martedì 16 gennaio 2024

Schmaus contro Ratzinger? Una polemica sterile... Di Giuseppe Reguzzoni

 Schmaus contro Ratzinger? Una polemica sterile,  a mezzo secolo di distanza, ma che dice molto sull’ermeneutica della rottura, oggi più che mai profonda.


Di Giuseppe Reguzzoni






1 - Dal complesso antiromano al complesso antiratzingheriano



Può sembrare una questione del tutto marginale, ma si tratta di un chiaro indizio della grave crisi in cui versa la Chiesa tedesca. Balthasar, riprendendo senza indicarlo esplicitamente un detto di Carl Schmitt, aveva parlato di «affetto antiromano» per indicare i complessi del cattolicesimo tedesco nei confronti di Roma come Sede Apostolica: oggi esso si esprime come «affetto antiratzingeriano», e proprio l’episodio di cui stiamo per rendere conto ne spiega la natura.


Sulla rivista «Publik Forum», ampiamente ripresa poi da molti organi di informazione di lingua tedesca, si accusa Josef Ratzinger di aver falsato la narrazione degli eventi nella sua Autobiografia (Aus meinem Leben, 1997), nelle pagine in cui racconta del «dramma» della sua tesi di abilitazione. Prima di vedere di che cosa si tratta, rileggiamo quindi i passaggi essenziali delle memorie di Ratzinger, traendoli dalla prima edizione italiana (San Paolo 1997).


2 - Quel che scrive Ratzinger nelle sue memorie



p. 71: «Nel  corso del convegno di Königstein  Schmaus mi chiamò per un breve colloquio, in cui in maniera piuttosto fredda e senza alcuna emozione mi dichiarò che doveva ricusare il mio lavoro di abilitazione, perché non rispondeva ai criteri di rigore scientifico richiesti per quel genere. Aggiunse che i particolari  mi sarebbero stati resi noti dopo la decisione del consiglio di facoltà. Era come se mi avesse colpito un fulmine a ciel sereno. Tutto un mondo minacciva di crollarmi addosso»


Nella sua autobiografia, Ratzinger riconosce le carenze formali che erano state constatate nel suo lavoro (errori di battitura, errori nelle citazioni e alcune mancanze nella bibliografia), oltre a un certo eccessivo entusiasmo giovanile, che poteva passare per supponenza. Sottolinea, tuttavia, che il punto decisivo per l’ostilità di Schmaus era un altro.


p. 72:  «Nel corso del mio lavoro di ricerca avevo constatato che a Monaco la ricerca sul medioevo era rimasta sostanzialmente ferma a prima della guerra e non aveva in nessun modo recepito le nuove grandi prospettive che nel frattempo erano state elaborate soprattutto in ambito francese. Con una durezza che certo poco si adattava a un principiante, nel mio testo criticavano quelle posizioni superate e per Schmaus doveva essere stato davvero troppo, tanto più che non riusciva nemmeno a capire come avessi potuto affrontare un tema medievale senza affidarmi alla sua guida (…). Anche il risultato delle mie analisi non lo trovava per nulla d’accordo. Avevo constatato che in Bonaventura (e, anzi, nei teologi del secolo XIII in generale) non c’era alcuna corrispondenza con il nuovo concetto di “rivelazione”, che eravamo soliti usare (…) nel linguaggio medievale (…) la “rivelazione” è sempre un concetto di azione: il termine definisce l’atto con cui Dio si mostra, non il risultato oggettivizzato (…). E del concetto di “rivelazione” fa sempre parte anche il soggetto ricevente: dove nessuno percepisce a rivelazione, lì non è avvenuta nessuna rivelazione, dato che lì nulla è stato svelato (…).  Se le cose stanno come le ho descfritte, allora la rivelazione precede la Scrittura e si riflette in essa, ma non è semplicemente identica a essa. Questo significa anche che la rivelazione è sempre più grande del solo scritto. Se ne deduce 8…) che non può esistere un mero “sola Scriptura”, che alla Scrittura è legato il soggetto comprendente, la Chiesa, e con ciò è anche dato il senso essenziale della tradizione»


Alla scelta di lavorare sul concetto di rivelazione in Bonaventura, Ratzinger era arrivato su consiglio di Gottlieb Söhngen, che gli era stato già guida nella tesi di dottorato su sant’Agostino.  Söhngen continuò a sostenere il giovane Ratzinger, in quel contesto ormai apertamente ostile.


p. 73 «La seduta del consiglio di facoltà che si occupò della mia tesi dovette essere piuttosto tempestosa. A differenza di Söhngen, Schmaus poteva contare su amici influenti tra i docenti della facoltà, ma il verdetto di condanna venne comunque attenutato: il lavoro non venne ricusato, ma restituito perché fosse corretto. Quel  che c’era da correggere, avrei dovuto desumerlo dalle correzioni di Schmaus (…). Se così fosse stato, allora la restituzione sarebbe stata equivalente a una ricusazione».


