martedì 16 novembre 2021

La filosofia dell'essere come dono di amore gratuito nella baraccopoli la Carcova - in dialogo con Alver Metalli

Meditazioni sul libro di Alver Metalli, Epifanie. Racconti minimi di vita e di morte, Bari 2021

Questo post raccoglie in senso cronologico inverso alcune meditazioni sul diario di Alver Metalli nella baraccopoli (Villa) Carcova.  


(19.1.22) Siamo arrivati all'ultimo capitolo di questo confronto serrato con "i racconti minimi di vita e di morte". C'é in esso uno spiraglio, un interstizio aperto per osservare concretamente la gente di Alver e don Pepe e questo corrisponde al filo rosso di questo libro e del nostro commento, perché il dono dell'essere come amore gratuito è sempre un dono personale ed intende persone concrete: con la loro carrozzella, allenando dei ragazzi a giocare a pallone: con il loro compito concreto, vendendo biglietti della lotteria ed aiutando le persone al discernimento... e questa concretezza si estende anche agli animali e ai morti, che sono spesso più vivi dei vivi, come una ragazza di 22 anni morta in terra straniera o come il grande Maradona... Anche la mia gente tedesca, in questi anni di vita nella diaspora, ha assunto dei volti concerti, come i due ragazzi che a distanza di dieci anni si sono suicidati (la nostra peste più terribile della peste), come i colleghi che sono morti, come un ragazzo che è stato ucciso è gettato nel piccolo fiume Weisse Elster, come una studentessa che è oggi giudice a Colonia e che ci (a mia moglie e me) è ancora amica, come la donna sempre gentile che vende nel nostro bar della scuola, come il nostro don Camillo in parrocchia che ci ha accompagnato in tanti progetti, per esempio nei nostri viaggi in Armenia e nelle Dolomiti. Per quanto riguarda questo tempo di covid infine direi che il sistema sanitario tedesco è molto forte e mi è giunta la voce solo di alcuni autisti dei nostri bus, che portano i ragazzi a scuola,  e di qualche nonno/a che hanno perso la loro vita nell'immediatezza della nostra quotidianità...L'essere viene donato gratuitamente e personalmente in un movimento che Ulrich chiama di "finitizzazione", insomma rendendosi finito, concreto ed incontrabile. Ed anche da noi il Figlio di Dio nasce, anche se vi sono poche persone che ne confessano l'amore gratuito e presente - e nasce per confessare il suo amore e la sua tenerezza per noi. Ed anche da noi la Chiesa è davvero in uscita ed ospedale da campo, anche se le modalità sono differenti, meno romano-cattoliche, più ecumeniche e anonime. 

Ed alla fine un grazie: grazie Alver per i tuoi racconti che hanno generato in me un'attenzione alla concretezza dei volti che forse - maxima culpa del filosofo - non avrei, perché spesso immerso nell'universalità del pensiero, ma come te in attesa di un fratello o di una sorella, universali e concreti, che ci portino la carezza di Gesù. Un abbraccio dal piccolo amico di Gesù in terra tedesca.  

(15.1.22) Nel penultimo passo di questo lavoro su "Epifanie" vorrei porre la domanda: che cosa è davvero necessario in tempo di pandemia? L'amore, la solidarietà. Certo una peste di questo tipo non può essere affrontata senza le cure mediche necessarie ed in primo luogo senza i vaccini, che la impediscano al sorgere, o che per lo meno ne impediscano un decorso fatale, ma senza l'amore, anche i vaccini sono solo il prolungamento di una vita senza senso. Da Alver Metalli impariamo che l'amore di cui stiamo parlando "non è qualcosa di automatico e neppure si improvvisa da un giorno all'altro" (130). "Per poter alzarsi in piedi e far fronte ad avversità che toccano indistintamente la vita di tutti ci deve essere una sensibilità educata al bisogno, una catena di esperienze piccole e grandi di aiuto alla necessità degli altri"(130) - ci vuole tutta una tradizione, che Alver nomina come quella benedettina dell' ora et labora. Ci vuole, per usare un'espressione cara al papa argentino, "il santo popolo fedele di Dio", che prega i Santi e la Madonna, che ha fiducia appunto in Dio. Ci vogliono delle persone concrete come il sacerdote José Maria di Paola e tutto un gruppo di sacerdoti che hanno preso sul serio da sempre, quello che è diventato il magistero di Papa Francesco e per quanto riguarda Alver Metalli stesso ci vuole un'ispiratore ultimo che viene nominato da Lucio Brunelli nella sua introduzione. Metalli parla solamente di una foto che lo ritrae con lui, senza farne il nome, in un aeroporto e che menziona all'inizio e per l'appunto ora quasi alla fine del libro (20, 129): "don Luigi Giussani, suo amico e padre nella fede" (15), un amico ed un padre che non è però un guru isolato, ma che fa parte di quella grande storia che è la storia di tutta la Chiesa. 

Credo che per un tedesco, dopo la tragedia di Auschwitz, ci sia una certa vergogna ultima - qualora ne sia ancora cosciente - da superare e le persone che si opposero ad Hitler, con la loro giovane vita e sono tanti (Hans e Sophie Scholl, Dietrich Bonhoeffer... tanto per citarne qualcuno, con accento ecumenico) sono un aiuto per essere con orgoglio tedeschi. Dopo la catastrofe della pedofilia vi è anche una vergogna ultima nell'essere cattolici e questo popolo di Dio di cui Alver ci ha raccontato la storia, questi sacerdoti  e questi laici delle baraccopoli con la loro "solidarietà generosa, caparbia, contagiosa, che ha sfamato migliaia di persone tutti i giorni, ha realizzato rifugio per l'isolamento degli infetti, ha allestito ricoveri per chi era a rischio, ha disinfettato strade, cortili, piazze, giardini e scuole perché potessero giocarci i più piccoli con una certa sicurezza" (129) sono un aiuto reale e concreto per essere con orgoglio cattolici, così come lo possiamo, noi che viviamo in una società trasparente e pornografica (Byung-Chul Han), che ci bombarda con altri messaggi: "è molto difficile lottare contro la propria concupiscenza e contro le insidie del demonio e del mondo egoista se siamo isolati. È tale il bombardamento che ci seduce che, se siamo troppo soli, facilmente perdiamo il senso della realtà, la chiarezza interiore e soccombiamo" (Papa Francesco, Gaudete et Exultate, 140). Soccombiamo ad un egoismo individuale e collettivo che sta infestando il mondo, ancora più della peste Covid. 

(12.1.22) Verso la fine del Vangelo di san Giovanni, l'autore ci rivela che "colui che il Signore ama" è Giovanni stesso, così quasi alla fine di "Epifanie" posso rivelare che "colui che scrive" sono io, Roberto Graziotto, e che Metalli è il mio amico Alver, che nel suo blog "Controluce" ha messo un link che rimandando al mio commento svela l'identità di chi scrive. Schiacciando il nome dell'amico, che ora segue, si entra nel blog di Alver Metalli . Ero rimasto fino ad ora piuttosto nell'oggettivo, perché non volevo che quanto andavo scoprendo in questo libro dell'amico fosse solo una questione di attrazione soggettiva. Il filo rosso della filosofia dell'essere come dono d'amore ha dato una valenza oggettiva al confronto serrato, "corpo a corpo", con il testo, che racconta storie minime della peste nella baraccopoli argentina. Nel capitolo "Il principio ordinatore del mondo" (124-126) due termini lo esprimono questo principio ordinatore: solidarietà e perdono. La filosofia dell'essere come amore è un'espressione filosofica di entrambi i temi. Solidarietà, per quanto abbia una valenza ontologica ed universale, non salta la dialettica lontano-vicino, per cui non stupisce che durante la peste proprio la mancanza di "cibo, tetto, vestiario, medicine" sia in primo luogo vista nei "vicini". Il termine del perdono è la dimensione teologica della gratuità del dono dell'essere e come in quest'ultimo presuppone uno che dona (l'essere e il perdono) è che "non sono io, ma un altro". Un altro dona l'essere e il perdono. Il principio ordinatore del mondo si chiama teologicamente "misericordia", e filosoficamente dono di amore gratuito dell'essere. Il perdono non può essere fabbricato, ma solo donato ed è per questo che raggiunge sfere più profonde di qualsiasi attività di correzione fraterna o di autocritica: "l'efficacia del perdono è superiore agli esiti migliori della fatica del ravvedimento" (126). 

