divenire delle cose materiali) e l'evo (la durata delle cose spirituali), ma per il mio diario vorrei tenere fermo che la dimensione delle opposizioni polari si trova anche nella modalità della diástasis (estensibilità) - il movimento dell'essere finito è sempre inteso tra nascita e stabilità, tra movimento e pace, etc. Gregorio di Nyssa insiste più nel senso di un "divenire infinto" che non smette neppure quando si è in Dio, mentre in Agostino, dopo l'irrequietezza dell'essere finito, c'è il riposare in Dio; insomma l'eternità come adorazione silenziosa e calma, mentre in Gregorio è più un'avventura dello spirito che non finisce mai. Massimo è più simile a Gregorio che ad Agostino, sebbene insista di più sulla finitezza del "quando" e del "dove" terreni. Per Massimo la bellezza eterna è proprio la "Selbigkeit" ('essere la medesima cosa di movimento e pace, qualcosa come una "santo ballo". Ora sebbene a me non piaccia ballare, cosa che certamente deve essere stata una delle cose che più abbia deluso mia moglie, devo ammettere che l'idea di un "ballo" che duri sempre mi aiuta di più che l'idea di una "adorazione silenziosa". 

Per quanto riguarda il "quando" e il "dove" che ci sono dati da vivere credo che sia importante sottolineare la loro finitezza: tutto finisce, anche Hitler e Stalin e la nostra paura che una certa minaccia sia senza durata, è qualcosa che non è conciliabile con la finitezza dell'essere creaturale. Anche un virus non è eterno. Anche per la morte più dolorosa vi è un "ora tutto è compiuto". Ma forse anche le due immagini si possono pensare come "selbig" (medesime). 

(13.04.20) Idee e mondo. Critica del mito di una originaria stabilità e suo momento di verità (cfr. Idee, 2ab)

In questa meditazione cerchiamo di comprendere la critica di Massimo il Confessore all' origenismo: si tratta della "critica del mito di una originaria stabilità (stásis)" nell'essere finito e del suo momento di verità. Il mito criticato riguarda questa stásis in cui tutti gli si spiriti creati si sarebbero trovati all'inizio dell'essere finito; questo mito ha come conseguenza "l'origine di ogni movimento nel peccato originale". Balthasar ci spiega la contraddizione insita in questo pensiero (contraddizione non è un'altra parola per "opposizione feconda"): "L'idea di una stabilità ("non movimento") originaria della creatura è una contraddizione in se stessa; perché i concetti di "stabilità" e "nascita" si escludono a vicenda, o meglio: si trovano l'uno al cospetto dell'altro senza alcuna relazione" (Balthasar, ibidem 123).
Quale è il movimento di verità di questo mito: che Dio si è fatto di tutto e di tutti un'idea, che viene rappresenta in modo singolare dal Logos universale e concreto ed in un certo senso si può dire che vi è un'unità di tutte le idee del mondo nel Logos" (ibidem, 126).

Massimo il Confessore propone al posto dello schema: stabilità-caduta quello movimento-stabilità - la nostra irrequietezza, che ci tiene in movimento, non deve avere come motivo ultimo una tragicità esistenziale; il "donec requiescat in te" (Agostino) non è espressione di un'anima tragica, infelice o psicopatica; la stabilità è già frutto del fidarsi di Dio: non si tratta in primo luogo di un desiderio di ciò che non si ha, del "non-essere-ancora" (Ernst Bloch), ma di "un affidarsi in un ontologico essere portati" (Balthasar, ibidem 126), nella modalità del "già e non ancora".  

La critica all'origenismo non significa una dannazione a priori di tutto ciò che ha scritto il grande Origene - Balthasar non lo vuole ridurre a quella figura spaventevole in cui hanno cercato di ridurlo gli integralisti di tutti i tempi. La critica di Massimo è una critica "dall'interno", di uno che conosce il grande maestro e che lo ama: è una critica amorosa. Altre critiche nella Chiesa non sono lecite e per quanto riguarda l'accanimento nelle critiche il Papa con ragione ci ha consigliato il silenzio. 

Cosa posso imparare, nella modalità di un diario filosofico, da questo tema? Nelle decisioni filosofiche si nascondono decisioni che riguardano anche il nostro modo di vivere e di vedere le cose. Faccio qualche esempio. In primo luogo dobbiamo prendere una decisione riguardante la molteplicità di esseri e posizioni: è essa solo relativismo pericoloso o è un dono per crescere? La critica al mito di cui stiamo parlando ci insegna, che il movimento di "discesa" che porta da Dio all'essere finito non è una "caduta", ma un "dono", un dono per l'appunto molteplice che va dai quattro vangeli (non uno) fino alla biodiversità. 

In secondo luogo possiamo imparare a superare un pensiero che sembra profondo, ma non lo è: è solo dialettico. Per capire ciò che è bello, buono e vero non abbiamo bisogno del suo "contrario"; qualcosa o qualcuno è bello in sé, senza questa contraddizione; ciò che la fa bello è l'opposizione polare, per esempio tra il suo volto anziano e pieno di rughe e la bellezza che ci ispira. Tutte le opposizioni polari: idea e realtà, universale e particolare... rendono l'essere finito bello, buono e vero. 

Nel Logos universale e concreto (anche una polarità) viene "ricapitolato" tutto il senso del mondo nella sua molteplicità ed unità, come abbiamo già cercato di comprende nell'ultima meditazione. Questo "principio" (archè) primo ed ultimo del reale non corrisponde, però, ad una necessità metafisica, ma ad una libera decisione di Dio, che diventa "storia". Certo senza "ribellione, presunzione e peccato" non ci sarebbe stato bisogno dell'incarnazione del Logos, ma Dio non è stato sorpreso dalla nostra ribellione e l'idea che "anche il peccato contribuisce al bene", se non vuole cadere in una mera "contraddizione", deve  essere fondata in una decisione prima ed ultima di Dio che anticipa la nostra libertà di peccare: la sua libertà di amare. Ribellione non è la "nascita" dell'essere finito, ma in esso la riduzione del dono in un idolo, che non rimanda più in gratitudine al creatore, ma è semplice egoismo personale e collettivo, curvatio in se ipso, che è il contrario dell'apertura amorosa all'altro/Altro.