Per salvare la tesi e l’abilitazione Ratzinger sceglie di presentare solo la parte dedicata alla teologia della storia di san Bonaventura, opportunamente risistemata. Il lavoro fu infine accettato il giorno 11 febbraio 1957 e, grazie a questo, Ratzinger poté iniziare la sua grandiosa carriera accademica.


In seguito Ratzinger si riconciliò con Schmaus, e di questo parla nella sua Autobiografia, così come ricorda che da quella vicenda apprese a trattare con attenzione e umanità gli studenti che seguiva nelle loro tesi di laurea o di dottorato. Per inciso, Ratzinger ha sempre riconosciuto a Schmaus il merito di essere stato trai primi, nella sua monumentale Dogmatica, a tenere conto dei testi dei padri della Chiesa, cercandone la continuità nella Scolastica medievale.


Joseph Ratzinger divenne libero docente nel 1957  con il suo lavoro sulla «Teologia della storia di san Bonaventura».  Si trattava, appunto, di una sola parte del lavoro originario, il cui titolo era: «La concezione della Rivelazione e la teologia della storia di Bonaventura». Le parti allora eliminate furono pubblicate per la prima volta nel 2009, quindi dopo la sua elezione al soglio pontificio.




3 - Qual è il capo di accusa?




L’accusa, pubblicata su  «Publik Forum»   sulla base di quanto riportato da Richard Heinzmann – un ex professore di filosofia cristiana, già allievo di Schmaus e ora in pensione - è che Joseph Ratzinger nella propria Autobiografia avrebbe dato una rappresentazione falsata dell conflitto emerso a proposito della sua tesi di abilitazione, in particolare della figura del teologo Michael Schmaus. 


Per rafforzare questa tesi, la rivista ha pubblicato due pareri scritti di Schmaus, in realtà appunti sinora rimasti solo su carte private e riservate. 



Schmaus non si sarebbe affatto opposto per risentimento alla tesi di abilitazione di Ratzinger, dato che in questi due scritti Schmaus loda l’allora 29nne Ratzinger come un «pensatore di forza originale, che dispone di una suggestiva capacità di espressione  e di una splendica capacità rielaborativa», ma critica le debolezze scientifiche del lavoro. Ratzinger non avrebbe portato avanti la sua ricerca con la necessaria apertura scientifica. Avrebbe stabilito una tesi a priori e poi vi avrebbe adattato quanto da lui letto, senza prendere in considerazione alcune opere già uscite sull’argomento, e arrivando cosÎ a giudizi affrettati e in parte erronei. Invece, nell’Autobiografia,  Ratzinger sostiene che Schmaus sarebbe rimasto a livello delle ricerche uscire prima della guerra e che per questo motivo non avrebbe seguito le sue argomentazioni.


Schmaus scrive che il giovane Ratzinger  avrebbe svalutato «con tono da maestro di scuola» le posizioni di altri studiosi, dando l’impressione che «il mondo scientifico comincia solo con lui», e aggiunge: «Ecce, praeceptor theologiae!».  Tuttavia, Schmaus avrebbe comunque cercato di salvare la tesi di Ratzinger e, con essa, la sua carriera accademica.


Heinzmann  difende Schmaus e afferma che, malgrado le critiche «giustificate», questi avrebbe agevolato la conclusione del processo di approvazione del lavoro del giovane Ratzinger, «le cui doti scientifiche erano per lui fuori discussione».


Schmaus morì nel 1993 e non potè quindi rispondere alla versione dei fatti presentata nell’Autobiografia, uscita nel 1997.  Per questa ragione, Heinzmann – peraltro a quasi ventisette anni di distanza – ritiene di dover difendere la memoria del suo maestro e di correggere la narrazione che ne ha fatto Ratzinger.



