Renato Farina, uno dei primi giornalisti italiani, che ha instaurato un vero e proprio rapporto di amicizia con Hans Urs von Balthasar, ha accolto la mia richiesta di scrivere per il mio blog un articolo su un libretto di Balthasar riguardante il "Credo" della Chiesa Cattolica. Lo ringrazio di cuore. Il dodici agosto di questo hanno abbiamo festeggiato il 110esimo compleanno del teologo svizzero. Roberto Graziotto
Il Credo
Milano. Volentieri accolgo l’invito del professor Roberto Graziotto a scrivere non tanto una recensione - non ne ho i titoli - quanto il racconto di ciò che ha suscitato ed è rimasto in me del volumetto di Hans Urs von Balthasar “Il Credo- Meditazioni sul Credo Apostolico” (Jaca Book, Milano, 1990, traduzione dal tedesco di Luigi Frattini, pp 77). Avevo letto questo testo appena uscì. L’ho ripreso per attrazione giusto ieri, mentre cercavo qualcosa di Balthasar su San Bernardo, di cui si celebrava la memoria liturgica. Sentivo il bisogno di ridire il Credo con la mente di Balthasar. Nella prefazione Medard Kehl sj sostiene trattarsi dell’ultima opera del teologo di Basilea. Durante il 1988 H.U.v.B. aveva composto dodici meditazioni, una per ogni articolo del Credo, per la rivista pastorale delle diocesi Aquisgrana, Berlino, Esse, Hidelseim, Colonia e Osnabrück.
La lettura per me è stata come immersione (battesimo) nella Trinità e nel suo dramma cui io sono stato reso partecipe in queste pagine. Davvero la teologia di Balthasar è coincidente con la sua fede. E la fede non è l’assenso alle frasi che dicono il dogma, ma alla Realtà dinamica (essere-azione) del Dio onnipotente e creatore. La teologia di Balthasar non si chiude, essa come dice l’etimologia di Chiesa è “chiamata fuori” (pag.61), dunque il suo racconto balbettante e stupito non viene sigillato nelle pagine di un libro, neppure in quella delle “opere complete” di nessun grande teologo o pastore. Ogni volta è nuova. Perché è Dio ad essere così.
A pag. 33 esplora così il primo articolo “Io credo in Dio, Padre Onnipotente”. “Quello che vi è di più imperscrutabile nel Mistero di Dio sta in ciò: che l’assolutamente Primo non è una realtà riposante e concepibile in sé, bensì tale che consiste unicamente nel donarsi: sorgente zampillante senza bacino dentro di sé cui attingere; atto generativo senza contenitore seminale, senza organismo che compia un tale atto. E’ nel puro effendersi dell’atto, se vogliamo, che Dio Padre è egli stesso (in modo inaudito) una ‘Persona’”. Non da intendersi “come qualcosa di oscuramente elementare, di eruttivo e prelogico, poiché il suo darsi si presenta ad un tempo come un pensarsi, un dirsi, un esprimersi (Eb 1,3): il Logos (...) è ciò che ne risulta”. A sua volta questo autoesprimersi del Padre non è qualcosa di forzato. Ed anzi è l’ordine di ogni libertà, ma non nel senso dell’arbitrio, bensì di un superiore autopossedersi dell’Amore che si dona.
Mi chiedo. Come si fa a non dire: io credo! Balthasar non dice parole, ma è come se accompagnasse dentro questo Amore. E uno è indotto grazie alla testimonianza di una scrittura-poesia-esperienza (teologia in ginocchio, che è espressione coniata da Balthasar nel 1948) a inchinarsi e bere quest’acqua. Attenzione: non “Noi crediamo”, ma “Io credo”. Infatti, a proposito di “remissione dei peccati”: “Se l’uomo crede nel miracolo, esso viene a lui accordato secondo i modi e le regole stabilite da Cristo e dalla Chiesa. A ottenerlo è sempre il singolo. Non si può battezzare un popolo, assolvere un popolo, ma, anche se molti sono insieme riuniti, sempre e solo quella determinata reso a che, come l’emorroissa del Vangelo, viene sfiorata dalla veste di Cristo”, pag. 66.
