(25.4.23) „Nel battesimo di Gesù si incrociano un avvenimento verticale ed uno orizzontale“ (Balthasar, Antologia-Servais, 206-207). La profondità dell’acqua nell’AT sta per il caotico nell’uomo, che per la Bibbia non è solo „inconscio“, ma anche „peccato“. Balthasar dice che tramite questa azione Gesù solidarizza con il peccato; è interessante che dica con il peccato, non con il peccatore, che viene salvato con il „battesimo di conversione“; il battesimo di Gesù sta all’inizio dei misteri della vita pubblica di Cristo. Con esso comincia il „movimento di finitizzazione“ (Ulrich) e di „exinanitio“ di Cristo: quel movimento che lo farà essere peccato, senza aver mai peccato. La vita pubblica di Cristo, pur essendoci alcuni momenti trionfali, è fondamentalmente un movimento di finitizzazione, che viene confermato dall’alto, dal Padre: „„Tu“ che cominci la tua discesa fino nella profondità più profonda, „sei il mio Figlio amato“; tu che cominci il tuo percorso di solidarietà e sofferenza vicaria, nella modalità del „Servo di Israele“, che ti porterà a scendere all’inferno, rivelerai così cosa sia l’amore-gratis: frustra et gratis! In questa apertura verticale del cielo su di lui discende lo Spirito: „lo Spirito dell’unzione messianica di Cristo, lo Spirito dei sette doni, lo Spirito della missione, lo Spirito che porta al Figlio la volontà del Padre: è sospeso su di lui, l’obbediente, ed abita allo stesso tempo dentro il suo cuore“ (Balthasar) - per quanto riguarda la parola „sospensione“, Balthasar la usa in modo diverso da Ulrich, per quest’ultimo essa è astrazione, per Balthasar è un movimento oscillatorio che non può essere fissato nella res. Fino a qui abbiamo parlato del movimento verticale, ma è necessario anche quello orizzontale, per comprendere l’entrata di Gesù nella storia del mondo. Balthasar considera qui il rapporto tra l’AT e il NT è dice con chiarezza, che „ La fede e il desiderio di Israele cooperano all’arrivo del Patto nuovo e definitivo“ (Balthasar); questo è senz’altro vero, ma alla scuola di Padre Dall’Oglio SJ aggiungerei che ciò vale anche per l’Islam: anche questa fede è donata per comprendere il Patto nuovo e definitivo. Con Cristo l’acqua che Abramo da ad Agar diventa vino (cfr. 21, 14) e con l’Islam, discendente di Ismaele, si ritorna al pane e all’acqua che Abramo ha dato ad Agar; l’Islam non deve forzare nulla in direzione del „pane e vino“ che sono i segni definitivi di Cristo, ma deve essere disponibile, nella propria tradizione, di tenere conto di quella singolarità che il Corano attesta a Cristo stesso (Wael Farouk). Il cristiano potrà festeggiare la Santa Messa con pane e vino ed anche nella vita di ogni giorno, gioire per la possibilità di bere il vino, a cui dovrà rinunciare durante la quaresima, per ricordarsi che il „movimento di finitizzazione“, per il quale la simbologia di pane ed acqua è più adeguata, è ancora in corso. Già e non ancora! E lo Spirito come fuoco si muove comunque dove vuole!
(27.11.22) Ho letto un articolo molto informato di William Van Wagen, proposto da Aaron Maté nella sua bacheca Twitter, sulla „dirty war“ in Siria e precisamente sul ruolo dei servizi segreti dell’UK, a riguardo del sequestro e l’uccisione del giornalista americano James Foley (il video dell’uccisione del giornalista americano è datato 19.8.2014). L’articolo è apparso il 25.11.22 in „The Cradle“. Questo giornalista aveva con delle sue ricerche fatto vedere che gran parte del popolo siriano non era per nulla contenta dell’opera degli estremisti islamici contro il governo di Assad (per esempio ad Aleppo). Il giornalista Van Wagen riassume così il contenuto del suo articolo: „In breve, James Foley è stato rapito, tenuto prigioniero e poi ucciso da militanti di un gruppo armato che ha ricevuto il sostegno diretto dei servizi segreti britannici. Questi militanti hanno combattuto in una guerra sporca per rovesciare il governo siriano orchestrata da pianificatori statunitensi, tra cui l'ambasciatore Ford.