(10.1.22) Nella baraccopoli di cui ci parla Metalli ", "la "Laudato si'" del papa argentino non è passata invano" (124) - mentre certi intellettuali cattolici considerano anche questo scritto come dimostrazione che il papa è di sinistra o verde, nella baraccopoli si "fa la verità". Le categorie sinistra/destra, che hanno una certa, ma non assoluta, legittimità in ambito politico, non servono per comprendere  questa difesa "vaticana" dei poveri e della casa comune del papa argentino. Una difesa che si inserisce nello svolgimento della dottrina sociale cattolica a partire da Leone XIII, come ha fatto vedere qualche tempo fa un giornalista amico di Metalli: Lucio Brunelli. La filosofia dell'essere come dono di amore gratuito ha inteso gli scritti del Papa come una concretizzazione di essa nel reale economico, politico e programmatico (lettera apostolica, Evangelii Gaudium), nella realtà dell'amore coniugale (lettera apostolica, Amoris laetitia), nel contesto della fede (enciclica, Lumen fidei), nella realtà ecologica e in quella dei poveri (enciclica, Laudato si') ed in fine in quella della fratellanza universale (enciclica, Fratelli tutti). In che senso la chiesa nella baraccopoli ha contribuito a fare la verità contenuta nel magistero petrino? I uno spazio malsano di rifiuti in cui giocavano i bambini (122-124), ammalandosi, ora vi sono contenitori per l'immondizia (cosa questa non solo ecologicamente importante, ma anche dal punto di vista del lavoro dei "riciclatori - l'attività prevalente di questi luoghi")  ed alberi, di cui chi scrive consiglia di cercarsi le immagini in internet - la jacaranda con la sua fioritura viola, che in Europa si può vedere per esempio a Malta, il "leggendario ceibo", la "casuarina dalle foglie squamose", l'eucalipto, che come albero può diventare gigantesco, e tre salici. Ora i bambini hanno un luogo adeguato per giocare e gli adulti per vivere.

La filosofia dell'essere come amore non si chiede se qualcosa sia di sinistra o di destra, progressista o conservatrice, ma se essa sia manifestazione della bellezza, bontà, libertà e verità dell'essere donato ed e per questo che ha sempre inteso il magistero del papa argentino, dopo quello teologico del papa tedesco, come un magistero profondamente e semplicemente "filosofico". La contrapposizione tra Benedetto XVI e Papa Francesco è un'invenzione malsana, come il "grande spazio di rifiuti" prima dell'azione ecologica, che è stata fatta "dal di dentro e dal basso". Senza questo metodo, "dal di dentro e dal basso", non vi è un cambiamento duraturo, ci insegna Francesco. Come una teologia che non cerca la gloria di Dio nel basso, non è una teologia cattolica". 

(6.1.42) Pensando al reale con lo sguardo della filosofia dell'essere come amore gratuito non vi è nulla di più contrario a ciò di una cultura dello scarto. Il Papa, parlando delle opere di Alessandro Marmo, "un artista argentino noto per disseminare la città di monumenti del tutto singolari", fatti "non di materiali nobili, come sogliono essere le sculture religiose...ma di metallo", scartato, buttato via, afferma: "un messaggio al mondo che fin quando non ritorni il Figlio dell'uomo, non c'é niente di perso, nulla di scartato" (citato in Metalli, ibidem 122). 

Di questo artista vi è anche una Madonna, nelle sembianze della Signora di Lujan, "a cui piedi cercano protezione protezione dai colpi della vita" la gente delle baraccopoli a cui si unisce anche chi scrive, per un parrocchiano che è in fin di vita, per colpa della peste ed anche di chi gli ha messo in testa che se si fosse fatto vaccinare sarebbe andato all'inferno. 

La filosofia dell'essere come dono di amore gratuito cerca un modello economico che abbia più considerazione delle persone che lavorano che della materia in cui lavorano, ma oltre a questa esigenza giusta, dobbiamo fare ancora un passo nella riflessione sugli scarti, in modo particolare gli scarti umani, come approfondimento di quel salmo 117 che cita Metalli, "sulla famosa pietra scartata dagli architetti che diventa pietra d'angolo" - non pietra da esporre, ma pietra d'angolo che come san Giuseppe è importante, ma lavora nel silenzio e nel nascondimento. Dice Marie de la Trinité: Ti ho scelto perché tu sia presente a me e perché attraverso di te tutte le genti siano ordinate al loro ritorno al Padre, che ci ha donato gratuitamente l'essere. C'è chi viene scelto per il teatro del mondo visibile e c'è chi è scelto perché dimenticato, scartato contribuisca a che tutti gli uomini ritornino al Padre. Questo sacerdozio personale può essere esercitato da tutti gli uomini, maschi e femmine. Anche se si é scartati e dimenticati agli occhi del mondo e delle lobbies ecclesiastiche non lo si è per Dio, che proprio a chi umilmente accetta di essere scartato rivela di essere chiamato per la cosa più grande, l'unica davvero necessaria: contribuire nella quasi passività (super attiva, come il sonno secondo Peguy) a che tutti gli uomini ritornino al Padre! 

(3.1.22) Secondo Marie de la Trinité la missione di san Giuseppe è "ordinata" al Padre; Giuseppe ha preso parte a tutte le decisioni importanti della Santa Famiglia e quando è stato necessario ha preso lui stesso queste decisioni - ascoltando e mettendo in pratica cosa gli è stato detto in sogno, ma la modalità del suo servire (questo significa prendere delle decisioni in senso cristiano) è stata quella della solitudine e del silenzio; il suo lavoro del legno, almeno fino a quando Gesù non potrà aiutarlo, è stato compiuto in silenzio e solitudine. Giuseppe ha sentito tutta l'attrattiva del Padre, il compito che da essa nasce di rappresentarlo fino a quando Gesù non agirà da solo e il suo servizio è sotto-ordinato a questa attrattiva - parliamo di ciò che nella tradizione cristiana si è chiamato "contemplazione" e in questo senso vi è una priorità della contemplazione sull'azione. Giuseppe non è un uomo di "progetti", ma di "silenzio operativo". In questo consiste il suo "sacerdozio personale" del tutto ordinato alla maestà e all'amore del Padre. 

Il Fidel di Metalli (cfr 119-121) è anche un uomo contemplativo, non contempla direttamente il Padre, ma ciò che il Padre ha creato e prega per esso: sia questo la vecchia madre che è rimasta in Paraguay, sia questo il fratello che "è morto da solo e senza fiato dietro una tenda di plastica trasparente" e che poi e forse stato seppellito trasportato in una plastica nera. Fidel è un uomo contemplativo e del silenzio operoso, che ha ovviamente un rapporto con il suo mulo, che è più libero delle galline in un pollaio, e quindi può essere liberato perché vada a cercarsi l'erba, per affrontare il giorno duro in cui trasporterà la "Madonna del mattino" per le vie della nostra baraccopoli - dal Paraguay era partito per cercare una vita migliore e in un certo senso l'ha trovata nella baraccopoli di don Pepe. La religiosità di cui vive è fatta di silenzio, con il rito del mate, la preghiera per i suoi, il rapporto con la Chiesa "istituzionale", un sacerdote ed una suora, e con la Signora del mattino, a cui Giuseppe aveva affidato l'educazione di Gesù, come ora gli abitanti della Carcova e Fidel affidano le loro preoccupazioni, rispettando le esigenze imposte dalla peste. 

L'uomo in bianco, che ha lasciato l'Argentina e l' "altra" diocesi, per obbedienza e non "per cercare una sorte migliore" e che è forse l'unico che davvero difende, nella nuova diocesi, tutte le persone nel mondo che sono costrette a lasciare la loro patria, come Fidel, per cercarsi una sorte migliore, è anche un uomo attratto dal Padre, non un uomo dei "progetti" - Metalli parla qualche volta di lui, ma il mondo che descrive è il suo mondo. Un uomo che vuole che il Padre possa avvicinarsi alla stalla del mondo, alla stalla del nostro mondo e che chiama le cose per nome: il peccato lo chiama peccato, senza per questo dimenticare quella discrezione che è forse una delle più grandi caratteristiche del Padre. Sa che noi uomini facciamo fatica ad invitare Dio nel buio della nostra stalla, in ciò che a volte pensiamo degli altri fratelli e sorelle uomini, delle ferite che vengono provocate in noi, dalle morti solitarie della peste... Signore, tu sai che fatica faccio ad aprirti la porta, ma anche se non ho il coraggio di dirti di entrare, ti chiedo di gettare uno sguardo nelle mie paure abissali, nella mia interiorità piagata e lascami essere come Giuseppe e Fidel, al servizio concreto di una piccola cosa, per attrazione alla Tua persona e a  quella del Padre. Lasciami essere un uomo dello Spirito come lo sono Giuseppe e Fidel. 

