lunedì 12 aprile 2021

"Non incriminò il mondo. Salvò il mondo" (Charles Peguy) - riflessioni di un Contadino di Peguy

(12.04.21) L'uscita dell'antologia della prosa di Charles Peguy, a cura di Pigi Colognesi, Il fazzoletto di Véronique, Lugano-Siena, 2020, è l'occasione per riflettere sulla mia attività di "contadino di Peguy" (penso al gruppo fondato il 31.08.2014 in Facebook  e che attualmente conta 1.749 membri) e ancora più sull'autore stesso, sul grande poeta francese, che è stato oggetto di una delle monografia degli "Stili laicali", in Gloria, di Hans Urs von Balthasar e che don Luigi Giussani, più di tutti, ha fatto conoscere in Italia. 



Per quanto riguarda il gruppo si tratta di un gruppo di amici che ha sentito il bisogno di comunicare agli altri la propria affezione per Papa Francesco. Nessuno di noi è un "giornalista professionista", così come voleva Peguy per il suo tentativo fallito di giornale "socialisticamente socialista" dell'inizio del XX secolo. Gli amministratori del gruppo hanno tutti un altro mestiere. La distanza di vita e di luoghi degli amministratori non ha permesso un vero lavoro redazionale, sebbene ci siano stati sempre dei tentativi di farlo, ma almeno è così che anche per il nostro gruppo vale quello voleva Peguy per il suo giornale e per la sua persona: "Non esercito alcuna autorità. Non avevo alcun comando" (ibidem, 38). Non c'é un capo o un priore del nostro gruppo. 

Per quanto riguarda la persona di Peguy vorrei in questa prima meditazione sottolineare alcuni aspetti. Nella sua prefazione don Julian Carrón cita dalla pagina 349 dell'antologia una frase di Peguy sulla conoscenza: "Ogni azione, ogni vita, ogni essere, che sempre e per definizione è reale, rifugge, quanto più possibile, come la più nemica, ogni conoscenza intellettuale, ma assorbe, come fosse se stessa, ogni conoscenza reale...Ogni conoscenza intellettuale, ogni conoscenza nel senso che i moderni hanno contribuito a questa parola, ...non essendo in alcun modo radicata nella realtà, ...non è nemmeno conoscenza". Su questo punto io sarei più "prudente" nel giudizio. Nella sua "Grammatica dell'assenso" John Henri Newman fa a sua modo anche questa differenza tra conoscenza reale e conoscenza intellettuale e l'intento ultimo della "grammatica dell'assenso" è certamente l'assenso reale e non solo nozionale, ma il santo inglese sa rendere meglio conto di quel "quanto più possibile" di cui parla anche Peguy: anche la conoscenza intellettuale ha una sua legittimità e non è necessariamente "nemica" di quella "reale". 

Mentre sento come assolutamente necessario e vero un tema che ho incontrato anche in Etty Hillesum: quello del non incriminare e non accusare nessuno. Peguy lo presenta in modo specificamente cristiano, come la modalità dell'agire di Cristo stesso: "Non incriminò il mondo. Salvò il mondo" (Charles Peguy). Dal nichilismo da cui siamo soffocati - il grande tema di don Carrón - non ci salva il risentimento, ma "fare il cristianesimo", nella modalità di un amore realmente gratuito che non ha da difendere nulla! Proprio nulla! Anzi che sa "che non si è uomo se almeno una volta nella vita non si è rimesso tutto in discussione" (antologia pagina 113; frase citata da don Carrón, ibidem, 16). 

Peguy è libero nei suoi giudizi, in modo particolare lo vediamo nella sua difesa, come socialista, di quel cittadino borghese che era l'ebreo Dreyfus: gli altri socialisti "per non avere difeso i diritti di un cittadino borghese, hanno difeso i borghesi che violavano quei diritti...La neutralità è impossibile, non aiutare quelli che hanno ragione è in realtà aiutare quelli che hanno torto" (ibidem, 35). Il mio dialogo interiore con il giornalista Glenn Greenwald, che mette in dissuona la prosa pro Joe Biden di molti cattolici che mi sono amici è da situare in questo contesto di una reale difesa del vero, anche se con essa sembra che io voglia mettere in dubbio cose ovvie come: Biden è meglio di Trump. 

Infine, per oggi, vorrei riprendere quello che ha detto Alain Finkielkraut, citato da Pigi Colognesi, nella sua nota di lettura: "Un avvenimento è qualcosa che irrompe dall'esterno. Un qualcosa di imprevisto. Ed è questo il metodo supremo di conoscenza... Bisogna ridare all'avvenimento la sua dimensione ontologica di nuovo inizio" (ibidem, 19). La mia traduzione italiana di "Homo Abyssus" von Ferdinand Ulrich è il tentativo, come work in progress, di mettere in atto la dimensione ontologica dell'avvenimento, che ovviamente è il tema che più ha interessato don Luigi Giussani. Il dono dell'essere come amore è davvero un avvenimento sorprendente che irrompe dall'esterno, ma che in quanto dono radicale e libero d'amore ci permette di comprendere anche quella lealtà cristologica di cui parla Peguy: "perché l'incarnazione fosse piena ed intera, perché fosse leale, perché non fosse limitata o fraudolenta bisognava che la sua storia fossa una storia di uomo, sottomessa allo storico" (antologia p. 571), costi come: perché l'atto di donazione dell'essere non fosse fraudolento, doveva incarnarsi in quello che Ulrich chiama "il movimento di finitizzazione dell'essere", fino alla sua dimensione storica, fino alla sua dimensione di fondazione di una reale libertà di risposta d'amore ad un atto d'amore, nella piccola via dell'esperienza. 

