Pubblico in questo post alcune meditazioni apparse su Facebook in dialogo con gli Esercizi di don Julian Carrón, Il brillio degli occhi, Milano 2020. L'ordine è cronologicamente inverso. -Aggiungo a questa prima intenzioni alcune mie riflessioni sulla sdc (scuola di comunità) di CL.
(17.10.22) Don Federico Picchetto, che una volta ho seguito di più, ha scritto un bel articolo nel „Sussidiario“ sull’incontro del papa con CL: „Francesco e don Giussani, come rinascere nell’anno della nascita“, ha messo in evidenza tre momenti forti: in primo luogo l’unità nella pluralità, in secondo luogo l’anticlericalismo come dimensione matura della percezione della propria persona, senza dipendenze infantili da un capo ed infine l’equilibrio tra carisma ed istituzione. Per quanto riguarda il primo punto credo che ci sia un passo da fare proprio per star vicino al papa in quella sua richiesta davvero forte di fargli compagnia nella profezia dell’annuncio della pace e dell’amore per i poveri. Le posizioni in CL non sono solo „molteplici“, ma „contraddittorie“, almeno a prima vista: bisognerà imparare a parlarci insieme, senza offendersi e con grande umiltà dell’ascolto.
Un articolo, - superiore a questo ci sono solo le parole dirette del Papa - che mi ha davvero commosso su questo incontro di Cl con il Papa, è quello di Massimo Borghesi, che va letto tutto; qui cito solo il finale: „Si tratta di un invito particolare, di un attestato di stima da parte del Papa. Comunione e Liberazione è chiamata a collaborare ad una triplice azione “profetica” del pontificato, ad impegnarsi nella lotta per la pace in Ucraina; in quella per per l’aiuto, materiale e spirituale, verso i poveri e gli emarginati; in quella di valorizzare il senso religioso come luogo di dialogo e di pace tra i popoli del mondo. Si tratta di azioni profetiche animate dalla presenza del Dio di Misericordia. La crisi di Cl, come di tanti movimenti ed associazioni oggi, può essere una grande occasione di crescita. Il Papa sabato ha dimostrato tutta la sua paternità ad una realtà che tanto ha dato alla Chiesa e tanto può dare oggi. La folla festante e composta di piazza San Pietro, toccante nei suoi canti e nelle due splendide testimonianze dell’africana Rose di Kampala e della marocchina Hassina, ha corrisposto a questa paternità. Ha compreso la tenerezza del Padre e il compito che le è assegnato“ („Collaboratori delle profezie del papa“).
(16.10.22) Continuo il lavoro sulle parole che ci ha detto il Papa, che ho cominciato ieri. Il secondo aspetto che ieri il Santo Padre ha sottolineato è stato quello di don Giussani educatore, un educatore che ha creato persone libere e che sono diventate loro stesse, in diversi ambiti lavorativi, e non una copia di lui. Il Santo Padre ci ha proposto con quelle poche parole il tema della critica al „proselitismo“ ed ha, in un certo senso, reso di nuovo figli del grande maestro lombardo anche chi non partecipa più ai gesti del Movimento. Attenti, lo dice uno che è convolto fino in fondo emozionalmente in questo carisma: quando dopo il taglio cesareo mi hanno messo mia figlia in braccio le ho cantato „Al primo chiarore del giorno“, l’inno che è stato scelto ieri per le „Lodi“ in Vaticano. Borghesi sull’ „Osservatore Romano“ ha scritto qualche giorno fa: „Luigi Giussani, di cui il 15 ottobre celebriamo il centenario della nascita, è stato probabilmente il più grande educatore nell’Italia della seconda metà del ’900“. Vero, ma per l’appunto „probabilmente“; non sappiamo che cosa in cielo sia grande e cosa sia piccolo. Giovanni Battista è grande e piccolo allo stesso tempo. Per quanto mi riguarda Ferdinand Ulrich, non in primis la sua filosofia, ma lui, nei dialoghi faccia a faccia tra noi due, è stata una presenza „educatrice“ potentissima, anche se a livello quantitativo non ha raggiunto così tante persone come don Luigi.