(29.12.21) Chissà se la peste e la sua nuova variante omicron ha raggiunto anche la villa, insomma se i racconti di vita e di morte in tempo di peste continuano? Don Julián Carrón nel suo libro sulla speranza dice che si tratta di una traiettoria umanissima il coinvolgersi in un rapporto di comunione che dura e ciò è certamente vero, ma è altrettanto umanissimo il modo con cui Metalli vive il suo rapporto saltuario con Marcos, che dopo essere riapparso scompare. Metalli sarebbe disposto anche a prendere la responsabilità di fare da padrino di battesimo per la figlia, Nicole, ma purtroppo "non c'è stato seguito". Marcos, quello degli avvertimenti ricevuti dai boss della droga, "è sparito di nuovo nel nulla" (118) - ma in questo nulla c'é anche il nulla della gratuità dei gesti di Metalli: dargli il numero di telefono per un Whatsapp e il "padrinaggio". Il nulla dell'amore che sconfigge il nulla del nichilismo, come pensava Ferdinand Ulrich.

Cosa significa "appendere le parole al chiodo" (119) per il filosofo? Significa per esempio non scrivere una recensione veloce, ma confrontarsi con il giornalista e poeta in tempo di peste, lentamente - ormai è passato più di un mese dal primo post. Significa sentire e gustare il ritmo delle sue parole. Cesare Pavese avrebbe potuto dire anche in modo più prosaico, che lavorare è un attrita che stanca, ma a lui bastano due parole: "lavorare stanca" e in queste due parole c'è il ritmo del poeta e scrittore piemontese, dall'Argentina ci arriva anche un ritmo: si potrebbe ovviamente dire che esiste una situazione dell'anima che che ci fa sentire soli e che richiede da noi coraggio ed un'attitudine di semplicità e povertà. Metalli dice: "Ci vuole un istante di coraggio - amico mio - che di semplicità è fatto. E povertà. Che di abbandono ha le sembianze" (119). 

Questo ritmo singolare lo si può trovare in persone note e meno note: penso alla fotografia e alla musica di Bruno Brunelli, ai racconti di povertà e tragedia di Lucio Brunelli, al ductus filosofico-storico-narrativo di Massimo Borghesi, tanto per citare alcune delle persone che Metalli conosce. 

Servono le parole? Non lo so. Ma esse devono entrare in contatto con il tuo ritmo interiore (Etty Hillesum) e solo allora possono portare frutti. Per chi? Non lo so, ma questo è il tentativo di chi scrive in questo confronto serrato con lo scrittore italo-argentino. Infondo si tratta solamente di quel nulla di amore gratuito di cui si è parlato prima.

(24.12.21 Vigilia del Santo Natale) Non potendo, chi scrive, fare nulla di concreto "per le rivolte nelle carceri, per gli anziani decimati nelle rsa, per i senzatetto abbandonati nelle città, per quelli rimasti di un tratto senza lavoro, per i rider, i braccianti e gli invisibili" (Donatella De Cesare, Caro Agamben, ora dobbiamo salvare te e la filosofia dal tuo complottismo, 20.12.21) e neppure per la gente che soffre e muore nei boschi della Bielorussia e della Polonia (Swetlana Alexijewitsch) e nei campi profughi da Lesbo alla Libia, in questa vigilia del Santo Natale prosegue il dialogo con chi davvero  si trova nella "vita nuda" ci sta in mezzo, una vita "minima", come lo è la narrazione che la racconta e che narra anche della morte, come quella di Marta di cui si è già parlato: "Lei non aveva paura della morte, era preparata a riceverla fiduciosa su quello che ci sarebbe stato dopo" (97). Tutti i personaggi di Metalli hanno una dignità "sacerdotale", di quel sacerdozio di tutti i credenti di cui parlava Martin Luther (tema questo caro al filosofo latino americano Alberto Methol-Ferré) o anche Marie de la Trinité, chiamandolo sacerdozio  personale": quello sacramentale è al servizio di quest'ultimo. La dignità può essere quella del "Pelato", che per il "petto gracile" in un campo da calcio pieno di pozzanghere, come quelle che si vedono nel nostro pollaio tedesco, quando non ci sono i giorni rigidi, dopo aver segnato un goal non ha neppure la forza "per esultare"; la dignità di Metalli stesso che esulta per lui (111) e che racconta i suoi primi innamoramenti da bambino e l'inizio della sua missione letteraria: "l'amore alle parole, al loro abbracciarsi e sciogliersi, l'amore al significato che racchiudono" (11-14). La dignità di Maria Fernanda, che combatte la pandemia in cucina e nel cortile, facendo "correre le impurità lungo lo scolo del patio" (114). 

In cosa si distingue la filosofia dell'essere come dono da una filosofia critica che offre il "vocabolario  e il repertorio concettuale per tentar di orientarci nel complesso scenario del XXI secolo come quella di Agamben (cfr. Donatella De Cesare, ibidem)? Come i racconti minimi di Metalli la filosofia dell'essere come dono non è in primo luogo una "teoria critica"; anche se offre un vocabolario di discernimento di tutte le grandi tentazioni della vita umana, essa in primo luogo "racconta", "ripete", il farsi concreto di questo dono d'amore ontologico in destini che sono collegati l'uno con l'altro, come spiegato da Metalli citando Paul Borget, Thomas Mann e Jorge Luis Borges: il dono dell'essere collega tutto e non annulla le conseguenze del farsi finito del dono d'amore, "che tendono ad essere infinite" (116). Senza questo primo si, ogni teoria critica non può, prima o poi, che finire in un "complottismo", proprio quello che Donatella De Cesare vuole evitare. Per difendere davvero chi è  "esposto senza diritti" sul palcoscenico del mondo, bisogna dapprima formulare per cosa e per chi si è. La filosofia dell'essere come dono è un tentativo di assentire a quel dono che "incipit vita nova", che poi può essere "nuda" o "minima"; la filosofia dell'essere come dono è in primo luogo "Auswortung" (resa in parole) di un'opera di carità quotidiana" (Dio che diventa uomo nel Natale dona l'essere quotidianamente), ovunque questa opera accada, anche come "battaglia contro la pandemia" (115). 

(18.12.21 Chi scrive ammira molto Alver Metalli, non solo per la sua scelta di vivere come giornalista in una baraccopoli con il suo amico don Pepe, ma anche per lo sguardo che ha sul e nel reale. Uno sguardo per nulla autoreferenziale e che sa dipingere con pochi tratti dei veri e propri eroi della quotidianità, in cui l'essere come amore gratuito, in tutta la sua povertà, diventa esperienza tangibile. Uno di questi eroi è don Valentín, figlio di contadini, che arriva alla baraccopoli "La Carcova" "un giorno piovigginoso del 2001, quando l'Argentina era in ginocchio e vivere nelle campagne era sempre più arduo. Aveva con sé due sacchi di vestiti, un tappeto arrotolato per stendervisi sopra durante la notte e un bollitore elettrico per scaldare l'acqua...", anche qualche pesos. I suoi compagni di percorso sono gente che invade "terreni ai margini di un'area paludosa" e che dopo sei giorni gli donano un materasso, dopo che il nostro eroe aveva "dormito sul suo tappeto per un'intera settimana"; dopo il fallimento dell'invasione i suoi compagni diventano  la gente di "una cooperativa di riciclaggio": "povertà cronica, insomma, ma cibo e vino assicurato". Nella Germania centrale in cui, come in tutta la Repubblica tedesca, vi è un sistema sociale di supporto per i poveri, non vi è una storia di "povertà cronica" nel senso qui sopra descritto, anche se vi sono poveri. Una ragazza che veniva da Milano si rifiutò di vivere nella casa di una allieva della scuola San Cristoforo, con il gabinetto fuori dall'alloggio. Il padre ne fu umiliato, anche se la ragazza italiana cercò di essere il più gentile possibile. Poi vi sono povertà improvvise come  quella di un padre che educa da solo i suoi ragazzi e che per un incendio ha perso tutto ciò che aveva o come quella di un'altra ragazza che perse la stabilità economica per la morte improvvisa del padre. Insomma anche in Germania "il fondo Papa Francesco" che dei fratelli di Comunione e Liberazione offrono alla scuola da alcuni anni, ha una sua legittimità, ma i racconti minimi di vita e di morte di Metalli, sono certamente espressione di un amore gratuito in una povertà cronica, che in un certo senso non è possibile in Germania. 

