La gioia della risurrezione ci sorprende, partendo da un piccolo movimento, dove c'era solamente il fiume, la melma del peccato ed improvvisamente Cristo è presente: quindi anche fede, speranza ed amore!
(26.5.21. San Filippo Neri) L'espiazione e il carattere universale dell'avvenimento della Croce: la sostituzione vicaria di Cristo come "universale concretum" (cfr. Wozniak, 138 - 140).
Non è passibile separare l'ontologia dalla cristologia, per il semplice fatto che attraverso il Logos, che è Cristo, esiste tutto ciò che è, come dice il prologo di Giovanni (1, 3). "Il Gesù concreto è il senso universale di tutto l'essente" (Wozniak, 140). Ma quale è il senso universale? L'essere come dono d'amore gratuito. "In riferimento a queste riflessioni si può affermare che Cristo si relazioni come un actus essendi nei confronti di tutto il resto dell'essente finito" (ibidem, 140, nota 254). Forse sarebbe meglio parlare dell'actus essendi: cioè del dono d'amore gratuito attraverso il quale è tutto ciò che è. Secondo il prologo di Giovanni e quindi anche secondo Balthasar o Ulrich vi è un'intimità singolare tra ontologia (ciò che è) e teologia (Dio), tra teologia della creazione e teologia della redenzione. Questo intende anche Adrienne quando ripete come motivo principale del commento di Giovanni che tutto viene dal Padre e ritorna al Padre in Cristo, nel Cristo che è Gesù di Nazareth; con ragione su questo punto della concretezza Gabriela vede una relazione tra la concretezza di Cristo e il primato di Pietro e l'istituzione Chiesa (139-140). Sebbene quest'ultima abbia certo a che fare anche con la testimonianza oggettiva dello Spirito Santo - solo in esso comprendiamo il movimento dal Padre al Padre in Cristo e solo in esso l'amore reciproco tra il Padre e il Figlio diventa "istituzione", "forma".
La concretezza di Gesù come "ipsa philosophia" (non ho tempo di cercare tutte le citazioni, ma chi conosce Balthasar sa da quale saggio teologico sto citando) implica in Balthasar una priorità, per parlare con Bergoglio, del reale sulle idee. Anche e soprattuto la realtà della sofferenza vicaria di Cristo che è possibile perché Dio è "interior intimo meo" (Agostino) e per quell'apriori del "noi" a cui noi e Cristo partecipiamo, è il punto massimo della realtà: sulla Croce tutto è compiuto, perché tutto è abbracciato dal di sotto (Unterfassung) e così attirato a sé. Solo la sofferenza vicaria di Cristo può abbracciare dal di sotto l'abisso del male, del male concreto di miliardi di persone e solo la sua disponibilità ad espiare le conseguenze e le cause di questo male (per et propter me, nos) può sperare in una risurrezione di tutti e di tutto! Questo è il motivo per cui Francesco Saverio prega il suo "Ego amo te...solum quia Deus es!"
(28.05.21) La questione decisiva dell' "Eph-Hapax" (una volta per tutte) del dono di sé di Cristo e quella altrettanto decisiva della libertà come forma della sostituzione vicaria. (cfr. Wozniak, 141-147)
L'offerta di sé di Cristo, fino alla morte sulla croce e la discesa all'inferno, frutto della libertà divina, è singolare ed è il cuore primo ed ultimo della redenzione divina, l'assunzione libera della croce e della sostituzione vicaria per grazia da parte dell'uomo è il modo con cui la creatura partecipa all'atto di redenzione, che non è "analogico", ma per l'appunto del tutto singolare. L'offerta di sé di Cristo non è un meccanismo come quello del capro espiatorio, né una questione giuridica come spiega bene Gabriela nelle pagine indicate, ma non è che il dramma dell'uomo non venga considerato, piuttosto esso per quanto tragico, è ben nulla di fronte all'abbandono di Dio da parte di Dio: per questo avvenimento non vi è analogia. Eppure è richiesta la nostra libertà, il nostro assenso definitivo ed assoluto (Newman) che accade per grazia, ma una grazia che mette in moto la libertà finita e non la violenta.
Nel punto cinque della postilla alla terza edizione di "Cordula ovverosia il caso serio" (1969) Balthasar si confronta sinteticamente con il modo con cui i Padri della Chiesa si sono rapportati alle altre religioni: "un giudizio rigido sulle singole religioni mitologiche allora note ed un altro molto più mite sul fenomeno religioso dell'umanità nel suo complesso" (traduzione di Giovanni Moretto, Brescia, 1969). Balthasar parla di un approccio dinamico, necessario perché l' "Eph-Hapax" non diventi puro fondamentalismo o meglio fanatismo. Ed ovviamente i Padri della Chiesa non hanno dato un giudizio sull'Islam che non era ancora sorto e per cui secondo me è necessario anche un approccio dinamico come quello proposto da Klaus von Stosch (Herausforderung Islam, Paderborn 2016). Comunque è chiaro che grandi persone come Paolo Dall'Oglio (cfr. "Credente in Cristo ed innamorato dell'Islam") e Padre Christian de Chergé (cfr. il suo Testamento) ci hanno insegnato un approccio dinamico ed esistenziale, cioè la considerazione dei mussulmani come li vede il Padre, che Balthasar non aveva conosciuto. Per cui è bene su questo punto non ripetere solo Balthasar.
Per quanto riguarda la polemica sul cristianesimo anonimo, non sui cristiani anonimi (cfr. Wozniak, 146) nel punto citato della postilla Balthasar accoglie la proposta di De Lubac, "nella sua saggezza sempre serena e cristiana" - cristianesimo anonimo: no! Cristiani anonimi: si, perché Cristo è morto per tutti. Questo termine comunque non è quello più opportuno nel dialogo con l'Islam, che comunque a sua modo riconosce la singolarità di Cristo, anche nei confronti di Maometto. Balthasar cita nella postilla "l'unicità dell'asse" di Teilhard de Chardin, come "forza propulsiva ed unificatrice" che vede in Cristo e nella sua Chiesa il cuore unificante di tutta "la storia religiosa e profana" (ibidem 144). Se si pensa che il percorso dell'uomo dal Padre al Padre non passi per Cristo Crocifisso non si è semplicemente più cristiani. Probabilmente la crocifissione sarà anche (!) "anonima" come si vede nel numero elevato di mussulmani che vengono uccisi o maltrattati proprio perché mussulmani; i terroristi islamisti hanno ucciso non solo i cristiani, sebbene quest'ultimi siano anche tanti. Papa Francesco con la "Fratelli tutti" ci sta indicando la strada da percorrere.
(31.05.21) L'avvenimento pasquale come ritorno al Padre (cfr. Wozniak, 147-150)
Prima di dedicarmi a questo tema importantissimo, perché senza risurrezione tutta la storia degli uomini e gli uomini stessi sono solo "pasto per i vermi", come dico ai miei allievi, vorrei dire ancora una parola su Adrienne von Speyr e Hans Urs von Balthasar. Non metto in questione che Gabriela Wozniak scriva ciò che pensi e ciò che ha compreso e che ovviamente nel passare del tempo può essere anche riveduto. Mi chiedo, però, a chi serva (cui bono?) la differenziazione "scientifica" tra Von Speyr e Balthasar. Credo che serva, a parte quello che pensa Wozniak, solamente a quegli ambiti ultra conservatori che nella Chiesa hanno sempre pensato che Balthasar è un eretico, come lo hanno pensato di Origine, Teilhard de Chardin, Henri de Lubac, Papa Francesco etc. È che ritengono Adrienne sia una pseudo santa e pseudo mistica. Ripeto non è quello che pensa Wozniak, ma è quello che "oggettivamente" serve il suo discorso, che come ogni discorso è solo un "tentativo ironico" di dire qualcosa di vero. Si tratta di quegli stessi ambiti che sperano che l'attuale pontefice se già non sia un inviato della massoneria, ma che comunque sia bene che muoia al più presto. Sono gli ambiti che solo a pensare che von Speyr sia stata sposata due volte e che abbia passato ore ed ore con un uomo per scrivere di teologia siano solo una grande manifestazione del male.
Per quanto riguarda il tema della centralità della stauorologia in Balthasar o in genere della sua teologia le critiche contro Balthasar vanno da una riduzione antropologica (cfr. Wozniak, 147) fino ad una "riduzione alla teologia della grazia" (Pater Schenk OP), insomma io non ho alcun problema che gli accademici facciano il loro "piccolo discorso", anche se a me queste critiche dicono ben poco. Nella mia vita: "la vita dalla morte", la risurrezione dalla Croce e dalla discesa dall'inferno di Balthasar sono state l'annuncio che mi ha spinto dopo sette anni di ateismo pratico, negli anni 80, a ritornare nella Chiesa: cercavo una risposta al "nulla nichilista" dell'inferno, come quello che su cui ci ha fatto riflettere nella sua "cronaca del futuro" Swetlana Alexijewitsch, "raccontando" Chernobyl. Grazie alla von Speyr e a Balthasar per me le parole "nulla", "inferno" sono diventate delle realtà esistenziali e non solo oggetti di un discorso, fosse anche quello "scientifico". Con Ulrich, un fratello dello spirito di Balthasar, ho imparato che vi è un "nulla" più potente del nulla nichilista: il nulla dell'amore gratuito, che per l'appunto può sconfiggere il nulla dell'inferno (cfr. Wozniak, 147). La gloria e l'amore di Dio - gli unici temi dell'annuncio cristiano - si sono rivelati "sorprendentemente" nella loro negazione più brutale: la discesa all'inferno non è una passeggiata tra i morti, presente in diverse mitologie. È la prova ultima che la gloria non ha paura di nulla, perché è amore assoluto e gratuito. Ed anche nell'Apocalisse il Logos trionfante è "l'agnello macellato", che appare come tale anche nella rivelazione della sua potenza:
Apocalisse: [5] Uno dei vegliardi mi disse: "Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli".
[6] Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. (...)
[11] Durante la visione poi intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia
[12] e dicevano a gran voce:
"L'Agnello che fu immolato
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,
onore, gloria e benedizione".
In un "discernimento degli spiriti" in quattro volumi Von Speyr nel suo commento al vangelo di Giovanni ci fa comprendere quali e quante tentazioni ci siano nel percorso dal "Padre al Padre" che è la vita nostra e di tutta l'umanità. Parlare dell'influenza di Giovanni in Balthasar senza pensare ai quattro volumi dettati negli anni 40 da von Speyr e che Balthasar ha stenografo credo sia anche solo da un punto di vista "scientifico" alcunché di superficiale e ridicolo.
(3.6.21) Maria nell'avvenimento della redenzione; primo passo: il sì della figlia di Sion e in genere per così dire della figlia dell'uomo. (Wozniak, 151-155)
Normalmente non ho tempo, forse neppure la voglia, di leggere la "letteratura secondaria o critica" su un autore; con Wozniak ho fatto un'eccezione perché è mia amica.
Non credo neppure di aver mai letto un trattato di mariologia, anche se conosco la bella introduzione di Enzo Bianchi ad un antologia di testi mariani (Mondadori, Milano 2000); mi sembra molto interessante comunque il modo con cui Wozniak riassume le tre dimensioni del sì di Maria: il sì della figlia di Sion, cioè Maria come rappresentante del popolo di Israele e di tutta la creazione; il si di quella persona singola che era quella ragazza di Nazareth, che ha detto sì a più grande avvenimento della storia ; è il si tipologico per tutta la Chiesa.
Del primo passo vorrei approfondire due aspetti: la seconda Eva, Maria, è in un certo senso la "prima" Eva, cioè la donna o in genere l'uomo come lo ha pensato Dio: un uomo obbediente e per questo libero. La redenzione stessa non è una reazione al peccato dell'uomo. L'incarnazione è l'idea massima che Dio ha avuto del "figlio dell'uomo". Il secondo aspetto è il rapporto tra i profeti e Maria. Non tutto il popolo, che è di dura cervice, ma alcuni uomini (nel e con il popolo , i profeti, hanno detto, anche se non senza contraddizioni, si a Dio. Maria lo ha fatto senza contraddizioni.