Per quanto poi riguarda la parte su don Giussani, figlio della Chiesa, il Papa ci ha spiegato l’importante opposizione polare feconda tra istituzione e carisma: „Don Giussani ha insegnato ad avere rispetto e amore filiale per la Chiesa e, con grande equilibrio, ha saputo sempre tenere insieme il carisma e l’autorità, che sono complementari, entrambi necessari. Voi cantate spesso nei vostri incontri il canto “La strada”. Giussani, proprio usando la metafora della strada diceva: «L’autorità assicura la strada giusta, il carisma rende bella la strada“. Senza autorità si rischia di andare fuori strada, di andare in una direzione sbagliata. Ma senza il carisma il cammino rischia di diventare noioso, non più attraente per la gente di quel particolare momento storico“ - ho interiorizzato totalmente questo atteggiamento che era proprio anche di Balthasar ed Ulrich. Ma a parte questo tema importantissimo, il Papa ha detto una frase che mi ha fatto quasi piangere: tra i diversi compiti dell’autorità ha citato questo: „tutelare i membri del movimento, nel promuovere il loro cammino cristiano e la loro formazione umana e spirituale“ (cioè il loro carisma personale). Questa tutela da me tanto desiderata, non è mai stata presa davvero sul serio, se non come noiosa ripetizione della richiesta di fedeltà ai gesti; vi è qualche eccezione, ma nella modalità della reciprocità e non della tutela; comunque, vista la singolarità della mia via, devo abituarmi che questa tutela non l’avrò mai. Il che non rende gli altri meno colpevoli.
Mi ha fatto anche tanto bene che il papa abbia connesso il tema dell’incontro con persone concrete alla scena di Filippo con il funzionario della regina di Etiopia, che avevo già citato nel mio messaggio a Michela: questa connessione è una critica radicale ad ogni forma di culto della personalità. Filippo è solo uno strumento della volontà salvifica di Dio.
Infine il Papa ci ha chiesto aiuto e ci ha invitato a curare l’unità: „E, per concludere, vorrei chiedervi un aiuto concreto per oggi, per questo tempo. Vi invito ad accompagnarmi nella profezia per la pace – Cristo, Signore della pace! Il mondo sempre più violento e guerriero mi spaventa davvero, lo dico davvero: mi spaventa –; nella profezia che indica la presenza di Dio nei poveri, in quanti sono abbandonati e vulnerabili, condannati o messi da parte nella costruzione sociale; nella profezia che annuncia la presenza di Dio in ogni nazione e cultura, andando incontro alle aspirazioni di amore e verità, di giustizia e felicità che appartengono al cuore umano e che palpitano nella vita dei popoli. Arda nei vostri cuori questa santa inquietudine profetica e missionaria. Non rimanere fermi“. Negli ultimi giorni nel mio diario avevo parlato di due iniziative di pace e mi sono deciso per quella proposta dalle ACLI, da Sant’Egidio, da Articolo 1, da „5 Stelle“ e sembra anche dal PD, mentre ho criticato quella che avevo visto nella bacheca di Riccardo Bonacina, perché a me quella sembrava (!) piuttosto una dichiarazione di guerra alla Russia che una manifestazione di pace. Appena ho messo nella mia bacheca in Fb il manifesto di quella delle ACLI… sono stato immediatamente aggredito da un vecchio di CL: proposta ridicola…Credo che il Papa non voglia che ci parliamo in questo modo; a me sembra la proposta delle ACLI… (che scenderà in piazza il 5.11.) sia più adeguata alla critica che ha fatto il Papa alla logica di „Cappuccetto rosso“, comunque dobbiamo imparare a dire i nostri argomenti senza insultarci. Anch’io devo imparare!