Le armi inviate da Ford e dalle sue controparti della CIA sono state date a un altro gruppo armato, Liwa al-Tawhid, che condivideva una prigione con l'ISIS durante il periodo in cui Foley era detenuto lì, e che ha venduto alcune di queste armi al comandante dell'ISIS che allora deteneva Foley.
Non solo Foley, ma centinaia di migliaia di siriani sono stati uccisi a causa della sporca guerra in Siria condotta da Stati Uniti e Regno Unito. L'assassinio di James Foley è solo un'atrocità tra le innumerevoli di cui Washington e Londra sono responsabili a causa dei loro sforzi per ottenere un cambio di regime in Siria“. Anche Padre Paolo Dall’Oglio SJ è uno di queste persone sequestrate e probabilmente uccise; il padre gesuita riteneva si dovesse fare un discernimento tra gli estremisti islamici, per vedere chi fosse, tra di loro, davvero interessato ad un cambio democratico in Siria. Il giudizio di Padre Paolo su Assad era chiarissimo: Assad è un criminale. Vero è anche però, che, se la narrazione di Van Wagen è corretta, il modo con cui i servizi segreti statunitensi e britannici hanno operato in questa assurda guerra è altrettanto criminale o per lo meno „dirty“. Ancora una volta mi sembra molto saggio che nel dialogo preferenziale con il mondo islamico Papa Francesco scelga persone come il Gran Imam Al Tayyeb che si sono schierate completamente per la pace ed anche per un dialogo con i sciiti, interno al mondo islamico stesso.
Nel marzo del 2013, poco prima di venire rapito, Padre Paolo ha cercato di „prefigurare l’avvenire“ (Collera e Luce, 127) ed ha esposto in questo modo le sue previsioni: „Dopo due anni di guerra fratricida, come abbozzare una prospettiva allorché l'esito è ancora incerto? È possibile che la rivoluzione siriana precipiti nell’islamizzazione e si allontani dalla speranza rivoluzionaria democratica dell'inizio. Fino a che punto essa rischia di essere fatta a pezzi e finire schiava dell'islamismo radicale, impantanandosi per lungo tempo nel conflitto civile? Non si tratta di una constatazione, per il momento, ma di un timore. Tuttavia spero di mantenere una mentalità sufficientemente positiva e mi sforzo soprattutto di armonizzare il principio dell'autodeterminazione di un popolo con la difesa della democrazia e dei diritti umani. Preferisco che un popolo si autodetermini e che, in seguito, la comunità internazionale gli intimi di rispettare e di mettere in atto, in maniera saggia e progressiva, i diritti umani. Ma non si può negare già in partenza la possibilità dell'autodeterminazione perché si dà per scontato che, una volta al potere, quel popolo non rispetterà tali diritti. Credo anche che l'armonia sia fatta di una comunione di differenze. È nell’ interesse della collettività mondiale promuovere piuttosto le tendenze alla federazione, a salvaguardare l'unità regionale, a proporre costituzioni pluraliste per proteggere un popolo che si è configurato a mosaico, com'è il caso, al massimo grado, della Siria“. La differenza tra ciò che scriveva Padre Paolo (che tra l’altro è cosciente della debolezza della sua proposta federale) e ciò che dicono giornalisti come Maté e Van Wagen, a parte il fatto che quest’ultimi li possiamo ascoltare ancora ora, consiste nel fatto che il gesuita giudica come possibile sia l’esperimento democratico sia la caduta nell’islamizzazione. La domanda che mi pongo leggendo padre Paolo è se egli non abbia una stima troppo grande della „comunità internazionale“, quasi che quest’ultima sia un soggetto del tutto neutrale e non un soggetto pieno di interessi, canalizzati in modo „sporco“ dai servizi segreti, come si può leggere nell’articolo del giornalista olandese.
