giovedì 27 agosto 2020

Brevi aforismi spirituali sulla teologia di Hans Urs von Balthasar

 Raccolgo qui alcuni aforismi che stanno uscendo nella mia bacheca in Facebook sulla teologia di Hans Urs von Balthasar (1905-1988). Alcuni di questi aforismi o brevi testi sono nati anche in dialogo con il libro sulla teologia del mistero pasquale del cardinal Ouellet: "Er liebte sie bis zur Vollendung" (li amò fino alla fine), Freiburg, 2020. A partire dal 9.5.21, sono anche  e soprattutto un confronto con il libro di Gabriela Wozniak, Göttliche Erfahrung und geschöpfliche Partizipation. Die mariologische Dimension des Paschamysterium (Esperienza divina e partecipazione creaturale. La dimensione mariologica del mistero pasquale in HUvB) bei Hans Urs von Balthasar, Regensburg, 2021. A partire dal 10.6.21 si trovano alcuni aforismi sul secondo volume della Teodrammatica: L'uomo in Dio (edizione tedesca: Die Personen des Spiels. Der Mensch in Gott, Einsiedeln, 1976). 



(7.3.22) (Pomeriggio) Renato mi ha mandato questo testo del 2005 di papa Benedetto XVI su von Balthasar: Signori Cardinali,

venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
illustri Signore e Signori! E' con particolare piacere che mi unisco spiritualmente a voi nella celebrazione del centenario della nascita di Hans Urs von Balthasar, l’insigne teologo svizzero che ho avuto la gioia di conoscere e di frequentare. Ritengo che la sua riflessione teologica mantenga intatta fino ad oggi una profonda attualità e provochi ancora molti ad addentrarsi sempre più nella profondità del mistero della fede, tenuti per mano da una guida così autorevole. In un'occasione come questa potrebbe essere facile la tentazione di ritornare ai ricordi personali, sulla base della sincera amicizia che ci legava, e dai numerosi lavori che insieme abbiamo intrapreso, raccogliendo le non poche sfide di quegli anni. La fondazione della rivista Communio, all'indomani del Concilio Vaticano II, rimane come il segno più evidente del nostro impegno comune nella ricerca teologica. Non è, tuttavia, ai ricordi che intendo riferirmi quanto, piuttosto, alla ricchezza della teologia di von Balthasar. Egli aveva fatto del mistero dell'Incarnazione l’oggetto privilegiato del suo studio, vedendo nel triduum paschale - come significativamente intitolò uno dei suoi scritti - la forma più espressiva di questo calarsi di Dio nella storia dell’uomo. Nella morte e risurrezione di Gesù, infatti, viene rivelato in pienezza il mistero dell'amore trinitario di Dio. La realtà della fede trova qui la sua bellezza insuperabile. Nel dramma del mistero pasquale, Dio vive pienamente il farsi uomo, ma nel contempo rende significativo l'agire dell'uomo e dà contenuto all'impegno del cristiano nel mondo. In questo von Balthasar vedeva la logica della rivelazione: Dio si fa uomo, perché l'uomo possa vivere la comunione di vita con Dio. In Cristo viene offerta la verità ultima e definitiva alla domanda di senso che ognuno si pone. L'estetica teologica, la drammatica e la logica costituiscono la trilogia, dove questi concetti trovano ampio spazio e convinta applicazione. Posso attestare che la sua vita è stata una genuina ricerca della verità, che egli comprendeva come una ricerca della vera Vita. Ha cercato le tracce della presenza di Dio e della sua verità ovunque: nella filosofia, nella letteratura, nelle religioni, giungendo sempre a spezzare quei circuiti che tengono spesso la ragione prigioniera di sé e aprendola agli spazi dell’infinito. Hans Urs von Balthasar è stato un teologo che ha posto la sua ricerca a servizio della Chiesa, perché era convinto che la teologia poteva essere solo connotata dall'ecclesialità. La teologia, così come lui la concepiva, doveva essere coniugata con la spiritualità; solo così, infatti, poteva essere profonda ed efficace. Proprio riflettendo su questo aspetto egli scriveva: "La teologia scientifica ha inizio solo con Pietro Lombardo? E tuttavia: chi ha parlato del cristianesimo più adeguatamente di Cirillo di Gerusalemme, di Origene nelle sue omelie, di Gregorio Nazianzeno e del maestro della riverenza teologica: l'Aeropagita? Chi oserebbe aver da eccepire su qualcuno dei Padri? Allora si sapeva che cosa fosse lo stile teologico, l'unità naturale, ovvia, tanto tra l'atteggiamento di fede e quello scientifico quanto tra l'oggettività e la reverenza.
La teologia finché fu opera di santi, rimase teologia orante. Per questo il suo rendimento in preghiera, la sua fecondità per l'orazione e il suo potere di generarla sono stati così smisuratamente grandi" (Verbum Caro. Saggi teologici I, Brescia 1970, 228). Sono parole che ci portano a riconsiderare la giusta collocazione della ricerca nella teologia. La sua esigenza di scientificità non viene sacrificata quando essa si pone in religioso ascolto della Parola di Dio, viva della vita della Chiesa e forte del suo Magistero. La spiritualità non attenua la carica scientifica, ma imprime allo studio teologico il metodo corretto per poter giungere a una coerente interpretazione. Una teologia così concepita ha portato von Balthasar a una profonda lettura esistenziale. Per questo uno dei temi centrali sui quali si intratteneva volentieri era quello di mostrare la necessità della conversione. Il cambiamento del cuore era per lui un punto centrale; solo in questo modo, infatti, la mente si libera dai limiti che le impediscono di accedere al mistero e gli occhi diventano capaci di fissare lo sguardo sul volto di Cristo. In una parola, egli aveva profondamente compreso che la teologia può svilupparsi solo con la preghiera che coglie la presenza di Dio e a lui si affida obbedienzialmente. E' questa una strada che merita di essere percorsa fino alla fine. Ciò comporta di evitare sentieri unilaterali, che possono solo allontanare dalla meta, ed impegna a rifuggire dal seguire mode che frammentano l'interesse per l'essenziale. L'esempio che von Balthasar ci ha lasciato è piuttosto quello di un vero teologo che nella contemplazione aveva scoperto l'azione coerente per la testimonianza cristiana nel mondo. Lo ricordiamo in questa significativa circostanza come un uomo di fede, un sacerdote che nell'obbedienza e nel nascondimento non ha mai ricercato l'affermazione personale, ma in pieno spirito ignaziano ha sempre desiderato la maggior gloria di Dio. Con questi sentimenti, auguro a tutti voi di continuare con interesse ed entusiasmo lo studio dell'opera balthasariana e di trovare le strade per una sua efficace applicazione. Su di voi e sui lavori del Convegno invoco dal Signore copiosi doni di luce, in pegno dei quali a tutti imparto una speciale Benedizione. (Dal Vaticano, 6 Ottobre 2005) - Delle cose che sottolinea  Benedetto XVI mi sembra importante sottolineare quanto segue: 1) pur credendo che sia necessario un dialogo con l’umma mussulmana come lo ha intrapreso Papa Francesco e prima di lui Padre Dall’Oglio, ritengo che l’incarnazione del Cristo trinitario ed in modo particolare ciò che accade nel triduum siano espressione singolare della „pienezza del tempo“; se smettessi di pensarla così non sarei più un pensatore cristiano; 2) il dialogo con la letteratura e la filosofia e con le religioni è una dimensione del pensiero del mio maestro che ho cercato di approfondire in dialogo con Ulrich, ma non solo, con tutto ciò che mi sembrava grande in letteratura, nella filosofia, nel dialogo con le religioni; 3) l’arco che unisce estetica, drammatica (qui c’è spazio anche per l’ermeneutica dell’esistenza storica e politica) e logica deve essere teso nella sua completezza; 4) una teologia senza spiritualità e preghiera è un gossip accademico; 5) non si da teologia né senza filosofia né senza santità e se la prima è trasparenza del pensiero nel suo essere in cammino e nel mondo (Ulrich), la seconda è trasparenza al mondo divino come gioia sempre nuova e sempre sorprendente.  

(22.09.20) Filosofia e teologia 

"L'essere delle cose e non qualcosa di fianco o di dietro è la rivelazione dell'essere eternamente potente. Paolo lo dice con precisione insuperabile (Balthasar, Gloria I, 414, edizione tedesca): Rom 1, [18] In realtà l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, [19] poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. [20] Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; [21] essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa". La gratuità assoluta dell'amore di Dio è un altro nome per la sua eterna potenza e divinità. Per comprendere essa  bastano le opere da Dio compiute. Queste sono l'opera del Padre che il Figlio ha rivelato e che sono sempre attuali e mai superate. In questo senso la gratuità della croce e della discesa agli inferi è sorprendente, ma lo è per noi, non per Dio. Nella creazione del mondo, nella gratuità del dono dell'essere è implicita la radicalità della croce e della discesa agli inferi. Tutto quanto nella storia contraddice questa logica di amore, tutto quello che non è direttamente o indirettamente voluto da Dio: da ultimo la morte, è stato dall'interno superato come dono ultimo ed assoluto dell'amore gratuito. Non esiste un "essere in generale" che non sia stato contaminato dall'oggettiva evidenza del Logos, per Balthasar e per Ulrich.

Anche se Giussani insite molto sul "senso religioso" questo non è una premessa all'incontro con Cristo, né una pedagogia dell'essere in genere; una tale premessa non esiste, al massimo a livello pedagogico, ma è la conseguenza dell'incontro. Gli studenti che hanno incontrato Giussani a Milano, a partire dagli anni 50, non hanno saputo valorizzare questo incontro perché avevano un profondo "senso religioso", ma in forza dell'incontro hanno compreso anche di avere quel senso. 

L'essere delle cose insomma basta; come basta il dono gratuito dell'essere per comprendere la gloria di Dio ed anche per comprendere la sua exinanitio. Non esiste alcuna soggettività trascendentale, come preparazione all'incontro con l'amore. L'amore è sempre una figura che appare e che conquista gratuitamente la tua capacità di attrazione. Che può apparire anche in un campo di concentramento, che appare dopo aver ucciso qualcuno: come nel caso di Sonia e Raskolnikov. 

(14.09.20 - Festa dell'elevazione della croce) Senza i sensi la fede è solo astratta

Non c'è dubbio che i sensi sono indispensabile per la nostra esperienza di fede; Balthasar ci aiuta a comprendere teologicamente l'importanza di questa mia affermazione. In tre passaggi cerco di esprimere cosa per me è decisivo: sui sacramenti, sull'amore del prossimo e sulla preghiera (cfr. Gloria I, 407-410 edizione tedesca: sono le ultime pagine dell'evidenza soggettiva). 

I sacramenti non sono una questione psicologica, ma del tutto legata al rapporto tra senso e spirito, tra materia e spirito. Per quanto siano importanti dei paramenti belli o una bella chiesa o il silenzio, attraverso cui Dio può (!) parlarci non dobbiamo perdere la semplicità dei sacramenti: acqua e redenzione; olio e Spirito Santo, imposizioni delle mani e trasmissione dello spirito, vino e sangue, pane e corpo di Cristo. Per l'atto fondamentale del battesimo basta un po' di acqua, in caso estremo quella della saliva. Sono le cose stesse che si svelano velando. Tutto il resto: psicologia ed estetica liturgica è secondario. Può aiutare oppure no. 

Il prossimo, la sua concretezza è l'immagine che più di tutte ha a che fare con il "figlio dell'uomo": "L'uomo che incontri, nel suo bisogno e nella sua colpa, è ogni volta il prossimo e questo prossimo dell'uomo è Cristo" (Balthasar). Può essere il vicino di casa o un profugo nel campo di Moria. Tutte le nostre teorie "cristiane" non sono nulla di fronte all'uomo che incontri, che tra l'altro ha un sesso. In altri passaggi della sua opera Balthasar insiste anche su questo aspetto. L'uomo che incontri non è solo anima, ma ha un sesso, con cui si identifica o meno. Il disastro della pedofilia è sorto perché non si è preso sul serio che un sacerdote ha anche un pene, con le sue esigenze. L'unico criterio, l'unico discernimento sensato è questo: distinguere tra amore gratis ed egoismo. 

La preghiera contemplativa ha a che fare anche con sensi e fantasia. I sensi e la fantasia devono conformarsi a Cristo non ad uno spiritualismo platonico. Certo dobbiamo fare passi seri per comprendere la "Kenose di Dio" e quindi tutto in noi deve morire per rinascere e portare frutti ma morte e vita sono le due facce di una stessa medaglia. Il sesso dovrà morire in modo ancora più radicale, perché nel cielo non ci si sposa. Ma si mangia, si beve, ci si tocca, si odora e si gusta: "et in carne mea videbo Deum meum, quem visurum sum ego ipse, et oculi mei conspecturi sunt, et non alius". 

(11.9.20) Negli Esercizi noi quest'anno, con la sua critica all'affermazione "naturalistica" di sé, che rinvia a quella di don Giussani, nella giornata di inizio anno del 1975, don Carrón si muove sul filo del rasoio: da una parte coglie nel segno, insomma fa vedere come mai, dopo la morte di don Giussani, tanti dei fedelissimi della prima ora, hanno smesso di seguire, volendo proporre solo se stessi, ciò che avevano capito dell'esperienza/carisma donata/o a don Giussani. Allo stesso tempo, però, mi immagino già tanti che in CL, con il loro atteggiamento di "esclusione" (gli unici che sparerebbero la verità), ora si metteranno a fare i docenti di tutto quello che secondo loro non sarebbe seguire il Movimento: accusando ogni incarnazione del dono che il Signore fa singolarmente ad una persona colme tradimento dell'oggettività. Ma anche don Giussani è solo un raggio del sole e non il sole stesso e con ragione don Carrón dice, ad un certo punto degli Esercizi, che questa del lezione del 1975 può (!) aiutare. Non esiste nessun "sistema" della fede e neppure l'insegnamento di don Giussani può essere ridotto a sistema. Dio è e rimane libero di donare un sé specifico alla persona che vuole raggiungere; certo nella Chiesa dapprima (e in modo preferenziale, con i suoi sacramenti, con le prediche, con i carismi...), ma anche nel mondo. "La realtà della creazione nella sua interezza è diventato l' ostensorio della reale presenza di Dio" (Balthasar, Gloria I, edizione tedesca, 405) - questo è ciò che accade con l'incarnazione (Gv 1,14).


E per partecipare a questo evento di libertà (Dio che si rivela come amore gratuito) non abbiamo bisogno di un sistema clericale, ma di tutta la maternità femminile di Maria, che non ci dona solo la comprensione di un senso, ma anche l'odore e il gusto del dono. Parole da solo non possono mai diventare esperienza, neppure se vengono trasmesse in tutto il mondo in forza delle nuove possibilità tecniche. Cristo, come dice Paul Claudel, è venuto per essere toccato, non compreso.

(9.9.20) La mistica e l'esperienza cristiana

(cfr. Gloria, I, 393-402, edizione tedesca) Non ho mai messo in dubbio che ciò che ha raccontato Balthasar sulle esperienze mistiche di Adrienne fosse vero, neppure nei miei anni giovanili al di fuori (sit venia verbo) della Chiesa. Ed ho sempre pensato che queste esperienze fossero la conferma olistica (sensi, anima e spirito) dell'attualità e della presenza della esperienza cristiana del NT; un'attualità donata alla Chiesa e a tutti gli uomini. 

Balthasar inserisce i suoi pensieri sulla mistica, sul non separare la questione dei doni dello Spirito Santo da quella dei carismi (sia quelli naturali che propriamente mistici), in queste pagine in cui riflette sull'esperienza spirituale. Si tratta per lui di superare ogni forma di "platonismo" - quasi che solo le idee pure siano quelle che contano. In vero è sempre la carne che chiama la carne al di là della carne. 

Balthasar non è un reazionario conservatore. Lo si vede in modo particolare in un punto: quando parla della definitività della rivelazione cristiana: "il fatto che la rivelazione con la morte dell'ultimo apostolo è conclusa, non può significare che l'operare rivelatore di Dio, l'avvenimento della sua auto rivelazione sia passato ed ora sia possibile solamente una riflessione che guarda all'indietro e lavora su ciò che è stato. Si vorrebbe quasi sottolineare: la preparazione è finita,  ora comincia la cosa più importante: versare lo Spirito del Padre e del Figlio su tutto il mondo, così che l'opera di creazione del Padre e quella di riconciliazione del Figlio, entrambe elevate nell'ultima potenza trinitaria, si rivelino al mondo nella loro figura piena e si impregnino in esso nella sua forza piena" (394, mia tradizione veloce, perché non ho quella italiana sotto gli occhi).

La risposta alla "educazione dell'umanità" (Gioacchino da Fiore, Lessing, Bloch) non è la reazione conservatrice, ma questa novità trinitaria di cui parla Balthasar. Questa può essere sperimentata nella normale via di un'esperienza cristiana o nella mistica. Di questa novità parla anche Peguy. Rimando qui ad un breve aforisma che ho scritto questa mattina in Facebook: 

"Niente di acquisito è acquisito per sempre. Ed è la condizione stessa dell'uomo. Ed è la condizione più profonda del cristiano. L'idea di un'acquisizione eterna, l'idea di un'acquisizione definitiva e che non sarà più contestata è ciò che c'è di più contrario al pensiero cristiano. L'idea di un domino eterno e definitivo e che non sarà mai più messo in discussione è ciò che che c'è di più contrario al destino dell'uomo, nel sistema del pensiero cristiano" (Charles Peguy citato in Julián Carrón, Il brillio degli occhi, 82).

A partire da questo passo e dalla frase di Ratzinger, che ho citato ieri nella mia bacheca, sulla conversione che dura tutta una vita, Carrón pone la questione del non cambiare il metodo. Sembra essere un paradosso. Ed in vero è un paradosso cristiano. Don Carrón ha ragione: non dubbiamo cambiare il metodo. Questo metodo di apertura di cui parla Peguy. Eppure l'appartenenza cristiana non è fatta di gesti formali. Quando si parla con i ciellini doc si ha sempre la cattiva coscienza, se non si prende parte ai gesti. Ma in vero sono loro a cambiare il metodo e ridurre la questione dell'appartenenza ad una questione formale. Lo vedi appena poni una domanda che li sconvolge: allora per mesi o anni ti ignorano. Pur con tutte le mie contraddizioni: non ho mai cambiato metodo nella mia vita. Anche se questo da giovane mi ha catapultato al di fuori della Chiesa. E il mio metodo è stato quello di prendere sul serio l'incontro, non le idee in un incontro, ma l'incontro.  

(7.9.20) La poesia e l'esperienza spirituale 

Alla fine di questo confronto Balthasar dialoga con un poeta: Paul Claudel e in modo particolare con un suo scritto del 1933, "la sensazione del divino" (Gloria I, 385-391). Vorrei sottolineare due punti: al di là dell'astrazione filosofica della differenza tra natura e grazia, il poeta si confronta con l'uomo concreto che può accettare la "conversione" che Dio gli offre (e che spesso il prossimo gli offre) o rimanere chiuso nel proprio egoismo. Non esiste nessuna esperienza spirituale che non sia "conversione". 

L'uomo che può convertirsi non è solo anima o spirito, ma corpo. Cristo viene non per farsi comprendere, ma per farsi toccare: è carne che parla alla carne chi ci chiama alla conversione. La exinanitio di Cristo è in suo venire nella carne, in modo che come carne ci può chiamare alla conversione. La conversione non è eroismo, ma quotidiana scoperta di ciò che Dio vuole da noi - Dio come "Interior intimo meo". "La nostra intera vita religiosa è l'attenzione all'intenzione specifica , che Dio aveva, quando ci ha chiamato ad esistere" (Paul Claudel) - la conversione è prendere sul serio il "con" nell'esistenza: l'essere con Dio e con il prossimo, nella modalità di un avvicinamento con i sensi e attraverso questi con l'anima e con lo spirito. Carne che chiama la carne a scoprire lo spirito! 


(05.09.20) La filosofia e l'esperienza personale e spirituale 

Dopo essersi confrontato con un teologo (Karl Barth), con un fenomenologo della religione (Romano Guardini), Balthasar in Gloria I, 380-385 si confronta con un filosofo: Gustav Siewerth ed in modo particolare con due scritti del 1952 e del 1956: "Parola ed immagine" e "I sensi e la Parola". Nell'ultima parte di Gloria III,b si confronterà con un filosofo che mi è più caro, Ferdinand Ulrich, ma è vero che Siewerth dice alcune cose che sono molto importanti per la nostra domanda (esiste una esperienza spirituale e cosa è questa?); in modo particolare la sua categoria di "Schwebe" (sospensione, oscillazione) mi sembra decisiva; Ulrich la uso solo in senso negativo (nel senso di una sospensione dell'essere che non si fa dono, insomma come astrazione), mente Siewerth la usa in modo costruttivo: sospensione e oscillazione come avvenimento dell'essere. Proprio questo significato mi sembra molto importante per rispondere alla domanda se vi sia o meno un'esperienza personale, comunitaria e spirituale che non sia solo una registrazione di fatti che accadano. 

Siewerth vede tutti i sensi come apertura al reale, come ingresso del reale nell'uomo: il vedere è per lui (e per Tommaso) il senso maggiormente spirituale (contemplazione), l'udito il centro della percezione, e gli altri sono forse il condimento (gusto) di un'esperienza. Filosofia significa in primo luogo ontologia e cioè una domanda reale ed ultima di cosa sia l'essere come dono di amore gratuito. In questo punto Ulrich è più chiaro di Siewerth, ma è vero che alla domanda principale della filosofia non si arriva solamente con "osservazioni" - questo è anche il motivo per cui, pur con grandi meriti di pensiero e pedagogici, il "Senso religioso" di Giussani non arriva al punto infuocato del mio interesse. Come dice giustamente Siewerth si giunge all'essere, per un apertura della ragione e non solo dei sensi. Il ragionamento non è solo fonte di errori, ma di una vera ed autentica riflessione. 

Noi non possiamo mai formare né un sistema né un'istituzione che si ponga come alternativa alla domanda ultima del senso dell'essere come amore. Un sistema di pensiero non può assolutizzarsi perché noi siamo in cammino nell'evento, siamo in una sospensione o in un'oscillazione che va dal Padre al Padre (Adrienne) e quindi tutto in un certo senso è davvero ancora aperto e nessun pensiero può anticipare questa apertura del risultato. Una vera istituzione, quella che viene dallo Spirito Santo, è certamente un momento decisivo della "Schwebe" (spirito ed istituzione), ma nessun gruppo istituzionale o la partecipazione ai suoi gesti può sostituire la mia formulazione della domanda sul senso gratuito dell'essere. La partecipazione ad un gesto non sostituisce mai (!) la gratuità del mio amore: amore che si concretizza in gesti che nascano non da un sistema, ma da una grazia. 

La filosofia stessa deve stare attenta a non assolutizzare il suo "atto di comprensione" - per questo fa molto bene Balthasar a confrontarsi non solo con un filosofo: si confronta con un teologo, con un fenomenologo della religione, con un filosofo e poi con un poeta (Paul Claudel), come vedremo. Comunque, come sottolinea Heidegger nella prima parte di "Essere e tempo": la grande sfida per comprendere cosa sia un'esperienza spirituale è il quotidiano! E su questo punto Luigi Giussani ha davvero tanto da insegnare. 

(03.09.20) Esiste davvero un'esperienza spirituale? 

Dopo aver riflettuto sul teologo Karl Barth, Balthasar si confronta con il fenomenologo della religione, Romano Guardini, e precisamente con un suo piccolo scritto del 1950: "I sensi e la conoscenza religiosa" (cfr. Gloria, I, edizione tedesca, 377-380). Per me si tratta di un problema di vitale importanza: che cosa rende una conoscenza, una conoscenza religiosa o spirituale? Cosa rende un'esperienza, un'esperienza spirituale? In che cosa si distingue la Chiesa da un club o da un'istituzione mondana? In questo contesto si comprende anche la critica alla tecnica di Guardini, che sarà fra poco un santo della Chiesa cattolica. Le istituzioni mondane funzionano per la loro organizzazione "tecnica"  - vorrei sottolineare in primo luogo l'idea di "tempo" che permette al "paradigma tecnico" di funzionare: è un tempo che si lascia "ripartire", organizzare in "parti". È un tempo che spesso non permette al "ritmo vitale" dei singoli e dei popoli di  svilupparsi in libertà. Ciò rende malato l'uomo - se la Chiesa funziona anche così, allora non vi è in lei nulla di qualitativamente diverso. È "mondanizzata" - vive di una spiritualità mondana (De Lubac; Bergoglio). La Chiesa non può vivere di ciò - il suo compito non è quello di organizzare il tempo, in modo tecnicamente perfetto. La Chiesa vive di "sacramenti", cioè di una realtà che è immagine reale di un'altra più grande. La sua percezione del reale implica un vedere, un sentire, un toccare, un gustare che nasce  dal cuore, che è espressione dell'amore gratuito. 

Per quanto vi sia una filosofia cristiana, il cristianesimo non è dapprima un "concetto", ma una "percezione" di "Gestalten" (figure e forme) - è figure non possono essere ridotte in concetti, ma possono essere viste, ascoltate, toccate, gustate... come manifestazione di un miracolo, di un mistero meglio, non solo nelle esperienze mistiche, ma nella quotidianità, nella "via piccola" della nostra vita, come insegnanti, come cuochi, etc. 

Un'esperienza che non tenga conto della cura quotidiana delle cose e delle persone, non è un'esperienza realmente spirituale - certo un quadro, un pezzo musicale  possono aiutare la nostra spiritualità, ma in vero basta uno sguardo di simpatia verso un qualsiasi accadimento giornaliero. L'hic Rodhus, hic salta dell'esperienza spirituale non è l'arte o la scienza, ma la vita quotidiana.

PS Sulla questione della tecnica e le immagini si dovrebbe fare un excursus sulla fotografia; questa tecnica non lavora solo con concetti, ma per l'appunto con immagini. È una tecnica che mi è molto cara, come si può vedere nelle mie foto raccolte in Facebook. Non si tratta per me neppure di fare una critica unilaterale alla tecnica, ma nel problema del "tempo" credo che Guardini davvero abbia colto un problema decisivo per una critica della tecnica, che non sia solo fondamentalismo ecologico. 

(01.09.20) Chi è l'uomo? 