4 - La risposta di Communio (edizione tedesca)


Manuel Schlögl (docente a Colonia)   risponde con un articolo estremamente documentato sulla rivista «Communio»  (edizione tedesca), significativamente intitolato: «La verità storica dietro l’abilitazione di Joseph Ratzinger. Non c’è bisogno di alcuna correzione» (La risposta del Prof.Schlögl) .  L’autore ricostruisce la vicenda e presenta i «pareri» pubblicati da Heinzmann e la tesi di quest’ultimo, chiarendo sin da principio che l’operazione mira a discreditare sia sul piano accademico che su quello umano il defunto papa (e non è la prima volta), colpendolo con l’asserzione che egli avrebbe sostanzialmente presentato una narrazione falsa e parziale.


Alla sua risposta e alla presentazione di altri documenti di archivio, essi pure sinora inediti e che confermano la versione di Ratziner, Schlögl premette che l’uscita di Heinzmann ha un suo aspetto positivo, dato che sinora l’episodio del rifiuto della tesi da parte di Schmaus non era mai stata adeguatamente indagato.


Ora, proprio perché sono stati pubblicati i pareri di quell’epoca (quello molto duro del 1956 e quello più mite del 1957), si può verificare che furono molte le motivazioni che portarono Schmaus a criticare il giovane collega: difetti formali, come citazioni errate, mancanze di riferimenti bibliografici o di citazioni di autori più recenti, cui si aggiungeva una certa giovanile irruenza … Tutte cose che, per la verità, lo stesso Ratzinger ammette nella sua Autobiografia,  e che non sono quindi una novità e vengono semplicemente confermate dal punto di vista di Schmaus. Proprio perché Ratzinger riconosce i limiti della sua prima versione della tesi, non si può certo parlare di una narrazione autocelebrativa.

Quel che non emerge dai pareri di Schmaus è proprio il clima culturale e spirituale della Chiesa degli anni Cinquanta e che ha a che fare proprio con la «verità storica» che sta tanto a cuore ad Heinzmann. Nel 1950 con la pubblicazione dell’enciclica “Humani generis” di papa Pio XII era partita una vera e propria persecuzione dei teologi «moderni» (il passo, poi, all’accusa di “modernismo” era subito fatto).  In Francia importanti teologi domenicani e gesuiti si videro privati della facoltà di insegnare, con decisioni che accettarono in spirito di obbedienza, e anche a Monaco si parlava solo con estrema prudenza di quella che, da allora, fu chiamata la "Nouvelle théologie".


Nel contesto di questo dibattito, Schmaus si collocava rigidamente sulla linea di Roma, tanto che, in seguito, Henri de Lubac, uno dei perseguitati, lo definì  «integralista romano». Invece, Gottlieb Söhngen, maestro di Ratzinger, si trovò a soffrire a causa di questa ristrettezza culturale e incoraggiò i suoi allievi a lavorare per un rinnovamento della teologia orientato alla Scrittura e alla Tradizione. Proprio per questo, al di là dei dettagli redazionali e delle questioni di temperamento, l’esito della ricerca di Ratzinger, con la sua presentazione del concetto di rivelazione, non poteva piacere a Schmaus, che è quel che di più importante emerge nella narrazione autobiografica di Ratzinger. Per Ratzinger la rivelazione implica il soggetto comprendente, mentre Schmaus sottolineava con forza il carattere soprannaturale e il contenuto dottrinale della rivelazione divina.

Ora, proprio contro quel che scrive Heinzmann, sostenendo che, comunque, Schmaus facilitò l’abilitazione di Ratzinger e che, quindi, l’animosità sarebbe venuta da quest’ultimo e non dal primo, depongono altri documenti, anche questi sinora inediti, da cui risulta che Schmaus cercò di impedire la nomina di Ratzinger come docente a Bonn.

Negli archici del Decanato della Facoltà di Teologia dell’università di Bonn, dove Ratziner insegnò dal 1959 al 1963, subito dopo la propria abilitazione, si trova una lettera del prof. Albert Lang, docente di teologia fondamentale, datata 23 luglio 1958,  e indirizzata al preside di facoltà. Vi si legge che Schmaus lo aveva espressamente messo in guardia, per lettera dall’assegnare quel posto a Ratzinger, dato che quest’ultimo in un suo articolo pubblicato sul «Klerusblatt» avrebbe sostenuto delle tesi simili a quelle di Adolf von Harnack, caposcuola della teologia liberale protestante. La critica è del tutto in linea con un ricordo di Alfred Läpple, che riferisce che Schmaus avrebbe detto a Ratzinger, in occasione dell’esposizione della sua tesi di abilitazione: «Il suo modo soggettivistico di interpretare la rivelazione non è autenticamente cattolico».