(18.9.22) Mi fido di più del padre gesuita Dall’Oglio che dello stimato giornalista canadese Maté, quando si parla della Siria. Il testo che ho letto e meditato questa mattina del padre gesuita, che risale all’anno del suo rapimento, il 2013, „A rischio di islamizzazione“ (in Paolo Dall’Oglio, Collera e Luce. Un prete nella rivoluzione siriana, Bologna 2013, 109-126) è molto articolato, anche se ovviamente da nove anni non sappiamo più nulla di ciò che direbbe oggi su questi argomenti Padre Paolo, mentre il giornalista canadese può seguire gli eventi attuali. Nella sua bacheca in Twitter (14.9.22) per esempio ci fa riflettere sul fatto che le sanzioni contro la Siria fanno soffrire più il popolo che la gerarchia politica e dittatoriale e ci fa riflettere in oltre su un attentato di Israele al maggior aereo porto siriano, che ha danneggiato le infrastrutture in modo tale che hanno sofferto gli aiuti umanitari. (Sulla questione delle sanzioni con ragione Sahra Wagenknecht ci fa riflettere sul fatto che le sanzioni contro la Russia stanno facendo soffrire i popoli ben più che i potenti). Allo stesso tempo devo dire che mi ha fatto riflettere molto questa frase di Padre Paolo sulla capacità di Bashar al-Assad di „ricongiungersi all’anti-imperialismo di estrema sinistra. Quest’ultimo una volta convinto che l’islamismo radicale sia una invenzione sionista e americana, è pronto a vedere nell’alleanza di Asad e della Russia il fronte di resistenza essenziale, storico, contro l’iperpotenza globale statunitense“ (ibidem, 124). È questo secondo me è il punto debole delle argomentazioni di Aaron Maté e Rania Khalek - fanno bene, cosa che tra l’altro fa anche padre Paolo, a criticare l’iperpotenza statunitense, ma il loro marxismo li porta ad una visione in cui nella notte tutte le vacche sono nere: quindi non vi è più alcuna differenza tra i regimi statunitense, siriano o israeliano. Ed anche l’islamismo radicale viene eliminato in blocco come „fascismo“, invece padre Paolo voleva fare un lavoro di discernimento, per vedere quali forze e quali persone che si sono radicalizzate, sarebbero potute essere coinvolte in un reale lavoro democratico. Gianni Valente, qualche giorno fa aveva parlato di un gruppo islamista, I miliziani islamisti di Tahrir al Sham, che ha fatto un grande lavoro di democratizzazione. Padre Paolo ci ha sempre anche avvertito sul „pantano“ di corruzione e mafia in cui tutti questi avvenimenti e gruppi sono inseriti, ma ha creduto davvero possibile una rivoluzione democratica (trasparenza e solidarietà) in Siria.
Vi è un anima di „estrema sinistra“ anche in Padre Paolo, ancor più accentuata della mia, quella che viene fuori nel mio dialogo interiore con Elena Ferrante. Io nell’11.9., avevo, però, visto un attacco al nostro mondo, anche se non ho mai creduto alla logica di Bush jr. (o con noi o contro di noi), mentre Padre Paolo si esprimeva così: „L’11 settembre 2001 mi trovavo in macchina tra Damasco e Beirut, quando è arrivata la notizia dell’attacco a New York. Devo confessare che qualcosa dentro di me mormorava: gli Stati Uniti si meritano quello che hanno provocato. Nelle mie viscere di estrema sinistra, riconoscevo in quell’evento anche una logica conseguenza all’aggressione al mondo arabo-mussulmano esercitata nel Vicino Oriente dagli Stati Uniti, con la complicità di Israele. In quel momento, io condividevo i sentimenti di un’immensa massa arabo-mussulmana, che si sentiva vendicata, pur cogliendo la portata e l’orrore di quel crimine e gli effetti disastrosi che ne sarebbero scaturiti“ (ibidem,111-112).