Come laico infine queste frasi teologiche, per esempio, che il popolo se pur eletto non è capace ad essere fedele a Dio, sono scritte nella mia carne, le so insomma non per un libro, ma perché sono scritte nella stessa mia carne, incapace di fedeltà pura, ma desideroso di essa. E proprio in forza di questa coscienza esistenziale cerco un rapporto autentico con il cuore di Gesù e Maria.
(8.6.21) Quando si parla dello staurocentrismo (centralità della croce) in Balthasar non si deve dimenticare Mozart, che conosce ovviamente il dramma dell'essere (Don Giovanni, Requiem e la sua stessa vita) ma che più di ogni altro musicista sa che cosa è la gioia. Sa che cosa significhi essere sorpreso dalla gioia. Balthasar conosceva a memoria tutta l'opera di Mozart.
(8.6.21) Sul riconoscimento critico di Balthasar nella dissertazione di Gabriela Wozniak, ibidem 225-234
Se uno crede che vi sia solo un accesso "accademico" ad un autore può smettere di leggere queste righe. Come Wozniak non sono uno che ripete Balthasar e sento anche l'esigenza di una distanza critica nei confronti di autori a me cari - per esempio penso che noi in CL ripetiamo troppo acriticamente Giussani. Ma allo stesso tempo non credo che ogni distanza sia critica: per esempio l'affermazione sul presunto rapporto "problematico e non chiaro con Adrienne von Speyr", non è una affermazione critica, ma semplicemente una sfacciataggine. Ci sono stati ormai tre simposi internazionali su Adrienne von Speyr, di cui due a Roma; uno, il primo, con un'udienza da San Giovanni Paolo II e uno in Vaticano (cfr. l'introduzione sui tre convegni di Padre Servais SJ agli atti del terzo convegno, in cui ho conosciuto Wozniak: Adrienne von Speyr, Una donna nel cuore del ventesimo secolo, Sine 2021). Per fare un'affermazione del genere bisognerebbe aver almeno recepito questi tre convegni, per non parlare delle grandi opere di von Speyr, come il commento in quattro volumi del Vangelo di Giovanni. Penso che sarebbe anche necessario un confronto serrato con i tre volumi del diario "Cielo e Terra".
Per quanto riguarda la critica a Balthasar: troppo poco sistematico a livello teologico, troppo sistematico e selettivo a livello letterario, non interessato ad un dialogo con chi non è cristiano, addirittura colpevole di decontestualizzare le citazioni letterarie, rapporto distanziato di Ratzinger con lui, perché Balthasar sarebbe mistico (cfr. le citazioni delle opere nelle pagine indicate di Wozniak). Etc. Avevo la sensazione che Wozniak abbia letto un altro Balthasar da quello che ho letto io. Io ho imparato a conoscere stili del tutto differenti teologici, letterari e filosofici da Balthasar che quando fa parlare Heidegger fa parlare proprio quest'ultimo, etc. Quando traduce Peguy traduce Peguy... Che Balthasar metta in scena stili per l'appunto del tutto diversi come Peguy e Claudel, etc. è stato per me sempre garanzia di dialogo, anche se Balthasar non era un dilettante e quindi non parlava di cose che non conosceva bene e la sua opera spesso si ferma allo spazio metafisico occidentale. La sua teologia non la ho mai interpretata in modo integralista (cfr. sua critica all'Opus Dei proprio per questo motivo), ma capace di integrare tutto, perché l'amore gratuito di Dio, anche con la sua connotazione staurocentrica sa integrare tutto. Nel mio blog in dialogo con Agostino, Massimo il Confessore, San Newman, Balthasar stesso ho fatto vedere strade che mi hanno permesso il dialogo con l'islam. Da lui ho imparato a leggere Goethe e non solo le cose che leggeva lui; ma ho imparato a leggere tutto in modo per nulla selettivo; per esempio in questi tempi sto leggendo "Guerra e Pace" di Tolstoj e la grande categoria aperta dell'amore gratuito mi permette di entrare in dialogo con le grandi dimensioni della guerra (critica di Tolstoj a Napoleone) e della Pace (Andrej e Nataša...). Con la grande scuola del mio padre spirituale Balthasar posso ascoltare i primi romanzi di mia figlia, che lei sta leggendo a mia moglie e me in una chat in Whatsapp, con grande interesse e senza paure: non Balthasar direttamente, ma "solo l'amore è credibile" mi permette di entrare in dialogo con tutto. Per esempio con il mondo fantastico di mia figlia Johanna.
Le citazioni di Balthasar non sono decontestualizzate, ma egli da una priorità alla missione letteraria sulla biografia; manca spesso il contesto biografico, ma non la vita dell'autore e tanto meno la sua missione teologica, filosofica o letteraria. Scrive Balthasar alla fine della sua vita in una rielaborazione del suo libro su Reinhold Schneider: "das Leben gehört dem Auftrag, nicht der Biografie" (la vita appartiene al compito che si ha non alla biografia, che è curvatio in se ipso).
Per quanto riguarda Ratzinger: nei suoi "ultimi dialoghi" con Peter Seewald vi è un chiaro distacco da von Speyr, ma non da Balthasar, sebbene i due stili teologici siano differenti: Ratzinger ha compiuto una critica alla teologia politica (cfr. Massimo Borghesi, Critica alla teologia politica, Genova, 2013) per esempio che non è presente in Balthasar e nel suo libro-trilogia su Gesù ha offerto un'integrazione del metodo storico critico, forse più adeguata alle nuove conoscenze esegetiche a ciò che aveva presentato Balthasar nella "Teodrammatica". Balthasar ha compiuto un lavoro di dialogo con la letteratura e con il teatro che invece è meno presente in Ratzinger. L'approccio di Balthasar mi ha permesso per esempio in dialogo con autori come J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis, nel mio insegnamento di religione, un rapporto integrativo con la "mitologia" estranea al pensiero di Ratzinger, ma non a quello di Balthasar. Insomma i due si integrano a vicenda e nei citati "ultimi dialoghi" Ratzinger non prende le distanze da Balthasar, ma per l'appunto da Adrienne.
Mi sembra invece molto interessante la critica sulla questione della teologia dei sessi, teologia che in Balthasar sarebbe "tipologica" (uomo-donna) e non "fenomenologica" (questo uomo, questa donna) - prima di scrivere su questo vorrei ascoltare meglio cosa dice Wozniak.
(9.6.21) Nel mio post "tedesco" sulla via sinodale nella chiesa, che qui traduco come deepl (rivedo un po' la traduzione), ho scritto quanto segue sul sacerdozio femminile: (9.6.21)
Sul sacerdozio femminile.
Forse, in queste mie riflessioni, il più grande "freno" a un processo di riforma è il mio no al sacerdozio femminile. Sono consapevole che su questo argomento c'è il rischio di non capirsi affatto. E non tutti gli argomenti pro o contro hanno lo stesso valore.
Cominciamo con i 4 criteri che ho proposto, che possono essere considerati puramente come una tipologia. Gabriela Wozniak, nel suo libro "Redenzione divina e partecipazione creaturale", Regensburg 2021, dice giustamente: "Per quanto riguarda le figure reali-simboliche della Chiesa, le vocazioni di Maria, Giovanni e Paolo sono realizzabili da tutti i credenti nel tempo, quella di Pietro si riferisce a una rappresentazione personale di Cristo, che ontologicamente può avvenire solo in un uomo. Se qui non si elabora la distinzione tra rappresentazione e tipo, cosa che non accade in nessun passaggio di Balthasar, allora l'argomentazione va in tilt" (233). Lo squilibrio sarebbe qualcosa come il fatto che una donna non potrebbe esercitare il potere nella chiesa a causa del suo tipo (essere una donna). Il che è certamente una sciocchezza: come una donna può diventare cancelliere, così anche il potere può essere "amministrato" da una donna nella Chiesa (basta pensare al ruolo di una badessa, che è ed era talvolta più potente di un vescovo). "In questo senso, bisogna fare una separazione netta tra l'assegnazione del sacerdozio ordinato all'uomo e tutta la rete di questioni che circondano il potere" (Wozniak, 300).
L'uomo e il suo potere (essendo un uomo come tipo) non hanno niente a che vedere con la rappresentazione di Cristo: sull'altare agisce Cristo, non l'uomo. Tuttavia, Cristo come persona è un uomo, e a causa della "dialogicità dell'uomo" (Wozniak, 301), ha bisogno della donna come persona e non come tipo, o almeno non solo come tipo, per formare il "dialogo". "Dalla relazione diretta del mistero con ogni singola persona, così come dal carattere empirico della trasformazione eucaristica, il sacerdozio viene considerato in un quadro molto più completo. L'attribuzione all'uomo risulta da una comprensione approfondita della Maria-Ecclesia in termini di un "noi-spazio" di libertà così come dalla Presenza Reale di Cristo nei sacerdoti stessi, specialmente nella pronuncia delle parole di consacrazione" (Wozniak, 301).
Anche se tendo ad una riflessione tipologica, ma più per ragioni filosofiche sulla tipologia uomo/donna, sono felice di essere corretto dall'approccio fenomenologico della Wozniak, che apprendo dalla lettura della sua tesi. In questo post, tuttavia, il mio argomento principale non era tipologico, ma la proposizione filosofica dell'unità nella dualità tra uomo e donna, pensata meno come una derivazione trinitaria delle processioni, ma di un approccio antropologico che si chiede se la giustizia e l'uguaglianza sono piuttosto alternative che sinonimi.
Inoltre, penso a un realismo ecclesiale che vuole integrare la via sinodale tedesca all'interno della via sinodale generale di tutta la Chiesa (Mons. Oster) e che per essere cattolico dovrebbe avvenire sub et cum Petrus. A proposito del sacerdozio femminile, San Giovanni Paolo II ha detto: "Affinché sia tolto ogni dubbio sull'importante questione che riguarda la costituzione divina della Chiesa stessa, dichiaro, in virtù del mio ufficio di rafforzare i fratelli (cfr. Lc 22,32), che la Chiesa non ha alcuna autorità per ordinare donne sacerdote, e che tutti i fedeli delle Chiese devono attenersi definitivamente a questa decisione" (Ordinatio sacerdotalis, 4). E a questo proposito, Papa Francesco parla di una porta chiusa (cfr. Osservatore Romano, 7/31/2013, nel giorno di Sant'Ignazio). Citato da Wozniak, 296, nota 121).
(9.6.21) Balthasar: un pensatore elitario? Su questa cosa vorrei dare una piccola testimonianza. Ovviamente se si guarda all'opera di una delle persone più erudite del 20. secolo vi è qualcosa di elitario, come anche Mozart può essere considerato elitario. La prima volta che scrissi a Balthasar nel 1978 ero uno scolaro sconosciuto di un quartiere operaio a Torino (Mirafiori Sud: qualcosa come la Ludwigshafen di Ernst Bloch e che quest'ultimo differenza da Mannheim). Solo come studente universitario ho conosciuto il centro di Torino (la Mannheim di Bloch) - l'immensa opera epistolario di Balthasar mi raggiunse insomma nel quartiere operaio di Mirafiori Sud. Ha fatto di me un pensatore elitario? Ho lavorato 9 anni in Baviera nella Haupt- und Grundschule ed ora nei 20 anni di diaspora in Sachsen-Anhalt non ho solo lavorato solo in un liceo, ma anche nella Gemeinschaftschule. Insomma Balthasar ed Ulrich non mi hanno mai educato ad un pensiero elitario, ma a servire, la dove Dio mi voleva e vuole. È solo una testimonianza.