Ragionando sull'esperienza di fede e sul rapporto tra sensi e spirito Balthasar si confronta in Gloria, I, 367- 376 con il teologo calvinista Karl Barth. Non solo il giovane commentatore della "lettera ai Romani", ma anche l'adulto scrittore della "dogmatica ecclesiastica" (III/2, 1948) presenta dei pensieri acuti sull' "antropologia biblica"  e ci aiuta a non essere dipendenti totalmente da un umanesimo (del rinascimento, di Goethe, di Nietzsche...) che spesso ha più esaltato l'eredità filosofica greca che l'autentico uomo biblico. L'uomo biblico per Barth è comprensibile solamente nel rapporto con Dio e con il prossimo: non esiste un umano, né una ragione, né una percezione pura. Colui che esiste, pensa, percepisce è l'uomo che Dio ha creato e che a lui ritorna, è l'uomo che si trova in un "patto" con Dio e il peccato consiste appunto nel non vivere di e in questo patto. L'umano che si vuole far indipendente da Dio e che vuole soddisfare da sé i suoi bisogni è l'uomo che pecca. In Barth non vi è il pericolo accennato negli aforismi passati di "battezzare" l'umano senza compiere una conversione; questo "battesimo" da il nome di cristiano a cose che in vero sono una cattiva umanità. Barth sa che in questo pseudo battesimo l'uomo pecca. Il Dio a cui lui pensa, che desidera e percepisce e Colui che lo pensa, lo desidera e lo percepisce. E solo in questo rapporto concreto vi è salvezza. 

Certo una mancanza dell'ontologia in Barth ha la conseguenza che l'essere non viene visto come un dono sociale e gratuito e quindi si corre il rischio che tutto è sempre e solo "alterità" e non un dono che rende il sé davvero un sé, ma detto questo rimane vero che Barth è e rimane una "sfida" - non "battezziamo" ciò che è solo umano come se fosse cristiano. Una "sfida" per comprendere che ogni forma di autorealizzazione di sé pura è ""peccato" e che l'uomo con la sua anima, il suo corpo e il suo spirito è comprensibile solamente nell'incontro con Dio e con il prossimo. Le mie concessioni alla psicologia (per esempio che la sessualità è dapprima polimorfa, che la masturbazione può essere un modo di ritrovare una certa calma...) (1) non devono essere sovra accentuate, perché esse sono un modello di compresine che non "toglie" mai l'ultimo modello di comprensione, cioè quello concreto e storico dell'uomo biblico che incontra l'uomo e Dio, etc.  

(1) Queste concessioni sono possibili perché l'uomo non è mai in possesso di un "sistema assoluto" - questo tipo di "gnosi" non avrebbe a che fare nulla con il cristianesimo. Quello che forse Barth non sa è che anche la "teologia" non è un "sistema assoluto". 

(31.08.20) Che cosa è un'amicizia in Cristo? Che cosa è un'esperienza spirituale? Cosa sono i sensi spirituali? Cosa è un senso religioso?

Nella questione dell'aporetica dei sensi spirituali su cui abbiamo cercato di riflettere in questi brevi aforismi, c'è un punto che mi sembra di vitale importanza quando parliamo della nostra appartenenza a Cristo. Un punto e due aspetti. "Sensi spirituali nel senso mistico cristiano presuppongono sensi corporali pii, capaci di venir cristianizzati" (Balthasar, La percezione della forma, edizione tedesca, 365). La nostra pietà naturale è presupposto di una vera esperienza cristiana; chi non prende sul serio l'amicizia a livello naturale e umano, non potrà neppure giungere ad una reale esperienza di amicizia cristiana. Una sovra accentuazione della "grazia" che "tolga" la natura non è cattolica. E non può esserlo. Qui è da comprendere anche il problema della coerenza e della moralità: non è possibile che un sodalizio non morale possa diventare "cristiano". È possibile che Dio ci raggiunga anche in una situazione di non moralità, come il figliol prodigo, ma solo perché vede anche quella moralità implicita del figliol prodigo che ha a che fare con il suo essere stato amato dal padre "per primo".

Questa verità del "gratia perficit naturam non tollit" può essere realizzata in due modi: in un modo più discorsivo-filosofico o in quello consigliato dagli Esercizi di Ignazio, di un coinvolgimento di tutti i sensi nella composizione del luogo di una scena evangelica su cui meditiamo. Etc. 

Un'amicizia in Cristo è insomma qualcosa che presuppone un senso naturale dell'amicizia, l'uso del senso religioso presuppone un uso buono dei sensi - buono significa privo di "volontà di potenza". Un abbraccio pornografico non può essere trasformato in uno cristiano senza conversione e confessione; un desiderio di presenza politica o economica non può essere trasformato in un azione caritativa, solo perché viene realizzato da cristiani, etc. Ovviamente non si deve confondere la pietà e la moralità con atteggiamenti di pruderie o di idealismo irraggiungibile. Etc.  

(29.08.20 Martirio di san Giovanni Battista) Abbiamo davvero un "senso religioso", un "senso spirituale"? 

La domanda è di vitale importanza ed è decisiva per comprendere se esista quella "esperienza personale" (Ulrich, Oster), quella "esperienza spirituale" (Origene, Bonaventura, Ignazio di Loyola, Adrienne von Speyr, Hans Urs von Balthasar) che noi pensiamo essere la nostra appartenenza ecclesiale. O chiamiamo, in modo ipocrita, esperienza spirituale o ecclesiale solo i nostri desideri "carnali" (di potere, di sesso, di denaro, di dominio sugli altri...). 

Esiste un "esperienza spirituale" se esiste un "senso religioso" (Luigi Giussani). Ma esiste questo e cosa è? Per quanto riguarda la storia filosofica e teologica dell'idea si dovrà distinguere tra due forme di "dualismo", anche e in primo luogo in Origene: il dualismo paolino tra sarks e pneuma non è riducibile a quello platonico, per cui la materia è solo caduta, è cattiva. Per un grande come Origene la materia non è cattiva: Cristo è diventato carne (Gv 1,14). Il senso religioso o per parlare con Balthasar "i sensi spirituali" non sono un alternativa ai cinque sensi materiali. "Si tratta degli stessi sensi che dapprima sono terreni e che poi con il dono della grazia diventano celesti" (Cfr. La percezione della forma, edizione tedesca, 358). La conversione non è la distruzione dei cinque sensi terreni, ma un loro rinnovamento. Il mondo e la materia non sono cattivi: possedere una casa, un vestito o il corpo di un uomo o di una donna non sono cattivi. Ma noi con la nostra "liberà volontà" possiamo usare tutto ciò come "dominio", come "esposizione pornografica" e questo è cattivo, questo deve essere cambiato. Se ciò non accade allora legati alle "passioni". Non riceviamo come dono una nuova mente, una nuova psiche, nuovi occhi, nuove orecchie e una nuova lingua per comportarci come "i figli di questo mondo", ma non è che "i figli della luce" non sappiano assaporare il senso del calore di una casa, del corpo di un uomo, etc. Anche la verginità dei consigli evangelici non è da intendere come negazione del corpo e della sua bellezza. Questa sarebbe semplicemente una "castrazione". La "distanza" che ci viene donata con i "sensi spirituali" non è pruderie. Il desiderio di seguire Cristo non è odio contro l'umano, ma bisogno "spirituale" di un vero calore, di una vera amicizia, di un vero amore gratuito. 

PS Vorrei aggiungere ancora una brevissima nota, sorta in me dopo aver letto un piccolo scritto che mia figlia ha scritto sul romanzo di A. Döblin "Berlin Alexander Platz" - l'esperienza spirituale non può essere confusa con il comportamento per bene, decente e corretto. La prostituta Emilia (Döblin) o Sonia in "Schuld un Sühne" (Dostojewskij) non sono personaggi "decenti", ma hanno un ruolo del tutto "spirituale". 

(27.8.20) Aporia dei sensi spirituali


(Cfr. Hans Urs von Balthasar La percezione della forma, edizione tedesca, 352-355)

Per la parola "aporia" nell'internet ho trovato questa definizione: "an irresolvable internal contradiction or logical disjunction in a text, argument, or theory". Anche senza prenderla alla lettera, abbiamo comunque a che fare con una difficoltà, così come ci accade quando usiamo la parola "esperienza" - cosa rende un'esperienza un'esperienza spirituale? Come mai necessitiamo di un "senso religioso" o di un "senso spirituale"? O di sensi spirituali?

Balthasar non è un kantiano, il suo riferimento è Goethe e non Kant. Il suo problema non è la conciliazione di razionalismo ed empirismo, ma quello di una teoria della percezione della forma e per quanto riguarda lo specifico cristiano il suo problema è quello del rapporto tra l'evidenza oggettiva di Cristo e quella soggettiva soggettiva. Già questo problema rende Balthasar un pensatore della "legittimità critica del moderno" (cfr. Massimo Borghesi); i reazionari conservativi sanno sempre quale sarebbe l'evidenza oggettiva e combattono le sue riduzioni difettive. Per Balthasar l'evidenza soggettiva non è un "difetto", ma uno dei due grandi pilastri della percezione della forma.

I sensi non possono essere saltati. Il senso spirituale non è negazione dei sensi empirici: Cristo è stato ascoltato, toccato, guardato...allo stesso tempo questa dipendenza dai sensi non riduce la religione cristiana in un ulteriore mitologia e neppure in psicologia o un'altra delle scienze mondane. Neppure in un'estetica poetica. Allo stesso tempo il cristiano non è solo uno che fa esperienze, ma uno che ha una comprensione, una volontà ed un cuore spirituale. O meglio facendo le cose che fanno tutti gli uomini ne accoglie un accento spirituale.

Facciamo un esempio: non è che l'orgasmo di un cristiano è diverso da quello di un non cristiano. Solo che per grazia gli viene donata anche una certa distanza da questa esperienza del lasciare andare i controlli razionali, una distanza che non è a sua volta un controllo razionale, ma per l'appunto una nota spirituale che gli permette di non rimanere imprigionato in quell'esperienza di immediatezza, senza per questo dimenticarne la bellezza anche solo mondana. Anche nella preghiera non vi è un'identificazione con Dio, ma una distanza: quella che ha il bambino nei contorni di sua mamma.

(26.8.20) Maria - la "prima" esperienza di Cristo
Delle quattro esperienze archetipiche della fede, quella mariana è quella che viene per prima. È stato anche uno dei primi passi di Papa Francesco, andare a pregare a Santa Maria Maggiore. L'esperienza petrina, paolina e giovannea non possono dimenticare mai questa semplice sicurezza di essere nel vero e nel giusto (Charles Peguy) di Maria (cfr. Hans Urs von Balthasar, La percezione della forma, edizione tedesca, 349-352).
Pietro è il responsabile, Paolo il libero, Giovanni, il prediletto - Maria è madre di Cristo e così di Dio (Theotokos) e così anche del corpo ecclesiale. La sua "operosità" è ciò che meno si vede - ma in questa fedeltà che non si vede vi è una grande gioia. La gioia di avere ricevuto e risposta alla grazia, all'amore gratuito prima di tutti gli apostoli. Nessuna di queste quattro esperienze archetipiche sono "idee irraggiungibili", ma sono esperienze personali in cui si impara a dare agli altri il dono dell'essere che ci è stato fatto, in una modalità propria. Non possono essere spiritualizzate (Gioacchino, Lessing, Bloch). Sono esperienze nella Chiesa e con la Chiesa per il mondo.
Senza lo sguardo di Maria, senza il suo amore - se sapessimo come lei ci ama potremmo solo cominciare a piangere di gioia - noi cadremo nella pura schizofrenia: da parte non c'è alcun dubbio che Dio si serve di noi, dall'altro non vi è neppure alcun dubbio che siamo peccatori. Come diceva don Giussani: "spettacolo di limite e tradimento, e perciò di umiliazione, e nello stesso tempo di sicurezza inesauribile nella grazia che ci viene donata e rinnovata ogni mattino" (1994).
Solo nell'immacolata, solo nell'uomo per eccellenza che è Maria possiamo superare questa dicotomia, che come dicevo ci porterebbe alla schizofrenia. Lei è la madre! Di tutti, anche delle persone che pensano diversamente da noi. La chiesa è verità sinfonica, in modo particolare in queste esperienze archetipiche e non si può ridurre la fedeltà solo ad una di esse e tutte le tre degli apostoli trovano in Maria un compasso che le rende autentiche. Anche se ovviamente Maria non è mai contro Pietro o Paolo o Giovanni - queste sono stupidaggini del nostro tempo e non solo.

(25.08.20) Appunti sulla tradizione giovannea
Giovanni non si trova mai in un alternativa a Pietro, ma non si muove in primo luogo nella dimensione dei pastori che parlano e dei fedeli che ascoltano (cfr. Hans Urs von Balthasar, La percezione della forma, edizione tedesca, 344-349). La tradizione giovannea non è quella dello spirito che si assolutizza (Gioacchino da Fiore e Lessing), proprio per la sua fedeltà a Pietro, ma è reale presenza profetica ed apocalittica nella chiesa, nella modalità di un "noi", che vive sia sulla terra che in cielo e sa trovare il cielo nella terra e la terra nel cielo. È una profezia che non solo vede, ma che viene vista. Gli angeli delle diverse chiese vedono le comunità e ne conoscono il peccato e le debolezze. Tutta la realtà e manifestazione di Dio, dall'angelo più importante fino a una piccola pietra sulla spiaggia, senza per questo essere panteista. In Giovanni non è in gioco una gnosi, ma solo l'amore. Tutto parla di questo amore e per questo essa (la tradizione giovannea) non ha bisogno di un apocalittica come bisogno (Walker Percy).

Commento di Massimo Borghesi:  "Che Giovanni sia divenuto, nella esegesi razionalistico_idealistica, l'evangelista della gnosi è incredibile. Il Cristo Logos contro il Cristo carne. Giovanni è l'evangelista del vedere udire toccare, radicalmente antignostico. Non è lui l'autorità ma è il prediletto, cioè il più felice."

(25.08.20) 
Una missione "paolina"? Sulla libertà verticale di Padre Paolo Dall'Oglio
Negli ultimi tempi anche per gli attacchi violenti contro Pietro, ho insistito molto sulla fedeltà alla dimensione "petrina" nella Chiesa - ma ovviamente essa non è l'unica dimensione e a parte questo vale ciò che ha sottolineato la domenica scorsa il cardinal Christoph Schönborn: l'unico fondamento della Chiesa è Cristo: quindi né Maria, né Pietro, né Paolo, né Giovanni lo sono da soli.
Per quanto riguarda il padre Paolo Dall'Oglio credo che si tratti di una "spiritualità paolina", che accetta la grande sfida del confronto e dell'obbedienza con Pietro, ma che va per cammini voluti direttamente dal cielo. Le cose che il padre gesuita dice sull'islam e sull'esclusione di Ismael, che Abramo stesso include nella sua grande missione, sono con grande probabilità quello che Padre Balthasar chiama un intervento "verticale" dal cielo (Cfr. La percezione della forma, Einsiedeln 1961, edizione tedesca, 341-344) - mentre la traduzione petrina lavora più ad un livello orizzontale. Come San Paolo non è passato per Gerusalemme dove erano i dodici, cosÍ per quanto riguarda Padre Paolo non è passato per Roma, ma ha accolto nel cuore suo questa particolare, ma di rilevanza imparagonabile, missione che gli veniva direttamente dal cielo. Come san Paolo padre Paolo accetta la comunione con Pietro e i dodici come elemento di autenticità del suo operare, ma di fatto esso mi sembra essere un' "irruzione verticale ed imprevista", regolata dall'ordine gesuita, ma non pianificata da Pietro.
Altri elementi mi sembrano molto importanti per questa mia tesi: questo tipo di dimensione paolina accade ad uomini liberi, come lo era san Paolo (vedi Galati 2), uomini che hanno una "gnosi amorosa" che diventa una esigenza etica e che non si limita ad ascoltare il Kerygma, ma che lo assume in modo interiore e fecondo. Infine queste persone diventano uno spettacolo "davanti agli uomini e agli angeli". Ed anche il rapimento di padre Paolo non cambia nulla di ciò. È stato e spero che sia uno spettacolo per i suoi rapitori - preghiamo per lui. Una missione del genere vive della nostra preghiera e questo mio lungo post sulla sua persona e sulla sua missione vuole essere visto come preghiera. Tutti gli uomini liberi, proprio perché liberi non vogliono interiorizzare comandi e dogmi, in modo incosciente, ma come "gnosi" assimilarli dall'interno così che quando agiscono, parlano, ascoltano non vivono più loro, ma Cristo in loro.
Il "noi" in Padre Paolo si dilata ad includere la comunità islamica. In oltre vi è in esso un forte senso del Cristo dell'Apocalisse "come dominatore dei re di questa terra" (cfr. Balthasar, ibidem, 345): il suo giudizio stroncante del dittatore Assad non è solo una questione politica, ma anche "cristologica".

(26.4.21)


L'Eucaristia è un mistero escatologico. 


Il cardinale Ouellet, figlio spirituale di Adrienne von Speyr e Hans Urs von Balthasar, afferma giustamente che l'Eucaristia è un mistero escatologico. Un amico mi aveva detto che io sono uno che vive del potere gesuita (per questo amerei il Papa) e che non ho alcun senso dell’escatologia. Per lui escatologia è contrapposizione al mondo, per me invece essa è amore. Amore che si manifesta nel frammento eucaristico: in quel pezzo di pane è realmente presente tutto l’amore trinitario. L’amore del Padre che dona l’essere, del Figlio che redime la non accoglienza del dono dell’essere da parte dell’uomo e degli spiriti malvagi e lo Spirito Santo è la fecondità di questo amore. Testimonianza della gloria, della riuscita. L’unica cosa davvero riuscita e che non ha che fare nulla o poco con il successo mondano: Cristo ha riportato nel Suo cuore la creazione al Padre (resurrexit Dominus vere!) ed è innegabile che per quanto la Chiesa sia casta meretrix in essa l’opera educativa e di testimonianza dello Spirito Santo è riuscita: vi sono stati in questi duemila anni di storia del cristianesimo donne e uomini che davvero hanno adorato Dio ed amato il prossimo „in spirito e verità“, i santi. E qualcosa di santo vi è sempre anche nelle nostre giornate, anche se non riusciamo ancora a vivere 24 ore al giorno „in spirito e verità“, come non possiamo essere filosofi 24 ore al giorno, come ha osservato con ragione Hannah Arendt. Il pane eucaristico, che è amore che si da in miliardi di frammenti, è una medicina (un cibo spirituale), per essere sempre di più „in spirito e verità“. In quel Giovedì Santo Gesù ci ha lasciato un gesto „ultimo“ (escatologico) semplice e potentissimo per far memoria della Sua presenza.


(27.4.21) La comunione nella Santa Messa ci viene data dal Padre come risposta alla nostra domanda: "dacci il nostro pane quotidiano". È il Padre che ci dona il Figlio; questo pensiero del cardinal Ouellet mi ha fatto riflettere ulteriormente sul fatto che in tutta la Santa Messa noi tentiamo di fare ciò che Cristo vuole: rivolgere la nostra attenzione al Padre. E nella sua oggettività la Santa Messa è questo, perché ciò che Dio dice o vuole fa. La Santa Messa mi riporta in quella cena del cenacolo, non come ricordo, ma come memoria che accade. Essere li con lui, qualche ora prima del teodramma della Croce e della discesa all'inferno. Essere li con lui mentre ci lava i piedi e ci dona pane e vino. Sentire il calore di quella serata che accade ora: Cristo presente che ci insegna a vivere e morire. "Lo Spirito Santo nella Santa Trinità è il frutto della risposta d'amore del Figlio al Padre e questa riposta tocca il cuore del Padre fino al punto, che sgorga un nuovo dono dal suo cuore: lo Spirito, la donazione dello Spirito Santo" (Marc Ouellet, ibidem 96). Noi con tutta la nostra esistenza veniamo coinvolti in questa donazione reciproca ed aperta. Chiediamo la grazia che la partecipazione alla Santa Messa e all'adorazione eucaristica siano un'esperienza trinitaria, in modo che non si tratti solo di nozioni teologiche, ma di partecipazione all'assenso reale primo: quello di Dio a Dio!


(06.5.21) Morendo sulla croce Gesù ha separato la realtà dell’inferno da quella dell’uomo (Balthasar, Ouellet), per questo possiamo sperare che l’inferno sia vuoto. Non possiamo saperlo, perché l’uomo non è una marionetta, ma è libero di accettare o rifiutare questa separazione causata da Cristo sulla croce. Nel Sabato Santo, scendendo nell’inferno, Cristo conosce la brutalità di questa separazione da Dio che è l’inferno e che è stata separata dall’uomo. Probabilmente, visto che non c’è stato ancora un giudizio definitivo di tutto il cosmo, per ora, l’inferno è vuoto di uomini, ma non dei loro peccati. Che rimanga vuoto dipende dalla nostra libertà che verrà giudicata nel giudizio universale, che è compito di Dio, non dell’uomo. Su questo punto (!) sono lontanissimo da Dante, è molto più vicino ad Adrienne ed al sentite misericordioso di Papa Francesco.

Roberto, un (!) piccolo amico di Gesù 


(7.5.21) L’azione di salvezza di Dio in Cristo è drammatica.