Le viscere di estrema sinistra di Padre Paolo e le mie sono temperate dal fatto che non siamo marxisti: il punto di vicinanza con il socialismo è per me Charles Peguy e non Karl Marx, con la sua radicale critica della religione come presupposto di ogni critica. Non sono per „il pluralismo religioso“, come non lo era padre Paolo, perché tentato dalla debolezza e non serietà della postmodernità, ma in forza di „una conoscenza spirituale della benevolenza di Dio, il Misericordioso“ (ibidem, 113). Il grido „Allahu Akbar“ significa per me che Dio è più grande, perché misericordioso, è „più grande dell’ingiustizia, della morte, del tradimento, della sconfitta, della nostra paura, dei nostri interessi meschini“ (ibidem, 125), più grande del pantano di corruzione e mafia in cui ci troviamo ad agire e con padre Paolo e padre Hans Urs, con Adrienne, riprendo la grande lezione di un Dio che è amore, la grande lezione di una „speranza per tutti“, nel senso della seconda lettura di questa domenica (canone romano: 1 Tim 2,1-8). E con le parole radicali di padre Paolo, di cui vi è traccia anche in Adrienne ed Hans Urs, anche senza cadere nell’eresia della passione del Padre: „Penso la santità divina come l’effetto di un desiderio, non un punto di partenza. Che Dio sia santo perché non può peccare, un Dio condannato all’onnipotenza per me è inaccettabile. Dio soffre tutta l’evoluzione del mondo per divenire il Padre del nostro Signore Gesù Cristo“. Rivedo quell’immagine del Medioevo in cui Dio Padre porta sulle braccia la croce, dove è appeso suo figlio. Il Dio che non può soffrire, il Dio dei filosofi non ci interessa“ (ibidem, 125). In vero in questa formula Padre Paolo fa una concessione troppo grande al Dio del filosofo Hegel (Dio soffre l’evoluzione del mondo), ma ha ragione a rinviare all’immagine medievale. Adrienne scrive da qualche parte che non ci si può immaginare un Dio sereno mentre uccidono suo Figlio. Ci troviamo qui nel mistero del Dio sempre più grande e sempre più misericordioso, che è la nostra speranza, la speranza che egli non cessa mai di donare gratuitamente l’essere, il suo amore!
La misericordia di padre Paolo gli permette di dialogare anche con un saggio mussulmano, Mohammad Ramadan al-Buti (ammazzato in un attentato), anche se quest’ultimo pensava che „la profondità della ricchezza dell’Islam di Damasco, della Siria, tradizionalmente aperta al ragionamento“, fosse protetta da Bashar al-Asad, mentre padre Paolo ha pensato che la dipendenza da questo dittatore sarebbe costata alla Siria dieci anni di guerra, con tantissimi morti e profughi (cfr. Ibidem, 119-120).
Padre nostro…
Come hanno fatto Katie Halper e Aaron Maté, che hanno intervistato l’esperto militare Scott Ritter che diede le dimissioni per non essere d’accordo con la gestione dell’amministrazione statunitense di allora, durante la guerra contro l’Irak, sarebbe interessante intervistare il generale norvegese Robert Mood, „capo della missione di Kofi Annan“ in Siria, di cui parla Padre Dall’Oglio, e che „darà le dimissioni (2012), prima ancora della fine della missione, in segno di protesta, perché secondo lui la missione stessa era stata utilizzata dal regime siriano per guadagnare tempo“ (92).
Ho letto più tardi fino in fondo il capitolo sopra citato „operare per la mediazione“ (100-108) e ne ho parlato a lungo con mia moglie; qui solo alcune annotazioni. Il padre Dall’Oglio è un contemplativo-attivo e il mistero della croce lo riflette, parlando con un terrorista che è contro il dialogo inter religioso e contro la teologia della croce, guardando l’esperienza di giovani terroristi morti, che vengono seppelliti con il sangue - e il terrorista gli spiega che è una questione di gloria; il sangue come porta della gloria, la morte come porta della gloria, aggiunge il padre gesuita. Ecco un reale dialogo interreligioso sul mistero della croce. La missione di Padre Paolo è escatologia pura, ma è anche lotta per la democrazia contro il regime ed in questa dimensione profetica è lasciato da solo, perché pochi possono comprendere il suo punto di vista: „Criminalizzare gli altri ci viene facile, ma difficilmente riconosciamo i nostri crimini“ - e questo è il secondo punto che porto con me nel paragone della situazione che si è creata nell’Ucraina con la sua di allora. Il paragone può essere fatto solo mutatis mutandis, perché le due situazioni possono essere paragonate solo parzialmente e perché Bashar al-Assad non è paragonabile completamente con Vladimir Putin. Insomma i due punti sono questi: non ci si può richiamare all’eredità di padre Paolo per sostenere un intervento massiccio o un’occupazione militare; secondo: non si può criminalizzare solo l’altro; tanto meno si può farlo in Chiesa. Al Papa è riuscito sempre, anche quando ha usato parole dure contro l’aggressore ultimo, di parlare di pace; certo anche di giustizia, ma in una prospettiva di pace. Infine per portare fino in fondo la lotta contro un regime, bisogna viverci dentro, le altre sono solo parole, parole, parole…
Chiaro è che quando sostieni cose che contraddicono il mainstream sei da solo, sei dai solo con la tua povertà di comprensione, ma anche con la tua forza profetica.