C’è un testo di don Giussani della viglia del Natale del 2000 sulla pace che mi conforta molto. Il Papa ci ha chiesto di andare anche al di là dei singoli giudizi di don Giussani, perché il tempo è cambiato; non si tratta di abbandonare il suo metodo, ma di renderlo vivo ora. Quindi non cito questo testo come „vangelo“, ma è ugualmente davvero impressionante, almeno in alcuni punti. In primo luogo la pace ha a che fare con il cuore dell’uomo, „in ogni situazione, come forma di ogni rapporto“. Poi ci offre un discernimento da brividi: „"Viviamo in un’epoca che sembra descritta dalla frase biblica «Io sono per la pace, ma quando ne parlo essi vogliono la guerra» (Salmo 119)“. Non basta neppure parlare della pace per volere la pace: nel discorso del ministro degli esteri tedesco, Annalena Baerbock, che ho citato prima, lei parla in continuazione di pace, ma vuole la guerra. Baerbock dice che in vero la guerra non la vuole lei, la vuole solo Putin. E questo è un mito, che non tiene conto di quello che don Giussani aveva capito nel 2000 e delle tante cose che ci ha detto il Papa in questi mesi: „Così, collocare la divinità - o, in altri termini, il supremo scopo dell’agire - nella potenza politica, potrà illudere le persone più impegnate, più pensose, circa la possibilità di realizzare quella che gli antichi chiamavano «pax romana» - una generica tolleranza verso tutti, salvo l’ultima parola che si riservava il potere politico, per cui era permessa un’attenzione a qualsiasi Dio purché non deprimesse la divinità dell’imperatore - e che nei nostri tempi si potrebbe chiamare «pax americana» o pace sociale“. Il papa oggi parla di scontro tra imperialismi insomma tra la pax americana, descritta molto bene da Giussani e la pax russa, che vuole essere l’ultimo baluardo contro l’idea occidentale della „generica tolleranza verso tutti“. Giussani usa un registro molto profondo, quando dice che non vi è pace, senza senso religioso e senza l’ipotesi che la vita ha un senso: „il pre-sentimento di una positività ultima“, che ci permette di impegnarci in un cammino di pace e di sostegno dei poveri. Mi fermo qui, perché vorrei meditare ancora un video, credo il primo, che è stato fatto vedere ieri, mentre i confratelli aspettavano il papa. Comunque anche il testo del 2000 prosegue parlando del Natale.
In questo video Don Giussani medita quel momento in cui Maria è lasciata da sola dall’angelo. L’annuncio dell’avvenimento, l’assenso di Maria e poi l’avvenimento sono accaduti, ma lei ora è sola (non in una piazza con tante sorelle e fratelli che la sostengono). È il momento della fede, con cui deve affrontare i suoi genitori e Giuseppe, ma è anche il momento della ragione, della lealtà - non può negare ciò che le è accaduto e ciò che le è accaduto è davvero „id quod maius cogitari nequit“. Il totalmente altro è diventato in lei non-aliud! Carne della sua carne! Il Mistero è in lei, nel suo essere totalmente altro, non-aliud (Nicola di Cusa, Ferdinand Ulrich). Questa cosa è da brividi! Ed è qualcosa che accade prima del senso religioso, anzi è proprio questo avvenimento che permette a don Giussani di scrivere sul senso religioso, che gli permette di leggere Leopardi, scoprendone quel di più, che solamente un cuore così poteva vedere; poteva vedere cosa Leopardi davvero cercasse e che era già accaduto, ma che gli (a Leopardi) sembrava troppo astratto…
(15.10.22 - Pomeriggio) Cara Michela, ci vedo anch’io una continuità tra il discorso del 7.3.2015 e questo di oggi, 15.10.22. Nel primo discorso aveva accentuato il tema del decentramento del carisma, in questo ha parlato della polarità tra carisma ed istituzione. Ha parlato dei problemi che ci sono stati dopo la morte di don Giussani, si è ringraziato per l’opera di don Carrón, anche come collegamento con la Santa Sede, e ci ha chiesto di curare l’unità tra di noi, ha detto che ogni persona deve essere responsabile del carisma e che don Giussani non voleva che tutti fossero una copia di lui. "Don Giussani aveva una grande sensibilità nel rispettare l’indole di ognuno, la sua storia, il suo temperamento, i suoi doni. Non voleva persone tutte uguali e non voleva nemmeno che tutti imitassero lui“. Con il rinvio alla storia di Filippo e il funzionario della regina di Etiopia ci ha detto che non dobbiamo incollare le persone alla nostra: „Ebbene, come termina questo episodio? Filippo battezza l’eunuco e il testo dice: «Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più» (At 8,39). “Non lo vide più”! Dopo averlo condotto a Cristo, Filippo scompare dalla vita dell’eunuco! Ma la gioia dell’incontro con Cristo rimane, - quella gioia dell’incontro rimane sempre! - infatti il racconto aggiunge: «E pieno di gioia, proseguiva la sua strada». Tutti siamo chiamati a questo: essere mediatori per gli altri dell’incontro con Cristo, e poi lasciare che essi percorrano la loro strada, senza legarli a noi“. Questo è certamente un modo di riproporre il tema del „decentramento dal carisma“. I tre punti su cui ci ha fatto riflettere: don Giussani, uomo carismatico; don Giussani, educatore e don Giussani, figlio della Chiesa sono importantissimi, per farci comprendere che per quanto don Giussani sia stato un uomo libero e rimasto sempre un uomo umile. Alla fine ci ha invitato ad un lavoro profetico per la pace. Che il Signore benedica il Papa, Roberto PS che don Giussani preghi per tutti noi.