(10.6.21) Balthasar pensa come teologo a partire dalla Parola di Dio, dalla rivelazione dell'AT e del NT e dall'esperienza (il carattere drammatico dell'esistenza) - quest'ultima viene vista a partire dalla luce della Rivelazione, non di una rivelazione, ma della Rivelazione biblica. Ma egli specifica immediatamente che i disegni e gli schizzi umani vengono innalzati ed ordinati da questa luce. Insomma il tentativo teologico di Balthasar è interessato all'integrazione, anche di Nietzsche, tanto per fare un esempio che si trova nella prima pagina della premessa. Ovviamente dovremmo vedere se questa teologia è capace di interare anche altri tentativi teologici che in forza della loro autocoscienza non sono progetti umani, ma a loro volta rivelazione divina, come nel caso dell'Islam.
Per quanto riguarda i progetti teologici dell'occidente (mitologia e filosofia) il tentativo di Balthasar è eminentemente teologico, quindi né mitologico né filosofico, ciò significa che Dio non è né immutabile (filosofia) né mutabile (mitologia).
Quello che mi preme dire è che la scelta teologica di Balthasar non viene vista da lui come "limitante", ma come "ampliante": la rivelazione di Dio amplia la nostra capacità integrativa. "Dio con la creazione del mondo, ed in modo particolare con la creazione di libertà infinite, si è coinvolto senza cadere in un destino a lui superiore" (Balthasar, ibidem 9) - tutto ciò che accade nella storia del mondo non è un destino superiore a Dio, perché Dio è colui che di più grande non può essere pensato ed è chiaro che la confessione della sua maestà e del suo amore non può essere "limitante"; anche la nostra confessione "particolare" (sit venia verbo) lo è solo sociologicamente o storicamente particolare, in vero essa è "cattolica", universale.
Uno sguardo profondo a tutto ciò viene dalla intuizione geniale di Ferdinand Ulrich che vede nel "movimento di finitizzazione" del dono dell'essere come amore la legge ultima del reale. Noi non incontriamo l'essere in generale, ma nella particolare finitizzazione che contempliamo: una pianta, una pietra, la donna amata.
La critica alla teologia delle essenze (Balthasar) e quella alla filosofia delle essenze (Ulrich) è per quanto mi riguarda il fulcro nevralgico del loro insegnamento. Non ci sono essenze statiche di Dio, dell’uomo e di Cristo fuori dal teatro del mondo - certo il Dio trinitario c’era prima del mondo e ci sarà dopo il mondo, ma senza la concentrazione su ciò che è accaduto ed accade ed accadrà sul teatro del mondo noi ci muoveremo in un terreno „accanto“ a Dio, una specie di dio più divino di Dio che stabilisce le essenze delle cose e delle persone, ma che non ha nulla a che fare con il dramma del mondo. Non vi è neppure, se non come tentazione, un essere sostanzializzato al di fuori dell’avvenimento del dono dell’essere per amore. Vi è una dimensione „sovraessenziale“, senza la quale Dio sarebbe perso nelle vicende del teatro del mondo e l’essere perso nella cosa, nelle cose senza speranza. Ma questa dimensione „sovraessenziale“ viene vissuta in un „compito“ ben preciso, quel compito che fa della nostra persona ciò che è! E filosoficamente passa attraverso una crisi radicale, quella dell’uso medesimo di essere e „nulla“: credibilità nella storia del mondo si da solo quando nel suo teatro appaiono persone che vivono talmente di gratuità che possono incontrare tutti, come Francesco - sia il santo di Assisi sia il papa attuale. Le coincidenze tra Balthasar, Ulrich e Francesco non sono solo puntuali, come dice Gabriela Wozniak (in riferimento a Balthasar), ma „totali“.
(14.6.21) Sia in Balthasar che in Ullrich vi è una chiara priorità dell'avvenimento, dell'esperienza, della realtà sulle idee: il grande avvenimento per Balthasar è l'amore che Cristo rivela in modo definitivo (sulla Croce e nella discesa all'inferno, ma già in tutta la sua vita, quella nascosta a Nazareth e quella pubblica) e che è il cuore di Dio stesso: "Dio è amore". Questo amore viene donato gratuitamente, ma necessita la risposta altrettanto gratuita e personale, che non è un sentimento, ma un "compito", una "missione", quel compito che Dio ha pensato per me. Ulrich parla del medesimo avvenimento in forma filosofica: Dio ha donato l'essere in modo gratuito; l'obbedienza a questo dono, al senso necessario dell'essere, è la forma massima di libertà.
Si è persona per la semplice appartenenza al genere umano, dal primo all'ultimo momento della vita (Spaemann) - nel senso specificamente cristiano, che si rapporta al primo naturale ne senso del "gratia perficit naturam non tollit", si è persona quando si dice si al compito che Dio ha pensato per noi. Già l'estetica teologica in Balthasar non è solo contemplazione, ma essere rapiti nella contemplazione; nella teodrammatica veniamo per così dire "decisi": non si tratta solamente delle nostre decisioni, ma dell'essere "decisi" da un altro: un'altro mi chiama in modo definitivo, per amore. La chiesa, con un suo documento, può aiutarci a vivere questa chiamata, che non è mai alcunché di "immediato" (sentimenti...), ma per l'appunto compito teologico ed ontologico e non è mai una questione di potere, ma di servizio, che inizia e finisce nel momento in cui la Chiesa stabilisce (anche in forza di forme democratiche o sinodali, che sono sempre più necessarie, quando più una realtà diventa grande.
L'avvenimento della vita accade nella tensione tra battaglia e liturgia: lo specifico cristiano è che l'agnello immolato non immola nessuno, ma combatte proprio in quanto immolato. L'apocalisse ci fa vedere tutto ciò e non deve essere ridotta ad un ritmo di battaglia mondana, ma essere meditata per quello che è: la visione che l'agnello immolato è il vincitore. Nella guerra mondiale a pezzetti l'agnello immolato non è un partito contro un altro, ma l'invito ad una presenza realmente pacifica, rivelatrice di quel giorno lieto e lieve che è il giorno di Dio! In cui non vi è più bisogno della luce del sole...
(20.6.21) Superamento della tragicità?
Balthasar non può essere usato per scopi di "filosofia o teologia narrativa" che superi l'individuo, la persona singola con la sua libertà e drammaticità e tragicità. Non lo si può chiudere in un sistema (neppure ecclesiale), per questo i tradizionalisti di tutti i colori lo hanno odiato fino a dire che sarebbe morto tre giorni prima di ricevere il berretto cardinalizio, perchè Dio non avrebbe voluto un eretico come cardinale. Ovviamente anche i teologi liberali prendono la distanza da lui, come per esempio lo fa Vito Mancuso.
Ieri sera ho visto un film svedese, "Dancing Queen" (2021), che mi ha impressionato: è la storia di una ragazza, che porta il nome del famoso cantautore, Dylan (Bob Dylan) Peterson, a cui è morta la mamma, e che pian piano cerca di mettere in pratica il desiderio della mamma, ma anche il suo desiderio profondo: di continuare a ballare, cosa questa che aveva imparato dalla sua mamma. La tragicità del destino di Dylan, la sua libertà, la scoperta dei suoi talenti da parte di Victor (il coreografo del gruppo), l'inserimento in un gruppo teatrale di transessuali non si lascia integrare in una narrazione, né tradizionalista (che sarebbe solo critica) né liberale. Il film è di una tenerezza incredibile; credo che le categorie "aperte" del dramma, imparate da Balthasar, mi hanno permesso di vedere senza pregiudizi questo film, che certamente non fa parte del mio mondo, quello cattolico, che con ragione difende anche il proprio diritto, per esempio, di non voler dare in adozioni bambini a degli omosessuali (cfr. il giudizio di qualche giorno fa della Corte suprema degli USA, che ha ribadito in questa questione il principio della libertà religiosa), ma senza alcun "giudizio" su chi invece lo vuole. Senza alcuna "epica" che non prenda sul serio la "drammatica" del destino di persone che si "sentono donna"; Dylan, che deve farsi passare come maschio per far parte di questo gruppo teatrale, non ha alcun giudizio su queste persone, ma solo il desiderio di ballare e questa concentrazione di desiderio tocca infine il cuore anche di questo gruppo transessuale, che alla fine la va a prendere nella sua isola (con i colori meravigliosi della natura svedese), in cui era scappata quando avevano scoperto che era una donna, per portala nel grande teatro di Göteborg. Si potrebbe obiettare che la storia è del tutto "orizzontale", cosa vera, però, fino ad un certo punto - perché la trascendenza o si trova nei gesti del ballo stesso, oppure è solo un'aggiunta, che non ha a che fare con l'uomo. Ma ancor di più si trova nel desiderio della mamma, nel modo con cui Dylan ne parla ad un'amica della mamma stessa, che la ospita in Göteborg. In una tale situazione come quella descritta dal film comunque non credo che l'annuncio della speranza cristiana sia possibile solamente con parole - credo solo che solamente una testimonianza d'amore, "senza giudizio e senza limiti", possa farla nascere nel cuore disperato dei nostri compagni di viaggio, in questo mondo triste.
Nessuna narrazione può e deve superare la libertà degli uomini e questo dopo più di un anno di pandemia, con la variante Delta in arrivo, deve essere detto con grande chiarezza. Certamene la scienza ha il diritto di lavorare con un "ateismo metodico" - un vaccino adatto viene trovato da virologi e non da teologi, ma anche la narrativa scientifica non può e non deve costringere la libertà degli individui: il dramma della mia esistenza viene deciso al cospetto dell'unico Assoluto, che è Dio e non la scienza. Anche la differenza teologica tra l'essente (il mondo) e l'essere (Dio) o quella filosofica tra l'essente e il dono dell'essere finito non sono un'epica narrativa e di fatto sia la teologia di Balthasar che la filosofia di Ulrich sono al servizio di un discernimento che ci permette di muoverci nella storia drammatica, a volte tragica dell'uomo singolo e che intravede un superamento della tragicità non in un discorso, non in una gnosi (la scienza moderna è anche una tale forma di gnosi, se pensa a se stessa come assoluta e non come ad un metodo legittimo) ma nel cuore di quell'assoluto che non è discorso appunto, ma amore e in quanto tale Logos!
(27.6.21) Cancellazione della differenza, mitologia, rito e rivelazione
Vivendo da 20 anni nella diaspora, o più precisamente, in una delle zone più secolarizzate del mondo, non mi è possibile non pensare alla cancellazione della differenza teologica, tra l'essente (il mondo) e Dio (l'assoluto) - cfr. Teodrammatica II,1. Ma grazie a Dio, nell'esperienza stessa, essa rimane, per quanto nascosta, iscritta nel cuore dell'uomo.
La domanda che si pone Balthasar nella Teodrammatica II,1 è per me vitale: come prendere sul serio il dramma della persona singola, atea, buddista, mussulmana o cristiana che lei sia? In un racconto epico come "Guerra e pace" Tolstoj non dimentica il dramma della persona singola (del principe Andrej, di Nataša...), ma di fatto il rischio che tutte le persone, compreso Napoleone, siano solo marionette dello spirito della storia, è un tema che Tolstoj spiega in molte pagine del suo romanzo. Lascio aperta la questione per quanto riguarda il grande scrittore russo, comunque è vero che nella storia personale il "non-esserci-più" sembra contare più del "non-essere-ancora" (Bloch). Lo spirito dell'utopia di Bloch non salva con la sua filosofia del non essere ancora la persona nella sua singolarità. Giustamente mi chiedeva Balthasar in una delle sue lettere: per chi spera Bloch? Per un'umanità futura? E che ne è dei miliardi di persone, che all'ombra della grande storia del mondo, hanno vissuto la loro storia personale, spesso drammatica? Che ne è di e e te che leggi, ora? Quello che vale per Bloch, vale mutatis mutandis, anche per Hegel: nella filosofia epica dello spirito assoluto che diviene, la persona singola è solo un momento alla fine insignificante. E per quanto riguarda la tecnica, che ci aiuta in alcune questioni di comunicazione (per esempio con il Mac con cui sto scrivendo) non è certo interessata alla mia particolare storia; lo stesso vale per la scienza. Ma, per fare un esempio, meno nobile, ciò vale anche per la pornografia, che non è interessata alla persona singola, ma a certe "tipologie" che eccitano la persona singola, ma ingabbiandola nella generalità delle pulsioni.