(15.12.21) Metalli parla di un suo amico che ha una sindrome della distanza, per così dire. O detto in modo positivo: aveva ed ha una vocazione alla "multi-locazione", un "anelito ad allontanarsi". Dapprima Metalli non è riuscito a comprendere come mai, perché "verrebbe da pensare il contrario, che la familiarità generi vicinanza e desiderio di maggiore e duratura confidenza. Ma nel suo caso non era così" (105). Alla fine crede di averne compreso il motivo: dietro ogni trasloco c'era la paura di deludere i suoi amici, di cui ha cura anche quando è lontano fisicamente da essi: la paura "di non essere più all'altezza della confidenza che si era stabilità" (107). Paragonando ciò con Ferdinand Ulrich, l'uomo più buono che chi scrive abbia conosciuto, si dovrà dire che il filosofo dell'essere come amore era anche un uomo della distanza. Una volta lo avevamo invitato a passare il Natale con noi, ma disse che aveva paura di fare questa esperienza della familiarità, una familiarità che spesso era stata tradita dai suoi. Eppure era un uomo molto coraggioso, un uomo di profonda comunione. Forse c'é in questo anelito della distanza, qualcosa di molto profondo. Siamo solo "pellegrini" che abitano delle "tende" e non delle "case" e solo Dio può creare quella vicinanza che non tradisce e di cui si può non aver paura. E nessun gesto formale può togliere il bisogno di "formalina" che abita questo desiderio di distanza. 

(14.12.21) Nel capitoletto "Creatività" Metalli presenta un piccolo viaggio tra i grandi santuari mariani dell'America Latina, che riaprono pian piano "dopo" la peste. Cosa accumuna tuti questi santuari, con quelli noti in Europa (Lourdes, Fatima, Medjugorje (1)...)? Tutti sono espressione di "Madonne madri, infinitamente madri, completamente madri che si comportano come tali e come tali sono sentite dal popolo della villas che le onora invocandole" (105), sono Madonne politiche, nel senso della "teologia della politica", che "esprimono la vicinanza di un potere finalmente equanime, redentore e capace di giustizia vera in questo mondo e nell'aldilà" (105). E quelle latino americane sono tutte "madri dolorose... partecipi della condizione sofferente delle popolazioni" - a queste madri, a questa madre, nelle sue diverse variazioni, tra le quali la madre con la pelle scura di Altötting, a cui, tanti anni fa, chi scrive, con sua moglie, chiese il miracolo di bambini che non venivano, confida anche un segreto che gli hanno affidato alcune ragazze della sua scuola, a lui, come insegnante di fiducia, proprio oggi pomeriggio camminando nella seconda parte dell'ora di lezione. Una madre ha il compito di proteggere e questo vale per le persone di una villas, come per le persone più ricche - materialmente - della Germania occidentale. 

(1) In questo confronto serrato "tra chi scrive" e Metalli, non ho mai usato la parola "io", perché volevo dare una certa valenza oggettiva al confronto stesso. Un caro amico, Bruno Brunelli, leggendo il mio post, mi ha reso attento al fatto che Medjugorje non è stato riconosciuta dalla Chiesa come i due altri luoghi citati: Lourdes e Fatima. Il criterio del riconoscimento della Chiesa mi sembra molto importante per cui ho deciso di scrivere questa nota in prima persona. Le mie considerazioni personali sono considerazione di una delle persone che fa parte del popolo fedele di Dio e non hanno valore ufficiale, perché questo può essere offerto solo dalla Chiesa gerarchica sub et cum Petro. Sono anche cosciente che nel modo di gestire Medjugorje può esserci il pericolo di una "Madonna postino" (Papa Francesco) che manda messaggi del tutto normali per un cattolico (Robert Spaemann) ed anche un po' ripetitivi. Sono anche cosciente che le interpretazioni politiche del tardo Padre Livio sono, per dirla gentilmente, abbastanza dubbie. Allo stesso tempo devo dire che in un pellegrinaggio al colle delle apparizioni di Medjugorje alcune avvenimenti intra familiari mi avevano dato e mi danno la sensazione che nel suo nucleo centrale le apparizioni siano vere. Secondo argomento: la Chiesa non ha riconosciuto ancora le apparizioni della Madonna ad Adrienne von Speyr, in un ambito più piccolo di un santuario, ma non ho mai messo in dubbio la verità di ciò che raccontava Hans Urs von Balthasar a riguardo, che non aveva dubbi tra l'altro su Medjugorje, piuttosto sulla gestione del fenomeno da parte dei padri Francescani della Bosnia-Herzegovina. Infine in una versione del tutto personale della coroncina della misericordia faccio pian piano, nello svolgersi della preghiera, un giro in tanti santuari mariani del mondo: Altötting e Crea per la mia famiglia, Lourdes e Loreto per CL, etc. Ed ho inventato anche una maternità per i luoghi drammatici della storia del mondo come Chernobyl, Hiroshima e Nagasaki. Etc. Detto questo sono molto contento dell'obiezione di Bruno, perché questo lavoro di confronto con Alver, mi è del tutto importante. 

(13.12.21; Lucia) "Per un ora e passa hanno interrogato il priore (del convento benedettino) sul senso cristiano del lavoro, sulla glorificazione della fatica quotidiana del vivere, sul valore dell'amore al prossimo, sulla convenienza umana dell'essere cristiani, sull'esperienza della fede vissuta in una comunità determinata" (100) - chi ha fatto questo? I villeros di don Pepe in un convento benedettino a trecento chilometri da Buenos Aires. I bambini della sesta classe (dodici anni) della moglie di chi scrive nell'abbazia benedettina di Wechselburg in Sassonia. I villeros fanno lavori faticosi e semplici ed alcuni non hanno per nulla lavoro, alcuni di questi uomini è stato anche in galera. I bambini di Konstanze, quelli che non vanno al liceo, ma frequentano una modalità scolastica più semplice, sono nell'ottanta per cento dei casi figli del secolarismo della DDR prima e del consumismo di oggi. Eppure vi è un'attrazione comune che esercita una comunità di monaci, l'attrazione del silenzio e della preghiera gregoriana. È vi in comune quell'essere uomini mortali e come sarebbe bello se anche i nostri bambini potessero con il tempo imparare la fede di quella Marta di cui parla Metalli, "che non aveva paura della morte", perché "si era preparata a riceverla fiduciosa di quello che ci sarebbe stato dopo". 

(7.12.21; Ambrosius) Che cosa hanno in comune Nacho e chi scrive? Ovviamente il fatto di essere entrambi uomini, ma facciamo un passo alla volta. In comune hanno un santo patrono della Compagnia di Gesù, il primo addirittura il fondatore, Ignazio, il secondo Roberto Bellarmino, di cui oggi, vista la contrapposizione a Galileo, piuttosto sarebbe qualcuno di cui vergognarsi, ma in vero egli non sa se dal punto di vista dell'intera storia del mondo, Galileo o il Bellarmino, abbiano contribuito ad un suo procedere sensato: forse entrambi. 

Poi vi è una differenza: chi scrive si chiede spesso con il salmo 42: 

[6] Perché ti rattristi, anima mia, 
perché su di me gemi? 
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, 
lui, salvezza del mio volto e mio Dio. 

"Nacho è orgoglioso del suo piccolo stabilimento (di formaggio), dei suoi due lavoranti, della nuova macchina che filtra il latte, delle sue pagnotte di formaggio giallo che riempiono di odore la casa, del giardino con l'arara (un pappagallo "dalle piume rosse e blu")" (95). 

Chi scrive è orgoglioso del suo lavoro? Fino ad un certo punto, forse anche per il rapporto con i colleghi che implica uno sforzo molto grande dovuto alla differenza di mentalità, ed essendo lui straniero deve adattarsi a loro e non al contrario. E poi non sa come mai la sua anima si rattrista, sebbene sia certamente un insegnante amato e sotto suo primo video in Tik Tok, in cui tra l'altro ha parlato di Metalli, qualcuno ha scritto: "Il migliore insegnante". 