(Notte) Sulla questione del carisma questa volta il Santo Padre ha detto: „Anzitutto, è importante ricordare che non è il carisma a dover cambiare: esso va sempre nuovamente accolto e fatto fruttificare nell’oggi. I carismi crescono come crescono le verità del dogma, della morale: crescono in pienezza“ - qui c’è una polarità tutta da scoprire: il carisma non deve cambiare, ma cresce. Non si tratta di farne arbitrariamente qualcosa d’altro, ma allo stesso tempo non può essere fissato nell’immobilismo. Continua il Papa: „Sono i modi di viverlo che possono costituire un ostacolo o addirittura un tradimento al fine per il quale il carisma è stato suscitato dallo Spirito Santo. Riconoscere e correggere le modalità fuorvianti, laddove necessario, non è possibile se non con atteggiamento umile e sotto la guida sapiente della Chiesa. E questo atteggiamento di umiltà lo riassumerei con due verbi: ricordare, ossia riportare al cuore, ricordare l’incontro con il Mistero che ci ha condotti sin qui; e generare, guardando avanti con fiducia, ascoltando i gemiti che lo Spirito oggi nuovamente esprime. «L’uomo umile, la donna umile ha a cuore anche il futuro, non solo il passato, perché sa guardare avanti, sa guardare i germogli, con la memoria carica di gratitudine. L’umile genera, l’umile invita e spinge verso ciò che non si conosce. Invece il superbo ripete, si irrigidisce […], va indietro e si chiude nella sua ripetizione, si sente sicuro di ciò che conosce e teme, teme sempre il nuovo perché non può controllarlo, se ne sente destabilizzato… perché? Perché ha perso la memoria». Guardate la memoria del fondatore.
Carissimi, abbiate a cuore il dono prezioso del vostro carisma e la Fraternità che lo custodisce, perché esso può far “fiorire” ancora molte vite, come ci hanno testimoniato Hassina e Rose. La potenzialità del vostro carisma è ancora in gran parte da scoprire, ancora c’è gran parte da scoprire; vi invito perciò a rifuggire da ogni ripiegamento su voi stessi, dalla paura – la paura non ti porterà mai a un buon porto - e dalla stanchezza spirituale, che ti porta alla pigrizia spirituale. Vi incoraggio a trovare i modi e i linguaggi adatti perché il carisma che don Giussani vi ha consegnato raggiunga nuove persone e nuovi ambienti, perché sappia parlare al mondo di oggi, che è cambiato rispetto agli inizi del vostro movimento. Ci sono tanti uomini e tante donne che non hanno ancora fatto quell’incontro con il Signore che ha cambiato e reso bella la vostra vita!
(7.7.22) (Notte) Accusare gli altri, senza allo stesso tempo accusare se stessi, è impossibile per il cristiano, perché quest’ultimo non può dividere precisamente tra la loro e la sua colpa, tra la mia e la tua.