Con ragione il cardinal Ouellet, lettore attento di Adrienne, dice che l’inferno, prima di Cristo, in un certo senso, non esisteva. Esisteva il luogo (gli inferi) in cui si trovano le anime dei morti, che attendevano Cristo. L’inferno, il mistero della giustizia di Dio, che vuole uomini e non marionette che lo amano, è inseparabile da Cristo. 
L’inferno è caos senza forma e Cristo non è solo sceso negli inferi, ma proprio nell’inferno, in cui non c’erano persone, ma „effigi“ di persone e c’era tutto il caos della mancanza di amore. Questo è l’inferno: mancanza definitiva di amore gratuito. 
In questo senso „l’inferno è una buona notizia“ (Ouellet), perchè Cristo in forza della sua obbedienza-bambina e della sua speranza-bambina (ma questa non la sente nell’inferno) lo ha sconfitto dall’interno. Nella domenica di risurrezione improvvisamente e sorprendentemente viene fatto risorgere dal Padre nella forza dello Spirito dal caos senza forma in cui si trovava la sua anima (il suo corpo-cadavere era nel sepolcro). Sorpreso dalla gioia! 
La pandemia è stato ed è per molti un tempo drammatico: non ho alcuna soluzione/ricetta a portata di mano, se non il bisogno di un miracolo che non possiamo produrre. “Noi siamo in un tale degrado universale che non esiste più niente di ricettivo del cristianesimo se non la bruta realtà creaturale. Perciò è il momento degli inizi del cristianesimo, è il momento in cui il cristianesimo sorge, è il momento della resurrezione del cristianesimo. E la resurrezione del cristianesimo ha un grande unico strumento. Che cosa? Il miracolo. È il tempo del miracolo. Bisogna dire alla gente di invocare i santi perché sono stati fatti per questo”. Don Giussani
È vero, come dice Peguy, che è un conto è sapere queste cose, sapere la morte ed un altro passarci nella morte, ma è anche vero che è possibile morire in Cristo, anche se non senza dramma, in un’obbedienza-bambina: questo ho visto sul letto di morte di Ferdinand Ulrich. Ed è questo il miracolo che possiamo chiedere al Signore: di vivere e morire nell’obbedienza-bambina, nella speranza-bambina che ha già vinto il mondo! Che ha già vinto l’inferno. Di vivere e morire nel Suo amore gratuito! Con o senza „utilità“ della fede per il mio vivere, ma mai senza „senso“.
(9.5.21) Hans Urs von Balthasar ed Adrienne von Speyr.
Nel libro di mariologia di Gabriela Wozniak sopra citato c'é un aspetto che mi ha colpito molto e che approfondirò più tardi sulla non riduzione tipologica di Maria, e sulla necessità di un confronto con lei di tipo personale e fenomenologico. 
Per ora vorrei scrivere solo due righe sull' Exkurs: Primo sguardo a Balthasar (ibidem 55-60). Gabriela riflette sulla questione delicata se si possa comprendere Balthasar senza Adrienne von Speyr. Ho conosciuto la giovane teologia tre anni fa a Roma durante un convegno sulla von Speyr ed ho letto anche il suo lavoro di tesi di laurea sul rapporto tra uomo e donna nell'opera di Hans Urs von Balthasar ( „Die Beziehung von Mann und Frau im Werk Hans Urs von Balthasars“), Vienna 2017.  Ovviamente ha ragione Gabriela quando dice che in un lavoro di ricerca non ci si può fissare solamente sulle frasi che sul tema del rapporto tra Adrienne e Balthasar sono state dette da quest'ultimo. È anche legittimo chiedersi se davvero a livello filologico, filosofico e teologico sia davvero così che i due autori sono "inseparabile", come voleva Balthasar.  Personalmente sono più d'accordo con la posizione, diciamo del padre Servais S.J., che vede in Adrienne la "stella polare" di Hans Urs, ma è innegabile che gli interessi e le amicizie di Balthasar non possono essere ridotte alla sua amicizia con Adrienne. In "Unser Auftrag" Balthasar ha voluto dire con decisone che il tentativo di separare la sua opera da quella di Adrienne è contro la sua volontà (non è pensabile né a livello teologico né filologico) e personalmente credo che per un opera come il commento a San Giovanni di Adrienne, Balthasar sarebbe stato disposto a bruciare "come paglia" tutta la sua opera. Allo stesso tempo mi sembra anche giusto quello che dice Gabriela: "in riferimento alla propria opera Balthasar stesso non può essere considerato come un criterio oggettivo" (Cfr. ibidem 56) ed è anche vero che la "trilogia" (estetica, drammatica e logica) ha una varietà filosofica e teologica che non c'è nell'opera di Adrienne. Per me il commento a Giovanni rimane il cuore di fuoco dell'annuncio dell'amore trinitario di Dio e del cammino del mondo e dell'uomo dal Padre al Padre, ma è vero, per come sono strutturato, che ho bisogno per la mia maturità umana anche dell'ampiezza della trilogia o di un autore come Charles Peguy (cfr. Gloria II, 2). Ed in genere non posso che pensare nella tensione, straripante il pensiero accademico, tra teologia, filosofia, letteratura e politica. E tanto per fare un esempio quando ho letto Goethe, certamente l'ispirazione è stata Balthasar, ma poi io ho fatto la mia personale lettura di Goethe, in cui "Le affinità elettive" forse giocano in ruolo più grande di quanto quest'opera del maestro di Weimar giochi nella ricezione di  Balthasar stesso. E poi ci sono mie letture di giovani e meno giovani autori italiani come Paolo Malaguti o Alver Metalli che non hanno a che fare o poco a che fare con Balthasar. 
PS Camminando nel bosco ho ripensato ad una frase di Gabriela che non avevo commentato. Quando lei afferma che Balthasar è uscito dall’ordine dei gesuiti per un desiderio di Adrienne (cfr. ibidem, 56). Questo non corrisponde per nulla a quanto Balthasar scrive in “Cielo e terra” II (Numero 2000, anno 1948, Einsiedeln 1975, 464-466) dove elenca i motivi per stare nell’ordine, che erano tantissimi. E come unico motivo per uscire dall’ordine annota l’obbedienza a SPN (Sanctus Pater Noster = Ignazio). L’obbedienza ad Ignazio per il gesuita Balthasar significava obbedienza a Dio. Mettere in questione questo non significa aver trovato una via “oggettiva” di parlare di quegli avvenimenti, ma mettere in questione la capacità di giudizio, nell’esistenza, del padre Balthasar.
(9.5.21 bis) L'uomo nel teodramma (cfr. Wozniak, 61-70) 
In una lettera che mi scrisse Balthasar, quando era ancora all'università di Torino (quindi nei primi anni 80), mi disse che non ci si può concentrare solamente sull' "estetica teologica", se si vuole fare una tesi di laurea su di lui, e che la "teodrammatica" era per lui del tutto importante. Gabriela scrive: "Lo specifico vero e proprio della teologia di Balthasar consiste nella sua comprensione teodrammatica della realtà" (61). La giovane teologa usa l'immagine, usata da Balthasar stesso, di un trittico, nel quale la parte centrale è quella decisiva. 
Se penso al cammino fatto con Ulrich, la cui filosofia è un continuo discernimento degli spiriti e delle tentazioni degli uomini, credo che in ciò quest'ultimo e Balthasar siano davvero due "fratelli nello spirito" ed anche la categoria dell'avvenimento (Giussani, Ratzinger, Bergoglio) è un modo di pensare l'uomo nel teodramma, tra la libertà infinita di Dio e quella finita dell'uomo. Non esiste un uomo puro, ma esiste sempre un uomo nel dramma della sua esistenza (con ragione Wozniak rinvia a Kierkegaard) - non primariamente della "scienza" come intuiva anche il giovane Heidegger nel suo "Essere e tempo". 
Con ragione Gabriela parla di "polarità" in Balthasar - nel suo libro sulla biografia intellettuale di Papa Francesco Massimo Borghesi ha fatto vedere come questa categoria rinvii a Romano Guardini: l'uomo è comprensibile non in un sistema  chiuso, ma sempre in un conflitto fecondo e polare: spirito-corpo; uomo-donna; individuo-comunità... E queste polarità sono aperte verso l'alto, da cui deriva la "Sendung" (missione, compito) che Dio, che è "interior intimo meo" (Agostino) ha pensato per me e per noi. Bisogna evitare entrambe le fuge: quella spiritualista verso l'alto e quella materialista vero il basso. A secondo delle persone con cui sono in dialogo e a seconda dei temi su cui sono in dialogo insisto su una delle due possibili fughe. 
Per quanto riguarda la "reciprocità tra spirito e carne" (Massimo il Confessore) o la reciprocità tra uomo e donna o quella tra individuo e comunità bisogna stare attenti al ritmo puro - l'analogia entis stessa per Balthasar versus il suo grande maestro ed amico Przywara non è ritmo puro e Gabriela Wozniak spiega il motivo: perché noi siamo per l'appunto in mezzo al dramma, non sopra o accanto ad esso. 
Anche il cammino ontologico di Ulrich accade sulla o meglio nella "piccola via della quotidianità"  in cui si misura il carattere della nostra libertà che "essere presenti a se stessi nella luce dell'essere" (Balthasar in Gabriela, 65) - e la luce dell'essere è il dono gratuito di amore, che per Ulrich è allo stesso tempo: povertà e ricchezza, pienezza e incompiutezza, etc. 
La verticalità del teodramma è una cosa che si impara pian piano o anche improvvisamente, ma solo nella quotidianità, non nella scienza, anche non nella scienza teologica. Abbiamo bisogno per questo di una speranza-bambina (Peguy) e di una obbedienza bambina, che non è "servitù", ma "libertà", come quella che regna tra amici. 
(10.5.21) La libertà personale di Maria, le tensioni esistenziali, la comprensione della maternità (cfr. Gabriela Wozniak, ibidem 70-83)
Non sono un teologo accademico, tanto meno un mariologo, quindi quello che scrivo a carattere personale e non tipologico. Gabriela mi aiuta a confrontarmi con il mio maestro, con la distanza necessaria, che io non ho mai avuto, perché senza Balthasar non sarei quello che sono. Per lo meno non ho mai avuto una "distanza scientifica" dal maestro. Quella distanza del "figlio" e non dell'"allievo", nel senso di Peguy, spero di averla avuta e di averla anche ora, tanto più che la mia esperienza/esistenza non è la sua. 
Il mio rapporto con Maria è semplice; la invoca spesso nella giaculatoria imparata da don Giussani: Veni Sancte Spiritus, veni per Mariam. Dico un Ava Maria per le persone che mi chiedono una preghiera (e a volte il Rosario, anche con le intenzioni del Santo Padre), la invoco quando non mi sento puro o dopo ciò che nella Chiesa viene considerato come non puro (per esempio nel linguaggio). Ma la invoco come una "madre", come un'"amica" e non come una dea. Da Ullrich ho imparato a vedere in lei il dono personale finito dell'essere come persona. Un tema presente anche in Balthasar: la libertà finita che dice di si a quella infinita. Non ho mai pensato che essa possa venire degradata, umiliata o avvilita da Dio, perché Dio è amore, ma credo che Gabriela abbia ragione a porre il problema (cfr. 72), vista l'umiliazione della donna (di tante donne), anche nella chiesa: sotto la scusa del dono di sé. 
Penso sia necessario vedere tutta la realtà in senso polare (Guardini, Bergoglio, Borghesi) e quindi ritengo che si debba guardare anche a Maria nelle sue tensioni polari: vera donna tra cielo (paradiso) e terra ("prega per noi peccatori"), tra Antico e Nuovo Testamento, tra tempo ed eternità (75sg.) 
La sua fecondità vergine - il tema dell'ultimo libro di Ulrich che ho appena tradotto in italiano -  e per me importante, non perché io ne sia all'altezza, ma proprio nel rapporto con gli amici che vivono così: come Ulrich, come Adrian, come Michele...Per me la questione della sessualità è una questione non risolta, per cui sono al cospetto di ciò, solo un "piccolo nulla", ma ritengo necessaria questa prospettiva, senza la quale la Chiesa è solo un'ulteriore istituzione nel mondo. 
La questione del superamento del "privato" l'ho vista in azione nel modo con cui mia moglie ha educato i nostri due bambini e nel modo con cui è insegnante - ed anche quando non ha più le forze non si ritira nel "privato", che è una categoria borghese,  ma nel "silenzio", pieno di fantasia (i nostri pupazzi "parlanti"), i nostri villaggi natalizi (Weihnachtshausen) ed pasquali (Osterdorf) dell'Erzgebirge, che in lei hanno carattere personale). Penso anch'io come Balthasar che le sofferenze di una madre, la sua de-privatizzazione portano frutti per i loro figli, come ho visto anche in mia mamma, che ha perso quasi la sua vita per mettermi al mondo). Non ritengo, però, che una donna sia solo mamma e starei attento nelle deduzioni trinitarie: certo le processioni trinitarie sono il modello ultimo di ogni relazione, ma l'uomo non è il Dio trinitario, anche quando lo confessa. Comunque per essere sicuro che le mie obiezioni (in primo luogo sul fatto che la sessualità nel suo carattere polimorfe ed istintiva è stata sottovalutata nella Chiesa o che la masturbazione non è omicidio e che "pensieri impuri" non sono immediatamente adulterio nel cuore, ma per l'appunto espressioni della sessualità "naturale e polimorfa"), non siano rivolta, prego spesso la giaculatoria di cui prima: Veni Sancte Spiritus, veni per Mariam. 
L'immagine del sorriso della mamma che sveglia il figlio al dono dell'essere e al dono della redenzione, usato spesso da Balthasar, anche in una delle sue ultime conferenze a Madrid, è molto bella, ma un po' stilizzata; anche un padre (carnale e spirituale) può guardare i suoi figli con quell'amore che li introduce al dono dell'essere come amore gratuito. Il cuore di una famiglia è proprio l'esperienza dell'amore gratuito. 
(11.5.21)
La ricettività come principio della realtà terrena (cfr. Wozniak, ibidem 83-86)
Dopo le riflessioni importanti di Giovanni Paolo II su Trinità e famiglia, sento la necessità di prendere sul serio l'obiezione di Agostino: bisogna stare attenti a non fare "un'analogia troppo forte tra le realtà relazionali terrene tra gli uomini e le processioni intratrinitarie" (Gabriela Wozniak, ibidem 84). Gabriela cita la posizione di Agostino per far capire quella di Balthasar. Lei non parla qui di Giovanni Paolo II. 
La questione della "unità duale", della polarità sessuale è certamente teologicamente e filosoficamente essenziale: è vero che "sembra impossibile ridurre la sessualità ad un aspetto puramente fisico. Essa ha una dimensione olistica, che non divide mai la dimensione biologica da quella psicologica e spirituale" (ibidem, 84). Allo stesso tempo questa dimensione olistica sembra  essere più propria della donna che del maschio (Lacan; Recalcati) - e in questo senso io prenderei sul serio Agostino. Non per pensare solo ad un'analogia trinitaria nell'anima singola, ma per prendere sul serio anche le dinamiche umane a livello di cause seconde. Di fatto in ambiti cattolici si è sempre sottolineata questa dimensione olistica (amore e responsabilità), ma è anche vero che nella stessa chiesa sono scoppiati casi di pedofilia, che secondo me avevano a a che fare con un rigetto di una fuga spiritualista. Il clericalismo stesso è una fuga spiritualista, che nasconde la volontà di potenza (questo passaggio non è chiaro nella cosa stessa: forse perché è rigetto della fuga e sua dialettica incarnazione). 
Comunque le mie obiezioni non sono tali da mettere in questione la ricettività come principio della realtà terrena e cosmica, né che l'uomo, donna e maschio, non siano aperti all'amore infinito di Dio, un'apertura che è anche desiderio, ma non pretesa (De Lubac): "senza un'apertura di principio non sarebbe stata possibile la venuta di Dio nel mondo" (Gabriela Wozniak, 85). In questo senso sono molto sensibile al "eterno femminile" di Teilhard de Chardin ed anche ad una mariologia che sia incarnazione personale di questo "eterno femminile", ma sono scettico per ogni volo teologico su realtà su cui l'uomo fa fatica, proprio perché è anche "biologia", "chimica". Ed a questo livello le aperture sono orizzontali e polimorfe - che la forma d'amore di Cristo ordini la confusione polimorfa orizzontale (quella che si vede in Netflix per intenderci) è possibile non per una "gnosi", ma per un suo atto di "amore" infinito e gratuito, che ci ama per primi.
(12.5.21) Dal gruppo chiuso in Facebook dedicato ad Adrienne: 
Confessione come mancanza di fede portata in modo vicario ed inferno
(Cfr. "Cielo e terra", Numero 2212, 30.1.1955; ma anche altri scritti sull'argomento in "Croce ed inferno") 
Io mi fido della "mediazione leggera" di Balthasar nella redazione di questo "diario", che porta il titolo "Cielo e terra"; ed in genere non credo che la distanza scientifica sulla "guida" di Balthasar nei confronti di Adrienne (ne in rapporto alla loro relazione reciproca) sia "oggettiva", ma semplicemente mancanza di fiducia, come spesso accade quando il cielo parla con la terra. 
Non è mia intenzione di ripetere solamente ciò che c'è scritto nel punto 2212, perché penso che le solo ripetizioni non aiutano alla comprensione e poi ognuno è libero di leggere le pagine senza la mia mediazione (anche se sarebbe necessaria una traduzione italiana di questo diario). 
Quando facciamo qualcosa di sbagliato subentrano in noi stati di animi diversi, dice Adrienne. Per esempio un disagio, un peso e come dice una mia amica: andarsi a confessare è un modo per andare da Gesù e chiedergli aiuto in questo peso o disagio (per esempio non quando si pensa di non aver fatto come mamma ciò che si dovrebbe, ma che non si è capaci a fare per una "Überforderung" - una pretesa un carico eccessivo). 
A volte si presentano nel nostro spirito il contesto preciso del nostro peccato: capiamo che avendo proposto una falsa dichiarazione dei redditi abbiamo indebolito la possibilità dello stato di affrontare una crisi, etc. Avendo visto un film o un video pornografico abbiamo contribuito alla mancanza di dignità che vi è in quelle immagini. Non è un peccato il corpo della donna o la propria nudità, ma la sua commercializzazione, con immagine degradanti la donna o il maschio in un oggetto della sola brama. Certo la dimensione polimorfe della sessualità è anche questo (dei io sarei cauto con le colpevolizzazioni eccessive), ma ad un certo punto diventa chiaro che ci sono persone concrete che vivono di questo degrado, che vengono sfruttate o che c'è un pubblico di spettatori dello stesso video, che hanno bisogno di essere liberati dallo loro dipendenza (ed io della mia). O ci si rende conto, per l'altro esempio, che una persona concreta non ha avuto un respiratore perché noi non abbiamo pagato le tasse. Anche per queste cose si può andare da Gesù.
Nell'inferno non ci sono (ancora) persone concrete, ma solamente "effigi" - non solo le conseguenze astratte dei peccati , ma l'immagine dei peccatori (per esempio dei dittatori che hanno massacrato e torturato il loro popolo). Quando Gesù ci passa dentro, alle sue spalle tutto e guarito, ma davanti a lui c'è solo caos senza forma, la melma in cui sono le effigi. L'ansietà e l'apprensione sembrano essere infinite: non si vede il senso. Manca LUI! È questo è terribile. Nella sua radicalità questa esperienza dell'inferno che ha compiuto Cristo è unica. E non si ripeterà mai più, perché il diavolo è stato sconfitto e solo chi non vuole l'aiuto di Cristo può finire per sempre nell'inferno, in un inferno in cui Cristo non verrà più. 
A volte ci è chiesto di portare questa apprensione - una goccia di essa - e essendo noi tutti peccatori non credo che portiamo solo il peso dell'altro, senza poterlo portare, ma portiamo anche il peso del nostro peccato. La liberazione che ci dona la confessione non può essere prodotta, per cui è bene andare da Gesù, per riceverla in regalo (anche perché a volte ci è chiesto già troppo e non è possibile portare alcun altro peso), anche se forse non si deve esagerare con la confessione troppo sovente, che comunque non è il pericolo del nostro tempo. 
Chiediamo al Signore "comunione con lui e liberazione" - il senso che la nostra vita porterà frutti e già li porta. Chiediamo di essere sorpresi dalla Sua gioia.
Un piccolo amico di Gesù 
(12.5.21) La polarità dei sessi, il peccato originale e le sue conseguenze per la ricettività, Maria come donna feconda
Le riflessioni teologico-tipologiche sul femminile (passività attiva del ricevere il dono) e maschile (attività del dono) di Balthasar (ed anche di Adrienne, cfr. teologia dei sessi, negli anni quaranta del secolo scorso) sono tra i doni teologici più grandi che il cielo ha fatto alla terra o detto in modo meno enfatico: tra gli aspetti più grandi della sua teologia. Il teologo milanesi Giuseppe Angelini lo aveva detto della teologia dello stato e degli stati di vita cristiani di Balthasar). Bisogna comunque evitare cortocircuiti "sociologi" - per esempio è bene che la cancelliera tedesca negli ultimi 16 anni, pieni di crisi eccezionali di stampo finanziario, migratorio e pandemico, sia stata una donna e non un uomo. E per esempio in queste riflessioni: io maschio dipendo dalla disposizione dei temi di Gabriela, donna. Etc. 
Sia in Barth che in Balthasar vi è un primato dell'uomo, nello schema sopra accennato del dare e ricevere, ma  non vi è una sottomissione della donna, come si vede anche nel rapporto con Adrienne. "Solo nel dialogo raggiungono uomo e donna un frutto comune" (Gabriela Wozniak, ibidem, 87). Quindi il tipo qui presentato è quello dell'unità duale, a partire dalle processioni trinitarie in cui il Figlio viene dal Padre, ma non è  meno del Padre. 
Il peccato originale e la conseguenza di esso, cioè i nostri peccati infiniti, mettono in crisi la ricettività libera propria alla creazione e al dono dell'essere: "il peccato crea un sistema chiuso dell'uomo stesso, nel quale egli tenta di redimersi attraverso la sua e non la libertà divina" (Wozniak, 89). Noi tentiamo di darci la pace, la soddisfazione con tentativi che di fatto aumentano la nostra dipendenza. E la tentazione del sistema chiuso non è una tentazione da cui i filosofi e i teologi sono liberi, anzi in loro il sistema chiuso è ancora più pericoloso; come lo è in una comunità, anche ecclesiale, autoreferenziale. 
Giuseppe e Maria sono i simboli concreti di una fecondità verginale; in Giuseppe dapprima imposta, ma poi accettata; insomma anche lui non è stato "violentato" da Dio. "Giuseppe come uomo con la sua - dapprima imposta - astinenza sessuale non viene degradato, piuttosto al contrario la sua paternità viene liberata dal ciclo eterno di generazione e morte ed onorato più di tutto ciò che c'è stato prima di lui. L'obbedienza di Giuseppe rinvia già da subito all'obbedienza definitiva e redentiva" (Wozniak, 91). Lc 1,38 con il suo verbo ottativo fa comprendere il più di Maria, che desidera fare la volontà di Dio, assumere liberamente la missione e il compito che l'interior intimo suo voleva da lei (cfr. ibidem). Senza questo assenso di Maria, il mediatore unico tra uomo e Dio, non sarebbe potuto venire nel mondo come uomo: in questo sta la necessità della donna nel piano della creazione di Dio e ciò ha una valenza cosmica come abbiamo visto l'altro giorno.