La giornata di Nacho con "formaggio e furgone, i pappagalli e la scimmia, stradi di terra e cani, polvere d'estate e fango d'inverno" hanno la figura di un rituale, che ha superato anche la crisi della peste. Chi scrive ha delle galline e di fronte alla stalla, il pollaio è proprio così: "polvere d'estate e fango d'inverno" e pur con la crisi di un verme che ne ha ucciso qualcuna nell'estate, prima di scoprire l'antidoto della calce, con l'aiuto di una sua allieva di filosofia contadina, le stridule voci di questi animali gli fanno davvero una compagnia profonda - ovviamente a questo livello degli animali. A differenza di Nacho ha anche una "lei" come compagna da una vita. 

Ed infine Nacho ha il rituale del libro, al tramonto, che parla di Gesù  - chissà se l'inquietudine di chi scrive abbia anche a che fare con i troppi libri, che, però, per lui sono "destino". Ma "Destino" anche per lui, come per Nacho; è la speranza

"in Dio: ancora potrò lodarlo, 
lui, salvezza del mio volto e mio Dio." 


(6.12.21) Oggi è san Nicola, quindi la giornata adatta per farsi pensieri sui bambini e precisamente sul bambino che porta il soprannome di "Popcorn Bum Bum" (92-94). Nelle giornate in cui la scuola "è chiusa per la peste, Popcorn Bum Bum può fare quello che gli pare e piace tutto il giorno" (93). Chi scrive ha dovuto usare la rete per vedere qualche pagina degli uccelli citati da Metalli: "gli horneros dal petto rossiccio", "i picabuey dalle piume gialle" ed infine il "zorzal dal petto maculato" e così almeno di quest'ultimo ha imparato anche il nome latino: "turdus". Cosa "pare e piace" al nostro "Popcorn Bum Bum"? "Scagliare con molta precisione il proiettile che frantumerà le ossa agli uccelletti che gli vengono a tiro" o detto altrimenti "guardare il mondo attraverso le forcelle divaricate (della fionda), stupito che gli obbedisca ad ogni suo cenno". Anche in Germana la peste ha permesso a tanti bambini di fare "quello che piace e pare a loro tutto il giorno", cioè  guardare il mondo attraverso il display di uno smartphone - cioè chatten, giocare giochi digitali, forse anche qualcosetta per la scuola, ma forse anche pornografia, già nella sesta classe (dodici o tredici anni) - e forse anche loro sono stupiti che questo mondo digitale obbedisca ad ogni loro cenno. Per gli insegnanti si tratta di una catastrofe educativa: se in una classe c'erano due o tre irrequieti, ora ve ne sono tredici su venti. I bambini non sono diventati più cattivi, in fondo anche "Bum Bum" non è cattivo, ma stupendosi dell'obbedienza di un mondo che fa ciò che vogliono, hanno perso quel senso di obbedienza per gli adulti che feconderà la loro libertà. Confrontati con qualcosa di bello obbediranno ad esso, ma a volte l'organo di percezione del bello si trova molto, ma molto in fondo alla loro anima e il lavoro del risveglio non sarà semplice - però le giornate, anche quelle educative, non solo quelle della caccia, sono lunghe è il rischio educativo "può ricominciare", sperando che porti un sogno più grande di quello del cacciatore di uccelli e del navigante in rete. 

(4.12.21) Il capitoletto "Palla al centro, si riparte" (89-92) parla di Dracu, chiamato così "da amici e nemici": Diego Javier Carrizo, di cui Metalli alterna il racconto della partita di pallone dei suoi ragazzi a quello passato di quando è finito in carrozzella: "la sedia a rotelle che lo immobilizza concentra il peso della sua storia". È la storia di una vita che dalla criminalità lo parta ad essere l'allenatore di calcio della squadra della villa di cui stiamo parlando. Come è familiare per uno che viene da una cultura contadina, le persone hanno un nome dell'anagrafe ed uno con cui vengono chiamate. Questa attenzione a persone che non sono né giornalisti né filosofi è quello che sta catturando l'affezione di chi scrive per questo libro "epifanico" che è ascolto e sguardo attento di ciò che accade nelle periferie. Una "cultura dell'incontro" (Mikel Azurmendi) delle più fini e che è anche testimonianza dell'incontro di Dracu con Gesù, nella figura di un sacerdote che vive ne La Villa La Carcova e che sulle sponde del mare - dove vengono portati questi giovani e meno giovani di periferia per una tre giorni di riflessione ed incontro -  predica dello "sport che attira anche i più scapestrati", anche se ovviamene non viene nascosto anche il fallimento: "ci sono storie andate male, giovani risucchiati dalla strada". 

(2.12.21) C'è una statua della Madonna nella casa di Lutero a Wittenberg, nella casa in cui viveva con sua moglie e i suoi studenti, ma il culto della Madonna di Lujan argentino di un popolo intero che cammina per più di tre ore per dire grazie "per aver risparmiato maggiore sofferenze ai suoi figli che vivono nei suburbi" è del tutto estraneo alla regione in cui vive chi scrive, a parte per quel due percento di cattolici che vivono in essa. Eppure tutto quello che scrive Metalli è presente anche in Sassonia-Anhalt - il parroco di Eisenberg, mio amico, prega ogni settimana una litania a san Giuseppe. Insomma il culto mariano e le litanie ai santi - che ci giungevano anche dalla chiesa dei maroniti in cui si trovava il Papa ieri - sono un piccolo seme di grano anche nella Sassonia-Anhalt, terra del luteranesimo e della ex DDR. Metalli parla di tutto ciò non in modo esaltato, ma molto realistico - dopo le prime tre ore del pellegrinaggio a Lujan, con contadini e mandriani, e con l'asino vi è un solo bisogno, quello della "sosta ristoratrice" e alla fine del pellegrinaggio la statua cade e si spezza. Per quanto riguarda l'asino, anche lui ha la sua importanza, come li hanno i due animali del presepio nell'ultima meditazione di Ulrich, perché anche gli animali fanno parte della storia della salvezza.   

(30.11.21) "La peste sta passando, la banda sta tornando" (Metalli, 85) - purtroppo la frase non corrisponde a ciò che sta vivendo chi scrive nella quarta ondata di Covid nel centro della Germania e con il timore della nuova variante "omicron", ma essa sveglia la speranza che una volta sia davvero passata l'emergenza e che si possa fare davvero festa, senza più il "tappabocca". Perché il ballo e la festa corrispondono ad un desiderio ontologico dell'uomo - l'essere non è stato donato per soffrire, anche se la sofferenza accolta come dono può appartenere alla logica della gratuità dell'essere come amore. 

Lo sguardo è caduto anche sulle foto, che si trovano in mezzo al libro "Epifanie", di Marcelo Pascual: gli scatti ci presentano volti sorridenti di una familia che ha appena ricevuto una razione di cibo, dopo una lunga coda, bambini che giocano davanti ad un piccolo stagno, cavalli che pascolano in una discarica di immondizie, la dignità di volti nelle azioni quotidiane di fronte ad un grande pentolone di cibo, l'abbraccio tenero di una bambina con la sua mamma con la mascherina, un gruppo di uomini contenti con dietro le loro spalle l'immagine di Papa Francesco, tra le prime che erano girate all'inizio del suo pontificato, un salone che porta il titolo del grande santo d'America, San Romero, una donna che riceve il cibo di fronte ad un cancello con filo spinato, un sacerdote che cammina da solo nelle vie della villa o che celebra la Santa Messa con alle spalle un grande Gesù con le braccia spalancate, il campione di calcio Maradona, di cui in Europa forse c'é più gossip che rispetto, un bambino che gioca a calcio ed una Madonna con il tappabocca, due uomini che suonano ed un carrello che se ne va con la Madonna, forse nell'immagine del santuario di Lujan. Tutto questo è il "popolo della villa" che il fotografo ha ripreso e che Metalli racconta, un popolo in cui Cristo si è fatto carne (Gv 1,14) - un racconto che non è mai autoreferenziale, come può accadere quando si insiste troppo sulla sua presenza in una determinata comunità o movimento. Tutto ciò è annuncio di "dignità, forza e presenza" nella molteplicità di persone che sono "popolo" e non club elitario che rinvia solo a se stesso. 