La filosofia, nel suo intervento sul teatro del mondo, dopo la mitologia e la tragedia (rito), opera per purificare le tensioni in cui si trovano le persone singole, quando interagiscono. Ne viene guadagnata un'idea di Dio e di unità che serve alle definizioni dogmatiche di Dio e ciò non è una piccolezza, se non si vuole che Dio stesso nel suo assoluto amore si perda completamente nel dramma del mondo, ma in sé non è ancora la risposta alla nostra questione: come integrare, non in una legge generale, ma in un vero spirito cattolico/universale, il dramma delle persone singole, di quel padre che l'altro giorno in Sardegna, ha salvato la vita di sua figlia e di un'altra ragazza, ma ha perso la sua (Renato Farina)? Noi cristiani crediamo che solamente nell'universale e concreto Logos divino che è Cristo, si possa trovare quella chiave di lettura cattolica, che permette di integrare tutti i drammi personali. Ma in quanto cattolica, credo che dovremmo sforzarci al quanto per non tratteggiare confini, che sono in noi e certo non nel Dio assoluto.
I drammi personali nella tragedia greca, per esempio Antigone, non sono tipologici, ma rituali che riguardano quella persona singola che ha rischiato la sua vita per seppellire suo fratello, contro la volontà del re. Nel suo "Signore degli anelli" J.R.R. Tolkien, pur essendo la doppia realtà della mitologia non sottolineata (lo è in Silmarillion) - insomma sul palcoscenico non combattono dei e uomini come nella mitologia - ci offre non solo un un "tipo" (l'Hobbit, con i suoi rituali mondani come la doppia colazione), ma delle persone realmente singolari e cattoliche, come Frodo e Bilbo, con una missione universale: la distruzione dell'anello del potere. Lo stesso vale per i bambini di Narnia, solo che C.S. Lewis salva la doppia realtà mitologica con l'intervento di Aslan. Ma come lo stesso Lewis dice alla fine dei sette volumi di Narnia: in ultima istanza la figura di Aslan deve dissolversi in quella di Cristo, che saprà integrare tutti, anche coloro che non servono e lodano ed adorano esplicitamente il suo/nostro "Abba". Nella rivelazione: Cristo e Maria non sono solo tipologie, ma vere persone universali e concrete, con una missione di salvezza per tutti, che possiamo "ripetere" nei nostri riti, in modo particolare la Santa Messa, che, però, non è solo rappresentazione, ma accadimento memoriale di quell'unico sacrificio che può salvare tutti.
(01.7.21) Nel suo articolo "La verità non ha bisogno di fortezze" (Il Sussidiario, 29.06.21) Fernando de Haro fa un'operazione culturale legittima, ma per cui solo in parte può richiamarsi al teologo svizzero Hans Urs von Balthasar (1905-1988). Vero è che Balthasar era un uomo libero e chi ci ha educato alla libertà. Era anche un uomo con una forte vena ironica, anche con la posta che riceveva dal Vaticano; quando in un modulo gli si chiedeva quante persone facevano parte della Comunità di San Giovanni, da lui fondata con Adrienne von Speyr, lui non rispose rinviando al fatto che questa è una questione che interessa lo Spirito Santo, non il Vaticano. Cito questo gesto per la sua simbolicità - Balthasar è stato un uomo obbediente, anche quando accetto la sua nomina cardinalizia, sebbene sapesse che il cielo voleva qualcosa d'altro. E di fatto è morto, tre giorni prima di ricevere il berretto cardinalizio. Ma non era un uomo che amava i compromessi, tanto meno con la modernità, fuori e dentro la Chiesa.
Era un uomo che rispondeva le lettere di un giovane diciottenne sconosciuto, che gli scriveva dalla periferia operaia di Torino, ma senza alcun captatio benevolentiae. Era il grande teologo di una Trilogia monumentale (estetica, drammatica e logica), non inscatolatile in categorie come progressista o reazionario e che per quanto riguarda le piccolo opere, si trovava in una polarità tra "Abbattere i bastioni" e "Cordula. Ovverosia il caso serio". Certo non pensava che la verità potesse venir difesa da bastioni, di qualsiasi tipo essi fossero, ma non era un teologo "liberale" - credo che avrebbe accettato l'idea di una "legittimità critica della modernità" (Massimo Borghesi), ma certo lo spirito critico e ironico avrebbe avuto il sopravvento. Colui che è la verità e l'amore è venuto nel suo mondo ed è stato crocifisso: la croce non è una fortezza contro qualcuno, ma qualcuno - noi tutti, anche noi moderni o postmoderni - era ed è talmente contro colui che non era contro nessuno, che lo hanno ucciso. Se non si dice questo, se non si parla di questa polarità tra "Abbattere i bastioni" e "Cordula" si presenta un Balthasar inventato. Un Balthasar "bergogliano" (intendo con ciò l'ideologia in cui viene ridotto il Papa, sia dai critici che da alcuni suoi sostenitori), che non piacerebbe certamente neppure al vero Bergoglio/Papa Francesco, che nella sua attuale coraggiosissima catechesi sulla lettera ai Galati, dice con grande vigore: "Paolo ama Gesù e sa che Gesù non è un uomo-Dio di compromessi. Non è così che funziona il Vangelo e l'apostolo ha scelto di seguire la via più impegnativa. Scrive così: "E forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio?" (30.06.21).
Lo stesso vale per Balthasar: non era un uomo dei compromessi, tanto meno avrebbe condiviso la frase che "in Occidente i cristiani sono lontani da subire una persecuzione" (Fernando de Haro). Richiamarsi a Balthasar per dire che l'espressione "totalitarismo morbido" sarebbe "irresponsabile" e "che alimenta il vittimismo"" è un'operazione culturale scorretta (anche se certamente esiste un tale vittimismo). Chiaro che ci sono paesi in cui i cristiani subiscono immensamente di più il martirio e che noi nell'Occidnete possiamo imparare da molto da loro, ma se Balthasar leggesse oggi gli articoli di un giornalista come Glenn Greenwald, che in modo preciso sta scoprendo le forme di dittatura più o meno morbida del "discorso unico occidentale" della stampa e dei media dominanti, che egli chiama "corporate", salterebbe di gioia e nulla, assolutamente nulla si può trovare nel suo pensiero per sostenere i cristiani che simpatizzano con il nuovo presidente americano Biden. O con le varie forme moderne di comunicazione per cui discorsi "progressisti" sono più accettati dei discorsi "veri". Proprio in forza del "caso serio" della Croce Balthasar avrebbe, come Augusto del Noce e Ferdinand Ulrich, criticato e visto le tentazioni della nostra società opulenta e pseudo liberale. In questo senso la critica alla teologia politica di Fernando de Haro è una banalizzazione del lavoro sul tema fatto dal filosofo italiano Massimo Borghesi.
Credo che a Balthasar sarebbe piaciuta la scena in cui il Francesco di Liliana Cavani risponde a Papa Innocenzo III, che gli domandava se davvero lui amasse tutti, anche il papa e i cardinali, con un chiarissimo: "senza limiti e senza giudizio". Perché di fatto non c'è mai un giudizio sulla persona di cui noi uomini possiamo arrogarci il diritto, perché questo come la sua redenzione, è cosa di Dio. Non è possibile neppure, dice Balthasar in una sua introduzione ad un'antologia della "Civitas Dei" uscita nell'editrice "Johannes", separare univocamente chi appartiene a "Gerusalemme" e chi a "Babilonia". Ma ciò non significa che non sia possibile descrivere precisamente cosa sia la "civitas Dei" e cosa certo non lo è. Alla fine non un "giudizio", personale o sulla cosa, è ciò che credibile; credibile è solo l'amore, ma questo non è un sentimento di happiness, ma la fortezza impotente del Crocifisso, che non ha ucciso nessuno, ma che è stato massacrato e poi ammazzato. E solo dopo ciò è risorto!
(3.7.21) È il mondo che erige bastioni contro la Chiesa?
Dario Chiesa (Il Sussidiario, 02.07.21) risponde, con una lettera, all'articolo di cui abbiamo parlato di Fernando de Haro, ma in vero questa lettera è solo una "reazione" e non ha neppure il merito, che invece ha l'articolo di de Haro, di reagire, come mi ha scritto un amico , "contro coloro che, vedendo nemici ovunque, ne fanno l'alibi per ridurre la fede ad un'eterna crociata".
Ma poniamoci ora la domanda: è il mondo che erige bastioni contro la Chiesa o è la Chiesa che erige i bastioni contro il mondo? In primo luogo l'idea di fortezza, bastione, non è solo negativa - per esempio fa notare Peter Handke, che quelli di Dubrovnik, sono molto belli (a differenza di quelli odierni); lo stesso vale per quelli che ho visto a Malta. E vi è una lettera di sant'Ignazio, che il Papa ha citato una volta, in cui la parola "muro" viene usata in modo positivo: come difesa dall'immondizia del mondo. Un'immondizia, come ci fa capire il profeta Isaia nei suoi primi quattro capitoli, che è un mix di ingiustizia contro le vedove, di corruzione giuridica e politica ed anche di orgoglio femminile della futilità (3, 16-25).
Lo scandalo della pedofilia fa vedere che la Chiesa non viene distrutta dall'esterno, dai bastioni che vengono eretti intorno a lei e se vogliamo riferirci alla "Lettera dei cristiani d'Occidente" di padre Jozef Zverina, dovremmo certamente oggi scriverla non tale e uguale come quella che lui scrisse nel 1970, se non ne vogliamo tradire lo spirito: Papa Francesco nel suo pontificato, nel pontificato di uno che viene dall'altra parte del mondo, ci ha dato molto materiale per scrivere questa lettera in una sua nuova versione, una versione che non sia solo la ripetizione di quella passata.
In un suo libro sui nuovi diritti, il filosofo marxista Christoph Menke, che avevo recensito per "Il Sussidiario", ha presentato una critica dei nuovi diritti che può essere riassunta così: il prezzo che stiamo pagando con i nuovi diritti è la perdita di ogni senso politico del bene comune, per una concentrazione sul desiderio individuale. Al tempo della mia recensione feci notare che lo stato di diritto liberale non è interessato alla verità, ma solamente a che le persone all'interno di esso non vedano in continuazione l'altro come nemico. Credo di aver allora accentuato troppo un'aspetto - cioè che non bisogna insistere solamente su alcuni valori non negoziabili, perché il rischio è quello di perdere energie in una continua guerra civile spirituale; d'altro canto nel lungo dialogo con l'amico statunitense Adrian Walker, mi sono accorto che nella mia posizione c'era il pericolo di non vedere quale rivoluzione antropologica (davvero un bastione contro la Chiesa) sia in atto con l'imposizione della cultura gender (in Italia Massimo Borghesi ha messo il dito su questa piaga in un suo articolo, "DDL ZAN/ Un disegno di legge ideologico e illiberale, Il Sussidiario, 27.06.21), e a cui non si può assistere senza tentare di difendersi, tanto più che le persone consenzienti non si trovano solo da una parte politica.
