sabato 23 maggio 2020

Lettera alla mia amica Anna Martina, nel primo anniversario della sua morte - Giulia De Angelis Blagho

Lettera alla mia amica Anna Martina, nel primo anniversario della sua morte.
Cara Anna, ti conobbi tanti anni fa ad un ricevimento del Consolato italiano di Aleppo, in uno splendido appartamento arredato in stile levantino. Si festeggiava il compleanno della Repubblica italiana e sul balcone si intravedeva il tricolore che danzava nella sera aleppina di una città siriana da sempre ospitale con gli stranieri dal tempo del diwan ottomano. Proverbio aleppino: anche se tratta con un cane l' aleppino lo fa sentire un principe o principessa. Anna cara, mi invitasti a casa tua e qui inizio' la nostra amicizia in una casa di cuscini e quadri e un balcone simile ad una alcova dove si poteva riposare nelle notti calde d"estate ed essere risvegliate dal canto del muezzin che chiamava i fedeli alla preghiera dell' alba da un minareto vicino.
Poi con semplicità mi raccontò che si era fatta mussulmana alla morte del marito per poter gestire l'avvenire dei figli e la patria potestà su di loro. Firmando l'atto della sua conversione disse allo sheik -giudice che nel suo cuore rimaneva cristiana. Amica mia, raccontandomi la tua storia fosti la prima persona a spiegarmi che Allah il misericordioso, il suo nome sia benedetto, è in lingua araba Dio, colui che è. Arrivederci Anna, a presto. Inshallah.

venerdì 8 maggio 2020

La spiritualità ignaziana di Papa Francesco - in dialogo con Jacques Servais SJ

Wetterzeube. La mia comprensione di Papa Francesco è passata attraverso alcune tappe importanti. Il primo libro che mi fece conoscere il mondo latino americano di Papa Francesco è stato quello di Alver Metalli in dialogo con Alberto Methol Ferré (Il Papa e il filosofo, Siena 2014). Forse il pensiero che più mi colpì allora fu quello del "momento di verità" presente sempre anche nelle posizioni avverse alle nostre. 
Il libro di Massimo Borghesi sulla vita intellettuale del Papa (Jorge Mario Bergoglio, Milano 2017) confermava ed arricchiva la mia intuizione che avessimo a che fare non solo con un Papa pastore, ma anche con un Papa filosofo. L'idea di un "opposizione polare" (Romano Guardini), che permette di salvare la dualità propria all'essere creato (tema che sto approfondendo in un lungo post su Massimo il Confessore) mi ha permesso di comprendere la differenza tra contraddizione non feconda e polarità feconda, nell'interpretazione del reale.
Dei tanti lavori di Padre Antonio Spadaro SJ mi hanno arricchito in modo particolare quello sulla diplomazia vaticana (Antonio Spadaro, Il nuovo mondo di Francesco, Venezia 2018), l'introduzione magistrale all'Esortazione apostolica, Querida Amazonia (Città del Vaticano, Venezia 2020) e l'introduzione alle "Lettere della tribolazione" (Milano 2019). 
Un tratto personale ed intimo di Francesco me lo ha offerto il libro di Lucio Brunelli, Papa Francesco. Come l'ho conosciuto io (Milano 2020). Vorrei anche citare il libro di Silvina Premat, "Preti della finde del mondo. Viaggio tra i curas villeros di Bergoglio", (Bologna, 2014), perché fa vedere che tipo di sacerdoti "genera" Jorge Mario Bergoglio. 



Nel tempo della pandemia ho potuto seguire Francesco ogni giorno nelle sue prediche francescane ed ignaziane del mattino alle 7.  Pensavo di aver insomma conosciuto già tutto il meglio del papa e con le prediche di Santa Marta "il meglio del meglio", come le ha definite Lucio Brunelli. Invece ho scoperto ancora un gioiello, uscito nella rivista ella Pontificia Università Gregoriana, Gregorianum, di Jacques Servais SJ, Jorge Bergoglio and the theologians who shaped his Reading of the Spiritual Exercises (Roma 2018 - 99/3).  
Certamente si potrebbe andare anche sulle tracce dell'amicizia del Papa con don Giacomo Tantardini e Luigi Giussani, ma questo testo del gesuita belga Padre Servais, presidente della Casa Balthasar-De Lubac-Von Speyr a Roma, per il discernimento della scelta di vita per i giovani, che rinvia ai due grande della teologia del XX secolo, Hans Urs von Balthasar e Henri de Lubac, mi sembra non meno importante e ci conduce nel centro della spiritualità ignaziana: il libro degli Esercizi di Sant'Ignazio di Loyola. Seguiamo dapprima quanto il padre Servais scrive nel Sommario del suo articolo:


J. M. Bergoglio è stato iniziato al metodo degli Esercizi ignaziani da p. M. A. Fiorito che promuoveva l'interpretazione di Gaston Fessard nella Provincia SJ argentina. Dal gesuita francese ricavò la nozione di una tensione dialettica tra grazia e libertà, che, contrariamente a Hegel, è riconciliata dal Mistero che agisce nella storia. Attraverso gli studi di A. López Quintás scoprì Erich Przywara con la sua concezione del Dio sempre più grande. Successivamente si occupò di Romano Guardini e approfondì in particolare il suo concetto di «opposizione polare». A dare forma alla sua comprensione specifica degli Esercizi fu, tuttavia, soprattutto decisiva la lettura di H.U. von Balthasar e, in qualche misura, quella di Henri de Lubac. Questo articolo mostra l'influenza peculiare di questi autori su alcuni temi centrali degli Esercizi Spirituali: Dio incarnato e sempre più grande; sentir o conoscere mediante l'esperienza; la riverenza, l’amore, la magnanimità; la relazione tra misericordia e peccato; la chiamata di Cristo; e il sensus ecclesiae.

Quello che mi ha colpito in modo particolare in questo articolo è la sottolineatura teologico spirituale di Padre Servais che deve completare quella filosofica sulla "unità antinomica" (Romano Guardini, Massimo Borghesi) riguardante l'armonia (Ignazio di Antiochia) e la sinfonia (Hans Urs von Balthasar) nella interpretazione di Bergoglio degli Esercizi Spirituali di Ignazio. Se è vero che non si da teologia senza filosofia (Balthasar), perché solo in questo modo è superabile il pericolo del fanatismo, allo stesso tempo la spiritualità di un uomo religioso vive nel modo più profondo di armonia e sinfonia (e non primariamente di antinomie), così che anche nelle tribolazioni più forti è capace di vedere la provvidenza e la volontà di Dio! 

Anche se il saggio di padre Servais meriterebbe una lettura molto più precisa (per esempio sulle categoria dell'incontro e dell'esperienza in Papa Francesco) di quella che posso offrire io nella mia meditazione quotidiana, qui nel mio blog/diario, vorrei sottolineare ancora alcuni aspetti. In primo luogo la dimenticanza di sé, la rinuncia ad un'asserzione di se stessi, senza la quale non potremmo testimoniare né esperimentare la bontà gratuita di Dio, che "fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni" (Mt 5,45). Solo questa dimenticanza di sé, permette di aprire il nostro tempo e il nostro spazio, con un priorità del primo sul secondo (per citare uno dei quattro principi di Jorge Mario Bergoglio), al Tu di Dio, del Dio sempre più grande, ma anche sempre più piccolo. Solo la dimenticanza di se stessi ci permette di aprire il nostro cuore in modo tale che in un conflitto non "annulliamo" la posizione dell'avversario o nemico. 

La dimenticanza di sé si fonda sulla grande dimenticanza o meglio "abbandono" di Cristo in Croce, come l'abbiamo potuta meditare per esempio nella Via Crucis carceraria di questo anno, in cui il Papa, in ascolto, ha accolto nella sua preghiera le testimonianze di un agente della Polizia, di un frate volontario, di un magistrato di sorveglianza, di un sacerdote accusato di pedofilia e poi assolto, di un'educatrice del carcere, di persone detenute, di una figlia di un uomo condannato alla pena dell'ergastolo, di una catechista della parrocchia, della mamma di una persona detenuta, di due genitori ai quali hanno ammazzato una figlia, di una persona condannata all'ergastolo. 

Non esiste una vera dimenticanza di sé senza obbedienza, che per il Papa non è in primo luogo obbedienza nei confronti del ministero petrino, ma nei confronti dell'infallibile, "in credendo", "popolo fedele di Dio". Non esiste poi vera obbedienza senza un cammino guidato spiritualmente, da una padre spirituale che non rinvia a se stesso, ma alla chiamata di Dio e che invita l'esercitante degli Esercizi a dialogare con Dio e con Maria, senza la quale non è possibile comprendere né la formula ignaziana dell'obbedienza nei confronti della "Madre Iglesia jerácquica" né il "sentire cum ecclesia". 

Infine non vi è dimenticanza di sé senza quel senso di rispetto reciproco della diversità nell'unità della Chiesa. Nella storia di un popolo si rivela un'unità che non fagocita le differenze, ma le sa integrare. Il "popolo fedele di Dio" si esercita a sua volta sia nell'unità sia nella sopportazione reciproca della differenza, in modo da essere sempre di più un "popolo" e sempre di meno una "massa" o un'accozzaglia di individui. 

Il "modo" infine in cui il papa intende le meditazioni degli Esercizi è un costante rinvio a un Dio fatto uomo, unito e vicino all'uomo, ma non confuso con esso (Calcedonia). Un Cristo nella cui "carne" è presetene tutto il cosmo. Concludo lasciando parlare Papa Francesco: 



Il rapporto con Cristo, vero Dio e vero uomo, liberatore e redentore,
non è nemico di questa visione (amazzonica) del mondo
marcatamente cosmica, che caratterizza questi popoli,
perché Egli è anche il Risorto che penetra tutte le cose.
Per l'esperienza cristiana, "tutte le creature dell'universo materiale
trovano il loro vero senso nel Verbo incarnato,
perché il Figlio di Dio ha incorporato nella sua persona
parte dell'universo materiale, dove ha introdotto un germe 
di trasformazione definitiva" (Laudato si')"
Papa Francesco, Esortazione apostolica, Querida Amazonia, 74). 