Vedo in questa forma di verginità feconda e gratuita l'immagine tipologica di un assenso definitivo ed assoluto a Dio (Newman) ed in certi uomini l'ho vista esistenzialmente, ma vedo anche in mamme e papà, che sono nel ciclo eterno di generazione e morte, una disponibilità eroica a mettere in pratica Lc 1,38: εἶπεν δὲ Μαριάμ· ἰδοὺ ἡ δούλη κυρίου· γένοιτό μοι κατὰ τὸ ῥῆμά σου. Io al cospetto di tutto ciò sono un "piccolo nulla". 
(13.5.21; Himmelfahrt)   Il mistero pasquale come compimento della missione personale di Cristo; il passaggio dal soggetto spirituale alla persona. 
Gabriela Wozniak, (ibidem 94-100) vede con ragione la differenza con cui Balthasar parla della persona. Mentre nella tradizione filosofica cristiana (Boethius, Riccardo di san Vittore) si parla della persona come individualità e razionalità, Balthasar ne parla all'interno del mistero di Cristo. Avevo già notato una differenza tra il modo con cui Spaemann parla della persona e Balthasar, quando ero all'università di Monaco di Baviera. Spaemann ne parla al plurale, Insomma di persone. E cerca la differenza tra le persone e le cose. Per Spaemann si è persona non se attivamente si è in possesso della razionalità, ma se biologicamente si fa parte degli esseri umani, insomma se si è un essere umano. Questo punto di vista etico permette a Spaemann di dire che si è persona dall'inizio alla fine: un argomento che può essere  usato contro l'aborto e l'eutanasia. Anche un disabile è persona, anche se non possiede attivamente la razionalità come una persona normale. 
Balthasar vede il passaggio dal soggetto spirituale a quello personale, insomma al essere persona in senso stretto a partire dall'assunzione in Cristo della missione che il Dio trinitario ha pensato per noi (per me) e che nel mistero pasquale trova la sua ultima connotazione: amore gratuito che si dona fino in fondo e che in Cristo assume una dimensione universale e concreta, così che anche i problemi ontologici (analogia entis) possono essere pensati solo in questo mistero di assoluto amore personale e gratuito. Balthasar non nega certo la dimensione etica di Spaemann, ma non è il suo tema primario. Il suo tema è l'assenso esistenziale e definitivo a Cristo, senza il quale nulla di ciò che c'é ci sarebbe. La priorità esistenzialista tra esistenza ed essenza (Sartre) non vede che il ruolo (essenziale) che Dio ha pensato per noi è più intimo a noi stessi di ogni nostra costruzione autonoma. Paul Kingsnorth fa vedere come la vera alternativa è quella tra croce e macchina: in questa alternativa si gioca tutta la nostra esistenza. Etc.  
(14.5.21) Dio è amore! L'obbedienza del Figlio come motivo del suo essere persona: il rapporto tra Trinità immanente ed economica (non nel senso mondano, ma nel senso di "rivolta al mondo"); il motivo dell'obbedienza del Figlio: la kenosis del Padre nella donazione di sé; l'obbedienza della seconda persona della Trinità (cfr. Wozniak, ibidem 100-108)
Gabriela inserisce il grande tentativo teologico speculativo di Balthasar nella tradizione cattolica, con cui egli si identifica pur in alcune differenze: Agostino vede l'immagine della Trinità nell'uomo stesso, nella sua capacità di comprendere e volere; Riccardo di San Vittore vede l'immagine della Trinità nelle relazioni umane e Tommaso d'Aquino intende la generazione e la processione del Figlio come atto. Balthasar è cosciente che comunque ogni speculazione teologica, usando parole antropomorfe, deve essere intesa come analogia, che teologicamente non è solo similitudo, ma anche e forse soprattutto maior dissimilitudo. 
In cosa consiste l'ex Patre  nella sua radicale donazione di sé, fino alla sofferenza (non al dolore) - Balthasar eredita da Origine il Patricompassionismus, non il Patripassionismus, che è eretico: il Padre è capace di compassione, in questo senso di sofferenza, ma non soffre nel senso che egli abbia un esistenza tragica o identificata con il divenire drammatico del mondo (Hegel). A questo radicale dono di sé il Figlio risponde con una obbedienza libera ed altrettanto radicale. La donazione di sé nell'amore reciproco è il movimento elementare dell'amore trinitario (Bulgakov). Lo Spirito Santo è la conferma oggettiva, istituzionale per costi dire, di questo radicale ed assoluto amore reciproco. Tutti e tre sono persone, perché sono il loro compito stesso.
Noi sappiamo tutto ciò perché il Figlio è stato mandato con il suo consenso nel mondo. Da questa missio  comprendiamo anche le processioni trinitarie come amore assoluto, gratuito e reciproco (Martin Bieler, parroco calvinista,  si esprime così: dalla missio alla processio e di nuovo alla missio). E comprendiamo che la missio non è un "dovere": Dio si manifesta al mondo liberamente e non può essere sconfitto dalle tragedie del mondo, come mi scrisse Balthasar nella sua prima lettera.  
Balthasar è stato criticato, per esempio dalla teologa americana, Alyssa Pitstick (cfr. Wozniak, 102) di propagare un "triteismo"  - nel mio intervento, come pubblico, nel primo simposio romano su Adrienne, avevo chiesto a Balthasar, se Karl Rahner avesse ragione con la sua accusa ad Adrienne di propagare un "triteismo". Balthasar mi aveva risposto con grande precisione ed attenzione. Per quanto mi riguarda, anche se non mi ricordo più la sua riposta, non ho mai, nella mia vita, compreso in modo così preciso come il Dio di cui parlano Balthasar ed Adrienne è davvero personalmente ed assolutamente amore unico e gratuito. Ullrich mi ha fatto comprende le conseguenze ontologiche di ciò.  Non vi é nei miei autori alcun Triteismo, anzi una base teologica dell'unità (da qui nasce il tema dell'obbedienza) che permette il dialogo anche con Israele e con l'Islam. Come testimoniano grandi santi come Charles de Jesus e padre Christian de Chergé, anche meglio di quanto abbiano fatto Balthasar ed Ulrich stessi. 
(15.5.21) La croce come compimento della missione di Cristo e l'identità del Logos con il Gesù terreno - versus la teoria dell'inganno. 
Nel 1986 scrissi una tesi di laurea su Balthasar, che non ho più riletto - non mi ricordo quindi in dettaglio che cosa scrissi - ma che aveva per tema il significato di "definitività" nella teologia di Balthasar e la questione della "Leben Jesu Forschung" (la ricerca scientifica sula vita di Gesù) di cui parla Gabriela Wozniak in 4.2.1 (ibidem. 110- 113) del suo dottorato. Quest'ultimo tema l'ho spesso ripreso nel mio insegnamento di religione nel liceo a Droyssig. 
La "Leben Jesu Forschung", come ricorda anche Gabriela, comincia Hermann Samuel Reimarus (edito da Lessing) e pone i primi passi della differenza fatale tra il Gesù storico e il Cristo post-pasquale (il Cristo della fede, dirà Rudolph Bultmann). Ma in modo ancora più radicale Reimarus pone la questione dell'inganno - la Chiesa ci ha ingannato sul vero senso della missione di Cristo o forse l'inganno arriva da Cristo stesso che quando si è accorto che non avrebbe potuto "produrre" il Regno si è "inventato" la Chiesa. Tra le posizioni della sinistra hegeliana che insiste sul mito di Cristo (l'uomo divinizzato) e le interpretazioni liberali vi sono molte differenze. Bultmann era un uomo religioso, ma che di fatto per il Cristo della storia non ha alcun interesse: non sappiamo cosa Gesù ha pensato ed è eguale, per lui; l'importante sarebbe l'annuncio della fede. A tutto questo Joseph Ratzinger/Benedetto XVI ha risposto nel suo grande libro in tre volumi su Gesù e Balthasar con la sua Trilogia (implicitamente in Gloria ed esplicitamente nella Teodrammatica). 
In vero la "Leben Jesu Forschung" è più interessante per sapere cosa pensavano le persone che hanno scritto di Gesù - per un accesso a Gesù nella sua identità con il Logos non servono a nulla. Questa identità non è però solo un postulato, ma come ci hanno fatto vedere Balthasar e Ratzinger il presupposto storico di un evento teologico che ci rivela chi è Dio. Se i risultati della "Leben Jesu Forschung" fossero veri avremmo un altro oggetto di studio scientifico, ma nessun sapere amoroso - invece che la rivelazione dell'amore assoluto, avremmo una gnosi priva di ogni mistero. Infine solo il nostro cuore può decidersi se trova una corrispondenza in una teoria dell'inganno (le teorie complottiste odierne hanno qui la loro origine intellettuale) o in un annuncio storico e presente del mistero dell'amore gratuito. Mi sono deciso - per grazia -  per la seconda cosa. Certo nella Chiesa vi è stato e vi è inganno - Papa Francesco lo chiama "clericalismo", vi è abuso di potere, ma se essa rimane fedele a Maria (la finezza che dice si all'infinito), Pietro (il si istituzionale), Giovanni (il si dell'amore) e Paolo (il si profetico) l'inferno (mancanza dell'amore gratuito) non avrà mai il potere su di lei. Cristo direttamente e nelle quattro dimensioni personali di cui parlo, prega per la Sua Chiesa - questa preghiera è la mia speranza. 
Solo un grande avvenimento storico può far nascere una grande idea teologica (Giussani, Ratzinger): questo principio lo esprime Papa Francesco con la "priorità della realtà sull'idea. La Croce è il punto massimo del compimento della missione di Cristo - con essa tutto è compiuto, con essa si vede che l'amore di Dio va fino in fondo (Gv 13,1). Dio non ha paura della kenosis, anzi essa è fondata nella Trinità stessa come radicale dono d'amore reciproco. La discesa all'inferno è per così dire un "supplemento" di questa serietà e di questa kenosis: Cristo non ha solo portato sulla Croce tutto il peso del peccato del mondo (e del mio), ma è stato quasi affogato nel caos delle conseguenze di questo peccato. Alle cinque del mattino di Risurrezione accade la sorprendente vittoria della gioia. Non un teoria dell'inganno, ma la gioia sorprendente è quello che vuole il nostro cuore. 
PS Nicola Felice Pomponio mi ha scritto questo suo commento che è molto importante per la prospettiva "esterna" a quella solo teologica che ho sviluppato in questo ultimo aforisma: "Bello! Solo due riflessioni "esterne" all'argomento di fede che tu porti. 1) Sull'inganno. Ho sempre considerato definitivo l'argomento hegeliano della Fenomenologia per cui "eine verlorene Schlacht als eine gewonnene mehreren aufgeheftet und sonstige Lügen über sinnliche Dinge und einzelne Begebenheiten auf eine Zeitlang glaubhaft gemacht werden; aber in dem Wissen von dem Wesen, worin das Bewusstsein die unmittelbare Gewissheit seiner selbst hat, fällt der Gedanke der Täuschung ganz hinweg" ("una battaglia perduta può venir data a bere a molti come vinta, e altre bugie intorno a cose sensibili e ad accidenti singoli possono per un certo tempo rese credibili; ma nel sapere dell'essenza, dove la coscienza ha la certezza immediata di se stessa, il concetto d'inganno non trova alcun posto" traduzione di Enrico de Negri. Pfaffenbetrug è reso con "inganno dei preti"). Certo è idealismo protestante annunciante il panlogismo dove il Crisrianesimo evapora ma è il congedo definitivo dall'arroganza intellettualistica e intollerante (molto prima di Voltaire la tolleranza era giá praticata!) del "Pfaffenbetrug". 2) Reimarus. Condivido nel vedere in lui l'iniziatore della moderna ricerca "scientifica" sulla vita di Gesù ma poichè siamo solo nel XVIII sec. non pensiamo come vuole l'illuminismo. Reimarus viene dopo una lunga tradizione che parte dallo spinozismo e dal deismo, lo snodo è il "Trattato dei tre impostori" (XVII sec) dove l'inganno la fa da padrone. Ma a voler essere puntigliosi l'idea dell'inganno è rinfacciata da papa Gregorio IX contro Federico II (21/6/1239) dopo averlo scomunicato. C'è chi ha visto in ciò influenze averroistiche (ma qui sarei cauto). Senza tener conto che quella dell'inganno è una vecchia accusa pagana giá in Celso. Come mi appare superficiale l'illuminismo..... Grazie delle tue riflessioni. Mi fanno sempre pensare!  
Exkurs sulla uguaglianza e sulla teoria del complotto (solo sperimentale). La mia intuizione che la teoria del complotto nasce dall'idea dell'inganno è ovviamente solo un'intuizione e come mi scrive Nicola è molto più antica dell'illuminismo stesso. Provo ugualmente a fare qualche osservazione sperimentale. 
Una delle accuse che vengono fatte dai negazionisti (su questa parola c'è un dibattito che tralascio qui) del virus o in genere nelle teorie complottiste qui in Germania è che la gestione del potere odierna sta sacrificando, nella lotta contro il virus, lo stato di diritto stesso, che si basa sull'idea dell'uguaglianza. Per esempio permettendo di viaggiare o certe altre facilitazioni solo a chi avrebbe un vaccino completo. I diritti dell'uomo non dipendono da presupposti, neppure dal vaccino - questa è la loro argomentazione, che secondo me non tiene conto né della provvisorietà di certe decisioni né del reale pericolo del virus. Per cui anche in questo tema ci si può chiedere se ci sia davvero un'identità tra uguaglianza e giustizia, cosa che io metto in dubbio anche già nella mia esperienza come insegnante. A me sembra che l'atteggiamento di queste persone che mettono in dubbio radicalmente la gestione del virus in Germania siano figli spirituali di quella teoria dell'inganno edita da Lessing. L'educazione dell'umanità di quest'ultimo ha raggiunto orami tutti coloro che non si identificano con un "potere" - ecclesiale o statale. 
Alcuni pensano che il 68 al potere abbia perso la sua natura egalitaria o meglio che faccia vedere come la teoria egalitaria era solo una posizione "borghese", "globalista", senza alcun senso per le identità dei popoli. Se Annalena Baerbock diventasse la cancelliera tedesca avremmo davvero il 68 al potere - come era già in parte accaduto con il ministro degli esteri sotto Gerhard Schröder, Joschka Fischer. Nei confronti dei negazionisti ora o nelle questione della partecipazione tedesca a guerre internazionali allora (Afghanistan...) questo 68 si è rivelato del tutto "borghese", come di fatto lo sono anche i negazionisti odierni  - solo che questi non sono al potere o per lo meno non lo sono più dopo la caduta di Trump, che era fautore di teorie del complotto anche quando era al potere. Comunque per gli USA sarebbe necessario un altro Exkurs. 
Detto brevemente direi che sarebbe necessaria una critica radicale alla modernità, che è certo legittima per i motivi esposti da Massimo Borghesi, ma che è legittima solo se è anche criticata. E la prima cosa che deve essere criticata è l'idea che uguaglianza e giustizia siano la stessa cosa. 
Tocco due temi. L'ecologia è un tempo importante, ma senza Cristo nelle sue dimensioni evangelica e apocalittica, esso è solo un'ideologia e si vedrà se e quando i verdi saranno al potere se sarà possibile fare qualche passo reale nella direzione di un reale superamento del paradigma tecnico-scientifico di cui parla il Papa nella Laudato si'. Lo stesso vale per il tema della pace e della vendita delle armi.
Sul rispetto degli omosessuali (per questo rispetto non è necessario secondo me una identificazione tra uguaglianza e giustizia) e sulla questione dell'omofobia - bisogna tenere conto che un omosessuale come Glenn Greenwald è stato accusato di essere omofobo, perché si espresso in modo critico sulla gestione del potere dei democratici americani e dei grandi giornali che egli chiama "corporati".  
(17.5.21) Gesù Cristo expressio del Padre (cfr. Gabriela Wozniak, 113-117) - riflessioni tra teologia e realtà 
Gabriela esprime in modo molto chiaro sia il senso di Cristo come Logos, expressio, rappresentante del Padre, sia il senso della sua "missio". Rinvio a queste sue pagine come a tutto il libro. Gesù è nel mondo, nel palcoscenico di tutta la storia del mondo, la presenza di Dio, del Dio trinitario, nella storia. È stato mandato per rivelare il cuore di Dio in mezzo alla storia. Balthasar non rinuncia allo specifico cristiano, che è proprio questo essere di Cristo come rappresentante singolare ed unico del Dio trinitario. Anche per un dialogo con l'Islam, che riconosce in parte la singolarità di Cristo (Wael Farouk), non si potrà rinunciare a questa prospettiva, senza rinunciare a Cristo stesso. Padre Paolo Dall'Oglio ha dimostrato che questo dialogo è possibile nella condivisione di vita conventuale con i fratelli mussulmani a Dair Mar Musa al- Habaschi per trent'anni, prima del suo rapimento. Qui nel mio blog ho cominciato un confronto con tutto ciò, che forse potrò portare a termine solo se e quando andrò in pensione. 
Un altro elemento importante che sottolinea Gabriela è che Cristo, non solo tipologicamente, ma fenomenologicamente è diventato uomo, come maschio. E questo non ha a che fare con le strutture patriarcali del tempo, ma per Balthasar è una questione teologica, che come tale deve essere compresa e non ridotta a schemi sociologici. Che in Italia più donne stirino ha a che fare con la storia e la sociologia del popolo italiano e non con la teologia. Senza la categoria ontologica della "sovraessenzialità" (Ferdinand Ulrich) non si può comprendere in che senso Cristo è maschio e non donna. Il suo essere uomo vergine non è una questione essenziale, ma sovraessenziale, nel senso di una sovra-mascolinità, che viene espressa nel suo essere uomo vergine per l'appunto.  Davvero maschio, giacché vero uomo, ma non riducibile all'essenza maschio, quindi "sovra-maschile" - quel "sovra" ha a che fare con la sua "kenosis", per cui non è adatto per scopi maschilisti. Ma è lui che dona alla Chiesa il suo senso e non viceversa, anche se la Chiesa non è pura passività, come non lo è per esempio Raab che dice a Giosuè cose essenziali per la conquista di Gerico (imparo da Federico Picchetto, in un suo articolo odierno sulla crisi in Gerusalemme,  che la prostitua Raab è stata vista da alcuni Padri della Chiesa e da Dante come figura della Chiesa). 
Un buon padre deve in primo luogo prendere sul serio il compito di "rappresentanza" del dono personale dell'essere come amore - e quello che sto cercando di fare da quasi trent'anni. Mia moglie ha portato nel suo grembo e nel suo lavoro, ciò che io cerco di rappresentare. 
Per quanto riguarda la missio Balthasar ha come fonte Karl Barth. Cristo è il primo missionario. La missione, tutte le missioni hanno un origine divina - l'uomo da sé non può fare alcuna missione, come si vede nel capitolo 21 di Giovanni: i discepoli vanno a pescare, ma prima dell'arrivo di Gesù non pescano un bel nulla. Tanto più per la missione per i paesi mussulmani ci si dovrà ricordare di questo. Non è un caso che Dio ha permesso l'Islam nella storia del mondo. La missione è opera di Dio non dell'uomo. Quindi non ha alcun senso teologico lo scontro frontale con l'Islam, il che non vuol dire che non ci possa difendere dai " terroristi islamisti". 
Una piccola nota mia sia premessa sul rapporto con Karl Barth: come si può leggere in "Cielo e Terra", Adrienne ha digiunato ed offerto molto per questo rapporto. 
Per quarto riguarda la questione che abbiamo già accennato di una deduzione trinitaria della teologia dei sessi, dopo un caso come quello dell'arcivescovo e cardinale, per volontà di San Giovanni Paolo II (non ho alcun dubbio che lui sia santo, ma ha volte i suoi criteri nella nomina dei vescovi non hanno corrisposto alla logica della kenosis, ma del successo ecclesiale), di Washington D. C., Theodor Edgar McCarrick, non si può riflettere su di essa solo astrattamente; non che la teologa sia astratta, ma può diventarlo come discorso, se non tiene conto di ciò che accade nel mondo e nella Chiesa. Non entro in questione giuridiche - in genere per me questo tipo di crimini non devono essere solo giudicati dalle autorità ecclesiali, ma anche da quelle civili e quando si è davvero colpevoli, allora si deve pagarne le conseguenze adeguate. Dico solo che un'osservazione fenomenologica della nostra società trasparente e pornografica (Byung-Chul Han),  deve tenere conto del fatto che tutti (con qualche eccezioni di anime sante) sono coinvolti in un modo per nulla teologico, ma biologico-polimorfe di vivere la sessualità, ho con scompensi non risolti o con compensazioni di potere. Qui abbiamo bisogno di tanta misericordia e di quella sapienza che Papa Francesco ci sta insegnano con tanta fatica: tutti abbiamo bisogno di tenerezza - il che ripeto non è per nulla una giustificazione del peccato o un'assoluzione legale civile, quando si possono determinati limiti. La tenerezza comunque non è solo un sentimento, ma deve tener conto anche della dimensione "sentimentale". 
(19.5.21) La croce come il punto massimo della missione di Cristo (cfr. Gabriela Wozniak, ibidem, 117-123)
Quello che dice su questo tema Gabriela corrisponde alla prima lettera (1978) che ho ricevuto da Balthasar: sulla Croce vediamo tutta la gloria di Dio. L'amore infinito e gratuito, trinitario, che si rivela sulla croce alla fine abbraccia tutto anche il contrario di esso. Avevo chiesto a Balthasar se Dio potesse venire sconfitto dal male. 
Cosa accade sulla Croce? Solo pochi riconoscono questo amore. Gesù porta su di sé il nostro bisogno di essere riconosciuti ed amati  "sub contrario". Dai più non è né riconosciuto né amato. Forse la fonte di ciò è Martin Lutero, ma non bisogna esagerare questo punto. Lutero ha certamente avuto una missione ecclesiale: il riconoscere la gratuita della grazia, ma sulla questione del "sub contrario" fratello Martino è spesso contraddittorio e si mischia in lui una dialettica che non ha nulla a che fare con Balthasar, che certamente ha amato più Goethe che Lutero, Roma più che Wittenberg. Una dialettica che ha portato Lutero a dire cose mostruose su contadini e giudei. Cristo è diventato "peccato" senza fare alcun peccato: il suo abbraccio della totalità del peccato, non solo fino sulla Croce, ma anche nell'inferno, non ha nulla di dialettico. In sostituzione vicaria ci permette di camminare nella luce: cosa che io ho vissuto nella mia vita nel modo più autentico nell'incontro con Ferdinand Ulrich, che vicariamente ha permesso che le nozze con Konstanze fossero matrimonio fedele, in un contesto in cui tutto diceva e dice il contrario. 
Per quanto riguarda noi, che tentiamo di rimanere nella luce di Cristo , le differenze proposte da Gabriela, certamente fedele ai testi di Balthasar citati, sono troppo scolasticamente chiare: eros non è agape, etc. Nell'ultimo post in questo link avevo cercato di spiegare il perché. Poi manca, almeno in questo capitolo, un reale confronto, che Balthasar ha desiderato, non solo con la Croce, ma anche con l'inferno (cfr. Kreuz und Holle, Einsiedeln 1966, 7-14). 
Il ciclo dal Padre al Padre, passando per la Croce e l'inferno (Gabriela, 122), è il tema del commento al Vangelo di Giovanni di Adrienne, che Balthasar ha redatto prima di scrivere la sua Trilogia.
La fecondità verginale (Gabriela, 123), le nozze verginali, sono più grandi di quelle del matrimonio, ma in esse il pericolo dell'installazione (Adrienne) non feconda è anche più grande.
(20.05.21) L'agnello come punto centrale della storia - la storia e la divisione del tempo (cfr. Wozniak, ibidem 124-128) 
Come con ragione ha detto Vladimir Soloviev (ha fatto dire ad un vecchio monaco): ciò che noi cristiani abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso e precisamente il Cristo trinitario, il Cristo che rivela il cuore di Dio Padre, come origine non originata dell'amore gratuito ed assoluto e con il Padre rivela il cuore dello Spirito Santo, che è libertà che soffia dove vuole, ma anche testimonianza istituzionale dell'amore del Padre e del Figlio - su questo punto l'educazione trinitaria è del tutto altra, nella sua dimensione "sovraessenziale" (detto teologicamente: trascendente), dall'educazione dell'umanità immanente di Lessing. Sovraessenziale significa che rinvia all'atto gratuito dell'essere come amore e non a definizioni essenziali del discorso filosofico. 
 Il tempo viene diviso, prima di Cristo e dopo di lui. Prima di lui in Israele ed in modo particolare nella visione profetica di Isaia del "servo di Dio" viene preparato l'arrivo definitivo del Logos di Dio sull'essere e sulla storia del mondo. Ma anche in altre culture ci sono stati semi di questa preparazione che non so, neppure per Israele, se possa essere detta "lineare" come afferma (per quanto riguarda Israele) Gabriela Wozniak. Ovviamente quando si leggono le pagine di Isaia sembra che siano una profezia precisa (lineare?) dell'avvenimento di Cristo, ma un contro è la visone profetica e forse un altro è l'avvenimento stesso, che non può essere dedotto linearmente da quella intuizione profetica e di fatto in Israele quasi nessuno lo aveva capito. Comunque è vero che non era neppure una "improvvisata" di Dio.  
Dopo di lui abbiamo due grandi problemi, forse tre: l'Islam che pretende di essere la rivelazione definitiva di Dio e che Dio ha permesso e il problema dell'ateismo moderno fino a quello cinese, passando per quello sovietico e per quello dei paesi che si sono detti alternativi a quello sovietico (Jugoslavia, Cuba...). Il concetto di modernità non può essere ridotto a quello dell'ateismo, vi è una modernità credente ed una modernità che tenta nelle sue differenti rivoluzioni una definizione dei diritti degli uomini. 
Per comprendere fino in fondo la "theologia crucis absoluta" (cfr. Wozniak, 124)  di Balthasar e la simbolica dell'agnello e la concretezza non simbolica del Golgotha sarà necessaria una radicale "critica alla teologia politica" (Benedetto XVI, Massimo Borghesi) - perché nessuna opzione politica, propria nessuna potrà saltare questa non-parola ultima del  Logos-Cristo morto sulla Croce e disceso all'inferno. Questa radicale critica alla teologia politica, potrà usare le parole conservatore e progressista solo come due vecchi stampelle, che non aiutano fino in fondo, perché la critica alla teologia politica può ingabbiarsi nelle proprie categorie stesse, se prende quelle parole come assolute. Si dovrà presentare una teologia della storia aperta, attenta ai frammenti che non possono essere "sistematizzati" - tanto meno in un'analisi concreta di amministrazioni politiche; se il criterio è la "theologia crucis absoluta", che è un avvenimento e non un sistema, si è liberi di studiare i dettagli, che possono essere del tutto sorprendenti: si può pensare per esempio che sulla questione ecologica la amministrazione di Biden sia più vicina a quella della Santa Sede, ma sulla questione dei rapporti con la Russia di Putin, quella di Trump fosse più libera, sebbene il "giornalismo corporate"  (Glenn Greenwald) abbia sostenuto il contrario. Insomma voglio dire: gli avvenimenti storici vanno analizzati uno per uno e non inquadrati in un sistema.
(21.5.21) La morte, l'abbandono e la "separazione" (cfr. Wozniak. 128-131)
Non credo di avere un atteggiamento "apologetico" nei confronti di Balthasar (piuttosto di gratitudine), per questo sono grato anche delle precisazioni "scientifiche" di Gabriela Wozniak. Il mio problema, però, non è la "scienza teologica", con cui si può anche mettere a tacere il cielo. Il mio unico problema è l'autenticità. Alcune citazioni di Balthasar non riesco neppure più a trovarle, sebbene ci abbia pregato su per decenni (comunque le mie "letture" possono essere studiate "scientificamente", visto che metto quasi sempre una data sul passo che ho letto). 
Gli insulti di Johannes Rothkranz (cfr. Wozniak, 129, Nota 195), non mi interessano - se nella Chiesa avessero il timone persone del genere, semplicemente io non ci sarei.  Io ci sono per l'incontro con questo uomo, Hans Urs, che tra l'altro è un grande teologo. E la questione dell'abbandono (tradizione evangelica lucana: Dio abbandona Dio, Dio è "separato" da Dio), della morte come abbandono e come "separazione" è per me il caso serio. Certo mi interessa che sulla parola "separazione", che Balthasar mette sempre tra parantesi, c'è stato uno sviluppo linguistico, più cauto dal "Mysterium Paschale", scritto a più mani, del 1969, al suo uso più radicale nella "Teodrammatica". La Santa Trinità sarebbe, con tutto il rispetto per Disney, una favola della "Walt Disney Company", se "l'abbandono di Dio da parte di Dio", sulla Croce e nell'inferno, fosse solo un'impressione. Non si tratta neppure di una questione dialettica o simbolica, ma di un avvenimento, dell'Avvenimento. Ha preso Cristo su di sé l'abbandono di milioni di siriani, tanto per fare un esempio, o no? Non simbolicamente, realmente.  
Certo prego con sincerità il "Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con voi l'anima mia", ma lo posso perché qualcuno, Qualcuno (!) non è morto in "pace", ma gridando ed affidandosi, nella coscienza che tutto è compiuto, ma come dice Gabriela, alla fine il grande teologo giovanneo stesso lascia parlare Marco, che descrive, non commenta teologicamente: "Ma Gesù, dando un forte grido, spirò" (Mc 15, 37).  E solo LUI sa se vuole prendermi o meno in quella singolarità del Suo morire. Come un (!) piccolo amico di Gesù ne sarei spaventato, ma "Abba nostro che sei nei cieli...sia fatta la tua volontà".   
Ancora una cosa: per anni nelle mie preghiere è risuonata "la morte di Montecassino" (Cielo e Terra, forse II, ma il padre Servais SJ sa certo a cosa mi riferisco), in cui il "bambino" era appena nato, la comunità di san Giovanni stava facendo i suoi primi passi, e Dio sembrava volere la morte di Adrienne. Con questa morte prematura tutto lo sforzo gigantesco descritto in Cielo e Terra della nascita della comunità sarebbe stato "invano", "umsonst" (gratis et frustra). Non però la loro volontà comunitaria, ma la differenza, "separazione" dei due era quello a cui dovevano dire di si. E se ciò vale per Adrienne ed Hans Urs, vale tanto più per le persone delle Trinità (cfr. la critica di J. Moltmann in Wozniak, 129, Nota 195). Solo nella differenza tra le persone della Trinità vi è vera intimità, come sto imparando nel mio matrimonio con Konstanze. 
Infine la critica che Balthasar si baserebbe su "rivelazioni private" per la sua teologia dell'abbandono, a parte che il termine "privato", sebbene usato, mi fa arrossire di vergogna, è una delle tante insolenze in cui si cerca di ammutolire il cielo, ma grazie a Dio, Dio è più forte, perché più "debole" della scienza teologica. 
(24.5.21) Venerdì Santo come iato (cfr. Wozniak, 132-134)
Presubimilmente la parola "iato" è intesa nel senso figurativo di  "Soluzione di continuità, frattura nello svolgimento di un’azione o di una serie di fatti: un periodo di stasi storicaun vero ifra due epoche. " La Treccani presenta questi significati: 
iato s. m. [dal lat. hiatus -us, der. di hiare «aprirsi; spalancare la bocca»]. – 1. Sinon. di dieresi, come fatto fonetico (non indica invece la rappresentazione grafica), e riferito all’incontro di vocali non solo nel corpo d’una stessa parola, ma anche in fine e principio di due parole consecutive (sicché anche la dialefe, nella metrica, si può definire una particolare forma di iato). 2. fig. Soluzione di continuità, frattura nello svolgimento di un’azione o di una serie di fatti: un periodo di stasi storicaun vero ifra due epoche3. a. In anatomia, nome di alcune aperture, orifizî o spazî cavi; in partic.: iaortico, apertura del diaframma per la quale passa l’aorta; iesofageo, orifizio del diaframma attraversato dall’esofago. b. In ematologia (più spesso nella forma lat. hiatus), assenza di uno o più stadî intermedî di maturazione delle cellule, leucocitarie nel caso di leucemia acuta (iato o hiatus leucemico), e eritrocitarie nel caso di eritremia acuta (iato o hiatus eritremico).
Più precisamente secondo Gabriela Balthasar intende con questa parola in questo modo: "Lo iato è di più che la semplice differenza dei modi di essere, oltrepassa anche la maior dissimilitudo. Con questo significato Balthasar descrive la lontananza da Dio, ciò che è contrario al divino, che raggiunge Cristo - l'estraniamento massimo, che giace al di là delle possibilità umane, così anche al di là di ogni analogia tra la libertà divina e quella umana. Lo iato è talmente estraniante che Balthasar intraprende qui un'inversione dei concetti unica nella sua opera. L'identità affermata fino a questo punto tra la persona di Cristo e la sua missione viene letta nella coscienza di Cristo per così dire dall'altra parte: la missione dispone nello iato sulla persona" (Wozniak, 133). Qui accade ciò che Adrienne esprime con il concetto di "Überforderung": la missione richiede più di ciò che la persona può dare.  
Questo "iato", questa "soluzione di continuità", questa "frattura", "apertura", "assenza", "separazione" è possibile solamente, perché nella sua discesa nel mondo "diventa visibile la diastasi trinitaria" (134). Diastasi deriva dal dal gr. διάστασις «separazione», der. del tema di διίστημι «separare», spiega la Treccani. In senso teologica si tratta delle tre persone che sono appunto tre e non una, eppure sono un solo Dio. L'amore, anche quello erotico, dell'essere una carne sola, se vuole avere a che fare con il mistero della Trinità, deve mantenere questa "diastasi". Mia moglie ed io siamo una sola carne, ma non una sola persona. Comprendere questo è la sfida più importante della mia vita ed è assolutamente chiaro che la concorrenza tra le persone che si amano è perversione. Abbiamo a che fare nel senso cristiano del termine amore con una differenza nell'eguaglianza. Un mistero tale che sa salvare, abbracciare, trasformare dal basso tutte le differenze, anche quelle non divine. 
(25.5.21) Sabato Santo - "La diastasi dello iato aperta nel Venerdì Santo diventa massima nella passività del Sabato Santo" (Gabriela Wozniak, 134); l'intenzione di Balthasar consisterebbe nel prendere sul serio il fatto che Cristo è davvero morto, davvero obbediente  fino ad essere cadavere. 
Gabriela ha ragione ha riflettere su Balthasar non solamente in relazione ad Adrienne. Balthasar ha saputo integrare Adrienne nella tradizione cattolica tutta, ma la giovane studiosa, secondo me senza motivare ciò che fa, non prende sul serio la specificità di Adrienne, che Balthasar ha difeso per tutta la Chiesa e per il mondo, perché in essa esistenzialmente è stata vissuta una speranza assoluta dentro l'abisso del male. Le differenze dotte sui termini "Scheol" (uno stato in cui non si ha accesso né a Dio né agli uomini, ma per esempio so può parlare con Abramo, secondo Luca) e "Gehenna" (passo precedente alla comprensione dell'inferno) o il rinvio alle poche citazioni del NT (1 Pt 3,19...) non sono certo aiuto per comprendere la posta in gioco; alcune affermazioni sono dette, ma per nulla motivate: per esempio che Cristo sarebbe disceso nello scheol e non nella Gehenna. 
Se si vuole parlare a livello scientifico e parlando di un autore che dice che non vi è teologia senza filosofia, su questo argomento si sarebbe dovuto almeno citare il lavoro di Schelling sul male e Dio. E un lavoro che mi piacerebbe fare quando vado in pensione, Deo volente. 
Comunque è vero che la questione dell'inferno ha a che fare con la "Unterfassung" (un abbraccio dal di sotto) (cfr. Wozniak, 138), nella speranza non nella gnosi, di coloro che rischiano di negare definitivamente l'amore assoluto e gratuito di Dio. Questa speranza è più di una semplice "solidarietà". Etc. 
(26.5.21) Portare su di sé la mancanza di fede e l'esperienza dell'inferno (cfr. Adrienne von Speyr, Cielo e Terra III, Numero 2212, 1.2.1955)
Non esisterò più, esisteranno solo le betulle dopo di me e altra gente che cercherà gloria, l'amore di una donna, etc. - questa è la mancanza di fede che sente il principe Andréj, la sera prima della battaglia di Borodinò (Guerra e Pace, libro terzo XXIV). Qualcosa di simile porta su di sé Adrienne quando, per grazia, è chiamata a seguire il Signore, dove il Signore non può essere percepito: nell'inferno.
Tutto è compiuto dice Gesù sulla croce, quindi l'esperienza del Sabato Santo, come dice su questo punto giustamente anche Gabriela Wozniak, (ibidem 134-138), è totale passività. Obbedienza cadaverica senza gioia e senza sofferenza, forse. Conoscere come passività: conoscere la melma da cui l'uomo senza Cristo sarebbe del tutto sopraffatto. La melma del peccato di migliaia di morti nelle cliniche per aborto, nel mare Mediterraneo, in Siria...o dei morti da soli nella pandemia, perché strutture necessarie erano state annullate.
Adrienne non ha avuto una visione privata, ma è stata realmente nell'inferno ed ha provato realmente cosa significa un "luogo", uno "stato" in cui non vi è più fede. Come lo so? Per la testimonianza di Hans Urs e perché il mio cuore (sentimento e ragione) dice che è vero - e questo per me vale più di ogni "ragionamento scientifico-teologico". San Giovanni Paolo II nominando Balthasar cardinale ha detto che la Chiesa riconosceva questa testimonianza come vera.
La gioia della risurrezione ci sorprende, partendo da un piccolo movimento, dove c'era solamente il fiume, la melma del peccato ed improvvisamente Cristo è presente: quindi anche fede, speranza ed amore!