(26.11.21) Se traccio una linea di paragone tra la baraccopoli di Metalli e la regione in cui da vent'anni si trova a vivere ed agire chi scrive, vi sono grandi differenze, ma anche alcune "fratellanze", in modo particolare per quanto riguarda il suo cuore. Per quanto riguarda la violenza e "il linguaggio degli spari" (73-74), che Metalli analizza precisamente, distinguendolo dal "regolamento dei conti", che non è più "linguaggio", ma "omicidio", devo dire che nella mia regione le sparatorie non sono frequenti - vi sono state alcune azioni violente, come la distruzione di una casa pensata per i migranti, ma personalmente chi scrive ha subito solamente una volta un'azione di violenza minima, quando osò nel suo giardino innalzare le bandiere europea, italiana e tedesca insieme, il muro della sua casa fu bombardato da un lancio di uova. Certo la AfD ha nel suo paese quasi il 30 % dei voti e vi sono alcuni estremisti di destra che non gli rivolgono la parola, ma che non fanno danno alle persone o alle cose. 

Per quanto riguarda il tema dei "santi nostrani" per chi vive e lavora nella terra della riforma luterana e dell'ateismo prima comunista ed ora consumista non è certo il tema su cui si rifletta ogni giorno. Non che non vi siano santi nostrani, per esempio Alois Andritzki, sacerdote sorbo cattolico e martire, morto per opera dei nazisti a Dachau o il santo vescovo di Meißen Benno (XII secolo) ma le persone che incontra nella scuola non sanno chi siano e sempre nella scuola, quest'anno per la prima volta, dopo vent'anni - per evitare ogni proselitismo - ha osato parlare di alcuni santi come Hildegard di Bingen, Francesco e Chiara di Assisi, Thomas More e don Bosco, amato anche nei suburbi argentini. Ma ovviamente conosce anche alcuni altri santi citati da Metalli: Santa Rita, la santa delle cause difficili, che viene venerata anche dal suo parroco; suo bisnonno di parte paterna portava il nome di Gaetano, il "santo del pane e del lavoro" e della "giustizia contro la dittatura militare". San Biagio è entrato nel suo cuore perché sua figlia fu operata da piccola per una ciste nella gola, che preoccupò l'allora giovane famiglia. Ma anche i santi tipici latino-americani, storici o meno che siano, come anche san Cristoforo non è storico, il santo a cui è dedicata la scuola in cui lavora, hanno catturato la sua attenzione, in modo particolare Mama Antula (María Antonia de Paz y Figueroa , seguace del santo di Loyola e Manresa che egli ama più di quasi tutti gli altri santi. Ed ovviamente come uno degli amministratori del gruppo di Facebook "I contadini di Peguy" è molto interessato anche al cura Brochero - "il prete contadino con adesso l'odore delle pecore", che Papa Francesco ha dichiarato santo!

(24.11.21) "Chi vede il mare lo vede sempre per la prima volta" (Borges, citato in ibidem 70) - ho conosciuto il mare in tante sue manifestazioni, e per tutte vale la frase del forse più grande scrittore della letteratura argentina. Certo essa vale anche per il mare del Watt, che quando c'é la bassa marea lo si deve andare a cercare con una lunga passeggiata nella melma. Vale per il mare mediterraneo, per esempio a Malta, dove mi sono accorto della sua forza, quella che devono temere i tanti migranti che vengono con imbarcazioni misere dall'Africa. Sicuramene ancora più potente sono gli oceani - quello Atlantico conosciuto in una spiaggia da cui si intravedeva il Marocco o il Pacifico, che ha scaraventato per terra il nostro fortissimo figlio, così che a San Diego siamo dovuti andare all'ospedale; all'ospedale ci andai anche con un allievo che era con me a Malta e che aveva sottovaluto la forza delle onde del mare. Le onde che una cara "amica", Adrienne von Speyr, contemplava per ore. Ed infine vorrei accennare al mare che per chi scrive è una seconda patria, quello Adriatico a Cervera in Istria, la cara Istria dalla terra rossa, cui associa tutta una vita - anche tante persone che ora sono morte. Il modo con cui Metalli parla del mare è da brividi: il mare annuncia che "l'invisibile è molto più potente". Li in quel oceano, con il suo "rauco murmure", lo stesso che ho vissuto dall'altra parte, nell'Andalusia, vengono portati dei giovani per una tre giorni di incontro con il mistero, di apertura degli orizzonti, per chi è abituato a vivere in una baraccopoli: "colpiti al ventre da un'immensità insospettata, gli occhi si riempiono di novità", di una novità ed apertura senza la quale non si può vivere; in contrasto ad essa Metalli parla della dipendenza, che deve essere superata con un disponibilità al dolore, ma certo anche al mistero, che deve diventare più tangibile di quanto lo siano la droga o i surrogati - la difficoltà di fare i primi passi oltre la dipendenza dipende dal fatto che si sente tutto il "dolore di vivere senza nient'altro" che abbia una tangibilità più grande di quella offerta da un surrogato o dalla droga. E per i surrogati a volte è molto difficile lasciarli, perché l'astrazione ci divora e il mistero rimane solo una parola. 

Ad un certo punto del racconto Metalli parla del santuario di Lujan che egli associa per esempio al destino di Marcos minacciato dai venditori di droga - chi scrive vive in un mondo in cui non si va ai santuari mariani per chiedere aiuto, al massimo dallo psicologo, eppure la testimonianza in gioco è la stessa, solo che in Argentina può essere vissuta esplicitamente, mentre da noi viene vissuta spesso in modo vicario e solitario, perché un'appartenenza cristiana aperta è possibile solo in parte e i frutti si vedranno forse in venti anni o anche mai. Così il pellegrino che scrive, non privo di tante forme di secolarizzazione che gli sono penetrate nel corpo e nell'anima, si trova a pregare una sua particolare coroncina della misericordia, in quella terra in cui la stasi prima e il consumismo dopo hanno soffocato il senso religioso, sapendo che il Signore esaudisce, ma quando e dove vuole Lui. Ed associa alle cinque parti della coroncina sempre alcuni santuari e persone a lui care a partire proprio da quello di Lujan, per essere in sintonia con il papa e con l'autore delle "Epifanie" e ai suoi amici, fino a quello di Altötting, dove ha pregato con sua moglie per ottenere il dono dei loro figli. 

(22.11.21) Chi scrive non ha per nulla l'intenzione di piegare il diario di Metalli alla propria filosofia, tanto più che quella che ha non è sua, anche se in un certo senso è davvero "propria". Per questo motivo non commento solo le frasi da cui si potrebbe scrivere immediatamente qualcosa di filosofico o teologico, come quella di pagina 61: "La parte di mistero che gremisce l'esistenza è preponderante sulla parte analizzabile. Lo è come quantità, lo è come qualità e sostanza". Quando Metalli racconta di Guadalupe, una donna "con la sua numerosa prole" e che contempla la pietà di Michelangelo; di padre Pepe, "il sacerdote che ha carico la parrocchia"; e della Casa del Abrazo maternal mi sono presenti le persone nel loro impegno concreto, le ragazze che in quella casa non hanno abortito. Come mi immagino concretamente, per quanto ne sia capace un filosofo, le 28 pianticelle di olivo, una "per ogni bambino nato" piantate da Guadalupe; o come mi sono presenti i bambini che ritornano a casa loro in fila, una delle tante file della baraccopoli, con le uova di vero cioccolato nelle loro mani e "l'allegria nel loro volto". Ed infine anche gli "alcolizzati" sono oggetto/soggetto della mia meditazione ed in modo particolare quel Iuvencio che non è riuscito a venirne fuori, come non ci riuscì il papà di mia mamma e mi chiedo quali sono i poveri che hanno bisogno del mio amore e della mia compassione e mi vengono in mente gli occhi ricolmi di lacrime di una mia allieva oggi, causate dal momentaneo stress nella scuola. E vorrei imparare da Metalli a tener presente nel mio cuore tutto ciò che mi accade nel giorno, come la madre che oggi mi ha raccontato che suo figlio è "positivo" o la ragazza che al tavolo della mensa mi ha detto che sono troppo duro se dico che da questo pasticcio della peste non ne usciamo senza il vaccino...