(24.08.20) Una missione "paolina"? Sulla libertà verticale di Padre Paolo Dall'Oglio
Padre Paolo nasce nel 1954 ed io nel 60: quindi ci sono 6 anni differenza; nell'anno del rapimento e dell'uccisione di Aldo Moro avevo 18 anni, mentre lui ne aveva 24. Per parlare con il linguaggio dell'Apocalisse, lui è un grande ed io un piccolo - ma entrambi cerchiamo di essere al servizio di Dio. Pur essendo la "politica" un fattore importante della sua vita, la "mistica" è più importante. Il monastero di Mar Musa è la sua "Sendung" (missione) che è risposta anche al massacro di Hama e ad altri massacri del dittatore brutale Bashar al- Assad. Ovviamente non sappiamo se Padre Paolo viva e che cosa significano per lui questi sette anni di rapimento: sono un modo per farla finita con Assad (37) o sono una sconfitta (34)? Una sconfitta nella logica del Cristo crocifisso non è un disastro, ma pur sempre una sconfitta. Anch'io sono andato su una via "mistica" - perché il mio matrimonio, l'amicizia con Ferdinand Ulrich e certamente anche le mie fonti (Adrienne, Hans Urs) sono tali. Il suo contatto con il comunismo e il socialismo nella sua fase giovanile hanno solo qualche punto di aggancio con la mia vita: certamente l'interpretazione del caso Moro di un comunista sui generis come Leonardo Sciascia mi è più vicina di qualsiasi posizione cattolica. I miei 18 anni nei territori della ex DDR, oggi Repubblica federale tedesca, mi sono stati anche possibili, perché avendo vissuto in un paese con un forte partito comunista, la mentalità degli ex cittadini della DDR non mi è del tutto estranea. Finalmente sia la mia famiglia (fuga dalla Jugoslavia di Tito) che quella di mia moglie (fuga dall'Ungheria comunista) non mi hanno mai permesso uno spensierato giudizio positivo della storia comunista.
VI è infine una certa somiglianza di giudizi tra padre Paolo e me su questioni come le guerre del Golfo, che sono differenziati e non del tutto a senso unico. Hussein era per Padre Paolo ed anche per me: "un folle megalomane". Quindi credo che sia più giusta la condanna di Padre Paolo: la guerra del 2003 è stata un "errore di calcolo" piuttosto che un "errore su tutta la linea". Certo non ha fatto bene al mondo mussulmano né all'idea della fraternità di tutti gli uomini (Abu Dhabi, 2019)
Il giudizio sulla "democrazia" di Padre Paolo non è comprensibile senza il suo no radicale alla dittature di Assad e alle sue conseguenza, che già nel 2013 il gesuita aveva profetizzato in tutta la sua drammaticità: "cinquecentomila morti, due milioni di profughi e il mantenimento del regime" (37). Vivendo io in una democrazia consolidata posso permettermi più di lui una riflessione filosofica critica sul meccanismo democratico (cfr. il NB dell'ultimo post).
"La paura di non morire là dove si dovrebbe, quando si dovrebbe e per le giuste ragioni" (26) ed un senso generale di "sconfitta", che neppure l'appartenenza di grazia alla fraternità di CL ha saputo superare la sento molto vicina. Fra cinque anni, Deo volente, sarò in pensione e la mia vita non ha una forma vera e propria, anche se ha - Dio sia lodato - alcune amicizie importanti. Sono poi d'accordo con il Padre Paolo che la "piccola via" della quotidianità e le decisione sul "grande palcoscenico del mondo" abbisognano di una stessa "cura". "I grandi drammi degli stati sono stati sempre in concorrenza, sul piano dell'intensità con i piccoli avvenimenti della vita quotidiana" (35) - per sapere cosa davvero desideriamo non possiamo pensare che "le questioni familiari, le ferite dell'amicizia, le pene d'amore" siano meno "gravi che i problemi del mondo intero" (35). Il senso della nostra vita si gioca anche e forse in primo luogo per la cura che abbiamo delle persone che ci vengono affidate: in famiglia, nella scuola e in rete.