(26.5.21. San Filippo Neri) L'espiazione e il carattere universale dell'avvenimento della Croce: la sostituzione vicaria di Cristo come "universale concretum" (cfr. Wozniak, 138 - 140).

Non è passibile separare l'ontologia dalla cristologia, per il semplice fatto che attraverso il Logos, che è Cristo, esiste tutto ciò che è, come dice il prologo di Giovanni (1, 3). "Il Gesù concreto è il senso universale di tutto l'essente" (Wozniak, 140). Ma quale è il senso universale? L'essere come dono d'amore gratuito. "In riferimento a queste riflessioni si può affermare che Cristo si relazioni come un actus essendi nei confronti di tutto il resto dell'essente finito" (ibidem, 140, nota 254). Forse sarebbe meglio parlare dell'actus essendi: cioè del dono d'amore gratuito attraverso il quale è tutto ciò che è. Secondo il prologo di Giovanni e quindi anche secondo Balthasar o Ulrich vi è un'intimità singolare tra ontologia (ciò che è) e teologia (Dio), tra teologia della creazione e teologia della redenzione. Questo intende anche Adrienne quando ripete come motivo principale del commento di Giovanni che tutto viene dal Padre e ritorna al Padre in Cristo, nel Cristo che è Gesù di Nazareth; con ragione su questo punto della concretezza Gabriela vede una relazione tra la concretezza di Cristo e il primato di Pietro e l'istituzione Chiesa (139-140). Sebbene quest'ultima abbia certo a che fare anche con la testimonianza oggettiva dello Spirito Santo - solo in esso comprendiamo il movimento dal Padre al Padre in Cristo e solo in esso l'amore reciproco tra il Padre e il Figlio diventa "istituzione", "forma".

La concretezza di Gesù come "ipsa philosophia" (non ho tempo di cercare tutte le citazioni, ma chi conosce Balthasar sa da quale saggio teologico sto citando) implica in Balthasar una priorità, per parlare con Bergoglio, del reale sulle idee. Anche e soprattuto la realtà della sofferenza vicaria di Cristo che è possibile perché Dio è "interior intimo meo" (Agostino) e per quell'apriori del "noi" a cui noi e Cristo partecipiamo, è il punto massimo della realtà: sulla Croce tutto è compiuto, perché tutto è abbracciato dal di sotto (Unterfassung) e così attirato a sé. Solo la sofferenza vicaria di Cristo può abbracciare dal di sotto l'abisso del male, del male concreto di miliardi di persone e solo la sua disponibilità ad espiare le conseguenze e le cause di questo male (per et propter me, nos) può sperare in una risurrezione di tutti e di tutto! Questo è il motivo per cui Francesco Saverio prega il suo "Ego amo te...solum quia Deus es!"

(28.05.21) La questione decisiva dell' "Eph-Hapax" (una volta per tutte) del dono di sé di Cristo e quella altrettanto decisiva della libertà come forma della sostituzione vicaria. (cfr. Wozniak, 141-147)

L'offerta di sé di Cristo, fino alla morte sulla croce e la discesa all'inferno, frutto della libertà divina, è singolare ed è il cuore primo ed ultimo della redenzione divina, l'assunzione libera della croce e della sostituzione vicaria per grazia da parte dell'uomo è il modo con cui la creatura partecipa all'atto di redenzione, che non è "analogico", ma per l'appunto del tutto singolare. L'offerta di sé di Cristo non è un meccanismo come quello del capro espiatorio, né una questione giuridica come spiega bene Gabriela nelle pagine indicate, ma non è che il dramma dell'uomo non venga considerato, piuttosto esso per quanto tragico, è ben nulla di fronte all'abbandono di Dio da parte di Dio: per questo avvenimento non vi è analogia. Eppure è richiesta la nostra libertà, il nostro assenso definitivo ed assoluto (Newman) che accade per grazia, ma una grazia che mette in moto la libertà finita e non la violenta. 

Nel punto cinque della postilla alla terza edizione di "Cordula ovverosia il caso serio" (1969) Balthasar si confronta sinteticamente con il modo con cui i Padri della Chiesa si sono rapportati alle altre religioni: "un giudizio rigido sulle singole religioni mitologiche allora note ed un altro molto più mite sul fenomeno religioso dell'umanità nel suo complesso" (traduzione di Giovanni Moretto, Brescia, 1969). Balthasar parla di un approccio dinamico, necessario perché l' "Eph-Hapax" non diventi puro fondamentalismo o meglio fanatismo. Ed ovviamente i Padri della Chiesa non hanno dato un giudizio sull'Islam che non era ancora sorto e per cui secondo me è necessario anche un approccio dinamico come quello proposto da Klaus von Stosch (Herausforderung Islam, Paderborn 2016). Comunque è chiaro che grandi persone come Paolo Dall'Oglio (cfr. "Credente in Cristo ed innamorato dell'Islam") e Padre Christian de Chergé (cfr. il suo Testamento) ci hanno insegnato un approccio dinamico ed esistenziale, cioè la considerazione dei mussulmani come li vede il Padre, che Balthasar non aveva conosciuto. Per cui è bene su questo punto non ripetere solo Balthasar.

Per quanto riguarda la polemica sul cristianesimo anonimo, non sui cristiani anonimi (cfr. Wozniak, 146) nel punto citato della postilla Balthasar accoglie la proposta di De Lubac, "nella sua saggezza sempre serena e cristiana" - cristianesimo anonimo: no! Cristiani anonimi: si, perché Cristo è morto per tutti. Questo termine comunque non è quello più opportuno nel dialogo con l'Islam, che comunque a sua modo riconosce la singolarità di Cristo, anche nei confronti di Maometto. Balthasar cita nella postilla "l'unicità dell'asse" di Teilhard de Chardin, come "forza propulsiva ed unificatrice" che vede in Cristo e nella sua Chiesa il cuore unificante di tutta "la storia religiosa e profana" (ibidem 144). Se si pensa che il percorso dell'uomo dal Padre al Padre non passi per Cristo Crocifisso non si è semplicemente più cristiani. Probabilmente la crocifissione sarà anche (!) "anonima" come si vede nel numero elevato di mussulmani che vengono uccisi o maltrattati proprio perché mussulmani; i terroristi islamisti hanno ucciso non solo i cristiani, sebbene quest'ultimi siano anche tanti. Papa Francesco con la "Fratelli tutti" ci sta indicando la strada da percorrere.

(31.05.21) L'avvenimento pasquale come ritorno al Padre (cfr. Wozniak, 147-150)

Prima di dedicarmi a questo tema importantissimo, perché senza risurrezione tutta la storia degli uomini e gli uomini stessi sono solo "pasto per i vermi", come dico ai miei allievi, vorrei dire ancora una parola su Adrienne von Speyr e Hans Urs von Balthasar. Non metto in questione che Gabriela Wozniak scriva ciò che pensi e ciò che ha compreso e che ovviamente nel passare del tempo può essere anche riveduto. Mi chiedo, però, a chi serva (cui bono?) la differenziazione "scientifica" tra Von Speyr e Balthasar. Credo che serva, a parte quello che pensa Wozniak, solamente a quegli ambiti ultra conservatori che nella Chiesa hanno sempre pensato che Balthasar è un eretico, come lo hanno pensato di Origine, Teilhard de Chardin, Henri de Lubac, Papa Francesco etc. È che ritengono Adrienne sia una pseudo santa e pseudo mistica. Ripeto non è quello che pensa Wozniak, ma è quello che "oggettivamente" serve il suo discorso, che come ogni discorso è solo un "tentativo ironico" di dire qualcosa di vero. Si tratta di quegli stessi ambiti che sperano che l'attuale pontefice se già non sia un inviato della massoneria, ma che comunque sia bene che muoia al più presto. Sono gli ambiti che solo a pensare che von Speyr sia stata sposata due volte e che abbia passato ore ed ore con un uomo per scrivere di teologia siano solo una grande manifestazione del male. 

Per quanto riguarda il tema della centralità della stauorologia in Balthasar o in genere della sua teologia le critiche contro Balthasar vanno da una riduzione antropologica (cfr. Wozniak, 147) fino ad una "riduzione alla teologia della grazia" (Pater Schenk OP), insomma io non ho alcun problema che gli accademici facciano il loro "piccolo discorso", anche se a me queste critiche dicono ben poco. Nella mia vita: "la vita dalla morte", la risurrezione dalla Croce e dalla discesa dall'inferno di Balthasar sono state l'annuncio che mi ha spinto dopo sette anni di ateismo pratico, negli anni 80, a ritornare nella Chiesa: cercavo una risposta al "nulla nichilista" dell'inferno, come quello che su cui ci ha fatto riflettere nella sua "cronaca del futuro" Swetlana Alexijewitsch, "raccontando" Chernobyl. Grazie alla von Speyr e a Balthasar per me le parole "nulla", "inferno" sono diventate delle realtà esistenziali e non solo oggetti di un discorso, fosse anche quello "scientifico". Con Ulrich, un fratello dello spirito di Balthasar, ho imparato che vi è un "nulla" più potente del nulla nichilista: il nulla dell'amore gratuito, che per l'appunto può sconfiggere il nulla dell'inferno (cfr. Wozniak, 147). La gloria e l'amore di Dio - gli unici temi dell'annuncio cristiano - si sono rivelati "sorprendentemente" nella loro negazione più brutale: la discesa all'inferno non è una passeggiata tra i morti, presente in diverse mitologie. È la prova ultima che la gloria non ha paura di nulla, perché è amore assoluto e gratuito. Ed anche nell'Apocalisse il Logos trionfante è "l'agnello macellato", che appare come tale anche nella rivelazione della sua potenza: 

Apocalisse: [5] Uno dei vegliardi mi disse: "Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli". 

[6] Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra.  (...)

[11] Durante la visione poi intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia 

[12] e dicevano a gran voce: 
"L'Agnello che fu immolato 
è degno di ricevere potenza e ricchezza, 
sapienza e forza, 
onore, gloria e benedizione". 

In un "discernimento degli spiriti" in quattro volumi Von Speyr nel suo commento al vangelo di Giovanni ci fa comprendere quali e quante tentazioni ci siano nel percorso dal "Padre al Padre" che è la vita nostra e di tutta l'umanità. Parlare dell'influenza di Giovanni in Balthasar senza pensare ai quattro volumi dettati negli anni 40 da von Speyr e che Balthasar ha stenografo credo sia anche solo da un punto di vista "scientifico" alcunché di superficiale e ridicolo. 

(3.6.21) Maria nell'avvenimento della redenzione; primo passo: il sì della figlia di Sion e in genere per così dire della figlia dell'uomo. (Wozniak, 151-155) 

Normalmente non ho tempo, forse neppure la voglia, di leggere la "letteratura secondaria o critica" su un autore; con Wozniak ho fatto un'eccezione perché è mia amica. 

Non credo neppure di aver mai letto un trattato di mariologia, anche se conosco la bella introduzione di Enzo Bianchi ad un antologia di testi mariani (Mondadori, Milano 2000); mi sembra molto interessante comunque il modo con cui Wozniak riassume le tre dimensioni del sì di Maria: il sì della figlia di Sion, cioè Maria come rappresentante del popolo di Israele e di tutta la creazione; il si di quella persona singola che era quella ragazza di Nazareth, che ha detto sì a più grande avvenimento della storia ; è il si tipologico per tutta la Chiesa.

Del primo passo vorrei approfondire due aspetti: la seconda Eva, Maria, è in un certo senso la "prima" Eva, cioè la donna o in genere l'uomo come lo ha pensato Dio: un uomo obbediente e per questo libero. La redenzione stessa non è una reazione al peccato dell'uomo. L'incarnazione è l'idea massima che Dio ha avuto del "figlio dell'uomo". Il secondo aspetto è  il rapporto tra i profeti e Maria. Non tutto il popolo, che è di dura cervice, ma alcuni uomini (nel e con il popolo , i profeti, hanno detto, anche se non senza contraddizioni, si a Dio. Maria lo ha fatto senza contraddizioni. 

Come laico infine queste frasi teologiche, per esempio, che il popolo se pur eletto non è capace ad essere fedele a Dio, sono scritte nella mia carne, le so insomma non per un libro, ma perché sono scritte nella stessa mia carne, incapace di fedeltà pura, ma desideroso di essa.  E proprio in forza di questa coscienza esistenziale cerco un rapporto autentico con il cuore di Gesù e Maria. 

(8.6.21) Quando si parla dello staurocentrismo (centralità della croce) in Balthasar non si deve dimenticare Mozart, che conosce ovviamente il dramma dell'essere (Don Giovanni, Requiem e la sua stessa vita) ma che più di ogni altro musicista sa che cosa è la gioia. Sa che cosa significhi essere sorpreso dalla gioia. Balthasar conosceva a memoria tutta l'opera di Mozart.

(8.6.21) Sul riconoscimento critico di Balthasar nella dissertazione di Gabriela Wozniak, ibidem 225-234

Se uno crede che vi sia solo un accesso "accademico" ad un autore può smettere di leggere queste righe. Come Wozniak non sono uno che ripete Balthasar e sento anche l'esigenza di una distanza critica nei confronti di autori a me cari - per esempio penso che noi in CL ripetiamo troppo acriticamente Giussani. Ma allo stesso tempo non credo che ogni distanza sia critica: per esempio l'affermazione sul presunto rapporto "problematico e non chiaro con Adrienne von Speyr", non è una affermazione critica, ma semplicemente una sfacciataggine. Ci sono stati ormai tre simposi internazionali su Adrienne von Speyr, di cui due a Roma; uno, il primo, con un'udienza da San Giovanni Paolo II e uno in Vaticano (cfr. l'introduzione sui tre convegni di Padre Servais SJ agli atti del terzo convegno, in cui ho conosciuto Wozniak: Adrienne von Speyr, Una donna nel cuore del ventesimo secolo, Sine 2021). Per fare un'affermazione del genere bisognerebbe aver almeno recepito questi tre convegni, per non parlare delle grandi opere di von Speyr, come il commento in quattro volumi del Vangelo di Giovanni. Penso che sarebbe anche necessario un confronto serrato con i tre volumi del diario "Cielo e Terra".

Per quanto riguarda la critica a Balthasar: troppo poco sistematico a livello teologico, troppo sistematico e selettivo a livello letterario, non interessato ad un dialogo con chi non è cristiano, addirittura colpevole di decontestualizzare le citazioni letterarie, rapporto distanziato di Ratzinger con lui, perché Balthasar sarebbe mistico (cfr. le citazioni delle opere nelle pagine indicate di Wozniak). Etc. Avevo la sensazione che Wozniak abbia letto un altro Balthasar da quello che ho letto io. Io ho imparato a conoscere stili del tutto differenti teologici, letterari e filosofici da Balthasar che quando fa parlare Heidegger fa parlare proprio quest'ultimo, etc. Quando traduce Peguy traduce Peguy... Che Balthasar metta in scena stili per l'appunto del tutto diversi come Peguy e Claudel, etc. è stato per me sempre garanzia di dialogo, anche se Balthasar non era un dilettante e quindi non parlava di cose che non conosceva bene e la sua opera spesso si ferma allo spazio metafisico occidentale. La sua teologia non la ho mai interpretata in modo integralista (cfr. sua critica all'Opus Dei proprio per questo motivo), ma capace di integrare tutto, perché l'amore gratuito di Dio, anche con la sua connotazione staurocentrica sa integrare tutto. Nel mio blog in dialogo con Agostino, Massimo il Confessore, San Newman, Balthasar stesso ho fatto vedere strade che mi hanno permesso il dialogo con l'islam. Da lui ho imparato a leggere Goethe e non solo le cose che leggeva lui; ma ho imparato a leggere tutto in modo per nulla selettivo; per esempio in questi tempi sto leggendo "Guerra e Pace" di Tolstoj e la grande categoria aperta dell'amore gratuito mi permette di entrare in dialogo con le grandi dimensioni della guerra (critica di Tolstoj a Napoleone) e della Pace (Andrej e Nataša...). Con la grande scuola del mio padre spirituale Balthasar posso ascoltare i primi romanzi di mia figlia, che lei sta leggendo a mia moglie e me in una chat in Whatsapp, con grande interesse e senza paure: non Balthasar direttamente, ma "solo l'amore è credibile" mi permette di entrare in dialogo con tutto. Per esempio con il mondo fantastico di mia figlia Johanna.

Le citazioni di Balthasar non sono decontestualizzate, ma egli da una priorità alla missione letteraria sulla biografia; manca spesso il contesto biografico, ma non la vita dell'autore e tanto meno la sua missione teologica, filosofica o letteraria. Scrive Balthasar alla fine della sua vita in una rielaborazione del suo libro su Reinhold Schneider: "das Leben gehört dem Auftrag, nicht der Biografie" (la vita appartiene al compito che si ha non alla biografia, che è curvatio in se ipso).

Per quanto riguarda Ratzinger: nei suoi "ultimi dialoghi" con Peter Seewald vi è un chiaro distacco da von Speyr, ma non da Balthasar, sebbene i due stili teologici siano differenti: Ratzinger ha compiuto una critica alla teologia politica (cfr. Massimo Borghesi, Critica alla teologia politica, Genova, 2013) per esempio che non è presente in Balthasar e nel suo libro-trilogia su Gesù ha offerto un'integrazione del metodo storico critico, forse più adeguata alle nuove conoscenze esegetiche a ciò che aveva presentato Balthasar nella "Teodrammatica". Balthasar ha compiuto un lavoro di dialogo con la letteratura e con il teatro che invece è meno presente in Ratzinger. L'approccio di Balthasar mi ha permesso per esempio in dialogo con autori come J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis, nel mio insegnamento di religione, un rapporto integrativo con la "mitologia" estranea al pensiero di Ratzinger, ma non a quello di Balthasar. Insomma i due si integrano a vicenda e nei citati "ultimi dialoghi" Ratzinger non prende le distanze da Balthasar, ma per l'appunto da Adrienne.

Mi sembra invece molto interessante la critica sulla questione della teologia dei sessi, teologia che in Balthasar sarebbe "tipologica" (uomo-donna) e non "fenomenologica" (questo uomo, questa donna) - prima di scrivere su questo vorrei ascoltare meglio cosa dice Wozniak.

(9.6.21) Nel mio post "tedesco" sulla via sinodale nella chiesa, che qui traduco come deepl (rivedo un po' la traduzione), ho scritto quanto segue sul sacerdozio femminile: (9.6.21) 

Sul sacerdozio femminile. Forse, in queste mie riflessioni, il più grande "freno" a un processo di riforma è il mio no al sacerdozio femminile. Sono consapevole che su questo argomento c'è il rischio di non capirsi affatto. E non tutti gli argomenti pro o contro hanno lo stesso valore. Cominciamo con i 4 criteri che ho proposto, che possono essere considerati puramente come una tipologia. Gabriela Wozniak, nel suo libro "Redenzione divina e partecipazione creaturale", Regensburg 2021, dice giustamente: "Per quanto riguarda le figure reali-simboliche della Chiesa, le vocazioni di Maria, Giovanni e Paolo sono realizzabili da tutti i credenti nel tempo, quella di Pietro si riferisce a una rappresentazione personale di Cristo, che ontologicamente può avvenire solo in un uomo. Se qui non si elabora la distinzione tra rappresentazione e tipo, cosa che non accade in nessun passaggio di Balthasar, allora l'argomentazione va in tilt" (233). Lo squilibrio sarebbe qualcosa come il fatto che una donna non potrebbe esercitare il potere nella chiesa a causa del suo tipo (essere una donna). Il che è certamente una sciocchezza: come una donna può diventare cancelliere, così anche il potere può essere "amministrato" da una donna nella Chiesa (basta pensare al ruolo di una badessa, che è ed era talvolta più potente di un vescovo). "In questo senso, bisogna fare una separazione netta tra l'assegnazione del sacerdozio ordinato all'uomo e tutta la rete di questioni che circondano il potere" (Wozniak, 300). L'uomo e il suo potere (essendo un uomo come tipo) non hanno niente a che vedere con la rappresentazione di Cristo: sull'altare agisce Cristo, non l'uomo. Tuttavia, Cristo come persona è un uomo, e a causa della "dialogicità dell'uomo" (Wozniak, 301), ha bisogno della donna come persona e non come tipo, o almeno non solo come tipo, per formare il "dialogo". "Dalla relazione diretta del mistero con ogni singola persona, così come dal carattere empirico della trasformazione eucaristica, il sacerdozio viene considerato in un quadro molto più completo. L'attribuzione all'uomo risulta da una comprensione approfondita della Maria-Ecclesia in termini di un "noi-spazio" di libertà così come dalla Presenza Reale di Cristo nei sacerdoti stessi, specialmente nella pronuncia delle parole di consacrazione" (Wozniak, 301). Anche se tendo ad una riflessione tipologica, ma più per ragioni filosofiche sulla tipologia uomo/donna, sono felice di essere corretto dall'approccio fenomenologico della Wozniak, che apprendo dalla lettura della sua tesi. In questo post, tuttavia, il mio argomento principale non era tipologico, ma la proposizione filosofica dell'unità nella dualità tra uomo e donna, pensata meno come una derivazione trinitaria delle processioni, ma di un approccio antropologico che si chiede se la giustizia e l'uguaglianza sono piuttosto alternative che sinonimi. Inoltre, penso a un realismo ecclesiale che vuole integrare la via sinodale tedesca all'interno della via sinodale generale di tutta la Chiesa (Mons. Oster) e che per essere cattolico dovrebbe avvenire sub et cum Petrus. A proposito del sacerdozio femminile, San Giovanni Paolo II ha detto: "Affinché sia tolto ogni dubbio sull'importante questione che riguarda la costituzione divina della Chiesa stessa, dichiaro, in virtù del mio ufficio di rafforzare i fratelli (cfr. Lc 22,32), che la Chiesa non ha alcuna autorità per ordinare donne sacerdote, e che tutti i fedeli delle Chiese devono attenersi definitivamente a questa decisione" (Ordinatio sacerdotalis, 4). E a questo proposito, Papa Francesco parla di una porta chiusa (cfr. Osservatore Romano, 7/31/2013, nel giorno di Sant'Ignazio). Citato da Wozniak, 296, nota 121).

(9.6.21) Balthasar: un pensatore elitario? Su questa cosa vorrei dare una piccola testimonianza. Ovviamente se si guarda all'opera di una delle persone più erudite del 20. secolo vi è qualcosa di elitario, come anche Mozart può essere considerato elitario. La prima volta che scrissi a Balthasar nel 1978 ero uno scolaro sconosciuto di un quartiere operaio a Torino (Mirafiori Sud: qualcosa come la Ludwigshafen di Ernst Bloch e che quest'ultimo differenza da Mannheim). Solo come studente universitario ho conosciuto il centro di Torino (la Mannheim di Bloch) - l'immensa opera epistolario di Balthasar mi raggiunse insomma nel quartiere operaio di Mirafiori Sud. Ha fatto di me un pensatore elitario? Ho lavorato 9 anni in Baviera nella Haupt- und Grundschule ed ora nei 20 anni di diaspora in Sachsen-Anhalt non ho solo lavorato solo in un liceo, ma anche nella Gemeinschaftschule. Insomma Balthasar ed Ulrich non mi hanno mai educato ad un pensiero elitario, ma a servire, la dove Dio mi voleva e vuole. È solo una testimonianza. 

(10.6.21) Balthasar pensa come teologo a partire dalla Parola di Dio, dalla rivelazione dell'AT e del NT e dall'esperienza (il carattere drammatico dell'esistenza) - quest'ultima viene vista a partire dalla luce della Rivelazione, non di una rivelazione, ma della Rivelazione biblica. Ma egli specifica immediatamente che i disegni e gli schizzi umani vengono innalzati ed ordinati da questa luce. Insomma il tentativo teologico di Balthasar è interessato all'integrazione, anche di Nietzsche, tanto per fare un esempio che si trova nella prima pagina della premessa. Ovviamente dovremmo vedere se questa teologia è capace di interare anche altri tentativi teologici che in forza della loro autocoscienza non sono progetti umani, ma a loro volta rivelazione divina, come nel caso dell'Islam. 

Per quanto riguarda i progetti teologici dell'occidente (mitologia e filosofia) il tentativo di Balthasar è eminentemente teologico, quindi né mitologico né filosofico, ciò significa che Dio non è né immutabile (filosofia) né mutabile (mitologia). 