Per quanto riguarda la quotidianità in questo tempo di pandemia, vorrei sottolineare l'importanza di questa pensieri teologici e filosofici sulla molteplicità; faccio due esempi, uno filosofico ed uno nell'ambito della pedagogia. La filosofia dell'essere come dono o il corrispettivo teologico del Logos universale concreto come disegno di Dio sulla storia non "tollunt" né la libertà che sempre è in gioco nei processi storici, né l'importanza della molteplicità. Il concerto di scienze politiche, mediche, giuridiche, economiche, sociologiche, psicologiche... non viene "escluso", ma integrato dal Logos universale e concreto, se no, si riduce il "Logos" ad una "magia" o ad un idolo che ovviamente non salvano nessuno; ciò non toglie che poi il Padre possa fare anche di pietre figli di Abramo, ma la grazia non "tollit" la natura, la scienza, etc.
A livello pedagogico abbiamo anche necessità di una molteplicità di approcci, tra cui quello scolastico è molto importante per il "rischio educativo" -  il  lungo lockdown in cui ci troviamo, che riduce questa molteplicità (per quando si cerchi di risolvere il problema con "cloud educative") educativa, con grande probabilità, avrà un impatto non indifferente sul bullismo giovanile. Per pensare il "dopo" che è già cominciato, come si è espresso Papa Francesco, dovremo considerare tanti molteplici aspetti: impatto sui poveri, sui migranti, economico, educativo etc. 

(11.04.20) Idee in Dio. Il cammino gnoseologico (cfr. Idee 1, b)

Una delle critiche più aspre che siano state fatte a Hans Urs von Balthasar è quella di operare/formare una "strettoia", basata su una teologia della grazia (Padre Richard Schenk, OP), che non lascia respirare la natura. Se questa critica è vera, allora essa vale anche per la teologia di Massimo il Confessore o per lo meno per l'interpretazione che ne da Balthasar; io non credo che sia vera, né credo che si possa accusare Balthasar di qualsivoglia forma di "ontologismo" - la sparizione delle "cause seconde", perché inghiottite nella "causa prima" che è Dio.  

Che tipo di conoscenza offre Balthasar? Che tipo di conoscenza trova presente in Massimo? Che tipo di filosofia? Certo per lui come per Massimo tutti i "logoi" hanno un'ultima consistenza nel Logos universale e concreto che è Cristo, ma ciò significa semplicemente che non vi è conoscenza autentica che non sia una "conoscenza amorosa" (Luigi Giussani, Massimo Borghesi); non vi è alcuna "soluzione" del logos o meglio dei logoi finiti nel senso di uno "scioglimento asiatico" in direzione di un "nirvana". Sebbene Balthasar abbia una sensibilità, con il significato che da alla parola "missione" (Sendung), per una buddistica non-sovra-accentuazione della persona individualisticamente intesa, egli pensa totalmente, in questo, nella direzione tomistica del "gratia perficit naturam, non tollit". 

Massimo e Balthasar pensano che la provvidenza divina sia libera, sovrana e sovrannaturale e a differenza dello stoicismo pensa che vi sia una priorità del "Logos-provvidenza" sul "logos-naturale", ma questo per il semplice fatto che senza il Logos universale e concreto che è Cristo non vi sarebbe nulla di ciò che c'è. Questa affermazione del Prologo di San Giovanni, è Parola di Dio e non ha che fare con alcuna strettoia di teologia della grazia. 

Le idee in Dio non riguardano solamente l'essere-in-sé, la vita-in-sé, la divinità-in-sé perché tutto ha invece a che fare con il "Logos perì Monádos, con l'unità dell'essere reale e proprio". Per questo motivo Ulrich ha scritto di una "finitizzazione dell'essere" - l'essere-in-sé invece che essere un'idea in Dio, è piuttosto una idea del tutto astratta - non vi è nulla di più contraddittorio che la riduzione dell'essere in un idea generale ed astratta, perché l'essere è sempre è solo una donazione gratuita di amore concreto (anche generale, ma in quella opposizione polare di cui abbiamo parlato in questa meditazione, tra generale e particolare), anzi la finitizzazione dell'essere accade sempre "nel tempo giusto", come ho accennato ieri. Chi invece interpreta il mondo "etsi Deus non daretur", compie in primo luogo un errore gnoseologico - noi non sappiamo come mai Dio faccia accadere in questo momento certe cose, ma esse accadano in Dio, non al di fuori di lui. Il primo atto gnoseologico intelligente è quello di smettere di pensare che tutto dipende dalla nostra analisi. Il logos-provvidenza  (che pensa in modo storico) è la cura da questa presunzione di ridurre tutto in un logos-naturale (che pensa in modo astorico). Il logos-provvidenza, non "tollit" le ricerche scientifiche, politiche, economiche, ma offre, con un umiltà (servizio) un ultimo orientamento, senza il quale ogni narrazione diventa espressione di una follia raccontata da un matto. 

Tenendo conto, però, che i matti ci sono, ed anche i peccati, anche il peccato di non voler corrispondere alle idee in Dio (bontà, bellezza, giustizia...),  la fondazione della idea del mondo in Dio si trova in una opposizione feconda e polare con la predeterminazione del destino dell'uomo come "divinizzazione", che prende la "figura dell'incarnazione del Logos di Dio". In questa accade quel misterioso scambio di cui parlano  molti padri della Chiesa: Dio diventa uomo, e l'uomo Dio! 

(10.04.20) Idee in Dio. Il cammino ontologico (cfr. Idee 1, a) 

Il mio commento è comprensibile anche senza leggere il testo di Balthasar, ma senza di esso perde di precisione e profondità. Io scrivo qui solo alcuni punti che mi aiutano nella mia meditazione quotidiana. 

La meditazione ha come tema "la partecipazione delle cose all'idee di Dio". Tra le cose, ma anche tra le persone e Dio vi è un "abisso"; l'opera principale di Ferdinand Ulrich si chiama: Homo Abyssus. Il rischio della domanda riguardante l'essere. Questo abisso non può essere spiegato a sufficienza con lo schema di un fluire della molteplicità dall'uno, tanto meno come caduta dall'uno, ma la donazione dell'essere è un atto libero, gratuito e creatore. Dio vuole creare l'essere finito e lo vuole creare con la sua molteplicità, anche se l'unità ha una priorità integrativa (non esclusiva) su di essa. Questa sua volontà esprime il suo amore gratuito - questo significa creazione dal niente, dal niente dell'amore, dalla sua gratuita ed inspiegabilitaultima. 