Se in Italia, tanto per fare un esempio, la morte di una persona di infarto per le condizioni di lavoro disumane e meno importante che l'insulto ad un gay, devo dire che qualcosa non quadra: un omosessuale come Glenn Greenwald, per esempio, in riferimento al massacro della discoteca Orlando in Florida ha dimostrato che esso non aveva per nulla a che fare con un attacco contro gli omosessuali ed ha invitato quest'ultimi a non farsi cooptare da uno scema dei media "corporate", espressione della mentalità di un'élite, per cui il lavoratore che crepa per condizioni di lavoro disumane fa meno notizia che una che può essere integrata in un certa battaglia ideologica "di moda", per quanto giusta essa possa essere, come quella a favore dei gay. Bene tutto ciò non c'era nella lettera del padre Zverina, ma oggi ne fa parte del suo spirito. E sarebbe necessario formularla in modo tale che tutto lo spettro dell'immondizia del mondo venga espresso con precisione.
Ma ancora una parola sulla questione dei bastioni: guardando ieri il volto di una foto della piccola Teresa o quello di mia moglie, incredibilmente belli, ho avuto la sensazione di una fortezza contro l'immondizia del mondo, che non è solo nel mondo, ma in me. Nessuno (!) dei peccati di questo mondo, se Dio non si occupasse di me, mi sarebbero estranei. E pur occupandosi di me e pur vedendo la bellezza di certi volti non ho alcun dubbio che nessuno bastione esterno a me, può essere pericoloso per me - perché il pericolo viene da me e per ritornare ad Isaia, esso ha a che fare con la corruzione, con i morti nel Mar Mediterraneo, con i migranti che vivono in camp disumani, ma anche con tutti quei gioielli di cui parla Isaia in riferimento alle donne orgogliose di Gerusalemme, che nascondono quella cura del corpo ed anche della bellezza che può offritici solamente il Dio vivo e vero, non degli idoli. Un Dio che non è moralista, ma fonte della morale, che sa offrirci i criteri per distinguere l'orologio maschile e femminile, dai desideri del nostro corpo e della nostra anima che non sono peccato, ma la modalità con cui Dio ci ha creato e Dio non ci ha creato in modo geloso, tenendo qualcosa per se, tanto meno la libertà, che è forse con la bontà e la bellezza e la verità, il suo attributo più grande. Non ho il coraggio di essere ancora più preciso, ma davvero ci sono dei bastioni nella nostra testa e nei nostri cuori, che non ci permettono di dire con grande animo e libertà tutto quello di cui abbiamo davvero bisogno. Fosse questo anche solo il bisogno di un corpo nudo...
(4.7.21) Non esiste un punto di vista teorico cristiano al di fuori della teodrammatica, sulla priorità della dramma sull'epica e la lirica.
Prima di parlare del tema, vorrei dire solo due parole sulla conferenza per Zoom del Prof. Anton Štrukelj sul tema: «Dankbares Gedenken an Henri Kardinal de Lubac anlässlich seines 30. Todestages» (commemorazione grata del cardinal de Lubac in occasione del trentesimo giorno della sua morte). Il professore sloveno conosce bene ciò di cui parla, ma per tutta la sera non potevo liberarmi dalla sensazione che stesse facendo una commemorazione da museo, o "epica" se si vuole usare il linguaggio di Balthasar, di un dramma passato. Quando nella mia domanda ho rinviato alla citazione di de Lubac nella "Evangelii gaudium" del Papa, mi ha letto la nota che aveva saltato durante la conferenza, del suo manoscritto, sulla mondanità spirituale. La biografia presentata, che ha saltato completamente, però, l'atteggiamento anti nazionalsocialista di de Lubac, ricordava alcune cose importanti della sua vita; la ricezione di de Lubac in Germania per opera delle traduzioni di Balthasar, la questione di "cattolicesimo" (la prima grande opera di de Lubac) e l'importanza della Chiesa sono state presentate in modo interessante, mentre la questione del sovrannaturale è stata saltata (ma è vero che non si può dire tutto)... la cosa che più mi ha, però, reso insoddisfatto - ma forse è solo perché vivo troppo a lungo nella diaspora pagana - e l'atmosfera da museo, "epica" del racconto di un dramma, che sarebbe ormai risolto. E questo ha a che fare con il tema di cui volevo parlare ora.
Non è possibile parlare dell'essere in modo ipostatizzato, cioè senza tenere conto della crisi ontologica che rivela che l'essere è comprensibile solamente nel suo movimento di finitizzazione (cioè nel suo essersi donato in sostanze concrete e compiti concreti) - questo elemento fondamentale della filosofia di Ferdinand Ulrich ha la sua corrispondenza nell'affermazione di Balthasar (cfr. Teodrammatica II, 47-55) che non esiste un punto di vista teorico, teologico cristiano al di fuori del teodramma, che si sta svolgendo ora. Non possiamo metterci fuori dal palcoscenico - chi guarda potrebbe essere coinvolto più di quanto gli sia gradito e di questo dramma non esiste un racconto epico, ma per l'appunto solo drammatico. Ed anche ciò che di lirico può essere detto su di esso non è garanzia che l'impegno di Dio nel mondo non pretenda da noi un coinvolgimento più forte. Certo Dio non è coinvolto come nel mondo mitologico antico in modo tale che possa essere sconfitto (dal fato) o risucchiato nelle avventure della differenza molteplice del mondo, ma il coinvolgimento drammatico è in atto e noi vi siamo dentro. L'iniziativa decisiva è quella di Dio e non vi è una continuazione tra i nostri progetti e i Suoi, ma ci possiamo trovare sempre di fronte alla possibilità di un "salto", che non deve essere necessariamente eroico, ma che si gioca nell'assunzione della propria vita come testimonianza e compito.
Pur stando attenti a non ridurre la nostra vita in una continua crociata contro gli altri, rimane il fatto che l'attore principale del dramma è l'agnello macellato e che solo come tale è "il leone di giuda che ha vinto". Insomma il cristianesimo è e rimane una lotta, anche se non violenta: chi non ha ucciso nessuno è stato ucciso. San Paolo nella Lettera agli Efesini è molto chiaro 6, [11] Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo.
[12] La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Balthasar traduce: la nostra battaglia non è contro la carne e il sangue. Non è contro gli ormoni o le pulsioni - tutto ciò dovrà essere ordinato, perché tutto l'uomo deve essere preso in servizio, ma non è il nostro tema, non è il tema cristiano e la riduzione della battaglia ad una battaglia "contro la carne e il sangue" l'abbiamo pagata a caro prezzo. Non ritorno sul tema, che ho già più volte accennato.
Perchè un papa come Francesco rimane a tanti dei normali sostenitori dei papa estraneo? Perché i tradizionalisti più di altri rischiano di fare un racconto epico del dramma e quando il dramma si presenta sul palcoscenico del mondo, non sanno che fare - se non per l'appunto integrarlo nelle loro "note" e quando non si lascia integrare allora cadano in mutismo o in aggressione, che non hanno nulla a che fare con il silenzio e la lotta cristiana. Perché il Papa ci chiede in continuazione di pregare per lui? Perché lui sa che siamo coinvolti (e lui in primis) in una drammatica lotta contro le potenze e gli spiriti del male, nel senso di Paolo e Giovanni. Il dramma è in movimento, come lo è il dono gratuito dell'essere nel movimento di finitizzazione, cioè nel farsi compito concreto e che nelle lettere alle Chiese all'inizio dell'Apocalisse è sempre invito a ritornare al "primo amore" - non stiamo parlando di cronologia, ma di ontologia.
(5.7.21) L'apatheia stoica non è identificabile, per lo meno non totalmente, con l'indifferenza cristiana. L'indifferenza cristiana riguarda il compito che Dio, come "interior intimo meo", mi/ci assegna ed a cui devo/dobbiamo cercare di dire di sì, con o senza "sentimento". La differenza sembra essere piccola, ma in vero è infinita: Cristo sulla Croce "grida", ma vive il suo compito totalmente. Mi sia permessa questa aggiunta parlando del tema della "lotta" in Balthasar.
(6.7.21) Nel suo articolo, "Cattolici attenti al rischio dell'autoliquidazione", apparso ne "Il sussidiario" (5.7.21), Danilo Zardin, cita von Balthasar e de Lubac: "Si è insistito sempre di più (ma non era affatto invenzione rivoluzionaria) sulla forza dell’attrattiva suscitata dalla carica carismatica della testimonianza, da persona a persona, più che sulla difesa a oltranza di schemi normativi e scheletri istituzionali prefabbricati. Ma le strade dell’autoriforma indicate, fra tanti altri, da de Lubac, da von Balthasar o da Ratzinger, si dispongono risolutamente anche in senso orizzontale, riproducendo esattamente la forma archetipa della croce di Cristo: incitano, insieme alla verticalità, alla riscoperta della dimensione totalmente aperta, cosmica e globale, della salvezza prodotta dalla Redenzione. La salvezza è per tutti gli uomini, per la ricostruzione della vita umana a partire dalle sue basi più fisiche e materiali. La grazia che si comunica ricrea il mondo innervandosi dal suo cuore più nascosto, secondo le molteplici traiettorie che si diramano dal suo centro. Ed è proprio in questo senso (la totalità organica dell’incarnazione e della redenzione di Cristo) che soprattutto de Lubac ha militato a favore della riscoperta della vocazione strutturalmente “cattolica”, cioè universale, proiettata verso l’abbraccio dell’umanità nel suo insieme, del germe di vita nuova identificabile nel “piccolo gregge” della communio stretta intorno alla potenza del Signore risorto."
Questa posizione cattolica ed inclusiva, non è però un invito ad un' eclettica mistura di posizioni inconciliabili: "Respirare a pieni polmoni nello slancio dell’apertura incondizionata al mondo, fuori dai “bastioni” delle cittadelle del sacro, non può più voler dire, nel contesto delle divaricazioni create dall’Occidente secolarizzato, immaginare che l’ordine normativo cristiano possa fagocitare, riassumendola in sé, la babele dei linguaggi con cui la modernità più estremizzata cerca di determinare la sua strada di indipendenza, non priva di tratti anche insidiosamente diabolici. Il mondo non è mai stato completamente cristianizzato, e tanto meno può esserlo nella frantumazione culturale del nostro oggi. La Chiesa non è un principio di governo della realtà politica, che la scavalca. La teologia e la fede non sono un affare politico. È stato un gran bene recuperare il senso della distanza critica tra i due ordini." Su questo punto la posizione di Danilo Zardin coincide con quella espressa da Massimo Borghesi nel suo "Per una critica della teologia politica".
Ma come si rapporta la cattolicità di cui parla de Lubac con le altre religioni, per esempio con il Buddismo? Nel suo "Buddismo e l'occidente" degli anni 50 del secolo scorso, l'eruditissimo de Lubac si muove tra problemi specifici come la presenza missionaria del Buddismo in Alessandria d'Egitto nell'epoca ellenistica, dopo la conquista di Alessandro Magno, presenza che il padre de Lubac non ritiene sicura, fino ad una riflessione adeguata sulla "nozione del bene e del male del Buddismo". Le differenze proposte qui da de Lubac, per esempio tra intenzione ed atto esteriore, i doveri di natura e di convenzione, ma in genere anche la presentazione dei cinque divieti buddisti, etc fanno vedere che l'atteggiamento del gesuita francese è di grande erudizione, e non di polemica, ma il giudizio è altrettanto preciso: "il buddismo è ateo" (edizione italiana della Jaca Book, 280). Insomma l'atteggiamento dell'erudizione di de Lubac non è solo integrativo. Interessante sarebbe da questo punto di vista studiare l'amicizia tra don Luigi Giussani e il professore buddista Shodo Habukawa del monastero del Monte Koya in Giappone. Le scuole buddiste sono molto diverse (per cui il giudizio di de Lubac potrebbe non essere corretto per tutte) e quindi è necessaria una sempre nuova apertura reciproca che nel caso di Giussani e Habukawa ha riguardato da subito l'educazione e il cuore dell'uomo, senza che Giussani abbia mai rinnegato la singolarità di Cristo, pur essendo interessato a comprendere la vera essenza del buddismo e il suo modo di riflettere sul dolore (cfr. Alberto Savorana, Vita di don Giussani, pp. 742-745).