Quello che mi preme dire è che la scelta teologica di Balthasar non viene vista da lui come "limitante", ma come "ampliante": la rivelazione di Dio amplia la nostra capacità integrativa. "Dio con la creazione del mondo, ed in modo particolare con la creazione di libertà infinite, si è coinvolto senza cadere in un destino a lui superiore" (Balthasar, ibidem 9) - tutto ciò che accade nella storia del mondo non è un destino superiore a Dio, perché Dio è colui che di più grande non può essere pensato ed è chiaro che la confessione della sua maestà e del suo amore non può essere "limitante"; anche la nostra confessione "particolare" (sit venia verbo) lo è solo sociologicamente o storicamente particolare, in vero essa è "cattolica", universale.

Uno sguardo profondo a tutto ciò viene dalla intuizione geniale di Ferdinand Ulrich che vede nel "movimento di finitizzazione" del dono dell'essere come amore la legge ultima del reale. Noi non incontriamo l'essere in generale, ma nella particolare finitizzazione che contempliamo: una pianta, una pietra, la donna amata. 


La critica alla teologia delle essenze (Balthasar) e quella alla filosofia delle essenze (Ulrich) è per quanto mi riguarda il fulcro nevralgico del loro insegnamento. Non ci sono essenze statiche di Dio, dell’uomo e di Cristo fuori dal teatro del mondo - certo il Dio trinitario c’era prima del mondo e ci sarà dopo il mondo, ma senza la concentrazione su ciò che è accaduto ed accade ed accadrà sul teatro del mondo noi ci muoveremo in un terreno „accanto“ a Dio, una specie di dio più divino di Dio che stabilisce le essenze delle cose e delle persone, ma che non ha nulla a che fare con il dramma del mondo. Non vi è neppure, se non come tentazione, un essere sostanzializzato al di fuori dell’avvenimento del dono dell’essere per amore. Vi è una dimensione „sovraessenziale“, senza la quale Dio sarebbe perso nelle vicende del teatro del mondo e l’essere perso nella cosa, nelle cose senza speranza. Ma questa dimensione „sovraessenziale“ viene vissuta in un „compito“ ben preciso, quel compito che fa della nostra persona ciò che è! E filosoficamente passa attraverso una crisi radicale, quella dell’uso medesimo di essere e „nulla“: credibilità nella storia del mondo si da solo quando nel suo teatro appaiono persone che vivono talmente di gratuità che possono incontrare tutti, come Francesco - sia il santo di Assisi sia il papa attuale. Le coincidenze tra Balthasar, Ulrich e Francesco non sono solo puntuali, come dice Gabriela Wozniak (in riferimento a Balthasar), ma „totali“.  

(14.6.21) Sia in Balthasar che in Ullrich vi è una chiara priorità dell'avvenimento, dell'esperienza, della realtà sulle idee: il grande avvenimento per Balthasar è l'amore che Cristo rivela in modo definitivo (sulla Croce e nella discesa all'inferno, ma già in tutta la sua vita, quella nascosta a Nazareth e quella pubblica) e che è il cuore di Dio stesso: "Dio è amore". Questo amore viene donato gratuitamente, ma necessita la risposta altrettanto gratuita e personale, che non è un sentimento, ma un "compito", una "missione", quel compito che Dio ha pensato per me. Ulrich parla del medesimo avvenimento in forma filosofica: Dio ha donato l'essere in modo gratuito; l'obbedienza a questo dono, al senso necessario dell'essere, è la forma massima di libertà.

Si è persona per la semplice appartenenza al genere umano, dal primo all'ultimo momento della vita (Spaemann) - nel senso specificamente cristiano, che si rapporta al primo naturale ne senso del "gratia perficit naturam non tollit", si è persona quando si dice si al compito che Dio ha pensato per noi. Già l'estetica teologica in Balthasar non è solo contemplazione, ma essere rapiti nella contemplazione; nella teodrammatica veniamo per così dire "decisi": non si tratta solamente delle nostre decisioni, ma dell'essere "decisi" da un altro: un'altro mi chiama in modo definitivo, per amore. La chiesa, con un suo documento, può aiutarci a vivere questa chiamata, che non è mai alcunché di "immediato" (sentimenti...), ma per l'appunto compito teologico ed ontologico e non è mai una questione di potere, ma di servizio, che inizia e finisce nel momento in cui la Chiesa stabilisce (anche in forza di forme democratiche o sinodali, che sono sempre più necessarie, quando più una realtà diventa grande.

L'avvenimento della vita accade nella tensione tra battaglia e liturgia: lo specifico cristiano è che l'agnello immolato non immola nessuno, ma combatte proprio in quanto immolato. L'apocalisse ci fa vedere tutto ciò e non deve essere ridotta ad un ritmo di battaglia mondana, ma essere meditata per quello che è: la visione che l'agnello immolato è il vincitore. Nella guerra mondiale a pezzetti l'agnello immolato non è un partito contro un altro, ma l'invito ad una presenza realmente pacifica, rivelatrice di quel giorno lieto e lieve che è il giorno di Dio! In cui non vi è più bisogno della luce del sole...

(20.6.21) Superamento della tragicità?

Balthasar non può essere usato per scopi di "filosofia o teologia narrativa" che superi l'individuo, la persona singola con la sua libertà e drammaticità e tragicità. Non lo si può chiudere in un sistema (neppure ecclesiale), per questo i tradizionalisti di tutti i colori lo hanno odiato fino a dire che sarebbe morto tre giorni prima di ricevere il berretto cardinalizio, perchè Dio non avrebbe voluto un eretico come cardinale. Ovviamente anche i teologi liberali prendono la distanza da lui, come per esempio lo fa Vito Mancuso.

Ieri sera ho visto un film svedese, "Dancing Queen" (2021), che mi ha impressionato: è la storia di una ragazza, che porta il nome del famoso cantautore, Dylan (Bob Dylan) Peterson, a cui è morta la mamma, e che pian piano cerca di mettere in pratica il desiderio della mamma, ma anche il suo desiderio profondo: di continuare a ballare, cosa questa che aveva imparato dalla sua mamma. La tragicità del destino di Dylan, la sua libertà, la scoperta dei suoi talenti da parte di Victor (il coreografo del gruppo), l'inserimento in un gruppo teatrale di transessuali non si lascia integrare in una narrazione, né tradizionalista (che sarebbe solo critica) né liberale. Il film è di una tenerezza incredibile; credo che le categorie "aperte" del dramma, imparate da Balthasar, mi hanno permesso di vedere senza pregiudizi questo film, che certamente non fa parte del mio mondo, quello cattolico, che con ragione difende anche il proprio diritto, per esempio, di non voler dare in adozioni bambini a degli omosessuali (cfr. il giudizio di qualche giorno fa della Corte suprema degli USA, che ha ribadito in questa questione il principio della libertà religiosa), ma senza alcun "giudizio" su chi invece lo vuole. Senza alcuna "epica" che non prenda sul serio la "drammatica" del destino di persone che si "sentono donna"; Dylan, che deve farsi passare come maschio per far parte di questo gruppo teatrale, non ha alcun giudizio su queste persone, ma solo il desiderio di ballare e questa concentrazione di desiderio tocca infine il cuore anche di questo gruppo transessuale, che alla fine la va a prendere nella sua isola (con i colori meravigliosi della natura svedese), in cui era scappata quando avevano scoperto che era una donna, per portala nel grande teatro di Göteborg. Si potrebbe obiettare che la storia è del tutto "orizzontale", cosa vera, però, fino ad un certo punto - perché la trascendenza o si trova nei gesti del ballo stesso, oppure è solo un'aggiunta, che non ha a che fare con l'uomo. Ma ancor di più si trova nel desiderio della mamma, nel modo con cui Dylan ne parla ad un'amica della mamma stessa, che la ospita in Göteborg. In una tale situazione come quella descritta dal film comunque non credo che l'annuncio della speranza cristiana sia possibile solamente con parole - credo solo che solamente una testimonianza d'amore, "senza giudizio e senza limiti", possa farla nascere nel cuore disperato dei nostri compagni di viaggio, in questo mondo triste.

Nessuna narrazione può e deve superare la libertà degli uomini e questo dopo più di un anno di pandemia, con la variante Delta in arrivo, deve essere detto con grande chiarezza. Certamene la scienza ha il diritto di lavorare con un "ateismo metodico" - un vaccino adatto viene trovato da virologi e non da teologi, ma anche la narrativa scientifica non può e non deve costringere la libertà degli individui: il dramma della mia esistenza viene deciso al cospetto dell'unico Assoluto, che è Dio e non la scienza. Anche la differenza teologica tra l'essente (il mondo) e l'essere (Dio) o quella filosofica tra l'essente e il dono dell'essere finito non sono un'epica narrativa e di fatto sia la teologia di Balthasar che la filosofia di Ulrich sono al servizio di un discernimento che ci permette di muoverci nella storia drammatica, a volte tragica dell'uomo singolo e che intravede un superamento della tragicità non in un discorso, non in una gnosi (la scienza moderna è anche una tale forma di gnosi, se pensa a se stessa come assoluta e non come ad un metodo legittimo) ma nel cuore di quell'assoluto che non è discorso appunto, ma amore e in quanto tale Logos!

(27.6.21) Cancellazione della differenza, mitologia, rito e rivelazione

Vivendo da 20 anni nella diaspora, o più precisamente, in una delle zone più secolarizzate del mondo, non mi è possibile non pensare alla cancellazione della differenza teologica, tra l'essente (il mondo) e Dio (l'assoluto) - cfr. Teodrammatica II,1. Ma grazie a Dio, nell'esperienza stessa, essa rimane, per quanto nascosta, iscritta nel cuore dell'uomo.

La domanda che si pone Balthasar nella Teodrammatica II,1 è per me vitale: come prendere sul serio il dramma della persona singola, atea, buddista, mussulmana o cristiana che lei sia? In un racconto epico come "Guerra e pace" Tolstoj non dimentica il dramma della persona singola (del principe Andrej, di Nataša...), ma di fatto il rischio che tutte le persone, compreso Napoleone, siano solo marionette dello spirito della storia, è un tema che Tolstoj spiega in molte pagine del suo romanzo. Lascio aperta la questione per quanto riguarda il grande scrittore russo, comunque è vero che nella storia personale il "non-esserci-più" sembra contare più del "non-essere-ancora" (Bloch). Lo spirito dell'utopia di Bloch non salva con la sua filosofia del non essere ancora la persona nella sua singolarità. Giustamente mi chiedeva Balthasar in una delle sue lettere: per chi spera Bloch? Per un'umanità futura? E che ne è dei miliardi di persone, che all'ombra della grande storia del mondo, hanno vissuto la loro storia personale, spesso drammatica? Che ne è di e e te che leggi, ora? Quello che vale per Bloch, vale mutatis mutandis, anche per Hegel: nella filosofia epica dello spirito assoluto che diviene, la persona singola è solo un momento alla fine insignificante. E per quanto riguarda la tecnica, che ci aiuta in alcune questioni di comunicazione (per esempio con il Mac con cui sto scrivendo) non è certo interessata alla mia particolare storia; lo stesso vale per la scienza. Ma, per fare un esempio, meno nobile, ciò vale anche per la pornografia, che non è interessata alla persona singola, ma a certe "tipologie" che eccitano la persona singola, ma ingabbiandola nella generalità delle pulsioni.

La filosofia, nel suo intervento sul teatro del mondo, dopo la mitologia e la tragedia (rito), opera per purificare le tensioni in cui si trovano le persone singole, quando interagiscono. Ne viene guadagnata un'idea di Dio e di unità che serve alle definizioni dogmatiche di Dio e ciò non è una piccolezza, se non si vuole che Dio stesso nel suo assoluto amore si perda completamente nel dramma del mondo, ma in sé non è ancora la risposta alla nostra questione: come integrare, non in una legge generale, ma in un vero spirito cattolico/universale, il dramma delle persone singole, di quel padre che l'altro giorno in Sardegna, ha salvato la vita di sua figlia e di un'altra ragazza, ma ha perso la sua (Renato Farina)? Noi cristiani crediamo che solamente nell'universale e concreto Logos divino che è Cristo, si possa trovare quella chiave di lettura cattolica, che permette di integrare tutti i drammi personali. Ma in quanto cattolica, credo che dovremmo sforzarci al quanto per non tratteggiare confini, che sono in noi e certo non nel Dio assoluto.

I drammi personali nella tragedia greca, per esempio Antigone, non sono tipologici, ma rituali che riguardano quella persona singola che ha rischiato la sua vita per seppellire suo fratello, contro la volontà del re. Nel suo "Signore degli anelli" J.R.R. Tolkien, pur essendo la doppia realtà della mitologia non sottolineata (lo è in Silmarillion) - insomma sul palcoscenico non combattono dei e uomini come nella mitologia - ci offre non solo un un "tipo" (l'Hobbit, con i suoi rituali mondani come la doppia colazione), ma delle persone realmente singolari e cattoliche, come Frodo e Bilbo, con una missione universale: la distruzione dell'anello del potere. Lo stesso vale per i bambini di Narnia, solo che C.S. Lewis salva la doppia realtà mitologica con l'intervento di Aslan. Ma come lo stesso Lewis dice alla fine dei sette volumi di Narnia: in ultima istanza la figura di Aslan deve dissolversi in quella di Cristo, che saprà integrare tutti, anche coloro che non servono e lodano ed adorano esplicitamente il suo/nostro "Abba". Nella rivelazione: Cristo e Maria non sono solo tipologie, ma vere persone universali e concrete, con una missione di salvezza per tutti, che possiamo "ripetere" nei nostri riti, in modo particolare la Santa Messa, che, però, non è solo rappresentazione, ma accadimento memoriale di quell'unico sacrificio che può salvare tutti.

(01.7.21) Nel suo articolo "La verità non ha bisogno di fortezze" (Il Sussidiario, 29.06.21) Fernando de Haro fa un'operazione culturale legittima, ma per cui solo in parte può richiamarsi al teologo svizzero Hans Urs von Balthasar (1905-1988). Vero è che Balthasar era un uomo libero e chi ci ha educato alla libertà. Era anche un uomo con una forte vena ironica, anche con la posta che riceveva dal Vaticano; quando in un modulo gli si chiedeva quante persone facevano parte della Comunità di San Giovanni, da lui fondata con Adrienne von Speyr, lui non rispose rinviando al fatto che questa è una questione che interessa lo Spirito Santo, non il Vaticano. Cito questo gesto per la sua simbolicità - Balthasar è stato un uomo obbediente, anche quando accetto la sua nomina cardinalizia, sebbene sapesse che il cielo voleva qualcosa d'altro. E di fatto è morto, tre giorni prima di ricevere il berretto cardinalizio. Ma non era un uomo che amava i compromessi, tanto meno con la modernità, fuori e dentro la Chiesa. 

Era un uomo che rispondeva le lettere di un giovane diciottenne sconosciuto, che gli scriveva dalla periferia operaia di Torino, ma senza alcun captatio benevolentiae. Era il grande teologo di una Trilogia monumentale (estetica, drammatica e logica), non inscatolatile in categorie come progressista o reazionario e che per quanto riguarda le piccolo opere, si trovava in una polarità tra "Abbattere i bastioni" e "Cordula. Ovverosia il caso serio". Certo non pensava che la verità potesse venir difesa da bastioni, di qualsiasi tipo essi fossero, ma non era un teologo "liberale" - credo che avrebbe accettato l'idea di una "legittimità critica della modernità" (Massimo Borghesi), ma certo lo spirito critico e ironico avrebbe avuto il sopravvento. Colui che è la verità e l'amore è venuto nel suo mondo ed è stato crocifisso: la croce non è una fortezza contro qualcuno, ma qualcuno - noi tutti, anche noi moderni o postmoderni - era ed è talmente contro colui che non era contro nessuno, che lo hanno ucciso. Se non si dice questo, se non si parla di questa polarità tra "Abbattere i bastioni" e "Cordula" si presenta un Balthasar inventato. Un Balthasar "bergogliano" (intendo con ciò l'ideologia in cui viene ridotto il Papa, sia dai critici che da alcuni suoi sostenitori), che non piacerebbe certamente neppure al vero Bergoglio/Papa Francesco, che nella sua attuale coraggiosissima catechesi sulla lettera ai Galati, dice con grande vigore: "Paolo ama Gesù e sa che Gesù non è un uomo-Dio di compromessi. Non è così che funziona il Vangelo e l'apostolo ha scelto di seguire la via più impegnativa. Scrive così: "E forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio?" (30.06.21). 

Lo stesso vale per Balthasar: non era un uomo dei compromessi, tanto meno avrebbe condiviso la frase che "in Occidente i cristiani sono lontani da subire una persecuzione" (Fernando de Haro). Richiamarsi a Balthasar per dire che l'espressione "totalitarismo morbido" sarebbe "irresponsabile" e "che alimenta il vittimismo"" è un'operazione culturale scorretta (anche se certamente esiste un tale vittimismo). Chiaro che ci sono paesi in cui i cristiani subiscono immensamente di più il martirio e che noi nell'Occidnete possiamo imparare da molto da loro, ma se Balthasar leggesse oggi gli articoli di un giornalista come Glenn Greenwald, che in modo preciso sta scoprendo le forme di dittatura più o meno morbida del "discorso unico occidentale" della stampa e dei media dominanti, che egli chiama "corporate", salterebbe di gioia e nulla, assolutamente nulla si può trovare nel suo pensiero per sostenere i cristiani che simpatizzano con il nuovo presidente americano Biden. O con le varie forme moderne di comunicazione per cui discorsi "progressisti" sono più accettati dei discorsi "veri". Proprio in forza del "caso serio" della Croce Balthasar avrebbe, come Augusto del Noce e Ferdinand Ulrich, criticato e visto le tentazioni della nostra società opulenta e pseudo liberale. In questo senso la critica alla teologia politica di Fernando de Haro è una banalizzazione del lavoro sul tema fatto dal filosofo italiano Massimo Borghesi.

Credo che a Balthasar sarebbe piaciuta la scena in cui il Francesco di Liliana Cavani risponde a Papa Innocenzo III, che gli domandava se davvero lui amasse tutti, anche il papa e i cardinali, con un chiarissimo: "senza limiti e senza giudizio". Perché di fatto non c'è mai un giudizio sulla persona di cui noi uomini possiamo arrogarci il diritto, perché questo come la sua redenzione, è cosa di Dio. Non è possibile neppure, dice Balthasar in una sua introduzione ad un'antologia della "Civitas Dei" uscita nell'editrice "Johannes", separare univocamente chi appartiene a "Gerusalemme" e chi a "Babilonia". Ma ciò non significa che non sia possibile descrivere precisamente cosa sia la "civitas Dei" e cosa certo non lo è. Alla fine non un "giudizio", personale o sulla cosa, è ciò che credibile; credibile è solo l'amore, ma questo non è un sentimento di happiness, ma la fortezza impotente del Crocifisso, che non ha ucciso nessuno, ma che è stato massacrato e poi ammazzato. E solo dopo ciò è risorto!

(3.7.21) È il mondo che erige bastioni contro la Chiesa?

Dario Chiesa (Il Sussidiario, 02.07.21) risponde, con una lettera, all'articolo di cui abbiamo parlato di Fernando de Haro, ma in vero questa lettera è solo una "reazione" e non ha neppure il merito, che invece ha l'articolo di de Haro, di reagire, come mi ha scritto un amico , "contro coloro che, vedendo nemici ovunque, ne fanno l'alibi per ridurre la fede ad un'eterna crociata". 

Ma poniamoci ora la domanda: è il mondo che erige bastioni contro la Chiesa o è la Chiesa che erige i bastioni contro il mondo? In primo luogo l'idea di fortezza, bastione, non è solo negativa - per esempio fa notare Peter Handke, che quelli di Dubrovnik, sono molto belli (a differenza di quelli odierni); lo stesso vale per quelli che ho visto a Malta. E vi è una lettera di sant'Ignazio, che il Papa ha citato una volta, in cui la parola "muro" viene usata in modo positivo: come difesa dall'immondizia del mondo. Un'immondizia, come ci fa capire il profeta Isaia nei suoi primi quattro capitoli, che è un mix di ingiustizia contro le vedove, di corruzione giuridica e politica ed anche di orgoglio femminile della futilità (3, 16-25). 

Lo scandalo della pedofilia fa vedere che la Chiesa non viene distrutta dall'esterno, dai bastioni che vengono eretti intorno a lei e se vogliamo riferirci alla "Lettera dei cristiani d'Occidente" di padre Jozef Zverina, dovremmo certamente oggi scriverla non tale e uguale come quella che lui scrisse nel 1970, se non ne vogliamo tradire lo spirito: Papa Francesco nel suo pontificato, nel pontificato di uno che viene dall'altra parte del mondo, ci ha dato molto materiale per scrivere questa lettera in una sua nuova versione, una versione che non sia solo la ripetizione di quella passata.

In un suo libro sui nuovi diritti, il filosofo marxista Christoph Menke, che avevo recensito per "Il Sussidiario", ha presentato una critica dei nuovi diritti che può essere riassunta così: il prezzo che stiamo pagando con i nuovi diritti è la perdita di ogni senso politico del bene comune, per una concentrazione sul desiderio individuale. Al tempo della mia recensione feci notare che lo stato di diritto liberale non è interessato alla verità, ma solamente a che le persone all'interno di esso non vedano in continuazione l'altro come nemico. Credo di aver allora accentuato troppo un'aspetto - cioè che non bisogna insistere solamente su alcuni valori non negoziabili, perché il rischio è quello di perdere energie in una continua guerra civile spirituale; d'altro canto nel lungo dialogo con l'amico statunitense Adrian Walker, mi sono accorto che nella mia posizione c'era il pericolo di non vedere quale rivoluzione antropologica (davvero un bastione contro la Chiesa) sia in atto con l'imposizione della cultura gender (in Italia Massimo Borghesi ha messo il dito su questa piaga in un suo articolo, "DDL ZAN/ Un disegno di legge ideologico e illiberale, Il Sussidiario, 27.06.21), e a cui non si può assistere senza tentare di difendersi, tanto più che le persone consenzienti non si trovano solo da una parte politica.

Se in Italia, tanto per fare un esempio, la morte di una persona di infarto per le condizioni di lavoro disumane e meno importante che l'insulto ad un gay, devo dire che qualcosa non quadra: un omosessuale come Glenn Greenwald, per esempio, in riferimento al massacro della discoteca Orlando in Florida ha dimostrato che esso non aveva per nulla a che fare con un attacco contro gli omosessuali ed ha invitato quest'ultimi a non farsi cooptare da uno scema dei media "corporate", espressione della mentalità di un'élite, per cui il lavoratore che crepa per condizioni di lavoro disumane fa meno notizia che una che può essere integrata in un certa battaglia ideologica "di moda", per quanto giusta essa possa essere, come quella a favore dei gay. Bene tutto ciò non c'era nella lettera del padre Zverina, ma oggi ne fa parte del suo spirito. E sarebbe necessario formularla in modo tale che tutto lo spettro dell'immondizia del mondo venga espresso con precisione.

Ma ancora una parola sulla questione dei bastioni: guardando ieri il volto di una foto della piccola Teresa o quello di mia moglie, incredibilmente belli, ho avuto la sensazione di una fortezza contro l'immondizia del mondo, che non è solo nel mondo, ma in me. Nessuno (!) dei peccati di questo mondo, se Dio non si occupasse di me, mi sarebbero estranei. E pur occupandosi di me e pur vedendo la bellezza di certi volti non ho alcun dubbio che nessuno bastione esterno a me, può essere pericoloso per me - perché il pericolo viene da me e per ritornare ad Isaia, esso ha a che fare con la corruzione, con i morti nel Mar Mediterraneo, con i migranti che vivono in camp disumani, ma anche con tutti quei gioielli di cui parla Isaia in riferimento alle donne orgogliose di Gerusalemme, che nascondono quella cura del corpo ed anche della bellezza che può offritici solamente il Dio vivo e vero, non degli idoli. Un Dio che non è moralista, ma fonte della morale, che sa offrirci i criteri per distinguere l'orologio maschile e femminile, dai desideri del nostro corpo e della nostra anima che non sono peccato, ma la modalità con cui Dio ci ha creato e Dio non ci ha creato in modo geloso, tenendo qualcosa per se, tanto meno la libertà, che è forse con la bontà e la bellezza e la verità, il suo attributo più grande. Non ho il coraggio di essere ancora più preciso, ma davvero ci sono dei bastioni nella nostra testa e nei nostri cuori, che non ci permettono di dire con grande animo e libertà tutto quello di cui abbiamo davvero bisogno. Fosse questo anche solo il bisogno di un corpo nudo...

(4.7.21) Non esiste un punto di vista teorico cristiano al di fuori della teodrammatica, sulla priorità della dramma sull'epica e la lirica.

Prima di parlare del tema, vorrei dire solo due parole sulla conferenza per Zoom del Prof. Anton Štrukelj sul tema:  «Dankbares Gedenken an Henri Kardinal de Lubac anlässlich seines 30. Todestages» (commemorazione grata del cardinal de Lubac in occasione del trentesimo giorno della sua morte). Il professore sloveno conosce bene ciò di cui parla, ma per tutta la sera non potevo liberarmi dalla sensazione che stesse facendo una commemorazione da museo, o "epica" se si vuole usare il linguaggio di Balthasar, di un dramma passato. Quando nella mia domanda ho rinviato alla citazione di de Lubac nella "Evangelii gaudium" del Papa, mi ha letto la nota che  aveva saltato durante la conferenza, del suo manoscritto, sulla mondanità spirituale. La biografia presentata, che ha saltato completamente, però, l'atteggiamento anti nazionalsocialista di de Lubac, ricordava alcune cose importanti della sua vita; la ricezione di de Lubac in Germania per opera delle traduzioni di Balthasar, la questione di "cattolicesimo" (la prima grande opera di de Lubac) e l'importanza della Chiesa sono state presentate in modo interessante, mentre la questione del sovrannaturale è stata saltata (ma è vero che non si può dire tutto)... la cosa che più mi ha, però, reso insoddisfatto - ma forse è solo perché vivo troppo a lungo nella diaspora pagana - e l'atmosfera da museo, "epica" del racconto di un dramma, che sarebbe ormai risolto. E questo ha a che fare con il tema di cui volevo parlare ora. 