Le idee in Dio non sono Dio stesso che sommo essere in atto; le idee possono essere anche solo delle "possibilità" - quando diventano reali ciò a che fare con la volontà libera di Dio, che le pone in essere in modo opportuno e nel giusto momento. Quanto il momento non è del tutto giusto, o almeno a noi sembra così, è per un operare o omettere dell'uomo e non di Dio. La distruzione dell'equilibrio del sistema ecologico fa si che un virus, che in sé ha qualità positive, diventi estremamente pericoloso. Insomma accade nel momento non giusto? Dipende, vi invito a pensare da soli su questo punto, io l'ho fatto passeggiando. 

Ma in primo luogo Dio vuole le persone, non le malattie, e queste sono poste nel "momento giusto"; la frase "diventa te stesso" significa che l'uomo ha la possibilità di diventare se stesso, anche in una situazione critica. L'intervista del Santo Padre ad Austen Ivereigh di questi giorni dice cose grandi su questo punto e su tanti altri. Per Massimo non è solo questione in generale di idee, che sono per così dire il disegno di Dio nel mondo, ma di quel Logos universale e concreto, in cui tutte le idee sono ricapitolate, che è il senso ultimo dell'universo: "in questo senso massimo il "diventa te stesso", "diventa ciò che sei" come adeguazione dell'essere esistente alla sua idea, come Dio l'ha portata in sé, è identico con la sequela del Figlio di Dio" (113). Morte, sepolcro e risurrezione sono il cuore del mondo. Ciò significa anche che "la sostanza di tutte le virtù è il nostro Signore stesso" (Massimo). "Egli è la saggezza originaria, la giustizia originaria, la santità originaria" (Massimo). Avere un "abito" costante di giustizia è partecipazione alla giustizia massima del Logos universale e concreto che è Cristo. 

Ma fa parte anche dell'idea di giustizia divina, la ineguaglianza (anisótes) tra le cose esistenti e tra le persone; la molteplicità e differenza tra le cose e le persone (e con Papa Francesco abbiamo anche imparato: delle religioni stesse) non è ingiustizia, né relativismo,  ma giustizia massima; Dio ama indifferentemente tutte le persone e tutte le cose, ma nella modalità della loro differenza reciproca. Poi ovviamente visto che il viaggio dell'esistenza va dal Padre al Padre, l'unità ha una sua prevalenza integrativa. Una sovra accentuazione dell'idea dell'elezione, porta ad una comprensione sbagliata di quel amore particolare che Dio ha per il suo popolo, ma di ciò ne ho già parlato. 


(9.4.20) Le trasformazioni dell’uno (ibidem, 4, ab) - appunti per una filosofia e teologia dei numeri 

Per riflettere sul Dio trinitario e sulle due nature, ma una persona di Cristo, ma anche sul mondo finito abbiamo bisogno di una teologia e di una filosofia dei numeri. Massimo non si confronta in questo caso in modo primario con la filosofia antica (Pitagora, il Parmenide di Platone…), ma piuttosto con i Padri della Chiesa a lui precedenti, che possono essere, semplificando, divisi in due schemi interpretativi - quello che ritiene la molteplicità come „caduta“ dalla semplicità dell’uno e quello che ritiene la molteplicità e il movimento come espressione d’amore dell’uno; Massimo appartiene più a questo secondo schema, ma alle volte si esprime con il linguaggio del primo. 

Lo sforzo filosofico compiuto è quello di comprendere cosa sia un „numero“: la risposta è molto interessante: „il numero non è per nulla una realtà (pragma), tanto meno un operare“. Una amica mi ha raccontato di un pastore che non riconosceva la pecora mancante perché le avesse contate, quindi se ne aveva cento e ne mancava una, ne rimanevano 99, ma riconosceva il fatto che una determinata pecora, che lui conosceva „individualmente“, cioè nella sua „unità“, non c’era. Cosa è allora un numero? Un „segno“ chiarificante ed alludente, ma pur sempre un segno, e non una realtà. Non definisco mai una persona perché è una, ma perché è così: l’essere così di mia moglie la rende mia moglie, non il fatto che è una. 

Questo ci permette di comprendere come mai sia Dionisio che Massimo sono molto scettici nel definire Dio con un numero: la soluzione è piuttosto: „né Trias, né Monas“. E comunque anche per la questione di Calcedonia, i numeri uno e due non fanno comprendere ancora cosa è accaduto con l’incarnazione di Dio, in cui le due nature sono „unite, ma non confuse“ - questo mistero è ciò che veramente conta. E i numeri sono, forse, un segno per indicare questo mistero. 

Per quanto riguarda la realtà finita, abbiamo sempre bisogno di un’opposizione polare per comprenderla: unità e molteplicità, pace e movimento, persona (esistenza) e natura (essenza), etc. L’unità tra due sposi, non significa che si amino davvero, né che la molteplicità di idee sia davvero segno di libertà, etc. Abbiamo bisogno di entrambi i poli e poi si può sottolineare che uno ha una priorità sull’altro, ma integrativa, come nel caso della verità come sinfonia, non esclusiva - per esempio nel caso dell’uno e degli altri numeri possiamo dire che l’uno ha una certa priorità, visto che anche se contiamo a partire dal due, parliamo appunto di „un“ due. 

A livello filosofico ontologico riassumerei così questo passo che abbiamo fatto con Massimo: la finitezza non è peccato, la molteplicità non è peccato, ma segno per l’appunto della realtà finita ed anche se l’unità ha un ultima priorità sul molteplice - siate una cosa sola perché il mondo creda - una comunità è alcunché di ricco se la differenza e la particolarità delle singole persone è in movimento, è sinfonica e nessuno potrebbe vedere e vivere come gioia se questa molteplicità  venisse omologata. L’amore è uno, proprio in quanto è altro! 





