sabato 21 marzo 2020

Un avvenimento nella storia - il covid 19 (con un dialogo con Swetlana Alexijewitsch)

Wetterzeube. Ogni avvenimento nella storia porta con sé un problema interpretativo. Nietzsche, forse esagerando, diceva che non ci sono "fatti", ma solo "Interpretazioni". Questo vale anche per l'avvenimento coronavirus. Come ci ha insegnato don Luigi Giussani nel "senso religioso", abbiamo sempre a che fare anche con metodi adeguati o meno all'oggetto di cui stiamo parlando, ma certamente abbiamo anche a che fare con una pluralità legittima di metodi, per affrontare il senso di uno stesso oggetto. Sulla covid 19 possiamo parlare a livello biologico, per esempio delle sue possibili mutazioni. Possiamo riflettere sulle conseguenze psicologiche di un tale fenomeno, sul suo impatto giuridico, politico ed economico.

A livello filosofico la categoria aristotelica della "causa finalis" dovrebbe essere quella più feconda, ma abbiamo poca dimestichezza in questo ambito. A parte il mio amico Adrian Walker non conosco quasi nessuno che sarebbe capace di dire qualcosa di sensato a questo livello.

A livello ontologico, la filosofia dell'essere come dono gratuito è capace di pensare entrambi le dimensioni della gratuità - sia il "frustra" che il "gratis" - il "per nulla" della gratuità è certamente la risposta più solidale che possiamo dare al momento di questa crisi che ci fa vedere quanto sottile sia il "ghiaccio del nichilismo" (Balthasar) da cui camminavamo da tempo; mi ha fatto tra l'altro piacere come stamattina leggendo il lavoro a casa di un'allieva della decima classe, essa abbia letto alcuni aforismi del filosofo greco Anassimandro come un equilibro tra "giustizia" e "solidarietà": non si può solo "prendere", ma anche "dare" se l'equilibrio cosmico solidale non deve essere sconfitto.

Questi diversi livelli mi sono presenti, sebbene io, vista la crisi e la situazione drammatica in Lombardia, ma anche in tante altre parti del mondo - una mia amica dalla Francia, che ha una sorella che lavora come psicologa e che si è infettata (cosa che accetta come un dono per avere una tregua di due settimane), dice che negli ospedali l'atmosfera è surreale. Dicevo vista la situazione drammatica io mi sono concentrato sulla sequela di Pietro; il gesto di partecipare alla Santa Messa del Papa alle sette del mattino è stato per me il modo con cui potevo verificare ciò che diceva Don Luigi, sempre nel "Senso religioso": Solo Cristo ha parole tali, che se quelle non sono vere, allora siamo persi. Citato liberamente.

Detto ciò, quando oggi un amico ha scritto da qualche parte che stiamo sottovalutando le conseguenze di perdita delle libertà giuridiche e politiche acquistate con dure lotte, devo ammettere che io stesso mi ero posto questa domanda. Come mi sono posto la domanda su quali conseguenze abbia questo "lockdown" a livello lavorativo ed economico. Anche la misura estrema proposta da Donald Trump di un enorme intervento sociale da parte dello stato (cosa più unica che rara negli USA), la dice lunga sulla dinamica della crisi economica in atto.

Comunque sia non essendo un tuttologo e non avendo una risposta per tutti questi problemi, mi limito per lo più alla sequela di Pietro come "giudizio di presenza nel mondo" e al di là del mondo.

(22.03.20) Il fatto e le discussioni - una meditazione sul capitolo nove di Giovanni

La redenzione di Cristo è un fatto più grande che il covid 19 - questo un giorno, Deo volente, passerà, mentre la redenzione, la salvezza, la guarigione del cieco nato è un fatto unico che rimane per sempre.

Già dai primi versi del capitolo Gesù blocca una discussione astratta su chi sia peccatore: il cieco o i genitori? Come mai la Siria per nove anni ed ora la Lombardia, in modo particolare (ma in vero tutta l'Italia), da più di un mese sono prese sotto il mirino rispettivamente della guerra e del virus? In vero ora la Sira è presa anche sotto il mirino del virus.

"Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio." In altri passi del Vangelo Gesù dice: vai e non peccare più, in modo che non ti accada di peggio. Ma qui vuole immediatamente fermare una discussione che sa dell'astratto.

Noi dobbiamo operare la salvezza, non discutere - questo tipo di discussione non hanno nulla a che fare con le legittime interpretazioni di cui ho parlato in un post di ieri.

Ma nel nostro operare dobbiamo sapere che vi è anche sempre un "sabato santo", in cui viene la notte e nessuno può agire. Nella discesa nell'inferno Cristo non può neppure agire: è circondato dalla melma senza forma del peccato del mondo, di quel mondo che assembla bombe atomiche, invece che respiratori.

Dopo il fatto, che ha due passi, il fango sugli occhi e la piscina (Agostino interpreta questo con la differenza tra il catecumeno e il credente); incominciano le discussioni: tra i vicini, i farisei, i genitori del cieco nato.

Il vero saggio è il mendicante, cieco nato che insiste sul fatto che gli è accaduto e non si lascia trascinare in discussioni astratte. Come ci ha fatto notare Papa Francesco, usa anche il registro dell'ironia per annunciare il fatto che gli è accaduto:

Gv 9, [28] Allora (i farisei) lo insultarono e gli dissero: "Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè!

[29] Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia".

[30] Rispose loro quell'uomo: "Proprio questo è strano (!!!), che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.