Ho cercato in dialogo con Padre Paolo Dall'Oglio, ma non solo, di riflettere sul dialogo tra l'Islam e il cristianesimo (ne ho parlato in alcuni post del mio blog) e la frase che più mi ha accompagnato in questa riflessione è quella di Padre Christian de Chergé: vedere i fratelli mussulmani con gli occhi del Padre. Meditando in questi giorni il capitolo cinque del profeta Isaia mi accorgo che le parole non inclusive e dure sono in riferimento al proprio popolo, mentre degli altri, del "nemico che viene da lontano", se ne parla come di uno che viene per compiere la volontà di Dio. Per quanto poi riguarda il monastero giapponese mi sembra molto bella la frase della farfalla e del fiore, che diventano uno aperto all'altra, nel momento dell'incontro e dell'amicizia. L'autoliquidazione non viene frenata o superata con un atto di guerra esclusivo, ma nell'attenzione al Mistero che annuncia, nella singolarità di Cristo, che abbiamo lo stesso cuore e lo stesso destino (in riferimento al buddismo), lo stesso viaggio dal Padre al Padre (in riferimento all'Islam). Ovviamente non tutto quello che viene detto nel mondo può essere integrato - molto deve essere confessato, nel senso doppio del termine come confessione del peccato e confessione che Cristo, il Logos universale e concreto, è il cuore ultimo e definitivo del Dio che è amore!
(8.7.21) C'è un aspetto del libro di de Lubac su "Buddismo e Occidente" che mi ha molto impressionato: le pagine su San Francesco Saverio, che nel suo dialogo sul buddismo dapprima dipende da una fonte che non è attendibile. Esiste un "conciliarismo" che non è attendibile, perché si basa su poche e false conoscenze. Rimane il fatto che certe amicizie come quella di Don Giussani con il Professor Shodo Habukawa o quella tra Papa Francesco e il Gran Imam Al Tayyeb hanno un carattere esemplare, ma lo hanno per l'amore che è in gioco, non per uno pseudo conciliarismo.
(12.7.21) Definitività dell'avvenimento cristiano e futuro
Parlando di questo tema ritorno ad una intuizione che volevo sviluppare in un dottorato di ricerca su von Balthasar, ma che non ho mai scritto, certamente perché allora non avevo la maturità intellettuale ed umana di scriverlo, ma anche perché avevo un deputato completo nella scuola da assolvere e la mia famiglia faceva i suoi primi passi.
L'intuizione riguardava la parola "Schwebe" (sospensione) che in Ulrich ha un valore negativo e in Balthasar positivo. In Ulrich la sospensione ontologica è un modo filosofico in un cui una qualsiasi forma di gnosi non prende sul serio la "piccola via" - il dono dell'essere non può essere compreso in una sospensione ontologica e gnostica, vale a dire come un alcunché "accanto " a Dio. L'essere come dono è un "nulla" e non un "tesoro" ontologico da difendere o cercare, perché perso o sviluppare, perché non ancora completo. Il dono dell'essere può essere compreso solamente nel movimento di finitizzazione, insomma sulla piccola via dell'esperienza.
Per Balthasar la parola "sospensione" significa che il Verbo definitivo di Dio si trova per l'appunto ancora in una "sospensione", fino al momento in cui non ci sarà la seconda venuta di Cristo, insomma fino a quando la storia perdura, fino a quando il "movimento dal Padre al Padre" (Adrienne), che è la realtà, non è ancora compiuto. Balthasar non mette in dubbio la singolare definitività di Cristo, perché egli ha già vinto il mondo e il male, ma questa vittoria non ha caratteri trionfali. Lo spirito di Charles de Foucauld e di Louis Massignon (i due punti di riferimento teologico di Padre Dall'Oglio e dell'esperienza di Mar Musa) sono conciliabili con la teologia di Balthasar, che tra l'altro cerca di integrare tutto ciò che di buono vi è nelle diverse correnti teologiche del secolo ventesimo (cfr. Prolegomena della TD e TD II, 55- 69). Come è conciliabile con essa la domanda che nasce dalle esperienze di Charles de Foucauld, Louis Massignon, Christian de Chergé, Paolo Dall'Oglio..., riguardanti "la questione del significato dell'evento e della permanenza post-cristiana dell'Islam e del suo valore nel quadro della storia della salvezza centrata in Gesù" (Paolo Dall'Oglio, Innamorato dell'Islam, credente in Gesù, Milano 2011, 83). Nella traduzione dei gesuiti, che non rettavano Confucio nell'inferno, Balthasar non mette nessuno anticipatamente nell'inferno.
Alcune cose che Balthasar dice sull'Islam sono superficiali; dopo aver letto il libro di Klaus von Stosch (Herausforderung Islam) non è possibile dire che il Corano è una dottrina non dialogica caduta dal cielo, ma ovviamente Balthasar ha ragione ad affermare che il momento dialogico, ha una valenza nella teologia trinitaria che non ha in una ragione fortemente monoteistica come l'Islam. Detto questo, però, certamente non ci si può richiamare a Balthasar per alcuna forma di fanatismo cristiano versus una qualsivoglia religione. Certo l'ora di Cristo, l'ora degli avvenimenti del Vangelo hanno un carattere universale: ora promette Gesù l'acqua a chi ha sete, ora purifica Gesù il tempio, ora trova Pietro la moneta nella bocca del pesce...(cfr. TD II,66). Ma la singolarità e definitività di Cristo sono piuttosto quelle di "un trampolino" (Padre Dall'Oglio, ibidem 72) che un avvenimento chiuso. Fino a che c'è la storia nulla è chiuso. E i cristiani secondo Balthasar devono prendere sul serio la storia: non solo nel soccorrere ai poveri, ma nel fare di tutto perché i poveri non siano tali. Etc. Insomma Balthasar non può essere usato per una teologia occidentale esclusiva ed integralista (cfr. Padre Dall'Oglio, ibidem 79). Egli certamente è ricolmo di gioia per il grande pontificato di Papa Francesco, un papa del dialogo e dell'opzione preferenziale per i poveri, un papa ecologico ed evangelico (cioè un Papa che vive del mistero di Cristo, parola definitiva del Padre al mondo.
PS Infine vorrei ricordare che per veri teologici come lo sono Hans Urs von Balthasar o Padre Paolo Dall'Oglio il grande e vero autore primo del dramma è e rimane Dio stesso!
(15.7.21) Per quanto riguarda la tradizione gesuita che non mette Confucio all'inferno, cosa che piace molto al Padre Dall'Oglio, bisogna dire che il giudizio positivo del padre Ricci SJ e dei gesuiti in genere su Confucio, come fa vedere il Padre De Lubac SJ nel suo libro su "Buddismo ed Occidente", andava di pari passo con un giudizio negativo del buddismo. Insomma per arrivare alla "Fratelli tutti", anche opera di un gesuita - tra l'altro dico en passant che per la chiesa è una grande occasione avere un uomo di un ordine religioso come capo della Chiesa - si devono fare tanti passi nel rispettoso vivere ed ascolto reciproco e comune. Come ho già accennato nel post su Padre Dall'Oglio, uno studio storico dei rapporti tra religioni dovrà essere anche lo studio di una reciproca non conoscenza e non stima e dovrà concentrarsi anche su questione controverse: come quella della comprensione del "vuoto", "nulla" nei buddisti. Allo stesso tempo si dovrà prendere sul serio l'ipotesi di un "Padre comune" ("Fratelli tutti") senza perdere di vista anche le differenze. Una vera unità infine non può essere "costruita", ma solo "donata". L'indifferentismo religioso non aiuta certo a comprendere il dono dell'essere come amore.
Per quanto riguarda la religiosità non confessionale di un Voltaire, insomma quella "teistica" ed illuminista va detto che il filosofo francese dipendeva totalmente nel suo giudizio su Confucio e sul buddismo dalle fonti gesuite, che vedevano nel primo la dimensione etica naturale e nel secondo un frutto della superstizione. Etc.
(18.7.21) Coinvolti in un unico dramma - "Gesù è stanco di noi" (mia mamma)
Ho spesso detto che uno dei pochi cristiani che abbia conosciuto personalmente è Ferdinand Ulrich; credo che mia mamma lo sia anche - una vera cristiana. Certo per via della guerra non ha potuto visitare molto la scuola e non tutte le sue frasi sono culturalmente accorte; ma lei ha un senso per quello che Balthasar nella TD II, edizione tedesca, pagina 69 sg. chiama l'unico dramma, il cui attore e regista principale è Dio stesso, il Dio trinitario, che si coinvolge con la storia e continua a coinvolgersi fino alla seconda ED ultima venuta di Cristo; l'agnello macellato è il vincitore, ma lo deve diventare ancora "per noi". Noi cerchiamo spiegazioni di quello che accade in una "gnosi chiusa" (Balthasar, Bergoglio), ma in vero il dramma è ancora in corso e non se ne può fare un racconto epico chiuso. Tutto sarà ricapitolato in lui, tutti i dolori, tutti i nostri tentavi, tutte le religioni, tutte le filosofie...Noi, però, cerchiamo di comprendere il mondo con delle astrazioni (la legge, la gnosi...) e queste astrazioni non possono "ricapitolare" un bel niente. Anche la tragedia che stiamo vivendo in questi giorni nella Germania dell'ovest ha certamente a che fare con "cause secundae", cioè con la nostra noncuranza per il clima, per la nostra casa comune, ma credo che mia mamma sia molto vicina al vero, quando dice che "Cristo è stanco" - certo la formula non è teologicamente corretta e risente di un certo modo di pensare la cristologia che non ha recepito la vicinanza come misericordia di cui parla il Papa, ma la misericordia non è un pensiero da "commedia", ma una vera e propria chiave che apre l'accesso al dramma. Siamo insomma indifesi nel dramma, ed invece di pregare Dio, ci vogliamo difendere con "astrazioni" che sono nella balia dei "potentati diabolici", contro cui sia Paolo che Giovanni ci invitano alla "battaglia", che è per l'appunto una battaglia contro potentati e non contro la carne, il sangue e gli ormoni...
Forse il Salmo 107 (106), con il suo ritmo alternato di vicinanza e lontananza da Dio, coglie molto bene la dinamicità dell'UNICO dramma e ci offre un verso molto preciso del nostro compito come uomini:
Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
Salmo 107
[1] Alleluia.
Celebrate il Signore perché è buono,
perché eterna è la sua misericordia.
[2] Lo dicano i riscattati del Signore,
che egli liberò dalla mano del nemico
[3] e radunò da tutti i paesi,
dall'oriente e dall'occidente,
dal settentrione e dal mezzogiorno.
[4] Vagavano nel deserto, nella steppa,
non trovavano il cammino per una città dove abitare.
[5] Erano affamati e assetati,
veniva meno la loro vita.
[6] Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
[7] Li condusse sulla via retta,
perché camminassero verso una città dove abitare.
[8] Ringrazino il Signore per la sua misericordia,
per i suoi prodigi a favore degli uomini;
[9] poiché saziò il desiderio dell'assetato,
e l'affamato ricolmò di beni.
[10] Abitavano nelle tenebre e nell'ombra di morte,
prigionieri della miseria e dei ceppi,
[11] perché si erano ribellati alla parola di Dio
e avevano disprezzato il disegno dell'Altissimo.
[12] Egli piegò il loro cuore sotto le sventure;
cadevano e nessuno li aiutava.
[13] Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
[14] Li fece uscire dalle tenebre e dall'ombra di morte
e spezzò le loro catene.