(08.04.20) L'unità di Dio, lodata in modo triplice (3, a e b)

Il pensiero storico di Agostino (sono note di diario, non dichiarazioni dogmatiche) mi aiuta tanto a fare un discernimento non univoco tra la civitas Dei e quella degli uomini, ma il pensiero non storico di Massimo il Confessore, mi sta aiutando molto a fare quel silenzio necessario (non mutismo) per comprendere Chi è incomprensibile: Dio, che è Amore. In questo momento della mia vita un trattato di "teologia positiva" sulla Trinità, credo aumenterebbe solo i "nomi teologici" che ho in testa, mentre al teologia negativa di Dionisio e in modo particolare di Massimo, mi bastano per alimentare la preghiera con un pensiero orante e ringraziante. Non ho in questo il bisogno filosofico greco di superare la mitologia in un'idea monoteistica , che di fatto rimarrebbe "un'unità astratta e speculativa"; il Dio di Massimo, ci spiega Balthasar, è un "Dio cristiano": "il suo Mysterium è gravido di un mistero  di fecondità indicibile" (3, b); non è un'idea, neppure quella del sommo bene platonico, ma è proprio amore, come caritas ed eros (un tema teologico che giunge fino all'enciclica di Benedetto XVI "Deus caritas est"): è un Dio che è misericordioso ed ama tutti senza differenze: "proprio questo amore, che non fa differenze, che ama tutti gli uomini in modo uguale, nella modalità di un agape che sa differenziare, ma sa differenziare come aumento sovrabbondante dell'eros filosofico e contemplativo, rispecchia per Massimo in modo puro come Dio si è rivelato nel Figlio divenuto uomo e nel suo Santo Spirito" (edizione tedesca, 97). Anche una teologia dell'elezione non deve farci dimenticare questo amore indifferenziato di Dio per i buoni e cattivi (quasi che io possa dire in modo univoco chi sia stato eletto e chi non lo sia) - questa è tra l'altro ciò che Jürgen Habermas vuole ereditare, anche per il pensiero secolare, del pensiero credente.

Massimo conosce la necessità liturgica di cantare il "Santo, Santo, Santo", ma non si perde  in un pensiero che piuttosto che trinitario a me sembra triteista e che non permetterebbe alcun dialogo ne con l'ebraismo né con l'Islam. Con Padre Dall'Oglio (così si espresse nel 2008, dopo il Sinodo dei Vescovi cattolici sulla Parola di Dio; cfr. Riccardo Cristiano, La profezia messa a tacere, Milano 2017, 127-129) credo che dovremmo imparare a comprendere l'Islam come "non straniero al contesto biblico". Il Corano nasce come lode orale di Dio, ma in dialogo con le religioni del Libro, formula questa, che in contesto islamico non è per nulla offensiva. Noi siamo davvero "Gente del Vangelo", anche se il Vangelo stesso è una Persona e non una "lettera": "Centrata e radicata in Cristo, la Sacra Scrittura è parola di Dio" (Dall'Oglio, ibidem 129). Con Hegel e Massimo credo che la Trinità non sia una questione di "numeri" - per questo è un mistero, se non basterebbe il paragono con una classe di scolari, che sono 28 ma una classe, per spiegare la Trinità. Io credo invece, che pur con tutto il rispetto, delle similitudini (la famiglia come immagine della Trinità)  bisogna stare attenti a non proiettare il mistero di Dio in cose e persone che ne sono immagini, ma che non sono Dio! Dio è solo Uno! Che poi nel suo lato "economico" (ad extram) ci venga rivelato un Dio trinitario, ciò è dogmaticamente vero, ma non ci permette di dire che abbiamo compreso Dio. Comprendiamo un po' ciò che ci è stato rivelato: che il Padre si compiace nel Figlio e che lo Spirito Santo coopera con il Figlio, ma di tutto questo io non farei, con Massimo, alcuna "scienza" - va detto quanto basta per lodare in modo triplice l'unico Dio. "Santo, Santo, Santo"! 

(07.06.20; 60esimo anniversario del mio battesimo) C'è un motivo che po essere sottoscritto dai grandi della teologia: "Dio non può essere compreso dallo spirito; se viene compreso, sicuramente non è Dio" (cfr. ibidem, l'inconoscibilità di Dio, 2) 

La comprensione di questo motto, che esprime la "teologia negativa" di Gregorio di Nyssa, di Agostino e di Massimo il Confessore, è una questione vitale: Balthasar dice che non si devono contrapporre i teologi, anche quanto essi abbiano posizioni differenti - si può pensare e pregare anche se si hanno posizioni differenti, ma negare questo motto, significa semplicemente non essere più teologi. 

Prima camminando avevo il bisogno di non pregare come ieri una "Via crucis" con parole ben precise, ma di dire solo alcuni, come dire, "punti chiavi", nomi, e poi aspettare da Dio una "risposta" fosse anche solo il silenzio: la caduta del Signore, Maria, le pie donne, Veronica;  Giovanni, Giuda, Pietro (questi tre nomi in riferimento al Vangelo di oggi). Noi abbiamo paura del silenzio, che è poi l'unica risposta al dolore del mondo, e spesso lo confondiamo con il mutismo, perché si potrebbe rivelare che noi crediamo solo ad una nostra "costruzione", non al vero ed unico Dio, che non si lascia chiudere nei nostri "concetti". 

Ma in gioco non è solo la "teologia" - perché è necessario anche per le realtà finite, una filosofia dei poli opposti e fecondi? Perché noi non siamo capaci di comprendere neppure il senso ultimo di una mosca, figuriamoci dell'uomo. E la percezione dell'impenetrabilità dell'altro e della sua alterità, del fatto che egli è un "egli" o un "lei" (anche nel rapporto con noi) e non solo un "tu" ed un "noi", non è una questione di "tristezza", ma di "somma gioia"e l'appartenenza cristiana non cambia a questo elemento decisivo dell'umano proprio nulla. Non solo Dio è in comprensibile e libero, ma lo è anche un delfino e ancora di più la persona amata. Lo è anche il Sars-coV-2, come stiamo imparando in questi giorni (anche se ovviamente speriamo almeno di poter capire di esso abbastanza a livello medico per poterci guarire).  

Nessun discorso sulla appartenenza cristiana potrà mai superare questa discrezione ultima, che è poi una forma di carità, come pensa il Papa (cfr. Lucio Brunelli, Il Papa come l'ho conosciuto io), di reale amore gratuito, per cui l'altro e l'Altro sono un mistero. Vediamo i raggi di Dio, non Dio! Skótous  aktís  - il raggio che si fa strada dalle tenebre.


(06.04.20) La dialettica della analogia come opposizione polare (Dio 1b) 

"Il motivo che ci accompagnerà durante l'intero studio è quello dell'opposizione polare tra immanenza e trascendenza" (Balthasar), è insomma il tema di quella opposizione polare feconda che è stato l'oggetto dello studio di Massimo Borghesi sulla vita intellettuale di Jorge Mario Bergoglio (Milano 2017), da non confondersi con forme di contraddizione improduttiva o con una sorta di dialettica secolare hegeliana. 