(20.11.21) Nel capitolo il "movimento del pendolo" (58-60) Metalli da una delle situazioni più povere del mondo si unisce con chi scrive, in una delle regioni più secolarizzate del mondo. Analizza con la metafora del pendolo uno dei modi più vittoriosi di pensare: quello che afferma che tutto si muove in una  gradualità evolutiva della paura (l'esempio riportato in Epifanie) o dell'aggressione, come scrive Yuval Noah Harari, nella sua "breve storia dell'umanità" Ed ovviamente in questo modo di pensare  "c'é molto di vero", come è vero anche ciò che scrive Lev Tolstoj nel suo epilogo di "Guerra e pace": la forza dominante del mondo è la volontà di potenza - ma vi è qualcosa che viene ancora prima, quel primerear di cui parla il Papa, quella forza del bene dei "santi della porta accanto" e Metalli lo ha visto in gioco "nei suburbi popolari di Buenos Aires" e chi scrive in sua moglie scrivendo ad un amico sacerdote totalmente prigioniero della sua rabbia; pur non stando bene in questi giorni lei ha preso le righe che suo marito aveva formulato in modo troppo dirette, troppo dure trasformandole in un atto d'amore gratuito e che "immobilizza il movimento del pendolo nelle vicinanze del punto di partenza: l'amore" (609). Questo amore è una questione di ontologia, non di sentimentalismo. "Spendersi per il benessere dell'altro fa bene all'altro e a se stessi", perché l'essere donato presente come realtà è il "bonum diffusivum sui" (Tommaso d'Aquino), insomma quando si fa del bene lo si fa perché il bene nel suo atto ordinario ha formato noi nel profondo, nelle strutture antropologiche ed ontologiche ultime dell'uomo e della realtà.  

La questione del "movimento del pendolo" pone domande che riguardano sia l'ontologia come filosofia teoretica sia la teologia dogmatica e fondamentale. Per quanto riguarda la filosofia Ulrich e Balthasar usano la parola "Schwebe" che può essere tradotta sia come "oscillazione" che come "sospensione"; in Balthasar ha una connotazione positiva, il reale si trova davvero in un movimento di oscillazione o pendolare che non permette mai di fissarsi in posizioni ultra tradizionalista (questo accade quando il movimento del pendolo "logicizza" l'amore, cioè né fa un discorso passato e fittizio). Ulrich la usa con una connotazione negativa: l'essere invece di percorre il movimento di finitizzazione, rimane "sospeso" in un'ontologia astratta, quasi che l'essere fosse "sostanza", "persona", invece che un atto di donazione. Per quanto riguarda la teologia Adrienne von Speyr fa vedere che il vero ed unico movimento del reale è quello dal Padre al Padre, rivelatoci dal Figlio nello Spirito Santo, che non è però una fase del processo evolutivo del mondo, ma l'amore gratuito del Padre e del Figlio come persona. Interrompo.  

(19.11.21) Nei volumi filosofici del suo "Gloria" Hans Urs von Balthasar dice che il cristianesimo non avrebbe dovuto, nella sua fase iniziale, dialogare solamente con la filosofia (platonica), ma con le tragedie (Sofocle...); nel mondo minimo di Metalli si capisce molto bene questo intento del teologo svizzero, il più dotto e più profondo del suo tempo e forse il più grande degli ultimi secoli. Quando si legge che Santiago "è morto intubato e solo come un cane", questa è per l'appunto una tragedia che non si lascia sconfiggere con le solo-parole (cfr 56) e la tragedia non ha bisogno di uno scenario bombastico come quello di Edipo che uccide il padre e dorme con la madre, basta "quel soffio lieve che ti può portare via" (53). Alle volte la morte arriva così: "Fiuu! Ecco fatto: non esisti più". Certo, morire da soli può essere un "compito" (che alcuni grandi hanno sperimentato, come Adrienne von Speyr e Ignazio di Loyola), ma può, per l'appunto anche essere una "tragedia", perché l'essere ci è donato in modo comunitario. Si può essere vecchi anche da soli, "in una baracca fredda d'inverno ed in estate afosa" (54), ma anche in questo caso si ha almeno la "compassione dei vicini", ma nati siamo per "vivere in famiglia, come è giusto che sia" (54). Infine per quanto riguarda la questione se parole, giornalistiche o filosofiche possono sconfiggere lo scetticismo che nasce di fronte alle tragedie, vorrei ricordare il diario, nella sua versione integrale, di Etty Hillesum, che con delle "parole" ha cercato di fronteggiare anche quella tragedia massima che porta il nome di Auschwitz. Certo non sono solo parole le sue, ma quelle parole giungono ogni notte come del tutto autentiche in un dialogo serrato con lei, che chi scrive tenta in un suo "diario notturno".

(18.11.21) Metalli ci parla di Rosa (51-53), che „ha ottant’anni a occhio e croce“; ha gli occhi malati, ma „di operazioni non ne vuol sentir parlare“. „Cammina per le strade della villa tutta ricurva…appoggiandosi ad un carrello del supermercato“ - una volta a Los Angeles avevo fatto la foto di un anziano signore che viveva trascinandosi o meglio appoggiandosi al suo carrello e mi aveva dato l’impressione di una grande dignità, quella dignità di cui ci parla Metalli in riferimento a Rosa, che ha un senso forte del suo „Selbstsein“ (essere-se stessa): „non vuole che i volontari le portino la porzione a casa come fanno con altri anziani come lei“, anche se il percorso per arrivare all’appuntamento per prendere il mangiare è per lei certamente faticoso.  Rosa canta nella sua lingua materna (lingua guaraní). La sua vita ed anche il racconto di essa, paragonati al grande palcoscenico del mondo, mi ricordano tanto un’altra frase di Ulrich: quella del „medesimo uso di essere e „nulla““. In fondo cosa è la vita di Rosa, se non un „nulla“, ma dobbiamo chiarire il termine. Chi scrive ha appena tenuto una lezione sulla metafisica di Aristotele nella dodicesima classe. 


 La domanda se „il medesimo uso di essere e „nulla““ non contraddica il „principio di non contraddizione“ di Aristotele è di importanza filosofica innegabile (e ciò non solo per la scienza (episteme), ma anche per l’esperienza; non possiamo dire nello stesso tempo che una cosa è vera ed è falsa e non possiamo negare le indicazioni precise, senza le quali non è possibile argomentare: non posso dire che un tavolo è allo stesso tempo un tavolo e una bottiglia o che Rosa allo stesso tempo è giovane ed anziana, in salute o malata, etc. In questo senso non si può dire che Ulrich consideri il nulla e l’essere come la medesima cosa. E di fatto Ulrich usa la parola „nulla“ sempre tra virgolette: certamente il dono dell’essere come amore e il nulla nichilista non sono la stessa cosa. Nella formula „medesimo uso di essere e „nulla““ non si intende questo. La provocazione rimane in modo che la filosofia non rimanga un „sistema“ chiuso: il „nulla“ della frase di Ulrich è il nulla della gratuità, cioè la gratuità del dono dell’essere e in questo senso parla del „medesimo uso di essere e „nulla““. Il „nulla“ di ciò che fanno padre Pepe e Alver Metalli ed molti altri volontari in una baraccopoli, nella sua dimensione minima, è la massima espressione del dono gratuito dell’essere e proprio questo è anche l’unico antidoto al nulla del nichilismo, in un processo profetico e critico dall’interno: il „nulla“ che sconfigge il nulla, nella sua modalità ontologica del „medesimo uso di essere e nulla“. E questo vale anche per l’agire di Rosa, che non vuole essere aiutata, quando va a prendersi la sua porzione di mangiare e che se „qualcuno prova a staccarla dal carrello, lei strilla mostrando i pochi denti che le rimangono“, quasi per dire: aiuto oggettivo si, aiuto che danneggi il suo „Selbstsein“, no. La gratuità dell’essere come dono non limita, ma invera la propria personalità che per il mondo può essere considerata come un „nulla“. 