[15] Ringrazino il Signore per la sua misericordia,
per i suoi prodigi a favore degli uomini;
[16] perché ha infranto le porte di bronzo
e ha spezzato le barre di ferro.
[17] Stolti per la loro iniqua condotta,
soffrivano per i loro misfatti;
[18] rifiutavano ogni nutrimento
e già toccavano le soglie della morte.
[19] Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
[20] Mandò la sua parola e li fece guarire,
li salvò dalla distruzione.
[21] Ringrazino il Signore per la sua misericordia
e per i suoi prodigi a favore degli uomini.
[22] Offrano a lui sacrifici di lode,
narrino con giubilo le sue opere.
[23] Coloro che solcavano il mare sulle navi
e commerciavano sulle grandi acque,
[24] videro le opere del Signore,
i suoi prodigi nel mare profondo.
[25] Egli parlò e fece levare
un vento burrascoso che sollevò i suoi flutti.
[26] Salivano fino al cielo,
scendevano negli abissi;
la loro anima languiva nell'affanno.
[27] Ondeggiavano e barcollavano come ubriachi,
tutta la loro perizia era svanita.
[28] Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
[29] Ridusse la tempesta alla calma,
tacquero i flutti del mare.
[30] Si rallegrarono nel vedere la bonaccia
ed egli li condusse al porto sospirato.
[31] Ringrazino il Signore per la sua misericordia
e per i suoi prodigi a favore degli uomini.
[32] Lo esaltino nell'assemblea del popolo,
lo lodino nel consesso degli anziani.
[33] Ridusse i fiumi a deserto,
a luoghi aridi le fonti d'acqua
[34] e la terra fertile a palude
per la malizia dei suoi abitanti.
[35] Ma poi cambiò il deserto in lago,
e la terra arida in sorgenti d'acqua.
[36] Là fece dimorare gli affamati ed essi fondarono una città dove abitare.
[37] Seminarono campi e piantarono vigne,
e ne raccolsero frutti abbondanti.
[38] Li benedisse e si moltiplicarono,
non lasciò diminuire il loro bestiame.
[39] Ma poi, ridotti a pochi, furono abbattuti,
perché oppressi dalle sventure e dal dolore.
[40] Colui che getta il disprezzo sui potenti,
li fece vagare in un deserto senza strade.
[41] Ma risollevò il povero dalla miseria
e rese le famiglie numerose come greggi.
[42] Vedono i giusti e ne gioiscono
e ogni iniquo chiude la sua bocca.
[43] Chi è saggio osservi queste cose
e comprenderà la bontà del Signore.
Certo alcune cose le si possono dire solo nella forma della preghiera, ma saggi si è solamente se si capisce che l'unicità del dramma è il "caso serio" - la scelta ultima è sempre tra le nostre astrazioni o la confessione del Logos, che è amore e che trascina con sé tutto (!!!) per ritornare al Padre!
(19.7.21) "Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore" (1 Cor 4,5b).
Il che non significa che non dobbiamo capire qualcosa prima del tempo. O cercare di capire. Che cosa ne sia dell'Islam, o del giudaismo o del paganesimo nella prospettiva della seconda venuta di Cristo dobbiamo cercare di capirlo, ma il giudizio ultimo è riservato al Signore.
"Sorgi, Dio, a giudicare la terra,
perché a Te appartengono tutte le genti" (Salmo 81).
Balthasar ci aiuta a comprendere (cfr. TD II, 74-77) due astrazioni: quella della legge (in un giudaismo assolutizzato) e quella della libertà (in un paganesimo assolutizzato). Un Islam assolutizzato - Islamismo - che poco ha che fare con un 'Islam che crede in Dio, sembra avere assolutizzato la violenza. La tentazione di un buddismo assolutizzato potrebbe essere quella di un vuoto assoluto. Nessuna astrazione può salvarci, ma solamente l'avvenimento di Cristo che è definitivamente accaduto, ma anche aperto - visto che il Signore non è ancora tornato. La Chiesa è la continuazione di questo avvenimento, ma lo è come "casta meretrix". Non ha luce propria, ma solo quella di Cristo - per cui nessun movimento, nessuna parrocchia, nessun ordine, nessuna comunità cristiana può essere altro che un "servo inutile".
La tragedia del mondo viene afferrata dal di dentro e dal di sotto dalla grande obbedienza di Cristo. "La tragedia abbraccia dal di sotto come contrassegno più profondo dell'esistenza la commedia" (Balthasar, ibidem 75). Certo c'è anche tanta "commedia" nel mondo, ma più passano gli anni è più è chiaro che la tragedia sembra essere inevitabile (Paul Kingsnorth lo ha detto in riferimento alla crisi ecologica). Al cospetto di questa tragedia in atto Papa Francesco non si stanca di ricordarci che il messaggio evangelico è "compassione, vicinanza e tenerezza". Balthasar ci fa comprendere quanto Cristo ci sia vicino: così vicino da portare per noi il peso del peccato del mondo, il peso di ciò che sembra essere davvero senza alcun senso.
(26.7.21 Venezia) Sono in giro, così posso scrivere solo due pensieri veloci. Molto diverso dell'uso solo giornalistico di Balthasar, per posizionarsi nel proprio discorso (quasi un usa e getta), di cui ho parlato ultimamente, è il capitolo 1.4 del libro di Massimo Borghesi, "Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e "ospedale da campo". Il capitolo si intitola: "David Schindler e la critica teologica ai neoconservatori", 79 sg. Qui Balthasar (insieme a de Lubac) viene presentato nel pensiero di Schindler come la risposta critica al tentativo neoconservatore (Weigel...) di presentare San Giovanni Paolo II come il papa che avrebbe consacrato il tentativo teocon o neocon di battezzare il cattolicesimo americano. Schindler senior presenta nella sua risposta al cattolicesimo del capitalismo americano una "civiltà dell'amore", che è un'intrinseca "subordinazione del mondo alla finalità data nella grazia" (cfr. Borghesi, 94). Borghesi non è del tutto contento con questo tentativo teologico, sebbene lo metta in risalto come opposizione all'ideologia teocon, perché mancherebbe in esso una vera comprensione della "libertà negativa", nel senso del gesuita americano Murray: solo questa "libertà negativa" (o detto altrimenti la libertà delle espressioni religiosi e filosofiche) avrebbe permesso di superare lo scandalo di un avvenimento come la guerra dei trent'anni in cui rappresentanti di diverse confessioni si sarebbero combattuti per decenni. Questo modo "legittimo critico" di leggere la libertà religiosa illuminista sarebbe un ritorno al vangelo (date a Cesare ciò che è Cesare...). Secondo me la guerra dei trent'anni non aveva questa valenza primaria di guerra di confessioni, quindi richiamarsi ad essa, per un discorso di libertà religiosa "evangelica", è cosa equivoca. Credo che Schindler senior abbia preparato il cammino su cui è andato Schindler junior con la traduzione dell'Homo Abyssus di Ullrich: la civiltà dell'amore non è solo una questione di teologia, ma ontologica - l'essere è amore gratuito donato per nulla - questa è la vera risposta alla teologica teocon. Solo il nulla dell'amore può sconfiggere dall'interno il nulla nichilista. Proprio Schindler (mediato da Adrian Walker) senior aveva accolto con gioia due saggi miei negli anni 2003 e 2005 in cuoio tentai di far vedere, come anche in un tempo di guerra, solo la figura di Cristo, agnello macellato che non macella nessuno, può santificare il mondo e "subordinare" i tentativi in esso compiuto di risolvere i problemi. Il primo uscì nella "Communio americana: HOW CHRISTIANS SHOULD THINK ABOUT POLITICS. REFLECTIONS IN A TIME
OF WAR Roberto Graziotto • “The real reality, the ‘natural’ form, of politics
reflects the figure of Christ.” (
https://www.communio-icr.com/files/GraziottoJoy.pdf). Il secondo si trova negli atti del simposio su Balthasar (Washington D.C. , 2005 "Alone love is credible; il mio saggio si intitola: "Can as Christian be a democrat?" ).
(27.7.21 Mestre-Venezia) Per quanto riguarda la questione del capitalismo americano naturaliter cristiano che è oggetto della critica di Massimo Borghesi, vorrei scrivere alcuni pensieri generali, che si riferiscono più alla mia esperienza di 20 anni nelle regioni della Germania che hanno fatto parte della DDR. La caduta del muro non ha significato un avvicinamento "naturale" al cristianesimo, per cui sono il primo a comprendere la necessità di una terza via tra la pianificazione comunista della DDR e la libertà capitalista. Più di trent'anni di capitalismo hanno prodotto un egoismo collettivo e quel fenomeno della "ostalgia" di cui ho parlato in alcuni articoli ne "Il Sussidiario" e ne "La nuova Europa". Certo a livello materiale quasi tutti preferiscono un auto del "capitalismo" che una della "DDR", ma la modalità politica che ha portato alla scomparsa di un nazione che per tanti era la loro patria e alla presa di potere delle persone che venivano dall'ovest della Germania, deve essere guardata con un attenzione critica, come ho cercato di fare nel mio ultimo articolo ne "La nuova Europa". In questo senso sono molto vicino alla critica di Borghesi, anche se io trovo alcuni punti del secondo libro sul papa, esageratamente stilizzati.
(12.8.21 Giorno del compleanno di Balthasar)
Nel suo saggio sulla "nozione del bene e del male morale nel buddismo" padre de Lubac ci propone alcune riflessioni su immoralismo e amoralismo molto importanti. Il padre de Lubac vede anche nel cristianesimo la necessità di superare l'attaccamento alla propria virtù o presunta virtù. E vedo anche nel buddismo il combattimento contro la miseria morale: "Colui che non combatte la miseria morale, non dice che parole sterili e vuote". Allo stesso tempo pone il problema di un possibile distaccamento tra vita mistica e morale nel buddismo (ma io dire anche nel cristianesimo come separazione tra ontologia e morale) che può portare ad un latente amoralismo, in "cui si profila all'orizzonte il pericolo dell'immoralismo". Questo pericolo è presente nella storia di Cl in modo molto forte, in cui spesso si scambia la giusta critica al moralismo con una forma immorale di gestione del potere.
La società trasparente con il suo problema riguardante la confusone tra eros (fonte di vita) e pornografia (la riduzione a pezzo dell'altro) ci pone la questione se "la condotta immorale" sia "uno stato transitorio forse necessario per attingere ad una condotta a-morale" (S. Renou citato in de Lubac, ibidem 289). Io ritengo con Papa Francesco che la legge morale sia come un pedagogo che ci permette di vivere meglio l'incontro con l'altro e con l'Altro, allo stesso tempo, però, vedo anche un modo farisaico di porre pesi sugli altri, in questioni erotiche e pornografiche, che possono essere portati solamente con compensazioni ben più pericolose per la questione che stiamo trattando . Per dirla in breve: la dimensione sessuale si trova spesso in un corto circuito pericoloso, in cui la legge non è pedagogo, ma dittatura astratta. Infine bisogna ricordarsi che il primo passo della Bibbia, come ci ricorda Paolo nella lettera ai Galati che il Papa sta commentando nella catechesi del mercoledì, è la promessa (ad Abramo) e non la legge (data a Mose)..
Non faccio un extra post su de Lubac, perché pur avendo letto molto di lui, non lo conosco bene come Balthasar. Comunque per quanto riguarda il mio "diario" mi baso sull'unità di amicizia e di pensiero tra i due (Balthasar ha tradotto nella sua editrice tantissimi libri dell'amico e maestro francese), anche se certamente si possono studiare delle differenze tra i due.