Non è possibile parlare dell'essere in modo ipostatizzato, cioè senza tenere conto della crisi ontologica che rivela che l'essere è comprensibile solamente nel suo movimento di finitizzazione (cioè nel suo essersi donato in sostanze concrete e compiti concreti) - questo elemento fondamentale della filosofia di Ferdinand Ulrich ha la sua corrispondenza nell'affermazione di Balthasar (cfr. Teodrammatica II, 47-55) che non esiste un punto di vista teorico, teologico cristiano al di fuori del teodramma, che si sta svolgendo ora. Non possiamo metterci fuori dal palcoscenico - chi guarda potrebbe essere coinvolto più di quanto gli sia gradito e di questo dramma non esiste un racconto epico, ma per l'appunto solo drammatico. Ed anche ciò che di lirico può essere detto su di esso non è garanzia che l'impegno di Dio nel mondo non pretenda da noi un coinvolgimento più forte. Certo Dio non è coinvolto come nel mondo mitologico antico in modo tale che possa essere sconfitto (dal fato) o risucchiato nelle avventure della differenza molteplice del mondo, ma il coinvolgimento drammatico è in atto e noi vi siamo dentro. L'iniziativa decisiva è quella di Dio e non vi è una continuazione tra i nostri progetti e i Suoi, ma ci possiamo trovare sempre di fronte alla possibilità di un "salto", che non deve essere necessariamente eroico, ma che si gioca nell'assunzione della propria vita come testimonianza e compito.

Pur stando attenti a non ridurre la nostra vita in una continua crociata contro gli altri, rimane il fatto che l'attore principale del dramma è l'agnello macellato e che solo come tale è "il leone di giuda che ha vinto". Insomma il cristianesimo è e rimane una lotta, anche se non violenta:  chi non ha ucciso nessuno è stato ucciso. San Paolo nella Lettera agli Efesini è molto chiaro 6, [11] Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. 
[12] La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.  Balthasar traduce: la nostra battaglia non è contro la carne e il sangue. Non è contro gli ormoni o le pulsioni - tutto ciò dovrà essere ordinato, perché tutto l'uomo deve essere preso in servizio, ma non è il nostro tema, non è il tema cristiano e la riduzione della battaglia ad una battaglia "contro la carne e il sangue" l'abbiamo pagata a caro prezzo. Non ritorno sul tema, che ho già più volte accennato. 

Perchè un papa come Francesco rimane a tanti dei normali sostenitori dei papa estraneo? Perché i tradizionalisti più di altri rischiano di fare un racconto epico del dramma e quando il dramma si presenta sul palcoscenico del mondo, non sanno che fare - se non per l'appunto integrarlo nelle loro "note" e quando non si lascia integrare allora cadano in mutismo o in aggressione, che non hanno nulla a che fare con il silenzio e la lotta cristiana. Perché il Papa ci chiede in continuazione di pregare per lui? Perché lui sa che siamo coinvolti (e lui in primis) in una drammatica lotta contro le potenze e gli spiriti del male, nel senso di Paolo e Giovanni. Il dramma è in movimento, come lo è il dono gratuito dell'essere nel movimento di finitizzazione, cioè nel farsi compito concreto e che nelle lettere alle Chiese all'inizio dell'Apocalisse è sempre invito a ritornare al "primo amore" - non stiamo parlando di cronologia, ma di ontologia. 

(5.7.21) L'apatheia stoica non è identificabile, per lo meno non totalmente, con l'indifferenza cristiana. L'indifferenza cristiana riguarda il compito che Dio, come "interior intimo meo", mi/ci assegna ed a cui devo/dobbiamo cercare di dire di sì, con o senza "sentimento". La differenza sembra essere piccola, ma in vero è infinita: Cristo sulla Croce "grida", ma vive il suo compito totalmente. Mi sia permessa questa aggiunta parlando del tema della "lotta" in Balthasar.  

(6.7.21) Nel suo articolo, "Cattolici attenti al rischio dell'autoliquidazione", apparso ne "Il sussidiario" (5.7.21), Danilo Zardin, cita von Balthasar e de Lubac: "Si è insistito sempre di più (ma non era affatto invenzione rivoluzionaria) sulla forza dell’attrattiva suscitata dalla carica carismatica della testimonianza, da persona a persona, più che sulla difesa a oltranza di schemi normativi e scheletri istituzionali prefabbricati. Ma le strade dell’autoriforma indicate, fra tanti altri, da de Lubac, da von Balthasar o da Ratzinger, si dispongono risolutamente anche in senso orizzontale, riproducendo esattamente la forma archetipa della croce di Cristo: incitano, insieme alla verticalità, alla riscoperta della dimensione totalmente aperta, cosmica e globale, della salvezza prodotta dalla Redenzione. La salvezza è per tutti gli uomini, per la ricostruzione della vita umana a partire dalle sue basi più fisiche e materiali. La grazia che si comunica ricrea il mondo innervandosi dal suo cuore più nascosto, secondo le molteplici traiettorie che si diramano dal suo centro. Ed è proprio in questo senso (la totalità organica dell’incarnazione e della redenzione di Cristo) che soprattutto de Lubac ha militato a favore della riscoperta della vocazione strutturalmente “cattolica”, cioè universale, proiettata verso l’abbraccio dell’umanità nel suo insieme, del germe di vita nuova identificabile nel “piccolo gregge” della communio stretta intorno alla potenza del Signore risorto."

Questa posizione cattolica ed inclusiva, non è però un invito ad un' eclettica mistura di posizioni inconciliabili: "Respirare a pieni polmoni nello slancio dell’apertura incondizionata al mondo, fuori dai “bastioni” delle cittadelle del sacro, non può più voler dire, nel contesto delle divaricazioni create dall’Occidente secolarizzato, immaginare che l’ordine normativo cristiano possa fagocitare, riassumendola in sé, la babele dei linguaggi con cui la modernità più estremizzata cerca di determinare la sua strada di indipendenza, non priva di tratti anche insidiosamente diabolici. Il mondo non è mai stato completamente cristianizzato, e tanto meno può esserlo nella frantumazione culturale del nostro oggi. La Chiesa non è un principio di governo della realtà politica, che la scavalca. La teologia e la fede non sono un affare politico. È stato un gran bene recuperare il senso della distanza critica tra i due ordini." Su questo punto la posizione di Danilo Zardin coincide con quella espressa da Massimo Borghesi nel suo "Per una critica della teologia politica". 

Ma come si rapporta la cattolicità di cui parla de Lubac con le altre religioni, per esempio con il Buddismo? Nel suo "Buddismo e l'occidente" degli anni 50 del secolo scorso, l'eruditissimo de Lubac si muove tra problemi specifici come la presenza missionaria del Buddismo in Alessandria d'Egitto nell'epoca ellenistica, dopo la conquista di Alessandro Magno, presenza che il padre de Lubac non ritiene sicura, fino ad una riflessione adeguata sulla "nozione del bene e del male del Buddismo". Le differenze proposte qui da de Lubac, per esempio tra intenzione ed atto esteriore, i doveri di natura e di convenzione, ma in genere anche la presentazione dei cinque divieti buddisti, etc fanno vedere che l'atteggiamento del gesuita francese è di grande erudizione, e non di polemica, ma il giudizio è altrettanto preciso: "il buddismo è ateo" (edizione italiana della Jaca Book, 280). Insomma l'atteggiamento dell'erudizione di de Lubac non è solo integrativo. Interessante sarebbe da questo punto di vista studiare l'amicizia tra don Luigi Giussani e il professore buddista Shodo Habukawa del monastero del Monte Koya in Giappone. Le scuole buddiste sono molto diverse (per cui il giudizio di de Lubac potrebbe non essere corretto per tutte) e quindi è necessaria una sempre nuova apertura reciproca che nel caso di Giussani e Habukawa ha riguardato da subito l'educazione e il cuore dell'uomo, senza che Giussani abbia mai rinnegato la singolarità di Cristo, pur essendo interessato a comprendere la vera essenza del buddismo e il suo modo di riflettere sul dolore (cfr. Alberto Savorana, Vita di don Giussani, pp. 742-745).

Ho cercato in dialogo con Padre Paolo Dall'Oglio, ma non solo, di riflettere sul dialogo tra l'Islam e il cristianesimo (ne ho parlato in alcuni post del mio blog) e la frase che più mi ha accompagnato in questa riflessione è quella di Padre Christian de Chergé: vedere i fratelli mussulmani con gli occhi del Padre. Meditando in questi giorni il capitolo cinque del profeta Isaia mi accorgo che le parole non inclusive e dure sono in riferimento al proprio popolo, mentre degli altri, del "nemico che viene da lontano", se ne parla come di uno che viene per compiere la volontà di Dio. Per quanto poi riguarda il monastero giapponese mi sembra molto bella la frase della farfalla e del fiore, che diventano uno aperto all'altra, nel momento dell'incontro e dell'amicizia. L'autoliquidazione non viene frenata o superata con un atto di guerra esclusivo, ma nell'attenzione al Mistero che annuncia, nella singolarità di Cristo, che abbiamo lo stesso cuore e lo stesso destino (in riferimento al buddismo), lo stesso viaggio dal Padre al Padre (in riferimento all'Islam). Ovviamente non tutto quello che viene detto nel mondo può essere integrato - molto deve essere confessato, nel senso doppio del termine come confessione del peccato e confessione che Cristo, il Logos universale e concreto, è il cuore ultimo e definitivo del Dio che è amore! 

(8.7.21) C'è un aspetto del libro di de Lubac su "Buddismo e Occidente" che mi ha molto impressionato: le pagine su San Francesco Saverio, che nel suo dialogo sul buddismo dapprima dipende da una fonte che non è attendibile. Esiste un "conciliarismo" che non è attendibile, perché si basa su poche e false conoscenze. Rimane il fatto che certe amicizie  come quella di Don Giussani con il Professor Shodo Habukawa o quella tra Papa Francesco e il Gran Imam Al Tayyeb hanno un carattere esemplare, ma lo hanno per l'amore che è in gioco, non per uno pseudo conciliarismo. 

(12.7.21) Definitività dell'avvenimento cristiano e futuro

Parlando di questo tema ritorno ad una intuizione che volevo sviluppare in un dottorato di ricerca su von Balthasar, ma che non ho mai scritto, certamente perché allora non avevo la maturità intellettuale ed umana di scriverlo, ma anche perché avevo un deputato completo nella scuola da assolvere e la mia famiglia faceva i suoi primi passi. 

L'intuizione riguardava la parola "Schwebe" (sospensione) che in Ulrich ha un valore negativo e in Balthasar positivo. In Ulrich la sospensione ontologica è un modo filosofico in un cui una qualsiasi forma di gnosi non prende sul serio la "piccola via" - il dono dell'essere non può essere compreso in una sospensione ontologica e gnostica, vale a dire come un alcunché  "accanto " a Dio. L'essere come dono è un "nulla" e non un "tesoro" ontologico da difendere o cercare, perché perso o sviluppare, perché non ancora completo. Il dono dell'essere può essere compreso solamente nel movimento di finitizzazione, insomma sulla piccola via dell'esperienza. 

Per Balthasar la parola "sospensione" significa che il Verbo definitivo di Dio si trova per l'appunto ancora in una "sospensione", fino al momento in cui non ci sarà la seconda venuta di Cristo, insomma fino a quando la storia perdura, fino a quando il "movimento dal Padre al Padre" (Adrienne), che è la realtà, non è ancora compiuto. Balthasar non mette in dubbio la singolare definitività di Cristo, perché egli ha già vinto il mondo e il male, ma questa vittoria non ha caratteri trionfali. Lo spirito di Charles de Foucauld e di Louis Massignon (i due punti di riferimento teologico di Padre Dall'Oglio e dell'esperienza di Mar Musa) sono conciliabili con la teologia di Balthasar, che tra l'altro cerca di integrare tutto ciò che di buono vi è nelle diverse correnti teologiche del secolo ventesimo (cfr. Prolegomena della TD e TD II, 55- 69). Come è conciliabile con essa la domanda che nasce dalle esperienze di Charles de Foucauld, Louis Massignon, Christian de Chergé, Paolo Dall'Oglio..., riguardanti "la questione del significato dell'evento e della permanenza post-cristiana dell'Islam e del suo valore nel quadro della storia della salvezza centrata in Gesù" (Paolo Dall'Oglio, Innamorato dell'Islam, credente in Gesù, Milano 2011, 83). Nella traduzione dei gesuiti, che non rettavano Confucio nell'inferno, Balthasar non mette nessuno anticipatamente nell'inferno. 

Alcune cose che Balthasar dice sull'Islam sono superficiali; dopo aver letto il libro di Klaus von Stosch (Herausforderung Islam)  non è possibile dire che il Corano è una dottrina non dialogica caduta dal cielo, ma ovviamente Balthasar ha ragione ad affermare che il momento dialogico, ha una valenza nella teologia trinitaria che non ha in una ragione fortemente monoteistica come l'Islam. Detto questo, però, certamente non ci si può richiamare a Balthasar per alcuna forma di fanatismo cristiano versus una qualsivoglia religione. Certo l'ora di Cristo, l'ora degli avvenimenti del Vangelo hanno un carattere universale: ora promette Gesù l'acqua a chi ha sete, ora purifica Gesù il tempio, ora trova Pietro la moneta nella bocca del pesce...(cfr. TD II,66). Ma la singolarità e definitività di Cristo sono piuttosto quelle di "un trampolino" (Padre Dall'Oglio, ibidem 72) che un avvenimento chiuso. Fino a che c'è la storia nulla è chiuso. E i cristiani secondo Balthasar devono prendere sul serio la storia: non solo nel soccorrere ai poveri, ma nel fare di tutto perché i poveri non siano tali. Etc. Insomma Balthasar non può essere usato per una teologia occidentale esclusiva ed integralista  (cfr. Padre Dall'Oglio, ibidem 79). Egli certamente è ricolmo di gioia per il grande pontificato di Papa Francesco, un papa del dialogo e dell'opzione preferenziale per i poveri, un papa ecologico ed evangelico (cioè un Papa che vive del mistero di Cristo, parola definitiva del Padre al mondo. 

PS Infine vorrei ricordare che per veri teologici come lo sono Hans Urs von Balthasar o Padre Paolo Dall'Oglio il grande e vero autore primo del dramma è e rimane Dio stesso!  

(15.7.21) Per quanto riguarda la tradizione gesuita che non mette Confucio all'inferno, cosa che piace molto al Padre Dall'Oglio, bisogna dire che il giudizio positivo del padre Ricci SJ e dei gesuiti in genere su Confucio, come fa vedere il Padre De Lubac SJ nel suo libro su "Buddismo ed Occidente", andava di pari passo con un giudizio negativo del buddismo. Insomma per arrivare alla "Fratelli tutti", anche opera di un gesuita - tra l'altro dico en passant che per la chiesa è una grande occasione avere un uomo di un ordine religioso come capo della Chiesa - si devono fare tanti passi nel rispettoso vivere ed ascolto reciproco e comune. Come ho già accennato nel post su Padre Dall'Oglio, uno studio storico dei rapporti tra religioni dovrà essere anche lo studio di una reciproca non conoscenza e non stima e dovrà concentrarsi anche su questione controverse: come quella della comprensione del "vuoto", "nulla" nei buddisti. Allo stesso tempo si dovrà prendere sul serio l'ipotesi di un "Padre comune" ("Fratelli tutti") senza perdere di vista anche le differenze. Una vera unità infine non può essere "costruita", ma solo "donata". L'indifferentismo religioso non aiuta certo a comprendere il dono dell'essere come amore. 

Per quanto riguarda la religiosità non confessionale di un Voltaire, insomma quella "teistica" ed illuminista va detto che il filosofo francese dipendeva totalmente nel suo giudizio su Confucio e sul buddismo dalle fonti gesuite, che vedevano nel primo la dimensione etica naturale e nel secondo un frutto della superstizione. Etc. 

(18.7.21) Coinvolti in un unico dramma - "Gesù è stanco di noi" (mia mamma)

Ho spesso detto che uno dei pochi cristiani che abbia conosciuto personalmente è Ferdinand Ulrich; credo che mia mamma lo sia anche - una vera cristiana. Certo per via della guerra non ha potuto visitare molto la scuola e non tutte le sue frasi sono culturalmente accorte; ma lei ha un senso per quello che Balthasar nella TD II, edizione tedesca, pagina 69 sg. chiama l'unico dramma, il cui attore e regista principale è Dio stesso, il Dio trinitario, che si coinvolge con la storia e continua a coinvolgersi fino alla seconda ED ultima venuta di Cristo; l'agnello macellato è il vincitore, ma lo deve diventare ancora "per noi". Noi cerchiamo spiegazioni di quello che accade in una "gnosi chiusa" (Balthasar, Bergoglio), ma in vero il dramma è ancora in corso e non se ne può fare un racconto epico chiuso. Tutto sarà ricapitolato in lui, tutti i dolori, tutti i nostri tentavi, tutte le religioni, tutte le filosofie...Noi, però, cerchiamo di comprendere il mondo con delle astrazioni (la legge, la gnosi...) e queste astrazioni non possono "ricapitolare" un bel niente. Anche la tragedia che stiamo vivendo in questi giorni nella Germania dell'ovest ha certamente a che fare con "cause secundae", cioè con la nostra noncuranza per il clima, per la nostra casa comune, ma credo che mia mamma sia molto vicina al vero, quando dice che "Cristo è stanco" - certo la formula non è teologicamente corretta e risente di un certo modo di pensare la cristologia che non ha recepito la vicinanza come misericordia di cui parla il Papa, ma la misericordia non è un pensiero da "commedia", ma una vera e propria chiave che apre l'accesso al dramma. Siamo insomma indifesi nel dramma, ed invece di pregare Dio, ci vogliamo difendere con "astrazioni" che sono nella balia dei "potentati diabolici", contro cui sia Paolo che Giovanni ci invitano alla "battaglia", che è per l'appunto una battaglia contro potentati e non contro la carne, il sangue e gli ormoni...

Forse il Salmo 107 (106), con il suo ritmo alternato di vicinanza e lontananza da Dio, coglie molto bene la dinamicità dell'UNICO dramma e ci offre un verso molto preciso del nostro compito come uomini: 
Nell'angoscia gridarono al Signore 
ed egli li liberò dalle loro angustie.

Salmo 107 


[1] Alleluia. 
Celebrate il Signore perché è buono, 
perché eterna è la sua misericordia. 

[2] Lo dicano i riscattati del Signore, 
che egli liberò dalla mano del nemico 

[3] e radunò da tutti i paesi, 
dall'oriente e dall'occidente, 
dal settentrione e dal mezzogiorno. 

[4] Vagavano nel deserto, nella steppa, 
non trovavano il cammino per una città dove abitare. 

[5] Erano affamati e assetati, 
veniva meno la loro vita. 

[6] Nell'angoscia gridarono al Signore 
ed egli li liberò dalle loro angustie. 

[7] Li condusse sulla via retta, 
perché camminassero verso una città dove abitare. 

[8] Ringrazino il Signore per la sua misericordia, 
per i suoi prodigi a favore degli uomini; 

[9] poiché saziò il desiderio dell'assetato, 
e l'affamato ricolmò di beni. 

[10] Abitavano nelle tenebre e nell'ombra di morte, 
prigionieri della miseria e dei ceppi, 

[11] perché si erano ribellati alla parola di Dio 
e avevano disprezzato il disegno dell'Altissimo. 

[12] Egli piegò il loro cuore sotto le sventure; 
cadevano e nessuno li aiutava. 

[13] Nell'angoscia gridarono al Signore 
ed egli li liberò dalle loro angustie. 

[14] Li fece uscire dalle tenebre e dall'ombra di morte 
e spezzò le loro catene. 

[15] Ringrazino il Signore per la sua misericordia, 
per i suoi prodigi a favore degli uomini; 

[16] perché ha infranto le porte di bronzo 
e ha spezzato le barre di ferro. 

[17] Stolti per la loro iniqua condotta, 
soffrivano per i loro misfatti; 

[18] rifiutavano ogni nutrimento 
e già toccavano le soglie della morte. 

[19] Nell'angoscia gridarono al Signore 
ed egli li liberò dalle loro angustie. 

[20] Mandò la sua parola e li fece guarire, 
li salvò dalla distruzione. 

[21] Ringrazino il Signore per la sua misericordia 
e per i suoi prodigi a favore degli uomini. 

[22] Offrano a lui sacrifici di lode, 
narrino con giubilo le sue opere. 

[23] Coloro che solcavano il mare sulle navi 
e commerciavano sulle grandi acque, 

[24] videro le opere del Signore, 
i suoi prodigi nel mare profondo. 

[25] Egli parlò e fece levare 
un vento burrascoso che sollevò i suoi flutti. 

[26] Salivano fino al cielo, 
scendevano negli abissi; 
la loro anima languiva nell'affanno. 

[27] Ondeggiavano e barcollavano come ubriachi, 
tutta la loro perizia era svanita. 

[28] Nell'angoscia gridarono al Signore 
ed egli li liberò dalle loro angustie. 

[29] Ridusse la tempesta alla calma, 
tacquero i flutti del mare. 

[30] Si rallegrarono nel vedere la bonaccia 
ed egli li condusse al porto sospirato. 

[31] Ringrazino il Signore per la sua misericordia 
e per i suoi prodigi a favore degli uomini. 

[32] Lo esaltino nell'assemblea del popolo, 
lo lodino nel consesso degli anziani. 

[33] Ridusse i fiumi a deserto, 
a luoghi aridi le fonti d'acqua 

[34] e la terra fertile a palude 
per la malizia dei suoi abitanti. 

[35] Ma poi cambiò il deserto in lago, 
e la terra arida in sorgenti d'acqua. 

[36] Là fece dimorare gli affamati ed essi fondarono una città dove abitare. 

[37] Seminarono campi e piantarono vigne, 
e ne raccolsero frutti abbondanti. 

[38] Li benedisse e si moltiplicarono, 
non lasciò diminuire il loro bestiame. 

[39] Ma poi, ridotti a pochi, furono abbattuti, 
perché oppressi dalle sventure e dal dolore. 

[40] Colui che getta il disprezzo sui potenti, 
li fece vagare in un deserto senza strade. 

[41] Ma risollevò il povero dalla miseria 
e rese le famiglie numerose come greggi. 

[42] Vedono i giusti e ne gioiscono 
e ogni iniquo chiude la sua bocca. 

[43] Chi è saggio osservi queste cose 
e comprenderà la bontà del Signore.  

Certo alcune cose le si possono dire solo nella forma della preghiera, ma saggi si è solamente se si capisce che l'unicità del dramma è il "caso serio" - la scelta ultima è sempre tra le nostre astrazioni o la confessione del Logos, che è amore e che trascina con sé tutto (!!!) per ritornare al Padre! 

(19.7.21) "Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore" (1 Cor 4,5b). 

Il che non significa che non dobbiamo capire qualcosa prima del tempo. O cercare di capire. Che cosa ne sia dell'Islam, o del giudaismo o del paganesimo nella prospettiva della seconda venuta di Cristo dobbiamo cercare di capirlo, ma il giudizio ultimo è riservato al Signore. 

"Sorgi, Dio, a giudicare la terra,
perché a Te appartengono tutte le genti" (Salmo 81). 

Balthasar ci aiuta a comprendere (cfr. TD II, 74-77) due astrazioni: quella della legge (in un giudaismo assolutizzato) e quella della libertà (in un paganesimo assolutizzato). Un Islam assolutizzato - Islamismo - che poco ha che fare con un 'Islam che crede in Dio, sembra avere assolutizzato la violenza. La tentazione di un buddismo assolutizzato potrebbe essere quella di un vuoto assoluto. Nessuna astrazione può salvarci, ma solamente l'avvenimento di Cristo che è definitivamente accaduto, ma anche aperto - visto che il Signore non è ancora tornato. La Chiesa è la continuazione di questo avvenimento, ma lo è come "casta meretrix". Non ha luce propria, ma solo quella di Cristo - per cui nessun movimento, nessuna parrocchia, nessun ordine, nessuna comunità cristiana può essere altro che un "servo inutile". 

La tragedia del mondo viene afferrata dal di dentro e dal di sotto dalla grande obbedienza di Cristo. "La tragedia abbraccia dal di sotto come contrassegno più profondo dell'esistenza la commedia" (Balthasar, ibidem 75). Certo c'è anche tanta "commedia" nel mondo, ma più passano gli anni è più è chiaro che la tragedia sembra essere inevitabile (Paul Kingsnorth lo ha detto in riferimento alla crisi ecologica). Al cospetto di questa tragedia in atto Papa Francesco non si stanca di ricordarci che il messaggio evangelico è "compassione, vicinanza e tenerezza". Balthasar ci fa comprendere quanto Cristo ci sia vicino: così vicino da portare per noi il peso del peccato del mondo, il peso di ciò che sembra essere davvero senza alcun senso. 

(26.7.21 Venezia) Sono in giro, così posso scrivere solo due pensieri veloci. Molto diverso dell'uso solo giornalistico di Balthasar, per posizionarsi nel proprio discorso (quasi un usa e getta), di cui ho parlato ultimamente,  è il capitolo 1.4 del libro di Massimo Borghesi, "Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e "ospedale da campo". Il capitolo si intitola: "David Schindler e la critica teologica ai neoconservatori", 79 sg. Qui Balthasar (insieme a de Lubac) viene presentato nel pensiero di Schindler come la risposta critica al tentativo neoconservatore (Weigel...) di presentare San Giovanni Paolo II come il papa che avrebbe consacrato il tentativo teocon o neocon di battezzare il cattolicesimo americano. Schindler senior presenta nella sua risposta al cattolicesimo del capitalismo americano una "civiltà dell'amore", che è un'intrinseca "subordinazione del mondo alla finalità data nella grazia" (cfr. Borghesi, 94). Borghesi non è del tutto contento con questo tentativo teologico, sebbene lo metta in risalto come opposizione all'ideologia teocon, perché mancherebbe in esso una vera comprensione della "libertà negativa", nel senso del gesuita americano Murray: solo questa "libertà negativa" (o detto altrimenti la libertà delle espressioni religiosi e filosofiche) avrebbe permesso di superare lo scandalo di un avvenimento come la guerra dei trent'anni in cui rappresentanti di diverse confessioni si sarebbero combattuti per decenni. Questo modo "legittimo critico" di leggere la libertà religiosa illuminista sarebbe un ritorno al vangelo (date a Cesare ciò che è Cesare...). Secondo me la guerra dei trent'anni non aveva questa valenza primaria di guerra di confessioni, quindi richiamarsi ad essa, per un discorso di libertà religiosa "evangelica", è cosa equivoca. Credo che Schindler senior abbia preparato il cammino su cui è andato Schindler junior con la traduzione dell'Homo Abyssus di Ullrich: la civiltà dell'amore non è solo una questione di teologia, ma ontologica - l'essere è amore gratuito donato per nulla - questa è la vera risposta alla teologica teocon. Solo il nulla dell'amore può sconfiggere dall'interno il nulla nichilista. Proprio Schindler (mediato da Adrian Walker) senior aveva accolto con gioia due saggi miei negli anni 2003 e 2005 in cuoio tentai di far vedere, come anche in un tempo di guerra, solo la figura di Cristo, agnello macellato che non macella nessuno, può santificare il mondo e "subordinare" i tentativi in esso compiuto di risolvere i problemi. Il primo uscì nella "Communio americana: HOW CHRISTIANS SHOULD THINK ABOUT POLITICS. REFLECTIONS IN A TIME
OF WAR Roberto Graziotto • “The real reality, the ‘natural’ form, of politics
reflects the figure of Christ.” (https://www.communio-icr.com/files/GraziottoJoy.pdf). Il secondo si trova negli atti del simposio su Balthasar (Washington D.C. , 2005 "Alone love is credible; il mio saggio si intitola: "Can as Christian be a democrat?" ). 