(13.04.21) Riprendo una delle citazioni di Don Carrón, leggendo tutto il capitolo V dell'antologia  da cui è tratta, è che porta il titolo: Viva la differenza. "La condizione preliminare, indispensabile, senza la quale si può diventare storici della filosofia, ma senza la quale non si è un vero filosofo è che almeno una volta si sia rimesso tutto in discussione. Personalmente, sotto la propria responsabilità, per proprio conto, a proprie spese, a proprio rischio. Allo stesso modo, non si è un vero artista se non si è rimesso in discussione per proprio conto i dati precedenti. Ma, più profondamente... non si è un uomo se almeno una volta nella vita non si è rimesso tutto in discussione. Sventurato chi non ha almeno una volta, per un amore o per un'amicizia, per una carità, per una solidarietà, rimesso tutto in discussione, messo alla prova gli stessi fondamenti, analizzato per proprio conto gli atti più semplici. Sventurato e poco rivoluzionario" (Peguy, ibidem 113). 

Mettere in pratica quello che dice qui Peguy, nella sua fase socialista (intorno al 1901),  non è per nulla facile. Volevo scrivere qualcosa ma il raffreddore non mi permette di concentrarmi a lungo. Ma se voi stesse che leggete ci pensate su sul serio, vedrete come è difficile quel mettere tutto almeno una volta in discussione, ed ancor più difficile e farlo come un atteggiamento abituale in un dialogo: noi spesso ripetiamo solo ciò che pensiamo anche prima del dialogo e l'altro è solo una "scusa" per ripetere i nostri pensieri. In verità solo con poche persone ho fatto questa esperienza di libertà di cui parla Peguy, per esempio con Ulrich che mi invitava sul serio ad "ucciderlo". Non so se avrei la libertà, anche con persone che stimo molto, di essere come ero con lui. Per esempio di dire ad un amico che il suo secondo libro su un argomento mi convince molto di meno che il primo e che con il secondo ha minato il meglio del primo, tanto per fare un esempio. 

Parlando la settimana scorsa con la mia figlia di 26 anni mi accorgevo come è importante ripensare davvero tutto, senza essere una tabula rasa, ma comunque con la ferma volontà di non essere uno "sventurato" nel senso di Peguy. 

Il pensiero unico e lineare è sempre un problema, anche quando abbiamo una buona intuizione.  Anche perché già a livello ontologico abbiamo a che fare con una differenza, con una non linearità tra essere ed ente. L'essere come dono d'amore è sempre una sorpresa e non vi è nessuna linea che colleghi l'atto del dono dell'essere con chi lo riceve radicalmente. Non solo l'umanità (cfr. p. 112) ma anche Dio donando l'essere non è "un avaro capitalista che ammassa e affastella". 

Che Cristo nella sua preghiera d'addio insista così tanto sull'unità (Gv 17) non è una questione di pensiero unico, perché l'unità di cui lui parla è quella della differenza trinitaria come amore. Il Figlio non è il Padre, anche se procede radicalmente dal Padre, etc.  

(21.4.21) Metto qui una meditazione che ho fatto in un gruppo chiuso dedicato ad Adrienne von Speyr, che come "spirito" è molto vicina a Peguy. 