(12.8.21) Nel giorno del suo 116.esimo compleanno vorrei ritornare ora direttamente alla figura del mio grande maestro, Hans Urs von Balthasar. "Il Vangelo non sostituisce le decisioni e le istituzioni umane" (Teodrammatica II, 1, Einsiedeln 1976, 77). Ciò non significa neppure una difesa di un'autonomia delle decisioni ed istituzioni umane versus l'orientamento evangelico e versus l'atto più grande della misericordia divina: l'assunzione amorosa del peccato (e non solo del dolore) dell'uomo ed in genere nell'atto redentore di Cristo. Balthasar fa notrare che immediatamente dopo aver chiesto a due persona che gli ponevano una domanda riguardante l'eredità: "O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?" (Lc. 12, 14), racconta la parabola "della campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto" e che per questo vuole fare costruire "magazzini più grandi": "Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?" (Lc. 14,20). Dio interviene nella storia, con decisioni e istituzioni non meno concrete di quelle umane; si tratta di trovare un equilibrio tra quando dobbiamo difenderci dal nemico, per fare l'esempio più importante, e quando invece si deve offrirgli l'altra guancia, nel sapere ultimo che l'unica salvezza è Cristo stesso e che Cristo è "amore gratis" - amore umsonst, nel doppio senso di gratis e frustra (TD II,1, 80). Non esiste nessuna cultura o istituzione umana che sia adeguatamente figura di questo amore gratuito - e per quanto grande siano state le espressioni della cultura cristiana occidentale esse non sono un' applicazione diretta del vangelo ne possono esserlo.
Gli "occhi della fede" che ci permettono di vedere l'unica figura salvifica, diventata uomo, diventata eucarestia, crocifissa e discesa all'inferno, non sono una gnosi, non sono un "sapere assoluto" - non per nulla sia l'Homo Abyssus di Ferdinand Ulrich, il grande manuale filosofico dell'amore gratuito, sia la grande teologia balthasariana ed in modo particolare la Teodrammatica devono distanziarsi da Hegel: "Il sapere assoluto è la morte della teodrammatica, ma l'amore di Dio "che supera ogni gnosi" (Ef 3,9) è la morte del sapere assoluto" (TD II, 1, 80).
E il dramma è quello tra "Gerusalemme" e "Babilonia", come lo ha fatto vedere Agostino; ed è vero che, come ci ha insegnato Balthasar commentando proprio questa opera di Agostino (De civitate Dei) che non è possibile sapere univocamente chi appartiene a quale delle due città, ma è anche vero che la lotta non è solo spirituale o interiore: essa implica lo scorrere del sangue innocente dei poveri, come nella guerra che dura da 10 anni in Siria o dei bambini non nati nelle nostre cliniche occidentali. E la violenza in gioco implica una serie di concatenamenti che non hanno a che fare solo con le decisioni di qualche singolo, ma sono espressione, attraverso le decisione dei singoli, di "strutture del male" - per questo è del tutto ingenuo pensare che una opposizione al male che sia veramente "politicamente rilevante" (senza cadere in una "teologica politica") se fatta da singoli o da singoli gruppi: l'appartenenza alla Chiesa, anche nella sua dimensione gerarchica, è condizione necessaria per combattere il male (analogamente ciò vale anche per il mussulmano nell'appartenenza alla umma islamica, ci ha insegnato Padre Dall'Oglio).
(13.8.21) L'amicizia tra il sacerdote cattolico Luigi Giussani e il professore buddista Shodo Habukawa può essere descritta come l'incontro reciproco tra la farfalla e il fiore che si apre ad accoglierla. In un intervista del 2012 Habukawa invitava a non guardare in primo luogo alle differenze tra cattolicesimo e buddismo: "Il mio invito è a non guardare alle differenze, ma al rapporto molto stretto tra cristiani e buddisti, e che si manifesta non in superficie ma nella profondità della verità di entrambe le religioni" (Il Sussidiario, 20.08.2012). Questo è possibile perché Habukawa con Don Giussani vede il Mistero come Dio. Ma leggendo l'opera di padre de Lubac "Buddismo ed occidente" non c'é consenso nel buddismo su questo punto (sebbene anche in essa vengano presentente posizioni come quella di una coincidenza tra Gesù e il fondatore del buddismo Shingon, Kobo Daishi Kukai) , così che esso è stato percepito come una religione senza Dio. Non sono per nulla un esperto e sono aperto a tutto ciò che presenta gli uomini come "fratelli" (non solo in riferimento al buddismo, ma anche all'Islam). Questa mattina, però, una riflessione di Schopenhauer mi ha fatto riflettere, riguarda il "solus Christus" e i "mille Buddha": "Una religione che ha per fondamento un unico evento" - come il cristianesimo presentato da don Giussani - "accaduto qui o là, e pretende farne il periodo critico del mondo e di tutta l'esistenza, è una religione con un fondamento così debole che le è impossibile assolutamente resistere, quando appena gli uomini incomincino a riflettere un poco. Quanto è sapiente invece, da parte del buddismo, l'accettare i mille Buddha...I molti Buddha sono una necessità, perché alla fine di ogni "kalpa" il mondo muore e con esso la dottrina. Un nuovo mondo esige dunque un nuovo Buddha. La salvezza è sempre attuale" (citato in de Lubac, ibidem 148).
Se ho capito bene in Don Giussani non è il senso religioso che ci introduce a Cristo, ma é Cristo che risveglia il senso religioso. Insomma in lui come in tutti i grandi cristiani l'avvenimento di Cristo è il periodo critico del mondo; la salvezza è attuale, ma nella singolarità di questo avvenimento. E l'incontro finale con Cristo non può essere, pur tenendo conto della exinanitio di Cristo stesso, presentato come un "atto di soppressine completa della volontà" (Schopenhauer), ma come adesione alla volontà del Padre che vuole che il mondo ritorni a Lui per la mediazione singolare del Figlio: in questo senso il nulla di Schopenhauer ed anche del Buddismo (anche se sembra che su questo punto quello Shingon si differenzi da altre scuole buddiste e quindi se ne dovrà tenere conto in modo che l'abbraccio tra Giussani e Habukawa non sia vanificato) sembra essere diverso: tutti i soli e le vie lattee non sono il nulla come dice Schopenhauer, uno Schopenhauer che de Lubac giudica esser "pur ad insaputa dell'autore" più vicino di altre frasi del filosofo tedesco al "buddismo più autentico" (De Lubac, ibidem 149), ma sono espressione della volontà creatrice del Padre. Il nulla cristiano è sempre quello dell'amore gratuito, che si rispecchia anche nell'amicizia tra Gussani e Habukawa, e non ha mai una valenza di "nichilismo".
(16.8.21) Ermeneutica teodrammatica (cfr. TD, II1, 81-85) - tra filosofia e teologia
Una delle possibile profonde alternative filosofiche è quella tra chi pensa che noi siamo gettati nell'esistenza (Heidegger) e chi pensa che l'esistenza, o meglio l'essere stesso è un dono (Ulrich). Si potrebbe pensare che la prima versione sia più adatta per una ermeneutica teodrammatica, ma non è così - come afferma Tolstoj: "una piena assoluta tristezza è altrettanto impossibile come una piena, assoluta gioia" (Guerra e Pace IV, 1). Quindi l'idea di essere gettati, che poi sarebbe un'assoluta tristezza, non è pensabile fino in fono e non è vivibile, è solo un'idea astratta. Mentre affermare che l'essere è un dono, non significa una "gioia assoluta", perché un dono può anche essere non accettato. La teologia a differenza della filosofia è "interpretazione della divina rivelazione", insomma è un'ermeneutica. Balthasar, che ha scelto decisamente la filosofia di Ulrich e non quella di Heidegger, pensa che l'ermeneutica teologica deve confrontarsi con l'auto-interpretazione che il Dio che si rivela offre in Gesù Cristo - come persona e non solo come racconto. CosÍ come nella realtà abbiamo un reale dono, nella rivelazione abbiamo una reale e singolare figura in cui tutto il mondo e tutto l'essere trova il suo baricentro assoluto, che non toglie la nostra libertà (tantomeno quella interpretativa), perché Dio non è l'unico attore del teodramma ed anche in mezzo ad una visione vi sono alcune persone che hanno dubbi (cfr. Mt 28,17). L'altro attore del teodramma è la libertà finita. E in tutto questo viene messa in gioco una "logica" che non è quella dell'esplicazione nel singolare di una legge generale. La drammaticità della figura di Cristo consiste proprio in questo: è assolutamente individuale e non un caso esplicativo di una legge generale, eppure in quella singolarità è inclusa anche l'ipotesi che l'esserci non consiste in un essere-gettati, ma -donati, cioè l'esistenza è meta, fine, scopo del dono radicale di chi è amore assoluto. Da questo si comprende per esempio anche che l'appartenenza ecclesiale non può essere esplicazione in un membro di un carisma generale: quel membro è sempre singolare nella sua libertà finita in diretto dialogo con quella infinita. L'obbedienza in un ordine e in un movimento, ma anche in una parrocchia, deve tenerne conto.
Ritornando al libro di De Lubac vorrei sottolineare che i due autori che egli cita da subito per la sua riflessione sulla Chiesa sono Agostino e il "papa buono" - Giovanni XXIII, che all'uscita del libro era appena morto. Le cose che che dice De Lubac su Giovanni XXIII le si potrebbero dire tali ed uguali su Papa Francesco: la sua liberalità nasce dal Vangelo e non da una ideologia disfattista della realtà della Chiesa. Ed Agostino con la sua riflessione sull'io ci permette di comprendere ciò che Paolo VI affermava: "l'esperienza dell'anima fedele è più importante della teologia pura". Approfondire il mistero della Chiesa implica una sincerità di confessioni personali, senza trucchi e senza censure.
(8.12.21) Nel blog "San Paolino's voice" Carlo Mafera riassume i punti essenziali di una conferenza del Prof. Luca de Girolamo sulla mariologia di Hans Urs von Balthasar, che servono come base a questa meditazione - la quale però ha un suo proprio ductus. Brevemente vorrei dire che il si di Maria (la fonte di Balthasar è certamente anche Adrienne) è una cosa molto seria ed esso non è del tipo "si, però" - è un si serio, leale, senza limitazioni, ma anche del tutto singolare; e non è una "prestazione di Maria", ma un dono che il Signore le fa. Insomma la festa odierna non ci sarebbe mai stata se Dio nella sua assoluta sovranità, basileia, non avesse preso l'initiativa. Vero è però che il si di Maria non è passivo, come l'obbedienza non è mai passiva. Anche l'essere inserito nella logica della missione che ci viene donata, non è mai alcunché di passivo.
Un altro elemento importante è la questione della anonimità/quotidianità - il Papa l'ha spiegata molto bene oggi all'Angelus. "Ricordiamoci che questa perfezione di Maria, la piena di grazia, viene dichiarata dall’angelo tra le mura di casa sua: non nella piazza principale di Nazaret, ma lì, nel nascondimento, nella più grande umiltà. In quella casetta a Nazaret palpitava il cuore più grande che una creatura abbia mai avuto. Cari fratelli e sorelle, è una notizia straordinaria per noi! Perché ci dice che il Signore, per compiere meraviglie, non ha bisogno di grandi mezzi e delle nostre capacità eccelse, ma della nostra umiltà, del nostro sguardo aperto a Lui e anche aperto agli altri. Con quell’annuncio, tra le povere mura di una piccola casa, Dio ha cambiato la storia. Anche oggi desidera fare grandi cose con noi nella quotidianità: cioè in famiglia, al lavoro, negli ambienti di ogni giorno".
Ed infine l'integrazione del ministero petrino nel si mariano se non vuole essere solo un bel pensiero teologico senza alcuna incidenza deve far vedere non solo l'aspetto che Maria non pretende per se i poteri apostolici, ma che questi poteri sono solo servizio e senza prendere sul serio il si mariano sono "clericalismo". Quando Balthasar dice che Maria "ha altro e di più" che i poteri apostolici lo prendo sul serio, proprio per il suo rapporto di servizio nei confronti di Adrienne, in altre bocche questa frase mi sembra solo un modo per non cambiare mai nulla.