In primo luogo potevo, meditando questa parte del libro, respirare quella pace, che dovremmo sempre respirare quando parliamo di Dio, quel vento lieve che ha sperimentato Elias; Dio non distrugge l'immanenza, ma la dona per amore e la sua trascendenza è amore trinitario, ci rivelerà la Bibbia. La filosofia si ferma all'esserci di Dio, ma non sa rispondere alla domanda di "cosa" o meglio "chi" egli sia. È certamente "Essere", ma anche "Non-essere" perché non è una cosa tra altre cose, né un animale tra gli altri animali, o una persona umana tra altre persone umane e quando in Cristo si farà uomo, lo sarà nella modalità dell'unità e della non confusione. Da lui fluiscono agape (carità, per esempio per i poveri) ed eros (tenerezza, dolcezza, desiderio - ma ovviamente come ci ha insegnato san Francesco si può aver tenerezza anche per un povero o malto) così che si tratta di un Dio che è movimento ed avvenimento, ma allo stesso tempo uno "stare", un "rimanere" che non si indebolisce, donandosi. Ed essendo una sostanza personale "sovraessenziale", non si dona negando ciò che dona, ma volendolo come un "essere-se-stesso" (imago Dei), insomma come una "sostanza personale" che nei confronti di Dio è "nulla", ma pur sempre un "essere".

E visto che la "negazione", riflettendo su Dio torna sempre nel linguaggio di Massimo, dovremmo precisare che non è una negazione, "negazionista" o "nichilista", ma è una "negazione" che rivela il suo essere amore imparagonabilmente gratuito. Perché mi ami? Semplicemente, perché ti amo! 

Dio si dona in tutto l'essere finito essendo piccolo con ciò che è piccolo, è grande con ciò che grande, divino con ciò che è divino; le formule di Massimo sono di una precisione cristallina, che nella mia meditazione da 'diario quotidiano' può solo essere accennata. 

L'insistenza su Dio come amore, sia nel senso di agape che di eros, è decisiva anche per una teologia e filosofia dei sessi, che vede nel desiderio di tenerezza e di compenetrazione dell'altro/altra un momento del desiderio e di compenetrazione (non confusione) proprie di Dio stesso. 

È chiaro che in tutto ciò l'essere non è un "concetto neutrale" con cui esprimiamo tutto: l'uomo è, l'albero è, il covid19 è, etc. L'essere è un atto d'amore che sa integrare tutto, in un senso ultimo: l'uomo, l'albero, il covid 19 (o se vogliamo il nome ancora più scientifico: il Sars-CoV-2). 


(06.04.20, pomeriggio) Massimo il Confessore, era un monaco - in difesa della libertà del monaco 

Massimo il Confessore era un monaco che rinuncia al suo posto importante a Costantinopoli, alla corte di Eraclio I, per rifugiarsi in un un monastero, e non in uno importante, ma un monastero umile a Crisopoli, una città ubicata sullo stretto del Bosforo, in Asia minore, da dove era possibile vedere da lontano la capitale. 
In un certo senso anch'io sono un "monaco", anche se sono spostato ed anche se credo che la sessualità porti una gioia ed un'ascesi in se stessa (comunque questa domanda è per me ancora aperta, anche se ho compiuto i sessanta anni). Ma per quanto riguarda ogni tipo di "corte" - io non voglio "immischiarmi" ad/in essa e non perché non abbia un senso per i dolori degli altri sulla 'piccola via'(Teresa) della verità. Mi ha scritto un amico: "In due parole ti spiego la mia ratio, rispetto le disposizioni delle autorità civili. Desidero che le autorità civili rispettino ragionevolezza e non siano dispotiche. Il Papa durante una omelia ha elogiato il sacerdote che ha portato l’ostensorio tra i villaggi montani e innevati della bergamasca. Per la legge attuale sarebbe un reo. Mi commuovono questi gesti con cui - come ha elogiato il Papa- si espone in pubblico il Santissimo"; con questo argomento egli vuol far vedere tra l'altro che se uno difende la posizione di andare alla Santa Messa alla domenica di Pasqua, difende qualcosa di "rationale", che casualmente difenderebbe anche Matteo Salvini. 

Io non so cosa sia giusto; credo che le regole del lockdown abbiano permesso qui in Germania di tenere la curva, dello schema della cancelliera, bassa, così da non mettere in crisi il sistema medico nelle stazioni di medicina intensiva, ma vedo anche che esso sta creando problemi psicologici, anche medici (troppo poco movimento), economici e sociali di non poca importanza. Prego con il Santo Padre, che non è un fariseo, e che si attiene alle leggi dello Stato italiano, che chi prende le decisioni le prenda tenendo conto di tutti i fattori che devono essere considerati, ma quello che assolutamente non voglio è partecipare a discussioni di "corte", tanto meno posso fidarmi ora nell'emergenza di chi non potevo fidarmi prima di essa, perché difende fondamentalmente una politica di "egoismo collettivo" e per cui la religione è semplicemente "instrumentum regni" (Machiavelli). 

Massimo era un monaco, che sapeva vivere anche da solo ed è morto da solo, dopo che gli hanno tagliato la lingua e la mano destra, ed io difendo totalmente solo la sua libertà, che vedo in atto oggi nel grande palcoscenico del mondo in Papa Francesco e nel piccolo in mia moglie.  

(06.04.20; Lunedì della Settimana santa) I primi passi in una "liturgia cosmica" (Dio 1,a)

In un dialogo serrato con i grandi: Eraclito, Parmenide, Platone e Aristotele, Plotino, Origine, lo sconosciuto Dioniso, Massimo arriva alla sua visione del cosmo e di Dio ed ad una dialettica non panteistica, ma cristiana, come opposizione polare feconda tra trascendenza ed immanenza. Eraclito e Parmenide sono due forme dell' immanenza, senza una dialettica della trascendenza come quella appena accennata: nel primo il mondo, con la sua legge del "divenire" risucchia Dio e nel secondo Dio dissolve il mondo con le sue opinioni. 
In Platone e Aristotele, pur nella differenza tra i due, il vertice dell'essere è luce, una luce impenetrabile, ma pur sempre luce. Platone contrappone realtà ed idee (l'idea del bene come massima idea), che sono il vero essere, mentre in Aristotele realtà ed idee sono le due facce di una medesima medaglia. Dall'est apocalittico giunge una "nebbia" che fa si che il "vertice dell'essere" non sia solo luce, ma un "raggio di luce oscuro", un raggio che viene da un'oscurità impenetrabile. In Origene le "processioni divine" sono anche da intendere come "emanazioni" pure da contrapporre alla dimensione "economica" che non è libera da un eccessivo platonismo.
Plotino non vuole che in questo processo di emanazione la realtà finita venga considerata come "eretica", anche se tutto procede in lui da un uno-originario; la sintesi che ci offre il grande sconosciuto Dionisio parte dall'alto, dai cherubini del cielo che guardano in direzione del Mistero ultimo che è Dio e giunge fino ai vermi nella terra: tutto è emanazione di una musica divina. 