[31] Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta.

[32] Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato.

[33] Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla".

Alla fine del passaggio i farisei chiedono a Gesù, se anche loro sono ciechi; Gesù li prende sul serio quando dicono che loro vedano e sanno cosa Mosè ha insegnato e afferma:

Gv 9, [41] Gesù rispose loro: "Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite (!!!): Noi vediamo, il vostro peccato rimane".

Chiediamo al Signore di abbracciare anche questo momento in cui sembra che nessuno possa compiere azioni a gloria di Dio, come quella della guarigione del cieco nato, ma non smettiamo di pregare con tutta la serietà possibile: abba, aiutaci!

Roberto, un piccolo amico di Gesù

(29.03.20)

Pensieri sul nemico invisibile - in dialogo con Swetlana Alexijewitsch

Wetterzeube. Nel suo Chernobyl. Una cronaca del futuro (cito dall'edizione tedesca, München 2015 (2017)) del 1997 la grande scrittrice nata nella Ucraina e cresciuta nella Bielorussia, Swetlana Alexijewitsch, si era confrontata con il grande tema del nemico invisibile, dopo l'esplosione del reattore sovietico. È un libro impressionante che cerca di dare "parole" al tema di un nulla nichilista dilagante, che ci fece sentire del tutto impotenti.

Ora con il #covid19 siamo di nuovo, a livello mondiale, confrontati con un nemico invisibile, sebbene di altra natura. Senza alcuna pretesa di completezza, cerco di fare il punto su alcune differenze e somiglianze. In primo luogo la grande difficoltà consiste nel fatto che non abbiamo sufficientemente posti nella medicina intensiva - questo ha causato per esempio molti problemi in Lombardia, mentre per ora la Germania regge, così che può anche ospitare malati gravi dall'Italia e dall'Alsazia.

Subito nei primi giorni dopo la catastrofe atomica (26.04.86) il regime sovietico fece sparire tutti i libri che trattavano di radioattività, per esempio quelli su Hiroshima e Nagasaki (cfr. 119); il governo cinese all'inizio della pandemia (dicembre 2019) si è comportato in modo simile, ma relativamente in fretta ha usato una strategia più trasparente. È chiaro che in una situazione del genere si voglia evitare il panico.

Per evitare il panico sono nate allora barzellette del tipo di quella raccontata nel "monologo su un paesaggio lunare" (119): se Chernobyl fosse accaduto dai Papua, il mondo intero si sarebbe spaventato, con eccezione dei Papua. Anche in occasione del covid19 sono girate e girano, non dico barzellette, ma interpretazione che sostengono che di questo virus non si muore, al massimo ne sarebbero morti tre. Ovviamente vi è un momento di verità in questa narrazione, ma è innegabile che siamo in una situazione che io, nato nel 1960, non ho mai vissuto.

Dopo l'espulsione del reattore girò questa massima: finché a Chernobyl ci sono i passerotti e le colombe ci possono vivere anche gli uomini. Che gli uccelli, però, si comportassero in modo del tutto strano, non normale, cominciò pian piano ad entrare nella coscienza. E pian piano il covid19 è entrato nella coscienza anche di chi all'inizio diceva che si trattava solo di un'altro tipo di influenza.

Allora pochissimi scrissero su questa storia, oggi ne parlano tutti. E tutti sembrano occuparsi ormai solo di covid19, senza tenere conto per esempio che uno potrebbe essere triste perché la donna lo ha lasciato (cfr. monologo di un testimone, che aveva mal di denti, quando vide che che Gesù Cristo era caduto a terra gridando, 121) e non per il coronavirus.

Una cosa è certa per entrambi i fenomeni: "non si può vivere continuamente nella paura, l'uomo non ne è capace, dopo un certo periodo di tempo continuerà a vivere normalmente" (124); a differenza di Chernobyl la pandemia ha un raggio mondiale, ma non è stata presente subito ed in tutti i luoghi nella stessa intensità, per cui la percezione di potere vivere in modo normale, se non eri direttamente a Bergamo o a Cremona o a Wuhan, poteva sussistere immediatamente.

Anche se l'uomo ha un certo bisogno di catastrofi, come diceva Walker Percy, non si può vivere solo di catastrofe: "Gli uomini hanno bevuto la vodka. Giocato a carte. Correvano dietro le donne. Hanno generato bambini. Hanno parlato molto di soldi" (124); mentre ora sembra che si viva solo di covid19, anche perché avere rapporti sessuali con una persona che non si conosce potrebbe essere pericoloso, anche giocare alle carte insieme potrebbe esserlo.

Anche allora ci sono stati quelli che raccontavano la storia di una vincita, che in vero non era per nulla accaduta: "il reattore è stato vinto" (125)

Ovviamente ci sono tantissime differenze e somiglianze che non ho per nulla toccato. Ognuno può pensarci su da solo.


Quello che impressiona a me è che Papa Francesco, che per la sua situazione polmonare e per la sua età, è un candidato sicuramente vulnerabile, non ha paura. Lo guardo ogni mattina durante la Santa Messa: è serio, ma è un uomo di fede e non perché avendo mal di denti, non si è accorto dell'essenziale (126), ma guardando l'essenziale: Cristo crocifisso che Venerdì scorso ha proposto a tutto il mondo, come la nostra unica salvezza. Ed è molto bello che nell'Angelus odierno, abbia detto "buon pranzo ed arrivederci": si, perché l'uomo davvero non può vivere continuamente nella paura.

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