domenica 6 novembre 2022

Sulla grande manifestazione romana per la pace. Una lettura "profetica" - Nicola F. Pomponio ( with English translation )



Foto, dalla bacheca di Massimo Borghesi 

Photo, from the bulletin board of Massimo Borghesi 


 La piazza di San Giovanni a Roma si è riempita di persone che richiedevano a gran voce la pace. Questa è la notizia riportata da tutti i media con diverse sfumature a seconda della propria impostazione ideologica. Ma mi soffermerei, al di là della condivisione o meno della richiesta di far tacere le armi e del ventilato uso di bombe nucleari (di cui si discetta con una indifferenza che fa rabbrividire), su un paio di aspetti. Innanzi tutto la piazza è una piazza nata, cresciuta, sviluppatasi e infine realizzata su indicazione di una parte rilevante del mondo cattolico. E' stata una dimostrazione voluta da associazioni cattoliche alle quali solo in un secondo tempo si sono aggiunte forze politiche e sindacali. Le centomila persone che si sono ritrovate, si sono ritrovate dopo un lungo percorso che segna l'inizio dagli interventi di Papa Francesco e dalla processione del Venerdì Santo con una donna ucraina e una russa che portarono la Croce. Senza tale impulso questa dimostrazione non si sarebbe potuta realizzare e ciò va tenuto presente se si vuole comprendere quanto accaduto. In un mondo multipolare diviso tra Occidente da una parte (Usa, Nato, Eu) e tutto il resto dall'altra (cosa che mette in dubbio il concetto stesso di Occidente), il magistero papale ha affermato l'esistenza di una maniera diversa di affrontare la realtà. Maniera assolutamente non nuova se si pensa al grido di Benedetto XV contro “l'inutile strage” della prima guerra mondiale e la condanna di Giovanni Paolo II della guerra contro l'Iraq. Per questo motivo, al momento, solo Roma poteva realizzare quanto accaduto a Piazza San Giovanni, un avvenimento peraltro paradossale se è vero che la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica è contro la guerra ma non trova spazio nel cosiddetto sistema dell'informazione che sin dall'inizio, quasi completamente, si è allineato su posizioni belliciste e, talvolta, istericamente catastrofiste con venature russofobe (ci ricordiamo ancora i seminari vietati su Dostojevski?). Vengo così al secondo aspetto, ovvero il ritardo spaventoso della cosiddetta “sinistra” nel proporre una politica di pace. Se a Febbraio l'invio di armi poteva essere legittimato dal mantra “c'è un aggredito e c'è un aggressore” col passare del tempo tale invio è diventato sempre più uno scopo e non più un mezzo, o meglio è diventato un modo per una “vietnamizzazione” del conflitto. La “sinistra” ha appoggiato, tranne rarissime eccezioni, l'invio di armi senza alcuna prospettiva di negoziato, senza alcuna visione alternativa a quella di una guerra da prolungarsi fino a quando? Fino alla caduta di Putin? Fino all'olocausto nucleare? Fino alla desertificazione economica dell'Europa? Fino a quando? Il silenzio assordante di chi scende in piazza per nobilissimi motivi di diritti dei singoli ma tace davanti all'orrore della guerra ha rappresentato una contraddizione talmente lampante da rendere assolutamente aspettati e inevitabili i fischi in piazza e, al riguardo, bisogna riconoscere il coraggio o, come si suol dire, la “faccia tosta” di chi, coerente sostenitore del prolungamento della guerra “ad libitum” è sceso in piazza con chi la guerra, fin dall'inizio, l'ha osteggiata. 

E' l'inizio di qualcosa di nuovo? Forse. Si vedrà. In passato il regime autoritario della DDR iniziò a scricchiolare con il raduno pacifico nelle Chiese protestanti di Lipsia, oggi, le conseguenze di questa manifestazione saranno senz'altro importanti ma al momento imprevedibili.

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Con grande gioia pubblico l'articolo del giornalista e filosofo torinese, Nicola F. Pomponio, che  si trova in grande "fratellanza"  a ciò che ho presentato in questi mesi nel mio diario notturno.  Vorrei ricordare anche l'impegno politico di Pomponio nella sinistra italiana. Ne presento qui sotto anche una traduzione inglese con il traduttore automatico DeepL.


On the great Roman peace march. A "prophetic" reading - Nicola F. Pomponio

 The Piazza di San Giovanni in Rome was filled with people clamoring for peace. This is the news reported by all the media with different nuances depending on one's ideological stance. But I would dwell, beyond whether or not one agrees with the call for the silencing of weapons and the ventilated use of nuclear bombs (which is discussed with an indifference that makes one shudder), on a couple of aspects. First, the square is a square that was born, grew, developed and finally realized at the behest of a significant part of the Catholic world. It was a demonstration desired by Catholic associations that were only later joined by political and trade union forces. The 100,000 people who gathered came together after a long journey marking the beginning from Pope Francis' speeches and the Good Friday procession with a Ukrainian woman and a Russian woman carrying the Cross. Without that impetus this demonstration could not have taken place, and this must be kept in mind if one is to understand what happened. In a multipolar world divided between the West on one side (U.S., NATO, Eu) and everything else on the other (which calls into question the very concept of the West), the papal magisterium affirmed the existence of a different way of dealing with reality. A manner that is by no means new if one thinks of Benedict XV's cry against the "useless slaughter" of World War I and John Paul II's condemnation of the war against Iraq. For this reason, at the moment, only Rome could realize what happened in St. John's Square, an event that is moreover paradoxical if it is true that the overwhelming majority of public opinion is against the war but has no place in the so-called information system that from the beginning, almost completely, has aligned itself on bellicist and sometimes hysterically catastrophist positions with Russophobic veins (do we still remember the banned seminars on Dostojevski?). Thus I come to the second aspect, namely the appalling delay of the so-called "left" in proposing a policy of peace. If in February the sending of arms could be legitimized by the mantra "there is an aggressed and there is an aggressor" as time passed such sending became more and more a purpose and no longer a means, or rather it became a way for a "Vietnamization" of the conflict. The "left" has supported, with very rare exceptions, the sending of arms without any prospect of negotiation, without any alternative vision to that of a war to be prolonged until when? Until the fall of Putin? Until the nuclear holocaust? Until the economic desertification of Europe? Until when? The deafening silence of those who take to the streets for very noble reasons of individual rights but remain silent in the face of the horror of war has been such a glaring contradiction that the booing in the streets has been absolutely expected and inevitable, and in this regard, one must acknowledge the courage or, as they say, the "nerve" of those who, consistent supporters of prolonging the war "ad libitum," have taken to the streets with those who have opposed the war from the beginning. 


Is this the beginning of something new? Perhaps. It will be seen. In the past, the authoritarian regime of the GDR began to crack with the peaceful rally in the Protestant Churches in Leipzig, today, the consequences of this demonstration will certainly be important but unpredictable at the moment.

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It is with great joy that I publish the article by the journalist and philosopher from Turin, Nicola F. Pomponio, which is in great "brotherhood" to what I have been presenting in my "nightly diary" in recent months.  I would also like to mention Pomponio's political engagement with the Italian left. I also present below an English translation of it with the automatic translator DeepL. Roberto Graziotto 



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