Avverto subito che la lettura di Lessing è quella che ho imparato da Barbara Gerl-Falkowitz e Massimo Borghesi. L'idea di tolleranza in forza del non sapere la verità (Gerl-Falkowitzt interpreta così Lessing) e quella dell'educazione del genere umano in forza del superamento dell'AT e del Nuovo Testamento (Borghesi legge così Lessing), cioè in forza di un "vangelo eterno", mi è del tutto estranea, e cosa bene più importante, corrisponde ad un'idea di cultura che è falsa. Così come la considerazione dell'ebraismo e dell'Islam come un passo indietro o un passo rimasto indietro nei confronti della "religione perfetta" cristiana (Hegel) non ci conduce all'idea di fratellanza universale, ma nelle astrazioni di quel "progetto emancipatorio" (Robert Spaemann, 1973) che è "la teoria della modernità". Non nego che vi sia anche una "legittimità critica del moderno" (Del Noce, Borghesi) a seconda della lettura della modernità che si segue, ma vi è un progetto emancipatorio che ritiene la dialettica nuovo/antico come più opportuna di quella vero/falso, che non mi ha mai convinto, non solo come lettore di Spaemann, ma anche come lettore di Augusto Del Noce ( Il suicido della rivoluzione). E ripeto, a parte il fatto che non convince me, non corrisponde a ciò che permette all'uomo di essere tale.
Il dialogo esistenziale di Padre Paolo con l'Islam (e con l'ebraismo) invece ci conduce alla verità che è amore! Amore assoluto e concreto, che è e rimane l'unica cosa credibile. Né la gnosi hegeliana né l'educazione di Lessing corrispondono al desiderio di verità dell'uomo, ma sono o pura astrazione o "quel non credere a ciò che si crede" con cui Charles Peguy definisce il "modernismo", che può presentarsi nel suo volto reazionario (oggi) o rivoluzionario (ieri).
(18.7.20) Il giornalista italiano Riccardo Cristiano, amico ed erede spirituale di Padre Paolo Dall'Oglio, nel suo libro "Bergoglio o Barbarie. Francesco davanti al disordine mondiale", ed in modo particolare nel capitolo: " Vivere insieme come fratelli e sorelle o perire tutti come folli", ci pone due grandi sfide "francescane": la fratellanza universale e il concetto di "cittadinanza" versus "protezione" dei presupposti non-cittadini a titolo pieno da parte di una certa comunità religiosa dominante. Secondo me il disordine mondiale ha un nome: tecnicizzazione dell'umano, non in servizio dell'umano, ma come sostituzione ad esso. Ciò si può esprimere nell'attacco violento e chimico di un dittatore come Assad contro il proprio popolo e nelle forme soft della nostra società occidentale; tra il mondo mussulmano, cui vale l'attenzione principale di Cristiano, e quello europeo o americano vi sono ovviamente differenze e nel suo discorso al parlamento europeo del 2014 Papa Francesco insiste anche sul fatto che la questione europea non si gioca solamente o principalmente nella questione della cittadinanza, ma nella perdita del senso del rapporto tra umano e trascendenza. Insomma nel dettaglio ci sarà da distinguere tra i due mondi e tra i tanti mondi nel mondo, ma vale la pena di soffermarsi almeno su un punto essenziale del documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana, firmato da papa Francesco e dal grande imam Al-Tayyeb: le religioni e l'umanesimo, cannes se agnostico, possono aiutarsi a porre la fratellanza umana nel centro dell'attenzione politica e culturale oppure saremmo confrontati con una serie di "barbarie" terribili. La fratellanza umana dovrà essere connessa con una opzione preferenziale per i poveri, con una difesa della cittadinanza di tutti i cittadini di un paese a prescindere dallo loro appartenenza religiosa, sessuale, etc. ed infine con una riscoperta della tendenza interna della natura umana alla trascendenza, in direzione di un amore assoluto e misericordioso. Una amore che ha voluto la "pluralità" delle espressioni umane - preferisco questo termine a quello di "pluralismo", che può essere abusato in senso "relativista".