Sulla questione del cristianismo
Adrienne von Speyr, Discorsi polemici. Commento al Vangelo di Giovanni, capitoli 6-12, Einsiedeln 1949 (I discorsi polemici, Milano 1989, traduzione di Carlo Danna)
Preghiera (io ho scelto questa, che è fondamentalmente quella che Ignazio di Loyola chiede di ripetere sempre all'inizio di una giornata di esercizi; il santo spagnolo ci tiene che la preghiera sia sempre la stessa, però per te che leggi non deve essere questa mia).
Da Te, o Dio, nostro Signore chiedo la grazia, che tutte le mie intenzioni, azioni ed tutti i miei interessi, siano ordinati semplicemente al Tuo servizio e per la gloria della Tua divina maestà e del Tuo divino amore.
Amen!
Gv 8,19 "Gli dissero allora: "Dove è tuo padre?". Rispose Gesù: "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio".
Testo greco: ἔλεγον οὖν αὐτῷ· ποῦ ἐστιν ὁ πατήρ σου; ἀπεκρίθη Ἰησοῦς· οὔτε ἐμὲ οἴδατε οὔτε τὸν πατέρα μου· εἰ ἐμὲ ᾔδειτε, καὶ τὸν πατέρα μου ἂν ᾔδειτε.
Perchè il "giudeo in noi" (il cristianista in noi) non conosce né Cristo né il Padre? I cristianista in noi si trova di fronte ad una "rivoluzione" - così traduce Carlo Danna la parola tedesca "Sprengung" (far saltar in aria). Gesù fa saltare in aria gli schemi cristianisti, se vogliamo usare questa parola di Remi Brague, che definisce il cristianismo come un'entità che ama più il cristianesimo che Cristo, sebbene egli stesso con la sua posizione sull'Islam non sia del tutto coerente con il suo avvertimento a non confondere Cristo con la cultura occidentale cristianista. La posizione di Lucio Brunelli, che ha usato questa parola in Italia, è più coerente, non tanto quando parla di politica, ma nella sua amicizia autentica con il Santo Padre, che non può essere ridotto ad alcuna forma di "lotta" - il papa è il papa di tutti!
Quale è lo schema che Cristo fa saltare in aria? Quello della "giustizia rigorosa, che essi (noi; rg) sono disposti ad applicare agli altri" (Adrienne); in quest'ultima non vi è alcun spazio per "l'amore che trapassa ogni giudizio" (Adrienne). Ogni tribunale (Gericht significa, giudizio e tribunale)! Nel momento che l'opzione politica, qualsiasi essa sia (se io sono dalla parte di Trump o Biden non fa differenza, che seppur in modo diverso possono essere visti come "opzione constantiniana"), vede un nemico assoluto o quasi da combattere, ha già perso l'accesso al cuore di Cristo. Per alcuni il nemico è l'Islam, per altri l'America.
Le donne nella storia della Chiesa (da Giuliana di Norwich fino a Adrienne passando per la piccola Teresa...) hanno compreso più degli uomini che fanno volentieri "dibattiti", come batta il cuore di Cristo, che attira tutti a sé, anche quelli che fanno delle valutazioni politiche sbagliate. Le donne nella storia della Chiesa hanno compreso cosa ci ha detto il francescano Cantalamessa nella sua critica all' "opzione politica". La grandezza di Balthasar, che non può essere compreso né psicologicamente, né filologicamente, né teologicamente, senza Adrienne, sta tra l'altro nel avere preso sul serio questa sfida femminile. Come ha fatto anche Ulrich, a suo modo, con la sua filosofia del dono dell'essere come amore, che di fatto è una antropologia mariana.
Cosa vuol dire dire si a Cristo? Amare chi il Padre ci ha mandato, "anche se il cammino dovesse comportare disprezzo, ingiurie, passione, croce e sepolcro" (Adrienne). Tra il Padre e il Figlio non vi è nessuna lotta, ma unità amorosa e laddove nella Croce o nella discesa all'Inferno sembra esserci una "separazione", questa separazione è la medesima cosa che l'unità; perché sulla Croce, così mi disse Balthasar nella sua prima lettera, è rivelato tutto l'amore del Padre. Ed ora che la passione teodrammatica è finita - per sempre! - l'amore trinitario è come un "mare senza correnti pericolose". In esso possiamo fare il bagno con tutti i nostri problemi.
L'amore che Cristo rivela è la giustizia del Padre e la giustizia del Padre è l'amore del Figlio: i morti in guerra (Siria, Yemen...), nel Mediterraneo e tutte le altre forme di violenze che Papa Francesco ci ha fatto comprendere non sono conciliabili con l'amore di Cristo. Nei bambini uccisi o che soffrono la fame in Yemen è presente Cristo nella forma del "disprezzo, ingiurie, passione, croce e sepolcro", come lo è nei bambini nel grembo della madre che vengono uccisi nelle nostre cliniche (cfr. Mt 25, Ia scena del giudizio, in cui Cristo dice che ciò che abbiamo fatto al più piccolo dei suoi, lo abbiamo fatto a lui).
Roberto, un piccolo amico di Gesù

(25.4.21) Amo la verità ed ogni libertà. 

Dovrebbe capirsi ugualmente anche senza leggere la "fonte", ma quello che scrivo in questa meditazione presuppone la lettura dell'introduzione di Pigi Colognesi al capitolo II "Il metodo dei "Cahiers" (Il fazzoletto di Véronique, 49-54) e quello che scrisse Charles Peguy stesso nel 1900 e che si trova nell'antologia nel paragrafo "le critiche ad personam" (63-68).