(17.11.21) In quel "28 marzo dell'Anno Domini 2020" chi scrive il diario che porta il titolo di "Epifanie" in una baraccopoli in Argentina e chi scrive queste righe di meditazione, nella terra della riforma luterana, su quel testo hanno guardato nella stessa direzione: hanno guardato verso Roma, a quell'uomo, a quel vescovo che è la "pietra" della loro speranza e che ha parlato di "un Gesù sereno e fiducioso che dorme sulla poppa di una chiatta che imbarca acqua" (50). Questa fiducia è "ontologica", non "sentimentale", come ho spiegato ieri. Il dono dell'essere non è un passo indietro ed uno avanti, non è un si ed un no, ma è un si radicale che accade in tutte le vite, in tutte quelle vite concrete che descrive Metalli, anche in quella drammatica di Chino che vende la droga, "più longeva del coronavirus, e più letale" (42) o quella di "Mortadela" che raccoglie i rifiuti e che in un incendio perde anche quelli (44-49). Il dono dell'essere come "movimento di finitizzazione" non ha bisogno di censurare nulla: la realtà è e rimane dono e quindi si può essere fiduciosi anche in una barca "che imbarca acqua", ma la realtà va descritta per quello che è, con i suoi fallimenti e che come tale "è grazia", "è dono". Le morti causate da questa nuova peste del XXI secolo sono morti e "scuotono l'essere di chi resta" (43), ma la prospettiva dell'annuncio, della speranza e della corsa (cfr. 51) che padre Pepe, un amico del Papa che rimane nella villa, resta anche viva. Annuncio che la morte non ha l'ultima parola, annuncio della speranza che alcune donne, ed in modo particolare Magdalena hanno portato ai discepoli, e la corsa del discepolo dell'amore (Giovanni) con quello dell'autorità (Pietro), come chi scrive spiega nel suo corso di ecclesiologia in una delle terre più secolarizzate del mondo ai ragazzi del liceo nella dodicesima classe e il padre Pepe spiega ai suoi poveri nella villa. Mistero grande della Chiesa romano-cattolica. Una comunione anche di povertà: i poveri della favelas argentina a cui manca quasi tutto, ma a cui viene annunciato il mistero dell'amore di Gesù e i poveri-ricchi tedeschi che certe parole quasi non le conosce: per esempio la parola quaresima come tempo di purificazione, simile alla quarantena come tempo di isolamento (50). Comunque ciò che conta è conoscere davvero le persona con cui si ha che fare, perché solo conoscendole dal di dentro è possibile annunciare la speranza. Non si tratta mai di avere ragione o di gettare in faccia alla gente ciò che riteniamo verità: dopo vent'anni nell'est della Germania non ho bisogno di buttare in faccia alla gente la verità sul comunismo, tanto più che quell'epoca della DDR per tanti non è stata espressione dello "stalinismo", ma della loro gioventù. Certo si possono dire alcune cose chiaramente, come fa Metalli. Osserva i suoi poveri con amore, ma dice che la droga è letale, ma il racconto di un diario non è mai annuncio di un giudizio spietato, ma sempre di una speranza, nella modalità di una narrazione.   

(16.11.21) Chi scrive ha certamente un'attenzione più grande per l'universo interiore (per usare le categorie del diari di Etty Hillesum) che per quello esteriore, ma si accorge subito, quando dall'universo esteriore, in questo caso dalla villa Carcova, gli giunge una voce che lo arricchisce nel suo desiderio di autenticità "filosofica". Con la parola "filosofia" chi scrive non intende un'attività accademica, ma l'approfondimento di cosa sia l'essere finito nella sua caratteristica ultima. Esso è dono gratuito, anche se a volte si ha la sensazioni di essere gettati nell'essere e quindi di essere più nella logica del caso che in quella del dono. La logica ontologica di questo tentativo filosofico di comprendere il reale è racchiuso già nel titolo del libro di Metalli: racconti minimi di vita e di morte. Sono racconti ontologici e spiegherò perché, quindi più profondi delle già profonde riflessioni morali di Th. Adorno che portano il titolo di "minima moralia". Mentre quest'ultime sono "riflessioni della vita offesa", quelle di Metalli sono osservazioni intime e minime di vite o di una morti, fallimentari o meno che siano, che si giocano nella baraccopoli, osservazioni intime e minime di persone grandi o piccole che siano: da un sacerdote che è davvero sacerdote secondo il Vangelo (José Maria di Paola, conosciuto come padre Pepe, a cui il libro è dedicato) o di una donna che vende biglietti della lotteria e che sa tutto di tutti, ma "non butta le verità in faccia alla gente" (25). 

Ferdinand Ulrich che per la filosofia è stato quello che Charles di Gesù è stato per la spiritualità, nel suo grande libro "Homo abyssus. Il rischio della domanda ontologica", ha descritto la modalità del dono dell'essere come "movimento di finitizzazione" - l'essere viene donato nel finito, fino a giungere a quel "dentro e basso" di cui parla Papa Francesco citato da Metalli (35) - la bontà gratuita non può essere comunicata fecondamente se non seguendo questo "movimento di finitizzazione" verso "il dentro e il basso" - vale per il lavoro con i poveri, ma in genere per ogni azione umana. Come sapeva anche Martin Heidegger in "Essere e tempo" il rischio ontologico non si gioca in primo luogo in una vita accademica, ma in una vita filosofica, che è reale quando non ha paura della "piccola via" (Teresa di Lisieux, Charles de Jesus). Quindi non solo nella letteratura (Joyce), ma anche nella filosofia (Ulrich) "epifania" è "un'improvvisa rivelazione spirituale, causata da un gesto, un oggetto, una situazione della quotidianità, forse banali, ma che rivelano inaspettatamente qualcosa di più profondo e significativo" ((17)

Quando Metalli descrive il lavoro di gente semplice ("uomini e donne di provincia dagli sguardi mesti, intrisi di sonno e sopportazione" (32)) per superare i disagi della pandemia, e che "dedicano il loro tempo e le loro energie ad alleviare il bisogno degli altri, senza niente in cambio", non ci comunica un buonismo romantico e sentimentale, ma la legge ontologica ultima dell'essere come "movimento di finitizzazione" e questa bontà ontologica è la dimensione più vera del reale, una dimensione del tutto ecumenica di "volontariato cattolico ed ebraico ed anche di qualche islamico" (34). Insomma, come ho già detto, le osservazioni di Metalli hanno una natura profondamente ontologica, che chi scrive cercherà di meditare leggendo con attenzione questo diario di uno che ci vive in una "villa" (favelas, baraccopoli). 

Dal momento in cui chi scrive ha cominciato a commentare seriamente il pontificato di Papa Francesco ho sentito il bisogno di vederlo come un pontificato "filosofico", dopo quello "teologico" di Benedetto XVI e come "figlio" (non allievo) di Hans Urs von Balthasar, che nella Teologica I ha scritto che non vi è "teologia senza filosofia" ha saputo immediatamente e con tutta chiarezza che i due pontificati erano legati intimamente, ma che il secondo inverava il primo e non viceversa. Quando Papa Francesco vede "la Chiesa come un ospedale da campo" non dice solo una frase pastorale, ma coglie il movimento ontologico ultimo dell'essere come dono e come dono che accade in una situazione "teodrammatica", di guerra: di un ospedale da campo si ha bisogno nella guerra: "è inutile chiedere ad un ferito grave se ha il colesterolo... si devono curare le ferite... e bisogna cominciare dal basso" (Papa Francesco, citato in 28). E per cominciare dal basso deve essere compiuto seriamente quel "movimento di finitizzazione" di cui parla Ulrich.

Perché la filosofia non sia solo "accademica" ha bisogno di una "radio", di una comunicazione, come quella di "Radio Cristo de villeros" (37 sg) di cui parla Metalli, che con gli altri canali di diffusione social diventa trasmissione di un unico contenuto con due facce: quella religiosa (Santa Messa, Rosario) e  quella sociale (informazioni per il nutrimento e per la salute). Chi scrive vive in una delle zone più secolarizzate del mondo in cui manca una figura di sacerdote popolare come padre Pepe, anche se alcuni parroci, nella minoranza della diaspora, cercano di fare un lavoro del tutto simile a quello fatto dai sacerdoti della villa Carcova. Ma chi scrive sente anche il bisogno di essere una presenza per tanti, non solo per un'élite e per questo, pur conoscendo tutte le obiezioni contrarie, non ha mai dubitato che senza una presenza "radio" e da "social media" si rimane necessariamente un filosofo per élite. 

La dimensione filosofica di cui sto parlando qui non ha a che fare con una posizione "modernista", che "ragiona" piuttosto che "credere" - la mia fede non è diversa da quella di Noelia (39 sg) - io credo, per grazia, in ciò che c'è scritto nel catechismo a riguardo della vita e della morte; riconosco anche la struttura sacerdotale della Chiesa, anche se in Germania, ma come vedo dal diario di Metalli anche in Argentina, i "laici" compiano anche servizi ecclesiali, come quello di portare la comunione ad un morente e quando il parroco glielo chiede chi scrive ha "celebrato" addirittura un servizio della parola domenicale per tutta la piccola parrocchia. `"Filosofia" è per me "linguaggio che ci permette di comprendere l'essere come "dono" e che presuppone anche quel "mistero" "che ci ha chiamati all'essere" (41) e che ad un certo punto ci chiede, per una maggiore fecondità, di "lasciare l'essere", nella speranza "di scioglierci in pace dall'abbraccio della vita" (41). 

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