In Massimo, il pericolo, presente anche in Dionisio, che nel processo di emanazione, gli ultimi stadi dell'essere finito, vengano risucchiati nel nulla, invece che attirati da Dio, viene superato: la sostanza spirituale dell'uomo e tute le sostanze (pietre, virus, batteri, vermi, tigri...) hanno un loro valore, una loro intimità ed anche dalle pietre possiamo imparare qualcosa di vitale, per esempio il silenzio.In Massimo veniamo confrontati non con una "liturgia celeste" o con una "gnosi cosmica", ma con una "liturgia cosmica" in cui tutto serve a lodare il Dio sempre più grande. Papa Francesco lo ha capito e per questo ha scritto l'enciclica "Laudato si'". 


(05.04.20; domenica delle Palme) La sintesi di Cristo 

Senza il lavoro sull'opposizione polare in Romano Guardini e Jorge Mario Bergoglio di Massimo Borghesi, non mi sarebbe stato possibile comprendere precisamente quello che Balthasar afferma di Massimo il Confessore, la cui sintesi-Cristo non è un sistema chiuso, ma per l'appunto opposizione polare tra universale e concretezza, tra molteplicità ed unità.

Ieri avevo già detto che la formula di Calcedonia per San Massimo non è solo una formula, ma resa in parole (Auswortung) del cuore del mondo. Essa nel presentare l'unità, ma il non mischiamento delle nature divina e umana in Cristo, ci presenta anche una certa idea di amore, di cui si può dire allo stesso tempo che è unità e distanza. 

Il pensiero di Calcedonia permette a Massimo di compenetrare il mistero dell'essere e dell'Essere nella dimensione verticale e in quella orizzontale. Dio incarnandosi nel Figlio diventa realmente uomo, ma è e rimane Dio: la sua divinità si unisce, ma non si mischia con l'umano. Non comprendere questo significa di fatto secolarizzare il cristianesimo (Hegel), conio prezzo della perdita dell'adorazione rispettosa di Dio. 

A livello orizzontale, in modo particolare per il rapporto tra gli uomini, vale che essi non sono solo "relazione": per quanto sia importante il tu di una persona, essa rimane sempre anche un "egli" o un "lei" o un "*". Ma anche nel sistema ecologico tutto appartiene insieme, per questo è importante la biodiversità, ma questa unità non è un mischiamento. Quando vi è un disequilibrio nel sistema ecologico allora un certo particolare perde la sua singolarità positiva (ciò vale probabilmente anche per un virus) che vive del rapporto molteplice con altre singolarità e si mischia, in modo pericoloso per l'uomo o per gli animali, come stiamo vedendo con il covid19.

Quello che si deve trovare di nuovo, nella natura o nella società (si pensi a cosa Papa Francesco nella sua Laudato si' afferma sulla situazione catastrofale di alcune città sul pianeta in cui le persone vivono mischiate e non unite, per parlare con il linguaggio di Calcedonia) è quella sintesi che ci offre il Logos universale e concreto che è Cristo stesso. Senza il fuoco del suo amore gratuito che è il cuore del mondo ci perderemo e non potremmo essere guariti nelle nostre malattie fisiche e sociali. In questo senso parla Massimo di Cristo come "teodicea del mondo". Con ciò non stiamo facendo una difesa di un sovranaturalismo illimitato; anche per la teologia vale che essa non si fonde con la filosofia et viceversa: il polo filosofico come attenzione all'essere finito e quello teologico come attenzione all'essere infinto non si "mischiano", non si "fondono", perché la legge ontologica della distanza è il presupposto di ogni idea di unità. Per Massimo il Confessore Aristotele e la la teologia di Calcedonia si trovano in un alleanza indissolubile versus un sovranaturalismo illimitato (cfr. ibidem 63), perché conoscono questo mistero dell'unità rispettosa della molteplicità, dell'unità rispettosa della distanza. E per fare un ultimo esempio: se è vero che l'universale ha una priorità nei confronti del particolare ciò vale nella  modalità di un'opposizione polare feconda e non di una contraddizione non rispettosa delle esigenze del particolare stesso. Etc. 

PS Nel capitolo "Cronaca della vita e dell'opera di Massimo il Confessore" (edizione tedesca, 66-73) Balthasar ci presenta un monaco che ha saputo resistere sia alle tentazioni della corte che alla tendenza al facile compromesso, in cui anche qualche papa si era lasciato andare. Alla fine della vita la questione è quella della volontà divina ed umana di Cristo, che Massimo difende nella modalità di una unione, ma non fusione, per i motivi sopra accennati. Approfondiremo la questione nelle meditazioni future. 

(04.04.20, alla sera) Sul mistero dell'amore o più semplicemente: che cosa è amore?

Massimo il Confessore, riesce a livello cristiano, di fare quello che Goethe ha voluto fare ad un livello profano: essere un ponte tra l'est e l'ovest, tra Asia ed Europa. 

Massimo è mistico, è filosofo, è monaco, sa difendere il dogma cristologico non come una formula, ma come il cuore del mondo: "non muore per una formula, ma per il centro del mondo" (Balthasar, ibidem 54) e si impegna per una Chiesa che al suo centro in Roma. 

Come mistico intuisce che tutto l'essere fluisce dal centro d'amore gratuito che è Dio stesso ed a lui ritorna - in un movimento dal Padre al Padre diceva Adrienne; contempla la natura, fino alla sua biodiversità, fino alle stelle è sa che solo dalla forza e dall'energia di questo centro vi è una potenza che sa riportare tutto in armonia, anche il covid19. Anche le stelle parlano di questo centro amoroso.

Come filosofo sa che la mistica da sola non basta; è necessaria una chiarezza di pensiero che sappia trasformare il mondo, pensarlo con precisione. Il suo pensiero non è "apologetico", se con questo si  intende di confutare l'opinione di un altro o il comportamento di un altro; si pensa per cercare la verità e non per confutare gli altri. 