Anche se sono cosciente che Peguy è più grande di me ed anche se capisco la differenza tra i "Cahiers" e il mio "Diario di Roberto Graziotto" in questo blog e in genere i miei interventi nella mia pagina di Facebook, da ormai più di un decennio (brevi aforismi, diario scolastico, foto, brevi frasi e tutti gli interventi nel gruppo i "Contadini di Peguy" (questo gruppo esprime un grande amore per Papa Francesco)) e gli articoli (ca. un centinaio scritti per Il Sussidiario), devo avvertire il lettore di questa meditazione che io penso che vi sia un legame molto stretto tra il modo di lavorare di Peguy, allora socialista, e il mio lavoro, di cattolico. La mia presenza pubblica ha un senso, solo uno: "dire la verità" ed un'intenzione: deve aver a che fare con la mia persona e non risparmia critiche ad personam (anche se su questo devo crescere in coraggio). È per me del tutto importante "non asservire consapevolmente una verità riconosciuta ad un interesse di parte, di non piegare la parola ad un tornaconto, fosse anche quello del proprio riconosciuto ideale socialista" (Colognesi, 49). In questo contesto devono essere intese anche le critiche che mi sono permesso di fare a CL, che non hanno avuto un gran eco, perché fondamentalmente CL si occupa intellettualmente solamente di intellettuali famosi che la osannano o comunque di intellettuali famosi (per esempio cfr. le continue citazioni di Houellebecq). Quando una volta, anni addietro, parlai con Vittadini a Rimini, egli sapeva chi ero, ma non ha degnato di alcuna attenzione all'argomento che stavo cercando di spiegarli (è solo un esempio; se mi ricordo bene si trattava del modo molto italiano di interpretare la crisi in Europa che avevo ascoltato allora a Rimini), mentre parlavo non ha smesso di guardare nel suo telefonino. E in genere qui in Germania ho la fama di un "ribelle", sebbene sia nate anche collaborazioni notevoli come il fondo Papa Francesco per famiglie disagiate nella nostra scuola. Neppure il fatto che il mio blog proponga un confronto serio della mia persona con persone come Agostino, Massimo il Confessore, John Newman, Hans Urs von Balthasar, Adrienne von Speyr, Etty Hillesum, Hannah Arendt, Paolo Dall'Oglio, Ferdinand Ulrich Luigi Giussani, Leonardo Sciascia, Marc Ouellet, Julián Carrón, Massimo Borghesi, Alver Metalli, Lucio Brunelli, Renato Farina, Federico Picchetto..., insomma che sia espressione di un lavoro culturale straordinario non cambia nulla al fatto che la mia persona non vale la pena di essere citata. Il Diario si chiama così perché vuole seguire Peguy su un punto importante: "Non ritiriamoci dal mondo vivente per considerare le promesse siderali o per contemplare una città celeste" (Peguy, ibidem 50). Ma tutto ciò che ho scritto si trova in un tentativo di tenere aperta la polarità tra urgenza della vita e studio di grandi autori. Il Diario poi nella sua intenzione contiene anche interventi non miei, ma di persone che fanno parte della mia  vita: un commento al "Padre Nostro" della suora carmelitana Cristiana Dobner; alcuni brevi racconti di Giulia De Angelis, che ha vissuto anche in Siria; un testo in francese del padre gesuita Jacques Servais sul sacerdozio...Ho proposto anche una mia biografia intellettuale, "Libri ed altri ricordi", in cui lo spettro delle mie mie amicizie e delle mie letture è stata presentata con grande accuratezza. 

Il mantenimento economico della mia famiglia - questa è una grande differenza con Peguy - non dipende da questo lavoro di presenza pubblica, ma dal duro lavoro educativo di mia moglie e me nella diaspora. Allo stesso tempo è chiaro che per far si che questo lavoro culturale abbia una ricaduta anche nel mio lavoro educativo ci sto mettendo anche della mia salute per mantenere questo ritmo e poi anche l'attenzione a persone non famose che cercano un reale dialogo con me. Comunque è vero che io ho una garanzia di lavoro che Peguy non aveva. 

Infine per quanto riguarda il tema delle critiche ad personam la penso come Peguy: non mi fa alcun piacere farle, ma a volte bisogno sposarsi le mani con una presa sul serio radicale del "amicus Plato, sed magis amica veritas": detto da me, che mi affeziono tanto agli amici o alle persone che mi sono "amiche", questa frase è una vera sofferenza. Un dialogo tra uomini liberi - questo è il mio ideale. "Le virtù salottiere, per vigliaccheria fanno commettere più crimini di quanti i vizi ne facciano commettere per tutte le debolezze comuni" (Peguy, ibidem, 64). E con Peguy posso dire che "Amo ogni libertà" (64) e per questo leggo un giornalista come Glenn Greenwald, che ha un modo di vedere la storia americana del tutto diverso dei grandi organi di stampa rinomati. Dice Peguy (non trovo la citazione): quando si va a pulire le strade come spazzini ci si sporca, ma non si rimane per questo a casa. Per questo avevo pubblicato nel mio blog un post molto letto (nei confondi degli altri post) sulle miserie dei "Memores Domini". 

Qualche anno fa, viveva ancora Cornelia Capol, sono stato invitato a Basilea a tenere una conferenza nella data della memoria di Balthasar (il professore universitario che mi introdusse si annoiò, ma il vescovo Henrici SJ disse che era una buona testimonianza). Il tema era la priorità del compito sulla biografia (credo che quanto scrissi si trovi nel gruppo in tedesco intitolato oggi "Dolomitenfahrt" in Fb). Anche qui vorrei distinguere tra persona e biografia e Peguy stesso ne tiene conto quando dice: "L'operaio che lavora e che pensa al lavoro che vuole fare non pensa al suo atteggiamento" (Peguy, ibidem 66). La biografia è più una storia di atteggiamenti, mentre il compito che facciamo ha davvero a che fare con la persona che siamo. 

(28.4.21) Come approfondimento di quanto ho scritto il 25.4.21 in questo post (amo la verità ed ogni libertà) metto qui la meditazione odierna, che ho fatto nel gruppo chiuso dedicato ad Adrienne von Speyr in Facebook. 