(24.6.22) "L’essenza del carisma di Comunione e Liberazione è riassumibile nell’annuncio, pieno di entusiasmo e di stupore, che Dio è diventato uomo e che questo Uomo è presente in un «segno» di concordia, di comunione, di comunità, di unità di popolo: solo nel Dio fatto uomo, solo nella Sua presenza e, quindi, solo attraverso - in qualche modo - la forma della Sua presenza, l’uomo può essere uomo e l’umanità può essere umana. È qui la sorgente della moralità e della missione.
Ognuno ha la responsabilità del carisma incontrato.
Ognuno è causa di declino o di incremento del carisma, è un terreno in cui il carisma si sperpera o dà frutto. La presa di coscienza della responsabilità per ognuno è gravissima come urgenza, come lealtà e come fedeltà. Oscurare o diminuire questa responsabilità vuole dire oscurare e diminuire una intensità di incidenza che la storia del nostro carisma ha sulla Chiesa di Dio e sulla società.
C’è una immedesimazione personale, una versione personale che ognuno dà del carisma cui è stato chiamato e cui appartiene. Inevitabilmente, infatti, quanto più uno diventa responsabile tanto più il carisma passa attraverso il suo temperamento, attraverso quella vocazione irriducibile a qualsiasi altra che è la sua persona. La persona di ciascuno di noi ha una sua concretezza: la sua mentalità, il suo temperamento, le circostanze che vive e soprattutto il movimento della libertà.
Perciò il carisma assume una flessione varia e approssimativa nella misura della generosità di ognuno. L’approssimazione è misurata dalla generosità, dove si fondano capacità, temperamento, gusto, ecc. (uno potrebbe fare ciò che vuole del carisma e della sua storia: ridurlo, parzializzarlo, accentuarne aspetti a danno di altri, piegarlo a proprio gusto o tornaconto, addirittura abbandonarlo per negligenza, per caparbietà, per superficialità).
Il carisma si flette secondo la generosità di ognuno. Questa è la legge della generosità: dare la propria vita per l’opera di un Altro. Ognuno, in ogni suo atto, in ogni sua giornata, in ogni suo immaginare, in ogni suo proposito, in ogni suo agire, deve preoccuparsi di paragonare i suoi criteri con l’immagine del carisma come è emerso alle origini della storia comune. Il paragone con il carisma, così come ci è stato dato, tende a correggere la singolarità della versione, della traduzione, è correzione e suscitazione continue.
Questo paragone è quindi la preoccupazione più grande che metodologicamente, moralmente e pedagogicamente si deve avere. Altrimenti il carisma diventa pretesto e spunto per quello che si vuole, copre e avalla ciò che vogliamo noi. Per limitare questa tentazione che è di ognuno
di noi dobbiamo rendere comportamento normale il paragone con il carisma come correzione e come ideale continuamente risuscitato. Tale paragone deve diventare abitudine, habitus, virtù.
Questa è la nostra virtù: il paragone con il carisma nella sua originalità attraverso l’effimero di cui Dio si serve. Ritorna qui l’importanza dell’effimero. Per ora, il paragone ultimante è con la persona con cui tutto è cominciato. Essa può essere dissolta, ma i testi lasciati e il seguito ininterrotto - se Dio vorrà - delle persone indicate come punto di riferimento, come interpretazione vera di quello che è successo, diventano lo strumento per la correzione e per la risuscitazione; diventano lo strumento per la moralità.
La linea dei riferimenti indicati è la cosa più viva del presente, perché un testo da solo può anche essere interpretato male; è difficile interpretarlo male, ma può accadere.
Dare la vita per l’opera di un Altro implica sempre un nesso tra le parole «Altro» e qualcosa di storico, concreto, tangibile, sensibile, descrivibile, fotografabile, con nome e cognome. Senza questo fattore storico si impone il nostro orgoglio, questo sì effimero, ma nel senso peggiore del termine.
Dare la vita per l’opera di un Altro, non astrattamente, è dire qualche cosa che ha un riferimento preciso, storico: per noi vuole dire che tutto quello che facciamo, tutta la nostra vita è per l’incremento del carisma cui ci è dato di partecipare, che ha una sua cronologia, una sua fisionomia descrivibile, indica nomi e cognomi e, all’origine, un nome e un cognome. Se dare la vita per l’opera di un Altro non indica un riferimento preciso, svanisce la sua storicità, si deprime la sua concretezza: non si dà più la vita per l’opera di un Altro, ma per la propria interpretazione, per i propri gusti, per il proprio tornaconto o per il proprio punto di vista.