Bisognerebbe ripercorrere ognuna delle poche decine ma fittissime eppure ariose pagine, ma le sciuperei di certo. Raccolgo la domanda del professor Graziotto che mi chiede della teologia del Sabato Santo. E’ l’articolo IV del Creso apostolico. “Patì sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese all’Inferno”. Balthasar sostiene che Gesù aveva “in anticipo parecchi particolari della Passione”. Legge, se così si può dire, la psicologia del Nazareno mentre soffriva e moriva. Egli in nessun mondo in quei momenti aveva presente la “prospettiva della resurrezione di due giorni dopo”. Le sterminate età dell’umanità sono raccolte in quei chiodi, “per il Sofferente la Croce diviene atemporale”. Nessuna speranza per lui. Perché il peccatore può sperare, il peccato no, e “Cristo, per amore nostro, Dio ‘lo trattò da peccato’ (2 Cor 5,21). Da morto discese all’Inferno, tra i morti “e non come un Vivente-Vittorioso col vessillo pasquale, quale lo raffigurano le icone orientali, anticipando la resurrezione al sabato santo. La Chiesa ha proibito di cantare l’alleluia in questo giorno”. Eppure questo nuovo Morto è diverso. La sua morte fu “per amore insieme divino e umano (...) e l’amore è ciò che c’è di più vivente”. Nella sua più estrema solitudine questo Morto per amore viene partecipato ai morti (1 Pt 3,19). Da questo momento la morte ha un significato tutto diverso. “Dal sabato santo in poi la morte si fa purificazione”. Il Signore morto ha perso una strada dalla perdizione al Cielo. “Discendendovi (nell’Inferno), Cristo ha aperto l’accesso al Padre”.
Qual è la tentazione, accettando il percorso linguistico di Balthasar? E’ presto detta: la Gnosi. Il sentirsi pregni di una comprensione del Mistero, proprio quando si pretende di afferrarlo nella sua conclamata inafferrabilità. Solo un cattivo lettore e un pessimo discepolo del maestro può scivolare in questo incantamento. Egli costantemente rimanda alla Chiesa, alla sua temporalità, ai suoi sacramenti. La comunione dei santi (delle cose e delle persone sante) è parte non disarticolabile del Credo. La salvezza, il giudizio finale, dipenderà dalla fede-azione, praticata nella comunione dei santi, con cui comprenderemo-attueremo “l’altezza la profondità dell’amore di Cristo che oltrepassa ogni conoscenza (gnosi)” (cfr Ef 3,18 s.) La domanda decisiva che ci sarà rivolta da Cristo non è se e quanto abbiamo conosciuto, ma sulla misericordia: “Abbiamo usato misericordia oppure abbiamo amato solo noi stessi?” (Pag 48).
Debbo aggiungere che di impressionante bellezza mi sono parsi i brani riferiti alla Madonna. Scrive a pagina 40: ”’Nacque da Maria Vergine’. Ecco un grande campo di battaglia”. Le pagine sulla perenne verginità della madre di Cristo sono un grido contro il “nostro tempo” con la sua “fede minimalistica” per cui “il credente è dispensati dal prestar fede al miracolo di un parto pur esso verginale”. Egli ritiene che questa realtà di perenne verginità sia il mostrarsi della “fecondità non per una rinnovata mortalità, ma in vista della vita eterna: un elemento determinante per una più significativa comprensione del corpo e della sessualità”. Non è in queste pagine che si diffonde sul tema, e credo sia in “Sponda Verbi” dove piuttosto abbia illustrato questa verità. Ma io credo. Credo.
Altra questione. La verginità di Maria durante e dopo il parto per Balthasar non le fa risparmiare alcun dolore. Scrive: “Si noti bene che non per questo a Maria vengono risparmiate le doglie - morali e fisiche - dell’attesa: esse sono solidarietà col popolo eletto e anticipatamente con il corpo di suo Figlio (cfr. Ap 12,2), ma con la Natività l’Antica Alleanza e la sua attesa sfociano nell’adempimento totalmente altro della Nuova”.
Nessun commento:
Posta un commento