Sui limiti della visibilità del cristianesimo e sul mistero del Padre

Adrienne von Speyr, Discorsi polemici. Commento al Vangelo di Giovanni, capitoli 6-12, Einsiedeln 1949 (I discorsi polemici, Milano 1989, traduzione di Carlo Danna)
Preghiera (io ho scelto questa, che è fondamentalmente quella che Ignazio di Loyola chiede di ripetere sempre all'inizio di una giornata di esercizi; il santo spagnolo ci tiene che la preghiera sia sempre la stessa, però per te che leggi non deve essere questa mia).
Da Te, o Dio, nostro Signore chiedo la grazia, che tutte le mie intenzioni, azioni ed tutti i miei interessi, siano ordinati semplicemente al Tuo servizio e per la gloria della Tua divina maestà e del Tuo divino amore.
Amen!
Gv 8,19 "Gli dissero allora: "Dove è tuo padre?". Rispose Gesù: "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio".
Testo greco: ἔλεγον οὖν αὐτῷ· ποῦ ἐστιν ὁ πατήρ σου; ἀπεκρίθη Ἰησοῦς· οὔτε ἐμὲ οἴδατε οὔτε τὸν πατέρα μου· εἰ ἐμὲ ᾔδειτε, καὶ τὸν πατέρα μου ἂν ᾔδειτε.
Con questo ultimo passaggio si conclude la meditazione su Gv 8,19. Adrienne ci dice con forza che non possiamo limitarci alla visibilità del Figlio e tanto meno di una comunità cristiana, ma che dobbiamo procedere, non per gradi, immediatamente, al Padre. "Sbagliano tutti quelli che nella comunione vedono e cercano solo l'amore del Figlio" (Adrienne). Nei giorni scorsi ho presentato l'ideal del cardinal Ouellet, che afferma che è il Padre a darci la comunione, come Sua risposta alla nostra richiesta di pane nel "Padre nostro": "L'eucaristia è l'amore del Figlio, ma non meno l'amore del Padre, poiché lo stesso Figlio è un dono dell'amore del Padre" (Adrienne).
Non è possibile "limitare" la propria spiritualità solo al Figlio, perché il Figlio è venuto ad annunciare il Padre. Non è possibile quindi essere appiccicati alla sola "visibilità del Figlio". Tanto meno alla visibilità di una comunità che non può che annunciare l'amore assoluto di Dio. Quando nel mio post su Charles Peguy ho criticato un tipo comunità che agisca con soli criteri di visibilità (autocompiacimento o compiacimento degli altri) ed ho detto che il lavoro non visibile del mio blog non è considerato perché io non sono "famoso", "visibile", non intendevo fare pubblicità alla mia persona, che forse deve rimanere non visibile per approfondire quel mistero di cui parla Ferdinand Ulrich nel suo ultimo libretto:
"Quanto più profondamente Maria è, nella lettura della Sacra Scrittura, „in sé“ e „così“ nel Signore, tanto più radicalmente lei è „uscita da sé“ (espropriata, privata delle sue cose), povera, nascosta, non riconosciuta, del tutto gratuitamente presente tra le più piccole delle sue sorelle e dei suoi fratelli - che sono anche i Suoi (del Signore). Ciò significa anche: lei si trova in povertà obbediente, sottoposta alla legge, legata al Signore (e con lui): „fissata“ al legno morto della dimensione letterale di stati di vita ed esistenziali che non cambiano. Solamente il sangue dell’agnello inchiodato e crocifisso può trasformare un tale luogo della morte apparentemente del tutto infecondo nel luogo della nascita della vita e della risurrezione. Può svelare il legno freddo della mangiatoia in una stalla puzzolente e il legno morto della Croce sul Golgotha come il legno vivente dell’“albero della vita“. " (Virginitas foecunda, prima edizione tedesca, 88).
Ma se il Signore desse ad un falegname o contadino la missione di proteggere la Chiesa e quest'ultima non se ne accorgesse perché egli non è famoso? La Chiesa prima o poi si accorge di tutto come possiamo vedere nella prossima santificazione di Charles de Jesus. Ma una comunità nella Chiesa deve mettersi davvero difronte al Padre e alla sua generazione, per scoprire, possibilmente non troppo tardi, la missione che lui da, anche a persone non famose e non visibili. In gioco non è la biografia di una persona, ma il suo compito di annunciare la gratuità dell'amore, che di fatto in ultima o prima istanza, è quella del Padre!
"Questa via al Padre attraverso il Figlio ha il nome di eucaristia", che è amore spezzato in miliardi di frammenti, senza perdere la sua forza totale: essere cibo che ci riempie "con l'eterno senza tempo, con l'incommensurabile e con l'illimitato" (Adrienne). Tutti i limiti dell'AT (legge, peccato) e quelli esistenziali (tempo, misura) hanno un loro senso nell'amore gratuito di Dio, annunciato definitivamente nel NT, più ancora nella singolarissima persona di Cristo. Il Signore ci vuole mostrare "il positivo, la pienezza di Dio nella pienezza dell'amore" e con questo amore gratuito darci "la chiave del vero senso di tutte le limitazioni e precedenti negazioni, la chiave dell'antica alleanza, del giudaismo, della legge e del peccato, nonché la chiave dell'incarnazione, della passione, del tempo in generale e della finitudine della propria vita" (Adrienne).
Ma tutto questo ci viene dato nel grande viaggio onto- teologico dal Padre al Padre: "se gli uomini lo conoscessero, sarebbero condotti attraverso di Cristo al Padre" (Adrienne). Non a se stessi. La vita appartiene al compito che il Padre ci da, non alla nostra biografia visibile. E questa attenzione ultima al Padre misericordioso potrà anche portare frutti nel dialogo con le nostre sorelle e i nostri fratelli mussulmani.