Come monaco sa che l'amore pur essendo la grande forza unificante, non "mischia' gli amanti: "L'amore, la massima unione, si basa solamente sul crescente essere-se-stesso dell'amato" ed anche quando l'amato è Dio, Egli, pur in tutta la sua misericordia e compassione, anzi meglio proprio in forza di ciò, rimane l'imparagonabile Dio, rimane "Altro". 

Infine nella sua polemica e lotta per Calcedonia, non è in gioco solo una "formula", ma il cuore del mondo: le nature divina ed umana di Cristo non sono separabili, ma neppure si mischiano o confondono. Questo vale fino al livello esistenziale, come mi scrisse Balthasar quando avevo diciannove anni: "Siete allora pronto ad accettare a fondo una donna che differirà profondamente da Lei, ed amarla non perché si sottomette alle vostre "idee", ma in un semplice amore reciproco " (traduzione di Jacques Servais S.J.) - insomma anche l'amore matrimoniale non mischia i due, pur rendendoli una sola carne. 

(04.04.20, pomeriggio) "Non si da teologia, senza filosofia" (Balthasar, Teologica, I)

La frase della Teologica balthasariana, che ho citato qui come titolo di questa meditazione, corrisponde anche al pensiero del giovane Balthasar, nel suo lavoro di patristica su Massimo il Confessore. Nel sesto secolo, ma è in vero un problema che abbiamo anche oggi, scuola e spiritualità sono separate in modo non fecondo. Le polemiche cristologiche, con le loro componenti di "teologia politica", trovano spazio nella "scuola", mentre la spiritualità si è rifugiata nelle riflessioni senza tempo. Massimo cerca una "sintesi", che non è "sistema", ma un metodo per superare un "dualismo" che non può portare frutti, perché l'uomo tende all'unità. 
L'"opposizione polare" di Romano Guardini e di Jorge Mario Bergoglio non sono una difesa del "dualismo", ma un modo aperto di proporre una sintesi, che non scada in un sistema di stampo hegeliano. 
Torniamo a Massimo. Il filosofo che qui entra in dialogo con la teologia, con mediazioni stoiche e neoplatoniche, è Aristotele. La realtà creaturale non può essere sacrificata ad alcuna dialettica schematica dell'essenza contro l'apparenza. il primerear, l'amore di Dio per l'uomo e la risposta dell'uomo non accadano nella modalità una manifestazione di potenza di Dio versus l'uomo o di un suo accecamento. Questo non è appunto amore, ma volontà di potenza e di annichilamento dell'altro. Il "nulla" dell'amore, la kenosis propria dell'amore divino annulla piuttosto se stesso, che l'altro. 
Lo spirito pensante non può rinunciare alla sua dimensione propria di pensieri chiari, distinti e che spingono ad una decisione. "La forza del pensiero è la potenza  che trasforma il mondo" (Balthasar, 47) - certo si tratta di un pensiero amoroso e non gnostico, ma non può essere sacrificato a nessuna pseudo mistica dell'assorbimento dell'uomo in Dio. Quando il pensiero occidentale tenta tali vie di "conciliazione" con l'India, non si avvicina per nulla, spiega Balthasar, a ciò che ci è estrano, insomma non è un incontro con l'altro, ma semplicemente una perdita della propria identità. 
Questo vale mutatis mutandis anche per il dialogo con l'Islam - di più di quanto fosse forse disposto a fare Balthasar, sarà necessario, bisognerà sottolineare ciò ci unisce, per esempio la "fratellanza di tutti gli uomini", piuttosto di ciò che ci divide, ma per far questo bisognerà identificare temi fecondi, come lo può essere Maria; nel dialogo islamico cristiano di questi giorni "la ambasciatrice del Marocco presso la Santa Sede si è soffermata sull'importanza che il testo sacro per i mussulmani attribuisce  alla donna, ricordando che Maria viene definita nel Corano come 'eletta e scelta su tutte le donne del creato'" (Riccardo Cristiano, Maria per la Pace, La Stampa, 04.04.20: https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/04/03/news/maria-per-la-pace-primo-incontro-musulmano-cristiano-nel-tempo-della-pandemia-1.38674374?fbclid=IwAR0MaP0njqijDy9DlFlqU2OjVIpWtTLFDgS_2QGLC5nktdMMWje0Jv-gzTc). 

Per quanto riguarda il testo sacro dei cristiani, per Massimo è importante sostenere una lettura non fondamentalista della Bibbia: rinunciare ad una ricerca speculativa - non astratta e gnostica, ma realmente spirituale come quella che ci fa vedere la mattina presto il Santo Padre nella predica a braccio in Santa Marta - significa rinunciare al senso in sé e per noi della Sacra Scrittura. Giovanni stesso (Gv 5,39) ci invita a cercare un senso nelle Scritture:  "Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza." E lo sono se le si legge in modo realmente spirituale.

Per quanto riguarda il rapporto tra spiritualità e realtà terrene credo che la Comunità di Bose abbia molto da insegnare su questo punto. Anche il Santo Padre con i suoi temi: la nostra casa comune (Laudato si'), i poveri (Evangelii gaudium, laudato si'...)  e la fratellanza universale (documento di Abu Dhabi) ci fa vedere come da una reale attenzione spirituale si giunga a temi che riguardano strettamente la realtà finita e creaturale. Anche il lavoro di Stefan Oster sulla "sostanza personale", che traccia una linea da Aristotele passando per Tommaso d'Aquino e giungendo fino a Ferdinand Ulrich, non è solo utile per i temi cattolici tradizionali (aborto, eutanasia), ma anche per tutti i temi sociali: una persona non può essere ridotta ad un oggetto (come schiavo, nella pornografia...). Nell'idea di "sostanza personale" è implicita anche l'idea che la persona non è solo "relazione" senza un essere-se-stessa ed un essere in quanto se stessa in relazione ad un altro/Altro.  Da questo tipo di valore della realtà finita si potrà formulare infine anche una filosofia e teologia dei sessi che sia espressione dell'amore gratuito stesso. 

