Il colpo di genio o per lo meno uno dei colpi di genio della letteratura mondiale porta il titolo „Die Wahlverwandtschaften“ (le affinità elettive), 1809) di Johann Wolfgang von Goethe, e all’interno di questo colpo di genio si muove il bellissimo romanzo di Francesca Giannone, „La portalettere“, Trebaseleghe (PD), 2023 e non solo per il rapporto tra Antonio ed Anna, ma anche per quello tra Lorenza e Daniele. Non vorrei raccontare qui la trama, tanto più che per il mio intento non servirebbe a nulla e sarebbe un disturbo alla lettura del romanzo stesso; forse basta l’informazione che si trova nella copertina del libro: „Italia anni 30. Un paese del Sud. Una donna del Nord. Un incontro che cambierà entrambi“. La donna si chiama Anna, che è la figura sociale del libro, oltre che il personaggio principale; Lorenza è sua nipote ed è la figlia di Antonio, sposato con Agata (su di lei e sul suo cattolicesimo da rosario e da pettegolezzi umilianti ci sarebbe tanto da dire, ma almeno vorrei ricordare che è proprio lei che veste il cognato morto, Carlo). Antonio è il fratello di Carlo, il marito di Anna. Daniele, lo si scopre abbastanza presto leggendo il romanzo, è il figlio che Carlo ha avuto, prima del suo rapporto con Anna, con Carmela, una sarta elegantissima del paese, e poche persone conoscono questo segreto; Daniele lo conoscerà verso la fine del romanzo. Antonio ed Anna sono i „lettori di classici“ nel libro di Giannone e i libri hanno un’importanza notevole nel romanzo, anche se non contengono le soluzioni, per lo meno non le contengono quando accade il „caso serio“. Come scrive Simone Weil, il sapere di Archimede, non ha evitato che un ubriaco lo uccidesse (Riflessioni sulle cause della libertà, Milano,1983, 94). Alla fine del libro Anna scrive una lettera che Antonio riceverà solo dopo la sua morte, in cui parla delle „Affinità elettive“ di Goethe: „ mi aveva incuriosito per la domanda che poneva, la stessa che in quel momento mi stavo ponendo anch’io: cosa succeda ad una coppia di elementi se ne entra in gioco un terzo?“ (La portalettere, 410). Il terzo è certamente una persona che si aggiunga ad una coppia, ma in vero il terzo è l’incontrollabile, qualcosa di ancora più incontrollabile del sangue: qualcosa che possiamo per l’appunto chiamare „affinità elettiva“. Non averlo per lo più capito è uno degli errori più tragici della Chiesa, nel suo aspetto gerarchico, che nel romanzo è rappresentata solo negativamente, da due figure di sacerdoti, una del tutto cattiva (don Giulio) e l’altra farisaica (don Lorenzo). Che con questa Chiesa Anna non voglia dialogare è chiaro, anche se le sue azioni non corrispondono solamente all’ideologia di sinistra, ma anche alla dottrina sociale cattolica. Parafrasando il cardinale Mateo Maria Zuppi (1) direi che queste due visioni del mondo sono lontane nelle rispettive sagrestie, non nella storia reale del paese e delle famiglie italiane, come a livello letterario ha fatto vedere Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi (1908-1968), con le figure di Peppone e don Camillo, che hanno due diverse visioni del mondo, ma non due diverse realtà: quando il fiume Po’ straripa dal suo letto, diventa un problema comune, con soluzioni possibile comuni. Ma torniamo allo „straripamento“ dell’entrata in gioco del terzo elemento, al di là della razionalità e dell’etica. E poniamoci la domanda più forte, più urgente: vi è una forma che possa essere così forte da tener duro di fronte all’elezione elettiva? Hans Urs von Balthasar (1905-1988), forse uno dei più grandi conoscitori di Goethe del 20esimo secolo, ha scritto: se avessimo chiesto al grande maestro della forma di Weimar, che però scappò in Italia quando non c’è la fce più, quale fosse la forma ultima della sua opera, lo avremmo messo in difficoltà. In un certo senso Anna , certo anche con don Ciccio e Gina (per tradizione), è l’unica che ritenga e difenda la forma come un tesoro (per convinzione): la forma del suo matrimonio con Carlo, pur essendosi avvicinata al terzo elemento (Antonio): „ la verità, mio caro Antonio, è che per tutto questo tempo abbiamo avuto bisogno di odiarci. Era l'unico modo per non tradire Carlo. La verità, come mi hai detto una volta, si trova tra le righe. E sai cosa c'è tra le mie? C’è che rischiavo di amarti più di quanto avessi mai amato Carlo. E non potevo permettere che accadesse. Carlo non se lo meritava“ (La portalettere, 410); in vero Carlo se lo meritava, ma questo non cambia la questione; alla fine, come nelle „Affinità elettive“ di Goethe, nella figura di Ottilia, il motivo ultimo del romanzo, è il sacrifico o detto in modo meno religioso la rinuncia, che solo/a può forse salvare la forma (2). Lorenza, che è molto più semplice e meno egoista dell’Edoardo di Goethe, anche se è disposta a lasciare la sua piccola figlia, Giada, per andare a cercare Daniele a New York, è disposta ad uccidere se stessa per non perdere l’affinità elettiva con Daniele. E per quanto riguarda la mia vita, con cui confronto tutta la letteratura, come fa Anna stessa, senza pretendere che ci sia una totale armonia tra forma e affinità elettiva, cosa che già solo per l’esistenza dell’inconscio personale e collettivo (C.G. Jung) non è possibile, direi che quello di questa forma si è salvata nei decenni del mio amore con mia moglie, è dono, non prestazione e ciò ha una sua corrispondenza ontologica, perché l’ essere stesso è dono di amore gratuito (Ferdinand Ulrich).
(1) „ La vita di quei contadini e quegli operai socialisti, comunisti, cattolici, non è mai stata separata davvero, è rimasta intrecciata, nelle famiglie e nelle case, anche quando non lo era più nelle chiese“ (Matteo Maria Zuppi, Dio non ci lascia da soli, Milano 2023, 27).
(2) La dimensione forse più profonda del romanzo è che Anna comprende nella malattia quale fosse stata la posta in gioco nell'amore che provava per Antonio ed essa aveva a che fare con il grande mistero della gratuità, che è sempre, come rivela la parola tedesca "umsonst": gratis et frustra.
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