(14.8.21) Su filosofia ed arte

Come primo passo direi che come non esiste un'arte o una filosofia "socialista", non esiste un'arte o una filosofia "cattolica", a meno che si intenda con questo termine, ciò che questo termine in fondo davvero significa: non un "partito", ma un'universalità concreta, che riguarda l'uomo al cospetto del Dio che è amore. Il pericolo comunque di fare un'arte ideologica, che vede Peguy, nel termine "arte socialista", lo vedo anche nel modo con cui si usa l'arte nel modo cattolico. Cioè per fare il proprio discorso "ideologico" o per ritrovare nell'arte ciò che ha detto il proprio "guru" (il maestro ridotto a guru) - così si legge magari Dante, ma in vero si cerca solo una conferma delle "proprie" cose, che si continuano a "ripetere" del proprio guru. In un certo senso con la musica (Peguy parla più delle visite al museo) questa operazione è più difficile, all'infuori nel caso che si ripeta e si ascolti solo quello che ha detto ed ascoltato il proprio guru. Comunque: arte è scuola di visione e di ascolto. Il nemico di ciò è la subordinazione dell'opera alla dottrina (cfr. Peguy, Il fazzoletto di Véronique, 95). "Man spürt die Absicht und man ist verstimmt" (Goethe: Si percepisce l'intenzione e si è di cattivo umore").

L'arte e la filosofia sono scuole di libertà - citando il Bergson che Peguy ama: "Siamo uomini che preparano gli uomini perché siano liberi da ogni schiavitù, liberi da tutto, liberi da noi" (Peguy, Il fazzoletto di Véronique, 96, nota 10). Questo mio "Diario" vuole essere un servizio alla libertà - non è perfetto, ma è libero. Come ogni opera veramente libera ha un rapporto libero anche con i propri maestri - come Peguy lo ha avuto con Bergson ed io con Ulrich o Balthasar. Ed invita come ogni vero maestro alla libertà da sé. Un maestro non rinvia mai a se stesso. Bisogna sempre smettere di adorare il maestro, per imparare a discernere in modo libero. Una delle frasi che più mi ha colpito di don Giussani e quella che disse in un'assemblea di responsabili in cui tutti lo trattavano come un "guru": "non ho bisogno di voi". Ed uscì sbattendo la porta. Si tratta della stessa libertà della piccola Teresa, capace di morire a 24 anni.

Pian piano mi accorgo che questo mio diario è letto anche in Brasile o in Ungheria (come mi è stato detto ieri), ma la sua intenzione non è la "popolarità": "La popolarità non è che la decorazione della demagogia... (ed) ha un prezzo: sei ricattato da chi te la attribuisce; ricatto non meno grave se ad esercitarlo non è un padrone unico ma la massa del cosiddetto popolo" (Peguy, 94). Anche la massa del popolo della rete, che spesso non approfondisce un tema, ma salta da una bacheca all'altra.

Per quanto riguarda Bergson o per me per quanto riguarda Balthasar o Ulrich: l'impressione personale ricevuta negli incontri con Balthasar e leggendo le sue lettere, che mi ha scritto dal 1978 fino alla sua morte o negli incontri durati per ore e ore e per anni con Ulrich non può essere sostituita da nessuna lettura di libri, all'infuori che in questa lettura non si arrivi proprio al cuore dell'autore, come mi è accaduto con Newman o con Peguy, che ovviamente non ho conosciuto personalmente. Nel tono di Balthasar ed Ulrich non ho mai percepito alcuna "affettazione": tutto era profondità e precisione. Tutto era libertà o se si vuole obbedienza.

È stata per me una grazia conoscere due "geni" come Balthasar ed Ulrich: non sono stati solo uomini di talento (tra il talento e il genio c'è la differenza come tra non vita e vita, dice Peguy), ma geni e che non si possono gustare con dei gradi di conoscenza. Quando il padre del dottorato di Ulrich lesse il suo lavoro gli disse che non era il piccolo Mozart e che insomma il dottorato era scritto come lo avrebbe scritto un genio: per l'appunto, questa è la questione. Ulrich era il piccolo Mozart: sto ora traducendo questo colpo di genio che porta il titolo "Homo Abyssus". La risposta più convincente al nichilismo odierno che io conosca. Anche se ovviamente ci sono anche altre opere importanti: il mondo è bello perché è vario.
(19.9.21) Sul #potere (questo passaggio è dedicato a alla concezione del potere di Tolstoj - forse Peguy, che da più valore alle singole persone, non sarebbe stato d'accordo, ma mi sembra che valga la pena rifletterci su ciò che dice lo scrittore russo.)