(04.04.20, mattino presto) Una lettera a Lucio Brunelli di cui parlo anche di questa mia "nuova lettura", nuova meditazione del testo di Balthasar su Massimo il Confessore

Caro Lucio,
quando prego la „coroncina della misericordia“, la seconda decade è dedicata alla preghiera 'per e con il Papa' (la prima 'per e con' la mia famiglia); alla fine della decade mi immagino come il popolo fedele Dio vada nei diversi santuari mariani a pregare Dio e Maria: parto dall’Argentina e vado in giro per tutto il mondo, passando anche per Aparecida in Brasile, che tu citi nel capitolo odierno.
La domanda del Papa a se stesso sui i gay (chi sono io?) è sta per me molto importante, perché durante la scuola, vado due o tre volte alla settimana con un gay in macchina; non so se cerca Dio, ma adesso negli auguri che mi ha fatto per il mio compleanno, ha scritto anche tra i diversi auguri della benedizione di Dio. 
Per quanto riguarda le critiche al Santo Padre, esse anche qui in Germania, vengono da sinistra (progressisti) che da destra (tradizionalisti); quest’ultimi sono di fatto molto più aggressivi e pericolosi; i primi ripetono quello che hanno sempre detto contro i pontefici (mancanza di una riforma del sacerdozio per le donne…). Poi ci sono quelli che non lo criticano, ma che di fatto non sanno che fare di questa mano posta dal cielo per aiutarci
Alla fine del capitolo scirvi: quello che afferma il Papa ha sempre a che fare con una motivazione „pastorale o più semplicemente evangelica“, anche la differenza tra persone e gruppi di pressione. Ecco, all’inizio del cristianesimo ci sta Cristo con l’annuncio, anche a parole, del Vangelo. Anche Cristo non era uno sprovveduto a livello intellettuale, ma non è questo il cuore della sua missione nel mondo: è venuto per salvarci gratis, e per far questo è disceso fino all’inferno. E propio nell’inferno accade l’annuncio della risurrezione, improvviso e senza alcuna mediazione umana; in mezzo alla melma senza forma del peccato del mondo, Cristo risorge! E tutto riceve di nuovo una forma, che non è un „carisma“, ma per l’appunto la „chiesa“, di cui Pietro è la „roccia“. Ieri leggendo il libro di Balthasar su Massimo il Confessore, mi sono accorto che già nel sesto secolo la lotta contro l’integralismo di Bisanzio (di „teologia politica“ per parlare con Borghesi), ha portato il grande Confessore della fede cattolica (Cristo, vero Dio e vero uomo, in modo non distinto e non mischiato) a Roma. Ora la differenza è che a Roma ci sta non solo la „pietra“, ma anche l’ „amore gratis“ in tutta la sua forza e disponibilità a vivere la solitudine.

Tuo, Roberto 

(03.04.20) Nel 1941, quando si svolgeva la seconda guerra mondiale, Balthasar scriveva una monografia su Massimo il Confessore, che ripubblicherà nel 1961. È un giovane di 35 anni che scrive quel libro, che metteva in evidenza la lotta contro l'integralismo della "teologia politica" di Bisanzio da parte di Massimo il Confessore. Questo contesto patristico poi, in tutta la sua vita, permise a Balthasar di criticare tutte le altre forme che nella storia del cristianesimo essa ha assunto e che per noi si manifesta, oggi, in quella "teologia politica" degli USA, che ha cercato di affossare il grande pontificato di Francesco. Con il suo "sperare per tutti" Balthasar, poco prima della sua morte (1988), fu fatto oggetto di critica da parte di quell'integralismo cristianista che non voleva e non vuole alcuna libertà di spirito, ma solo fedeltà alla lettera di certe formule dogmatiche e che per esse è disposto a mandare all'inferno, per una presunta giustizia divina, miliardi di persone.  

A differenza del mio maestro io non sono per nulla esperto di questi temi patristici, ma credo di potere ereditare dalla sua monografia alcunché di molto importante per la mia vita ora. In primo luogo l'unità tra filosofia e spiritualità, unità, nella modalità di un'inseparabilità, che non può essere intesa, però, come mischiamento delle due dimensioni. Una preghiera senza filosofia è puro atto bigotto e non salvifico; una filosofia senza preghiera non comprende quella dimensione ontologica prima che vede l'intima unità tra "denken" (pensare) e "danken" (ringraziare).Eppure momenti in cui è prevalente la preghiera, ed altri in cui è prevalente il pensare. 

Incontrare l'amore gratuito e libero di Cristo è allo stesso tempo un atto filosofico e di preghiera; seguendo Calcedonia, Cristo è Dio ed uomo, in modo non diviso e non mischiato; nella semplice preghiera è possibile incontrare questo mistero, ma anche la semplice preghiera ha almeno una forma incoativa di comprensione del Mistero stesso, che un santo e martire come Massimo ci ha aiutato a comprendere in modo molto preciso. 

Che cosa è in gioco in questa lotta contro l'integralismo di cui stiamo parlando? Filosoficamente l'idea di "sostanza prima" di Aristotele che io sto cercando di approfondire, in modo cristiano, in dialogo con Stefan Oster e la sua idea di "sostanza personale" (anche in questo mio blog). Questa sostanza personale non è comprensibile con la categoria della "caduta": la realtà finita è davvero realtà, anche se in relazione alla realtà ultima di Dio. Quando Dio dona, con un atto di donazione, le sostanze finite, di cui la massima è quella personale, fa un vero dono, non un pseudo dono. L'atto di donazione si finitizza per amore e non nel senso di una caduta dall'ideale. 

E Roma e Pietro cosa centrano (perché anche di questo parla Balthasar nella sua monografia su Massimo)? Come sappiamo da Galati, 2, ma anche da questa storia di Massimo il Confessore, alle volte Roma può tendere al compromesso, invece che alla verità - cosa che non è per nulla un problema di questo pontificato, che è invece solido, sia dal punto di vista filosofico, che teologico, che spirituale - ma di fatto vi è una promessa del Vangelo, che è volontà di Cristo stesso: a Pietro è stato promesso che le porte dell'inferno non prevalevano sulla Chiesa; questa promessa non è stata fatta a Bisanzio e tanto meno a Washington D.C. Per cui un grande spirito come Massimo il Confessore o come Hans Urs von Balthasar si sono messi al servizio di Roma e di fatto è proprio Pietro (Francesco) con la sua grande universalità (cattolicità) del rapporto con tutti i fratelli uomini (Abu Dhabi, 2019) che è capace di correggere anche certe tendenze, forse troppo polemiche, del mio maestro, per esempio nella questione dell'Islam. 

E con la priorità del "tempo", sullo "spazio", è proprio Pietro che ci fa respirare di nuovo quella libertà senza la quale l'occidente ha perso la sua vera identità di affermazione libera del molteplice ideale e materiale. 

La forma della meditazione risponde anche al bisogno di non vivere solo nella "notizia", ma di porre la nostra intera esistenza nel Movimento da Dio Padre a Dio Padre, e di cui l'unico "mediatore" è Cristo!