Quindi, la questione dell’abilitazione di Ratzinger aveva a che fare non con qualcosa di personale, che riguardava solo lui, ma con la Chiesa e la teologia. Quel giovane ricercatore divenne il più influente pensatore cattolico del nostro tempo, non grazie a Schmaus, ma malgrado lui ed è questa la verità storica, che non può essere ridotta a due pareri scritti.


5 -  Una breve conclusione


Il fatto che la polemica, legata a fatti molto lontani nel tempo, sia emersa proprio ora è, a sua volta, significativo del clima culturale e spirituale di oggi. L’attacco alla serietà accademica e scientifica del giovane Ratzinger può essere interpretato tanto «da destra» che «da sinistra», se è concesso usare per l’ambito teologico-ecclesiale questi termini ormai superati anche in politica. Da destra: perché il giovane Ratzinger verrebbe fatto passare per un liberale modernista (cosa che si legge in moltissimi organi di informazione ultratradizionalisti). Da sinistra: perché la tesi dell’ermeneutica della continuità, applicata al concilio Vaticano II, farebbe di Ratzinger un riformatore incompleto, se non un traditore ripiegato su posizioni conservatrici.

Il punto è che la tesi di Ratzinger, sul concetto di rivelazione, porta, invece, a un recupero del concetto autentico di tradizione, pienamente in linea con quello che Newman definisce lo «sviluppo» della dottrina cristiana. Ed è questo che di Ratzinger, poi papa Benedetto XVI, dà profondamente fastidio e che qui si seguito, in termini necessariamente molto semplificati, vogliamo riassumere.

Gli ultraprogressisti interpretano la tradizione come un magazzino da cui prendere quel che aggrada la propria visione della modernità, per ricostruirla a proprio piacimento (come Ratzinger spiega benissimo nell’Autobiografia a proposito della liturgia). Gli ultratradizionalisti cadono nell’errore di considerare un’interpretazione relativamente recente della tradizione come l’unica possibile, confondendo il loro punto di vista (figlio di quella modernità che contestano) con lo scorrere della tradizione («tradere» significa «consegnare», non «bloccare»).  La neoscolastica, pur con i suoi numerosi meriti, non è la scolastica medievale, ma una sua reinterpretazione moderna (tra l’altro di “neoscolastica” ne esiste più di una), che in alcuni suoi autori ridefinisce in termini moderni la relazione tra natura  e soprannaturale, secondo uno schema che non è quello di san Tommaso d’Aquino (sul piano storico inseparabile dalla tradizione agostiniana, come hanno ampiamente dimostrato gli autori di scuola francese) né, men che meno, quella di san Bonaventura e della scuola francescana.

Alla fine, l’ultratradizionalismo, che arriva sino agli eccessi fanatici del sedevacantismo (l’ultimo papa legittimo sarebbe Pio XII) è prigioniero di quello stesso cedimento alla modernità (mal interpretata)  contro cui vorrebbe frapporsi.


Giuseppe Reguzzoni è storico delle idee, traduttore e libero pubblicista. Dopo la laurea in lettere moderne e studi di filosofia e teologia, ha conseguito il dottorato di ricerca presso l'Università Cattolica di Milano. Per molti anni insegnante nei licei (in Italia e in Svizzera), attualmente insegna nell'Istituto Universitario di Mediazione Linguistica di Borgomanero (Piemonte) e svolge libera attività pubblicistica su quotidiani e riviste, nazionali e internazionali. Ha collaborato e collabora come traduttore di opere teologiche, storiche, giuridiche e filosofiche con le Edizioni San Paolo, Jaca Book, Cantagalli, XY.IT, Res Novae Verlag (Germania) ed Eupress Lugano (Svizzera). Tra le opere da lui tradotte figurano diversi scritti dei cardinali Ratzinger (papa Benedetto XVI), Cordes, Kasper, Koch e Schönborn. Tra le sue opere: "Modernità e secolarizzazione" (Milano 2006), "Conoscere per indizi" (Arona-Novara 2010), "Il liberalismo illiberale" (Arona-Novara 2015), "Dal Monte al Cielo. Esperienza poetica e teologica nell'opera di Dante" (Arona-Novara 2021).



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