Napoleone non potè ordinare la campagna contro la Russia e non l’ordinò mai“ (Lev Tolstoj, Guerra e Pace II volume, Epilogo VI). Questa frase mi ha fatto molto riflettere e mi fatto comprendere che non è semplice riflettere su cosa sia il „potere“. Tra un ordine ed un avvenimento vi è una certa „dipendenza definita“, ma non un rapporto di causa ed effetto. A parte che gli articoli di Glenn Greenwald hanno fatto vedere che l’avvenimento del Capitol del 6.1.21 racchiude una serie di narrazioni false, come quella del poliziotto che sarebbe stato ucciso da uno di coloro che protestavano con un estintore, mentre è morto per un infarto, senza che ci sia stata prima una lotta contro una persona specifica. Dicevo a parte questa ed altre narrazioni false, ancor più per Trump vale la frase di Tolstoj su Napoleone: non vi è mai stata da parte di Trump un ordine all’insurrezione al Capitol. Narrazioni di questo tipo non capiscono cosa sia il potere ed esagerano il ruolo che nel potere hanno persone singole, per quanto potenti. Certo dall’amministrazione Trump sono sorti alcuni pericoli, ma ciò vale per ogni amministrazione. Ed anche la mia critica in questi anni di „egoismo collettivo“ in riferimento a politici identitari era esagerata: l’egoismo collettivo ed anche individuale è certamente nell’aria, ma non è l’invenzione di politici come Trump o come Orban o chi sia. Ridurre lo sforzo di Papa Francesco, riassumibile nel titolo della sua ultima Enciclica, „Fratelli tutti“, ad una certa interpretazione del potere, vuol dire in fondo non comprendere che egli cerca di educare tutto il „popolo fedele di Dio“ e lo fa con grande discrezione e senso dei suoi limiti, perché egli sa, ciò che Tolstoj riassume sinteticamente in modo formidabile: „Soltanto la manifestazione della volontà divina, indipendentemente dal tempo, può riferirsi a tutta una serie di avvenimenti che si debbono compiere dopo anni o dopo secoli e soltanto la divinità non essendovi indotta da nulla, per sua sola volontà, può definire la direzione del moto dell’umanità; l’uomo invece agisce nel tempo e partecipa egli stesso all’avvenimento“ (ibidem). Credo che il pontificato di Bergoglio sia un punto di non ritorno della storia della Chiesa, ma non per le sue interpretazioni politiche, che possono essere anche solo in parte giuste. E credo che noi dobbiamo smettere di bisticciare su temi politici: ma semplicemente camminare nella storia come „servi inutili“ e così amici di Cristo.

#Breviaforismi

(8.10.21) Sulla polemica e sulle due bandi di preti (cfr. Il fazzoletto di Véronique, 386-391) - riflessioni sul caso Becciu

È chiaro che se Ernesto Galli della Loggia scrive qualcosa sul "Corriere" ha - almeno dal punto di vista giornalistico, che per esempio per Lev Tolstoj nell'epilogo di "Guerra e pace" è "l'arma più forte dell'ignoranza" (VIII) - un ben altro peso internazionale che se scrivo qualcosa nel mio blog. Galli Della Loggia non scrive in modo polemico, ma lascia intravedere che in questo, per alcuni versi spiegati da Renato Farina a "Radio Radicale", "non processo" contro il cardinal Becciu, sia in gioco anche l'autorità morale del Papa. Anche Lucetta Scaraffia, che avevo conosciuto al simposio del 2017 su Adrienne von Speyr a Roma, ha scritto in favore del cardinal Becciu - io pensavo che ci fosse una simpatia tra la femminista vaticana e il Papa, ma forse mi sono sbagliato e comunque si può avere simpatia per il papa, ma allo stesso tempo pensare che su questo punto egli si sia sbagliato; per quanto riguarda Galli della Loggia, certamente Papa Francesco non rientra nei suo schemi ideologici, ma vogliamo accreditargli una certa "simpatia", per la sua schiettezza e per il fatto che vi è veramente un'interpretazione del Papa che lo vuole ridurre ad una figura della sinistra liberale di quei media che Greenwald chiama "corporate" e che liberali lo sono solamente se si appoggia la loro narrazione del "grande teatro del mondo".

Charles Peguy, il grande difensore di Dreyfus, capitano alsaziano di ordine ebraica, accusato ingiustamente di spionaggio a favore della Germania, messo in ballo da Galli della Loggia nel suo articolo, ha nel suo modo di argomentare uno stile incalzante, ma non polemico per la polemica (cosa che spesso non si può dire di "Libero", il giornale che si è messo a difendere il cardinal Becciu); contro i suoi fratelli socialisti argomenta che difendeva Dreyfus per la sua innocenza, mentre loro dicevano che non c'era nessun motivo di difendere un nemico di classe, per lo più di origine ebraica. Mi sto occupando del caso Becciu per motivi simili a quelli di Peguy e perché l'amico Renato Farina è tra i contendenti in questa discussione. Le domande che mi pongo sono quelle che si pongono tutti: questo cardinale ha affidato o no la gestione finanziaria dello stato vaticano a personaggi loschi, che forse hanno fatto sparire oltre 100 milioni di euro provenienti dall'obolo di san Pietro? Mia moglie ed io abbiamo dall'inizio della pandemia quasi ogni mesi offerto una cifra per noi considerevole a questo obolo e continuiamo a farlo perché ci fidiamo di Francesco, vescovo di Roma e vicario di Cristo. E poi domanda più piccola, ma ben importante: ha favoreggiato il cardinale dei suoi famigliari con l'affidamento di certi lavori?