(13.07.20) "Cristiani e mussulmani libanesi sono una straordinaria chance gli uni per gli altri. Per i cristiani, l'Islam è un bastione inespugnabile contro il relativismo mortale venuto dall'Occidente; per i mussulmani, i cristiani sono la porta aperta alla ragione critica che permetterà loro di riannodare i legami con un glorioso passato".
Tra le tante cose che si stanno dicendo sulla decisione turca di ritrasformare Santa Sofia in una moschea, tra le più sagge le ho sentite dal patriarca Bartolomeo, che aveva consigliato "ponderazione" in una tale decisione, ma che al cospetto della possibilità di rendere Santa Sofia nuovamente luogo di culto aveva proposto di consentire anche la Santa Messa nelle festività più importanti. Di più in questa decisione politica non voglio entrare, ma ritengo che anche essa debba essere vista con quel principio ermeneutico dell'amore, superiore alla logica del principio di non contraddizione, tanto caro a Padre Paolo.
Non solo le decisione storiche, ma anche i testi sacri sono in movimento e devono essere interpretati con una logica capace di comprenderne il movimento. Questo significa che non ci si può richiamare alla lettera dei testi sacri per legittimare nostre eventuali posizioni, politiche o meno che esse siano.
Non è compito di noi cristiani vivere di rivendicazioni, ma si tratta sempre e solamente "di dare testimonianza del mistero di Gesù di Nazareth a favore dei mussulmani nell'oggi drammatico, doloroso e contraddittorio del mondo dell'Islam" (Innamorato dell'Islam, credente in Gesù, 62). Dopo le guerre del golfo, dopo quasi dieci anni di guerra in Siria, queste contraddizioni hanno messo in luce anche le contraddizioni di noi occidentali.
Non è possibile per un cristiano interpretare l'esistenza storica senza considerarne la dimensione escatologica e in questo senso anche "apocalittica". Ciò significa: "escatologicamente, vale a dire ai fini del compimento finale della storia umana, il mistero della Chiesa non può che fondersi in uno con quello dell'Islam: tutta l'armonia dell'opera di Dio, in ogni tradizione, verra alla luce del Sole dell'ultimo giorno" (ibidem, 62).
Questo vale appunto per "ogni tradizione", anche per quella ebraica - ma ampliando lo sguardo sul palcoscenico del teatro del mondo, vale per tutte le tradizioni religiose ed umaniste. La storia si muove verso quel Sole che metterà in evidenza il nostro cuore.
PS Questa posizione conciliante espressa non nega ciò che dice l'amico Riccardo Cristiano: "Erdogan è un criminale che violenta il levante" e le sue decisioni non hanno nulla a che fare con il cuore dell'Islam.
Il dono dell'essere come amore gratuito non è una formula astratta: il dono dell'essere accade sempre in una cristallizzazione identitaria: la propria lingua madre, il proprio popolo, il proprio monastero, la propria famiglia, etc.
Ovviamente si può sentire la liturgia ambrosiana (come esempio) come quella che ci da la sensazione di "casa", ma non è bene assolutizzare la propria liturgia come l'unica possibile. In un certo senso neppure come l'unica possibile per noi. Anche la propria identità etnica non è un "problema", ma un "dono", diventa un problema quando essa si comprende solamente come conflittuale. In generale si può dire che un'identità è dono e diventa pericolosa solo quando "si rifugia in dottrine chiuse, autoconservatrici e facilmente fondamentaliste, sulla difensiva e spesso aggressive" (61).
La nostra storia particolare stessa è dono, ma dobbiamo aver fiducia nella storia come luogo in cui il Dio, che dona l'essere, gratuitamente si rivela: "Noi non abbiamo un'idea conservatrice della storia...Siamo appassionati dell'ininterrotta capacità di novità della storia, che è il modo più fecondo di essere conservatori" (60).
(6.7.20) Sulle identità dialogali e non conflittuali - in dialogo con Padre Paolo Dall'Oglio SJ
2. Cristiani di madre lingua siriaca, greca, copta o altra che si sono "arabizzati nel contesto mussulmano".
3. Cristiani arabi come nella Siria di origine armena, caldea...
4. Cristiani che scelgono di diventare arabi come padre Paolo, "inviati a manifestare la dinamica dell'incarnazione del Verbo e dell'inculturazione del Vangelo"(49).
5. Mussulmani che credono in Gesù senza voler dimenticare la "loro appartenenza culturale e religiosa mussulmana" (50).
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