(27.7.21 Mestre-Venezia) Per quanto riguarda la questione del capitalismo americano naturaliter cristiano che è oggetto della critica di Massimo Borghesi, vorrei scrivere alcuni pensieri generali, che si riferiscono più alla mia esperienza di 20 anni nelle regioni della Germania che hanno fatto parte della DDR. La caduta del muro non ha significato un avvicinamento "naturale" al cristianesimo, per cui sono il primo a comprendere la necessità di una terza via tra la pianificazione comunista della DDR e la libertà capitalista. Più di trent'anni di capitalismo hanno prodotto un egoismo collettivo e quel fenomeno della "ostalgia" di cui ho parlato in alcuni articoli ne "Il Sussidiario" e ne "La nuova Europa". Certo a livello materiale quasi tutti preferiscono un auto del "capitalismo" che una della "DDR", ma la modalità politica che ha portato alla scomparsa di un nazione che per tanti era la loro patria e alla presa di potere delle persone che venivano dall'ovest della Germania, deve essere guardata con un attenzione critica, come ho cercato di fare nel mio ultimo articolo ne "La nuova Europa". In questo senso sono molto vicino alla critica di Borghesi, anche se io trovo alcuni punti del secondo libro sul papa, esageratamente stilizzati. 

(12.8.21 Giorno del compleanno di Balthasar)  

Nel suo saggio sulla "nozione del bene e del male morale nel buddismo" padre de Lubac ci propone alcune riflessioni su immoralismo e amoralismo molto importanti. Il padre de Lubac vede anche nel cristianesimo la necessità di superare l'attaccamento alla propria virtù o presunta virtù. E vedo anche nel buddismo il combattimento contro la miseria morale: "Colui che non combatte la miseria morale, non dice che parole sterili e vuote". Allo stesso tempo pone il problema di un possibile distaccamento tra vita mistica e morale nel buddismo (ma io dire anche nel cristianesimo come separazione tra ontologia e morale) che può portare ad un latente amoralismo, in "cui si profila all'orizzonte il pericolo dell'immoralismo". Questo pericolo è presente nella storia di Cl in modo molto forte, in cui spesso si scambia la giusta critica al moralismo con una forma immorale di gestione del potere. 

La società trasparente con il suo problema riguardante la confusone tra eros (fonte di vita) e pornografia (la riduzione a pezzo dell'altro) ci pone la questione se "la condotta immorale" sia "uno stato transitorio forse necessario per attingere ad una condotta a-morale" (S. Renou citato in de Lubac, ibidem 289). Io ritengo con Papa Francesco che la legge morale sia come un pedagogo che ci permette di vivere meglio l'incontro con l'altro e con l'Altro, allo stesso tempo, però, vedo anche un modo farisaico di porre pesi sugli altri, in questioni erotiche e pornografiche, che possono essere portati solamente con compensazioni ben più pericolose per la questione che stiamo trattando . Per dirla in breve: la dimensione sessuale si trova spesso in un corto circuito pericoloso, in cui la legge non è pedagogo, ma dittatura astratta. Infine bisogna ricordarsi che il primo passo della Bibbia, come ci ricorda Paolo nella lettera ai Galati che il Papa sta commentando nella catechesi del mercoledì, è la promessa (ad Abramo) e non la legge (data a Mose).. 

Non faccio un extra post su de Lubac, perché pur avendo letto molto di lui, non lo conosco bene come Balthasar. Comunque per quanto riguarda il mio "diario" mi baso sull'unità di amicizia e di pensiero tra i due (Balthasar ha tradotto nella sua editrice tantissimi libri dell'amico e maestro francese), anche se certamente si possono studiare delle differenze tra i due.  

(12.8.21) Nel giorno del suo 116.esimo compleanno vorrei ritornare ora direttamente alla figura del mio grande maestro, Hans Urs von Balthasar. "Il Vangelo non sostituisce le decisioni e le istituzioni umane" (Teodrammatica II, 1, Einsiedeln 1976, 77). Ciò non significa neppure una difesa di un'autonomia delle decisioni ed istituzioni umane versus l'orientamento evangelico e versus l'atto più grande della misericordia divina: l'assunzione amorosa del peccato (e non solo del dolore) dell'uomo ed in genere nell'atto redentore di Cristo. Balthasar fa notrare che immediatamente dopo aver chiesto a due persona che gli ponevano una domanda riguardante l'eredità:  "O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?" (Lc. 12, 14), racconta la parabola "della campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto" e che per questo vuole fare costruire "magazzini più grandi": "Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?" (Lc. 14,20). Dio interviene nella storia, con decisioni e istituzioni non meno concrete di quelle umane; si tratta di trovare un equilibrio tra quando dobbiamo difenderci dal nemico, per fare l'esempio più importante, e quando invece  si deve offrirgli l'altra guancia, nel sapere ultimo che l'unica salvezza è Cristo stesso e che Cristo è "amore gratis" - amore umsonst, nel doppio senso di gratis e frustra (TD II,1, 80). Non esiste nessuna cultura o istituzione umana che sia  adeguatamente figura di questo amore gratuito - e per quanto grande siano state le espressioni della cultura cristiana occidentale esse non sono un' applicazione diretta del vangelo ne possono esserlo. 

Gli "occhi della fede" che ci permettono di vedere l'unica figura salvifica, diventata uomo, diventata eucarestia, crocifissa e discesa all'inferno, non sono una gnosi, non sono un "sapere assoluto" - non per nulla sia l'Homo Abyssus di Ferdinand Ulrich, il grande manuale filosofico dell'amore gratuito, sia la grande teologia balthasariana ed in modo particolare la Teodrammatica devono distanziarsi da Hegel: "Il sapere assoluto è la morte della teodrammatica, ma l'amore di Dio "che supera ogni gnosi" (Ef 3,9) è la morte del sapere assoluto" (TD II, 1, 80). 

E il dramma è quello tra "Gerusalemme" e "Babilonia", come lo ha fatto vedere Agostino; ed è vero che, come ci ha insegnato Balthasar commentando proprio questa opera di Agostino (De civitate Dei) che non è possibile sapere univocamente chi appartiene a quale delle due città, ma è anche vero che la lotta non è solo spirituale o interiore: essa implica lo scorrere del sangue innocente dei poveri, come nella guerra che dura da 10 anni in Siria o dei bambini non nati nelle nostre cliniche occidentali. E la violenza in gioco implica una serie di  concatenamenti che non hanno a che fare solo con le decisioni di qualche singolo, ma sono espressione, attraverso le decisione dei singoli, di "strutture del male" - per questo è del tutto ingenuo pensare che una opposizione al male che sia veramente "politicamente rilevante" (senza cadere in una "teologica politica") se fatta da singoli o da singoli gruppi: l'appartenenza alla Chiesa, anche nella sua dimensione gerarchica, è condizione necessaria per combattere il male (analogamente ciò vale anche per il mussulmano nell'appartenenza alla umma islamica, ci ha insegnato Padre Dall'Oglio). 
(13.8.21) L'amicizia tra il sacerdote cattolico Luigi Giussani e il professore buddista Shodo Habukawa può essere descritta come l'incontro reciproco tra la farfalla e il fiore che si apre ad accoglierla. In un intervista del 2012 Habukawa invitava a non guardare in primo luogo alle differenze tra cattolicesimo e buddismo: "Il mio invito è a non guardare alle differenze, ma al rapporto molto stretto tra cristiani e buddisti, e che si manifesta non in superficie ma nella profondità della verità di entrambe le religioni" (Il Sussidiario, 20.08.2012). Questo è possibile perché Habukawa con Don Giussani vede il Mistero come Dio. Ma leggendo l'opera di padre de Lubac "Buddismo ed occidente" non c'é consenso nel buddismo su questo punto (sebbene anche in essa vengano presentente posizioni come quella di una coincidenza tra Gesù e il fondatore del buddismo Shingon, Kobo Daishi Kukai) , così che esso è stato percepito come una religione senza Dio. Non sono per nulla un esperto e sono aperto a tutto ciò che presenta gli uomini come "fratelli" (non solo in riferimento al buddismo, ma anche all'Islam). Questa mattina, però, una riflessione di Schopenhauer mi ha fatto riflettere, riguarda il "solus Christus" e i "mille Buddha": "Una religione che ha per fondamento un unico evento" - come il cristianesimo presentato da don Giussani - "accaduto qui o là, e pretende farne il periodo critico del mondo e di tutta l'esistenza, è una religione con un fondamento così debole che le è impossibile assolutamente resistere, quando appena gli uomini incomincino a riflettere un poco. Quanto è sapiente invece, da parte del buddismo, l'accettare i mille Buddha...I molti Buddha sono una necessità, perché alla fine di ogni "kalpa" il mondo muore e con esso la dottrina. Un nuovo mondo esige dunque un nuovo Buddha. La salvezza è sempre attuale" (citato in de Lubac, ibidem 148).
Se ho capito bene in Don Giussani non è il senso religioso che ci introduce a Cristo, ma é Cristo che risveglia il senso religioso. Insomma in lui come in tutti i grandi cristiani l'avvenimento di Cristo è il periodo critico del mondo; la salvezza è attuale, ma nella singolarità di questo avvenimento. E l'incontro finale con Cristo non può essere, pur tenendo conto della exinanitio di Cristo stesso, presentato come un "atto di soppressine completa della volontà" (Schopenhauer), ma come adesione alla volontà del Padre che vuole che il mondo ritorni a Lui per la mediazione singolare del Figlio: in questo senso il nulla di Schopenhauer ed anche del Buddismo (anche se sembra che su questo punto quello Shingon si differenzi da altre scuole buddiste e quindi se ne dovrà tenere conto in modo che l'abbraccio tra Giussani e Habukawa non sia vanificato) sembra essere diverso: tutti i soli e le vie lattee non sono il nulla come dice Schopenhauer, uno Schopenhauer che de Lubac giudica esser "pur ad insaputa dell'autore" più vicino di altre frasi del filosofo tedesco al "buddismo più autentico" (De Lubac, ibidem 149), ma sono espressione della volontà creatrice del Padre. Il nulla cristiano è sempre quello dell'amore gratuito, che si rispecchia anche nell'amicizia tra Gussani e Habukawa, e non ha mai una valenza di "nichilismo". 
(16.8.21) Ermeneutica teodrammatica (cfr. TD, II1, 81-85) - tra filosofia e teologia 
Una delle possibile profonde alternative filosofiche è quella tra chi pensa che noi siamo gettati nell'esistenza (Heidegger) e chi pensa che l'esistenza, o meglio l'essere stesso è un dono (Ulrich). Si potrebbe pensare che la prima versione sia più adatta per una ermeneutica teodrammatica, ma non è così - come afferma Tolstoj: "una piena assoluta tristezza è altrettanto impossibile come una piena, assoluta gioia" (Guerra e Pace IV, 1). Quindi l'idea di essere gettati, che poi sarebbe un'assoluta tristezza, non è pensabile fino in fono e non è vivibile, è solo un'idea astratta. Mentre affermare che l'essere è un dono, non significa una "gioia assoluta", perché un dono può anche essere non accettato. La teologia a differenza della filosofia è "interpretazione della divina rivelazione", insomma è un'ermeneutica. Balthasar, che ha scelto decisamente la filosofia di Ulrich e non quella di Heidegger, pensa che l'ermeneutica teologica deve confrontarsi con l'auto-interpretazione che il Dio che si rivela offre in Gesù Cristo - come persona e non solo come racconto. CosÍ come nella realtà  abbiamo un reale dono, nella rivelazione abbiamo una reale e singolare figura in cui tutto il mondo e tutto l'essere trova il suo baricentro assoluto, che non toglie la nostra libertà (tantomeno quella interpretativa), perché Dio non è l'unico attore del teodramma ed anche in mezzo ad una visione vi sono alcune persone che hanno dubbi (cfr. Mt 28,17). L'altro attore del teodramma è la libertà finita. E in tutto questo viene messa in gioco una "logica" che non è quella dell'esplicazione nel singolare di una legge generale. La drammaticità della figura di Cristo consiste proprio in questo: è assolutamente individuale e non un caso esplicativo di una legge generale, eppure in quella singolarità è inclusa anche l'ipotesi che l'esserci non consiste in un essere-gettati, ma -donati, cioè l'esistenza è meta, fine, scopo del dono radicale di chi è amore assoluto. Da questo si comprende per esempio anche che l'appartenenza ecclesiale non può essere esplicazione in un membro di un carisma generale: quel membro è sempre singolare nella sua libertà finita in diretto dialogo con quella infinita. L'obbedienza in un ordine e in un movimento, ma anche in una parrocchia, deve tenerne conto.
Per quanto riguarda la visione di un teatro o l'ascolto di un'opera musicale si deve anche tenere conto del fatto che non siamo nella logica dell'esplicazione del generale, per cui per quanto necessaria sia la preparazione linguistica e culturale per ascoltare un pezzo musicale o di teatrale, ci si dovrà lasciare andare nella singolarità dell'avvenimento teatrale e musicale per gustarli davvero. Analogicamente ciò vale anche per il dramma singolare di Cristo.
(17.8.21) Sulle trasposizioni ermeneutiche dei contenuti teologici del NT
Se si vuole prendere sul serio un tentativo ermeneutico, si deve da una parte prendere molto sul serio l'auto-ermeneutica di Dio come l'abbiamo spiegata ieri, ma ovviamente anche il tentativo ermeneutico dell'uomo. Balthasar ci offre alcune categorie filosofiche e teologiche (TD II, 1 85-89) per fare questo lavoro. Prende come esempio tre contenuti teologici: la vicina attesa apocalittica di Gesù, i suoi miracoli e la sua nascita verginale. Ci aiuta a comprendere che la trasposizione dall'allora all'oggi è legittima: non tutto ciò che è scritto nel NT è di primaria importanza, molte cose sono scritte nella cultura di allora, ma si deve stare attenti a che nella trasposizione non accada una "perdita di sostanza e di peso". Non so se queste categorie filosofiche sono molto buone, perché la sostanza stessa è comprensibile attraverso un atto di nullificazione del dono gratuito dell'essere, la posizione della sostanza implica un'atto di finitizzazione dell'essere, che è a sua volta ricco e povero, insomma anche un po' "perdita", ma è chiaro che Balthasar non ama alcun forma di fondamentalismo, perché ci sono cose che sono una "tentazione di Dio": "Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare?"(At 15,10). Quindi bisogna stare attenti con la moltiplicazione non del pane di vita, ma di frase da credere e comandamenti da rispettare. In cosa consiste allora la "regola fidei" senza la quale non possiamo avere un giudizio spirituale cattolico - cioè né integralista né fondamentalista: nel non perdere nelle nostre legittime trasposizioni il sempre di più della rivelazione dell'amore assoluto e gratuito. Sia nell'attesa prossima apocalittica, sia nei miracoli, sia nella nascita verginale ciò che non deve essere perso e appunto il mistero di amore gratuito. Solo la nascita verginale garantisce il gratis assoluto dell'incarnazione, solo i suoi (di Gesù) miracoli e la attesa prossima del suo ritorno garantiscono che tutto non dipende dai nostri piani - che sono importanti, per esempio nella lotta contro l'ingiustizia, ma sempre limitati e spesso causano altra ingiustizia. Afghanistan lässt grüßen
(18.8.21) L'elemento regolatore  ecclesiale (cfr. TD II, 1, 90-93)
Nell'ermeneutica teologica vi è un equilibrio fondamentale: tra la libertà ermeneutica, ispirata dallo Spirito Santo, del teologo (bisogna non dimenticare che una giovane ragazza come la Teresina o un medico come Adrienne possono essere questo grande teologo)  e quella auto-rivelazione che offre la figura stessa di Cristo nell'incarnazione, che accade ancora "oggi" in attesa del Suo ritorno; in questo secondo polo Balthasar incarna la regula fidei di cui abbiamo parlato ieri nel magistero ecclesiale e papale (post del 17.8. qui sopra o per chi legge in Facebook nel link), che verra spesso accusato di novità che non sono presenti nella Bibbia e nella tradizione. Ma in vero, in forza della preghiera del Signore stesso il magistero ecclesiale e in modo particolare quello papale, sono quell'elemento regolatore che ci permette di non cadere in quella "perdita di sostanza" di cui sopra. Il magistero si orienterà alla Bibbia, ma in un certo senso esso ci permette di comprendere bene cosa c'é scritto nella Bibbia, che potrebbe essere interpretata anche in modo del tutto fondamentalista. 
Il sismografo dell'amore incarnato nel magistero non si presenta come una teologia perfetta o come sistema, ma incomincia a vibrare quando qualcosa (frasi, pensieri, azioni...) non esprimono più l'amore incarnato del Logos universale e concreto. Non ha solo un carattere "negativo", ma spesso anche "propositivo" - un elemento, per esempio la misericordia (cfr. gli ultimi tre papi), viene proposto o riproposto all'attenzione di tutti. 
Ogni cristiano deve impegnarsi nell'annuncio dice Balthasar e se uno è filosofo non potrà far altro che pensare filosoficamente: ma anche il filosofo non inventa ciò che deve essere annunciato: questo è il Logos universale e concreto. Si dovrà pensare e il filosofo non può far altro che esprimendosi in modo del tutto libero, senza censure. Ed alcune frasi dovranno essere ripensate. Se penso alla "lettera alle monache di Lione", che il breviario ambrosiano offriva oggi nell'ufficio delle letture, quando Bernardo di Portes dice che la donna "deve conservare il suo cuore puro da pensieri immondi e seduttori" è certamente lecito chiedersi, senza far propaganda ai pensieri impuri - che comunque in un modo o l'altro ci sono -, se in questa richiesta si impone un peso che non siamo stati capaci di portare (cfr. At 15,10). Allo stesso tempo chi è cristiano non vorrà perdere di vista anche in questo ambito quell'elemento regolatore di cui stiamo parlando, nei limiti sismografi che ho presentato (non è compito della Chiesa offrire un sistema perfetto di teologia dei sessi, anzi in un certo senso ha parlato fin troppo di questo tema). 
(17.9.21) Nella lettura del libro di de Lubac su "Buddismo ed Occidente" sono arrivato al capitolo sugli apologisti cristiani del XIX secolo. De Lubac stesso non è un apologista e neppure appartiene a quei tradizionalisti di destra (più autoritari) e di sinistra (più ottimisti) di cui parla egli stesso (171). Gli schemi tradizionalisti interpretativi non sono il suo metodo. De Lubac è un vero credente ed un vero studioso: non ha paura di conoscere il buddismo e spesso lamenta nel libro quanti giudizi siano stati dati sul tema, senza averne le conoscenze adeguate e senza averne letto le fonti. In questo vedo un'unita molto forte tra de Lubac e Balthasar: non sono né tradizionalisti né apologetici. Non affrettano i giudizi e non si basano su analogie superficiali, né per contrastare (tradizionalismo di destra) né per giubilare (tradizionalismo di sinistra). Si fidano del Logos universale e concreto e del metodo di studio che si orienta all'oggetto che studia. Non hanno bisogno per credere di "fantasie tradizionali" (170)  che nulla hanno a che fare con l'oggetto di studio - in questo caso il buddismo. 
(23.9.21: inizio dell'Autunno e compleanno di Augusto). Avendo avuto come maestri persone come de Lubac, Balthasar o Giussani è chiaro che ho imparato a vedere la Chiesa come "madre", che a sua volta ha imparato dalla madre di Cristo ad ascoltare la parola incarnata, il Logos universale e concreto. Ma i miei maestri sanno che la Chiesa è anche un "paradosso" o meglio "paradosso e mistero" (cfr. Henri de Lubac, Paradosso e mistero della Chiesa, Milano 1979 - l'edizione originaria francese è del 1967, insomma di podo dopo la fine del Concilio Vaticano II). Questa espressione filosofica di De Lubac corrisponde al motto dei padri della Chiesa: la Chiesa è "casta meretrix". Casta nel suo cuore, cioè nel cuore di Cristo e meretrix in noi che ne facciamo parte. A livello filosofico diremo anche con de Lubac, che la Chiesa è "complexio oppositorum" - certo essa vive dell'unità che ha visto in opera, a livello trinitario, in Cristo, ma questa unità non è un "sistema", tanto meno un "sistema chiuso", per cui con papa Francesco e con de Lubac possiamo dire: "In realtà, la dottrina, o meglio, la nostra comprensione ed espressione di essa, «non è un sistema chiuso, privo di dinamiche capaci di generare domande, dubbi, interrogativi», e «le domande del nostro popolo, le sue pene, le sue battaglie, i suoi sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni, possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare se vogliamo prendere sul serio il principio dell’incarnazione. Le sue domande ci aiutano a domandarci, i suoi interrogativi ci interrogano» (Papa Francesco Gaudete et exultate, 44).  Paolo VI "nell'enciclica Ecclesiam suam, dice: l'esperienza dell'anima fedele è più importante della teologia pura, poiché piuttosto che oggetto di un concetto chiaro, il mistero deve essere un fatto vissuto" (De Lubac, ibidem 13). Le opposizioni nella Chiesa devono essere vissute in modo fecondo, non devono diventare contraddizioni, ma neppure "sistema chiuso", che non aiuta l'animo di noi credenti, ma allo stesso tempo cittadini nel nostro tempo. Per comprendere tutto ciò è necessaria una "filosofia", ma non una "filosofia prefabbricata" che vive di "nozioni a priori" (per esempio di cosa sia un segno, un sacrificio...), ma non aperta all'ascolto della Parola viva di Cristo, nell'esperienza che ci tocca a vivere. Ulrich con il suo "Homo Abyssus" ci offre una filosofia aperta al mistero, che non è né irrazionalità né provvisoria inaccessibilità di segreti che usando la ragione una volta spariranno. Il mistero cristiano può essere penetrato con la ragione scientifica e filosofica, è confrontato con la parola sensibile di Dio, non ha paura di scoperte scientifiche, ma allo stesso tempo ha la modalità della non esauribilità. Si penetrano determinate cose, ma più si avanza in questa penetrazione intellettuale più il mistero diventa grande! La filosofia di Ulrich ci fa comprendere la "sovraessenzialità" del dono gratuito dell'essere come amore - questo dono non può essere ridotto ad una cosa essenziale tra altre, è appunto mistero, ma non per questo un'obiezione al pensiero scientifico e filosofico. Per far parte della Chiesa non dobbiamo smettere di pensare, ma dobbiamo affinare il nostro pensiero così che esso diventa trasparente del "sempre più grande" che è Dio (il Mistero appunto, che si rivela anche nella "trasformazione del mosto in vino" per opera di "microorganismi unicellulari presenti in natura"). Questo invito all'apertura e non al sistema chiuso ci apre con serenità a tutto il reale, senza dover disprezzare chi ha dubbi anche su cose che noi consideriamo "dottrina", religiosa o scientifica. 
Ritornando al libro di De Lubac vorrei sottolineare che i due autori che egli cita da subito per la sua riflessione sulla Chiesa sono Agostino e il "papa buono" - Giovanni XXIII, che all'uscita del libro era appena morto. Le cose che che dice De Lubac su Giovanni XXIII le si potrebbero dire tali ed uguali su Papa Francesco: la sua liberalità nasce dal Vangelo e non da una ideologia disfattista della realtà della Chiesa. Ed Agostino con la sua riflessione sull'io ci permette di comprendere ciò che Paolo VI affermava: "l'esperienza dell'anima fedele è più importante della teologia pura". Approfondire il mistero della Chiesa implica una  sincerità di confessioni personali, senza trucchi e senza censure.  
(8.12.21) Nel blog "San Paolino's voice" Carlo Mafera riassume i punti essenziali di una conferenza del Prof. Luca de Girolamo sulla mariologia di Hans Urs von Balthasar, che servono come base a questa meditazione - la quale però ha un suo proprio ductus. Brevemente vorrei dire che il si di Maria (la fonte di Balthasar è certamente anche Adrienne) è una cosa molto seria ed esso non è del tipo "si, però" - è un si serio, leale, senza limitazioni, ma anche del tutto singolare; e non è una "prestazione di Maria", ma un dono che il Signore le fa. Insomma la festa odierna non ci sarebbe mai stata se Dio nella sua assoluta sovranità, basileia, non avesse preso l'initiativa. Vero è però che il si di Maria non è passivo, come l'obbedienza non è mai passiva. Anche l'essere inserito nella logica della missione che ci viene donata, non è mai alcunché di passivo. 
Un altro elemento importante è la questione della anonimità/quotidianità   - il Papa l'ha spiegata molto bene oggi all'Angelus.  "Ricordiamoci che questa perfezione di Maria, la piena di grazia, viene dichiarata dall’angelo tra le mura di casa sua: non nella piazza principale di Nazaret, ma lì, nel nascondimento, nella più grande umiltà. In quella casetta a Nazaret palpitava il cuore più grande che una creatura abbia mai avuto. Cari fratelli e sorelle, è una notizia straordinaria per noi! Perché ci dice che il Signore, per compiere meraviglie, non ha bisogno di grandi mezzi e delle nostre capacità eccelse, ma della nostra umiltà, del nostro sguardo aperto a Lui e anche aperto agli altri. Con quell’annuncio, tra le povere mura di una piccola casa, Dio ha cambiato la storia. Anche oggi desidera fare grandi cose con noi nella quotidianità: cioè in famiglia, al lavoro, negli ambienti di ogni giorno".
Anche l'obbedienza di Maria è una cosa seria e leale. Non spettacolare. Anche noi dobbiamo obbedire alla Chiesa, al Papa, ma ancor più alla missione che ci è stata donata. 
Ed infine l'integrazione del ministero petrino nel si mariano se non vuole essere solo un bel pensiero teologico senza alcuna incidenza deve far vedere non solo l'aspetto che Maria non pretende per se i poteri apostolici, ma che questi poteri sono solo servizio e senza prendere sul serio il si mariano sono "clericalismo". Quando Balthasar dice che Maria "ha altro e di più" che i poteri apostolici lo prendo sul serio, proprio per il suo rapporto di servizio nei confronti di Adrienne, in altre bocche questa frase mi sembra solo un modo per non cambiare mai nulla.