PS (16.05.20)

Ampliare orizzonti al di là dei conflitti (Querida Amazonia, 104-105)

Giustamente mette il padre Antonio Spadaro questo paragrafo della Querida, che cita anche alcuni passaggi importanti della prima Esortazione apostolica del Papa, Evangelii gaudium,  in risalto. Abbiamo imparato da Massimo Borghesi come il pensiero di Jorge Mario Bergoglio, è „polare“ e non un sistema chiuso. Una polarità che non è „contraddizione“, ma „armonia“, come ha spiegato in un suo saggio, che ho recensito nel mio blog, Jacques Servais (in questo post). Il Papa afferma nella Querida, citando la Evangelii gaudium, che il „superare“ un conflitto non significa annullare la posizione dell’altro, ma „conservare in sé le preziose potenzialità della polarità in contrasto“; ma ciò è possibile non con una „dialettica“, ma considerando l’essere, come abbiamo imparato da Ferdinand Ulrich, un „dono“. Dio dono continuamente l’essere come dono e lo fa anche in modo molto concreto, offrendo la soluzione di un conflitto che noi non avevamo previsto. Dio nel suo donare l’essere è „traboccante“, non è stanco o fiacco come lo siamo noi uomini postmoderni (cfr. Introduzione agli Esercizi „non tenuti“ di quest’anno di Julián Carrón). „Da questo nuovo dono, accolto con coraggio e generosità, da questo dono inatteso che risveglia una nuova e maggiore creatività, scaturiscono, come da una fonte generosa, le risposte che la dialettica (!) non ci lascia vedere“ ( Querida, 105). Insomma non dobbiamo fissarci in modo antinomico nella dialettica contrastante, questo porta solo alla contraddizione, ma dobbiamo aprirci ad un’inattesa iniziativa di Dio, che parla sempre e solo con reali „avvenimenti“, non in un confuse esplicazioni astratte (per esempio sugli avvenimenti stessi). 
Il Papa ci tiene a sottolineare che „in nessun modo questo significa relativizzare i problemi, fuggire da essi o lasciare le cose come stanno“. Questo piuttosto significa se noi davvero ci aspettiamo da Dio una donazione gratuita dell’essere e della soluzione dei problemi che ci sono nella realtà o se invece crediamo che solo nel nostro agire si trovi la possibilità di risolvere i problemi stessi. Gli scontri ecclesiali rispecchiano sempre lo scontro tra „momenti di verità“ e non tra posizioni solo false, anche se noi dobbiamo maturare pur nel nostro giudizio storico, che ci permetterà di vedere anche quali forze sono oggi più pericolose di altre. Su questo punto don Carrón ha del tutto ragione, il problema oggi è il dilagare del nichilismo. Quindi chi identifica „nemici“ passati (stalinismo, nazionalsocialismo…) come i veri nemici di oggi, non ha un giudizio preciso sulla realtà. Comunque questo sarebbe un tema da approfondire. 

PS 25.05.20

Sul volto esemplare della Chiesa nei popoli amazzonici 
Perché esemplare? Perché meditando su questi popoli, in forza di uno studio attento del Documento finale del Sinodo (Papa Francesco ci ha chiesto di leggere molto attentamente questo documento finale del Sinodo amazzonico), facciamo un esercizio di incontro con l'altro. Ci sarebbe tanto su cui riflettere, ma pongo l'attenzione solo su alcuni punti.
1. Come filosofo in primo luogo pongo l'attenzione sul modo di pensare di questi popoli, che hanno "una visione integratrice della realtà, capace di comprendere le molteplici connessioni esistenti tra tutto il creato". Questo modo di pensare è in modo esemplare "filosofico" e "contrasta con la corrente dominante del pensiero occidentale che tende a frammentare per comprendere la realtà, ma poi non riesce ad articolare nuovamente l'insieme delle relazioni tra i vari campi del sapere" (44). Per quanto utile e necessario sia il discorso scientifico è evidente che esso non giunge a quella formula integrativa ontologica che vede l'essere come dono d'amore gratuito. 
2. Una filosofia dell'essere come amore gratuito sa che non è lecito "disporre dei beni comuni al ritmo dell'avidità e del consumo" (49), sa che l'altro deve essere rispettato radicalmente anche quando vuole vivere in "isolamento volontario" (49-50). E devono essere rispettati i suoi "bisogni vitali". Come non si è mai stancato di dire Ferdinand Ulrich: anche il Tu è e rimane per sempre un "egli"/ una"lei" con la loro libertà e i loro bisogni. Ed infine sa che l'affermazione sulla gratuità dell'essere non è conciliabile con "un modello economico di sviluppo predatorio ed ecocida".