In Radio Vaticana Renato Farina, con molta expertise sull'argomento, ha indicato tutti i difetti formali del "non processo" così che il responsabile attuale del processo ha "annullato i rinvii a giudizio". Il suo articolo su "Libero", con un tono che non mi piace, aveva già spiegato le contraddizioni in gioco. Bisogna dare atto che in Renato Farina vi è una "ferita" che riguarda la sua persona: con grande probabilità le accuse fatte a lui negli anni passati di collaborazione losca con i servizi segreti (rapporti con il Sismi con lo pseudonimo Betulla) a favore del rapimento di una giornalista, non corrispondono per nulla al vero o meglio un suo impegno per la salvezza di una collega è stato interpretato come crimine. Insomma quando Renato Farina parla della lesa dignità del cardinale ha certamente anche presente la sua dignità lesa e che anche all'interno della Chiesa viene data per scontata. Quindi lil suo articolo per "Libero" deve essere visto con una certa comprensione, anche se la battuta finale sulla pseudo povertà del pontificato rasenta l'idiozia. Peguy sa che vi è una "rabbia" che rivela il vero, ma è vero che tutto in Peguy nasce da una "inesauribile sorgente mistica", da una novità che accade con Gesù che non può essere ridotta a "nessuna fondazione di una regola" (ibidem, 386-387). Il cuore di Renato Farina batte certamente per Gesù, ma non tutto in lui sorge da questa "inesauribile sorgente mistica" di cui parla Peguy. Certo come polemista può ben avere il tono che ha, ma il suo tono non è libero del tutto da una dipendenza dalla "due bandi di preti", come nessuno di noi è libero da ciò. Il Papa stesso sa di essere un peccatore e non ama, come ha sottolineato ultimamente una giornalista tedesca, Gudrun Sailer, essere considerato un eroe. Ieri nel mio post su Newman ho spiegato precisamente quale sia il mio atteggiamento a riguardo del Papa: il mio si incondizionato al vescovo di Roma e vicario di Cristo non significa che egli, quando non parla ex cathedra, non faccia errori. E non solo spero, ma sono certo che se li ha fatti troverà un modo per scusarsi.

Ma ritorniamo alla due bande di preti: "i preti laici", che predicano oggi il credo della sinistra liberale o l'occidentalismo, e i "preti ecclesiastici" e di questi c'è ne sono sia tra i bergogliani che tra gli anti-bergogliani. Peguy si spiega così: "I preti clericali anticlericali e i preti clericali clericali. I preti laici che negano l'eterno del temporale, che vogliono disfare, smantellare l'eterno del temporale, quello che sta dentro il temporale" o, aggiungo io, che usano l'eterno del temporale per la propria ideologia. "E i preti ecclesiastici che negano il temporale dell'eterno" e quindi si perdono nei "filtri" giornalistici e giuridici della temporalità. La difesa dello stato di diritto è una cosa seria (in modo particolare in un tempo giustizialista come il nostro) e non è solo un "filtro", ma perché non lo sia essa deve nascere da quella inesauribile sorgente mistica che è l'avvenimento di Cristo, "spirituale e carnale" allo stesso tempo. Come fa notare Pigi Colognesi non si tratta in Peguy di una carnalità del disfacimento dei legami, ma della pianta che "se non vuole seccare, deve continuamente cercare la linfa vitale che l'alimenta alla sua radice più profonda" (370-371). Deve essere detto di passaggio, perché non è il tema di questo post, che nella nostra società trasparente la sfida di non sciogliere i legami, deve essere posta in modo diverso e con più "vicinanza, compassione e tenerezza" riguardante il nostro tempo di quanto si possa fare in nome di Peguy. Ma ritorniamo ai "preti clericali clericali" che smantellando il temporale dell'eterno si inabissano nel "solo temporale" (soldi, sesso...), "nel più basso materialismo" (389). 

Quale forma di clericalismo è più pericolosa? Questo è "assai difficile" da dire (Peguy) e certo il giudizio dipende dal tempo in cui si vive. Peguy pensa che più pericolosa sia comunque la versione clericale-clericale; per quanto riguarda il nostro tempo non lo so. Il clericalismo delle élite politiche e dello spettacolo non è meno problematico per le anime inquiete e tenere che interessano a Peguy). 

La mia anima inquieta e tenera cerca solo di non perdere quell'annuncio di amicizia di cui parla Gesù in Gv 15,9.

(2011.21) Ho cominciato a leggere il libro del missionario Agostino  Molteni, Il pensiero di Cristo. La logica dell'incarnazione redentrice secondo Charles Peguy, Siena 202, che vorrei qui solo citare ed indicarne alcuni spunti di lettura velocemente. Il primo capitolo porta il titolo "Il pensiero logico di Peguy" - su questa laicità del pensiero appartengono: 1. Una convenzione della misericordia che non è avvilimento: "Gesù non era venuto per avvilire l'ordine della natura umano" (21). 2. La convenienza e la lealtà in ogni pensiero, anche quello teologico: Dio dialoga con l'uomo e non distrugge l'uomo. 3. La giurisdizione universale del pensiero del singolo uomo, che non segue nessuno come un pappagallo. La dimensione ultima dell'obbedienza è una libertà che non intende se stessa come arbitraria. 4. Il pensiero ontologico come "movimento di finitizzazione civica", come "avvenimento". 5. Il lavoro intellettuale come quello di un cronista dall'interno, come per esempio ha fatto Alver Metalli nelle sue "Epifanie": una storia minima ontologicamente rilevante all'intento di una baraccopoli.

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