Parlare di un carisma senza storicità non è parlare di un carisma cattolico".
LUIGI GIUSSANI, GENERARE TRACCE NELLA STORIA DEL MONDO, Milano 2012, 2019 - Io vedo in questo testo una grande grazia ed una grande tentazione: la grazia è il senso della storia, del Dio fatto storia, la tentazione è quella di non mantenere l'integrità polare di quello che don Giussani dice (vedi le frasi in grassetto) e sottolineare solo un aspetto (il carisma nella persona) o l'altro (il carisma nei nomi e cognomi di chi guida). E poi bisogna prendere sul serio quel "per ora" - perché ora il Papa ci chiede una certa decentrazione dal carisma. Chi non segue il Papa in questo ora, costringe gli altri che davvero vogliono seguire Cristo fatto uomo, a perdere di vista la vera sequela.
(21.6.22) Della lettera del padre Roothaan SJ, che ho citato negli ultimi giorni nel mio "diario notturno", quella del 24.7.1831, vorrei sottolineare un aspetto importante: „non tutto ciò che permette il Signore è necessario che sia un bene“; questo è vero per il grande teatro del mondo (la guerra in Ucraina), ma anche per il piccolo (quello che accade alla Fraternità) e piccolissimo (quello che accade a me) teatro del mondo. Più passano i giorni e più penso che il cardinal Farrell abbia su un punto del tutto torto: l’incriminazione, per usare una parola forte, degli ultimi dieci anni della Fraternità. Questo giudizio è del tutto non specifico e non ha nulla a che fare con la „vicinanza, tenerezza e misericordia“ di cui parla il Papa. Comunque rimane anche vero che possiamo essere umili, perché abbiamo fiducia in Dio e non in primo luogo in un dicastero vaticano.
(19.6.22) C’è una frase che gira nella rete di don Giussani, tratta dagli Esercizi del 1994, in cui spiega cosa sia il carisma e cita il papa (Giovanni Paolo II): „il carisma parte de una persona colpita dal dono, dalla grazia dello Spirito, in un modo particolare, secondo le circostanze del carattere, del temperamento, dell’ambito e del momento storico in cui si vive“. Papa Francesco nel 2015 ci chiede di „decentrarci dal carisma“, forse perché ha intravisto una confusione tra il dono dello Spirito Santo e „le circostanze del carattere, del temperamento, dell’ambito e del momento storico in cui si vive“. Giussani è morto nel 2005 e il suo carattere e il suo temperamento hanno certamente una valenza anche oggi nel cielo, ma non sono rimasti medesimi, perchè è passato attraverso la morte, perché vede direttamente Cristo e perché è in totale unità con la „communio sanctorum“ - poi il momento storico in cui è vissuto lui, non è lo stesso in cui viviamo noi e poi si deve tener conto anche del dove viviamo. Vivere nella diaspora non è lo stesso che vivere a Milano. E gli incontri per me qui nella diaspora accadano in modo diverso che se vivo in un posto in cui, dietro ogni angolo c’è un ciellino. La „fede diventa per me più facilmente chiara…“ nell’incontro quotidiano con mia moglie; e gli amici di CL con cui sono in contatto, per lo più attraverso i mezzi di comunicazioni di oggi, sono del tutto diversi, ma la molteplicità dei volti non è un obiezione al valore di questi incontri. Etc.
(16.6.22) Vorrei citare qui un breve, ma interessante lavoro di Bruno Brunelli: "Sono andato a fare una ricerca della parola carisma nei tre volumi del percorso. Nel Senso religioso, 0 zero citazioni. Negli altri due una citazione a volume. In "Perché la Chiesa" la citazione è la seguente:
(15.6.22) Al cospetto della crisi gravissima in cui si trova CL (Memores e Fraternità) alcuni chiedono solo silenzio e preghiera. Questa richiesta ha un momento di verità: di san Giuseppe non sono riferite alcune parole, quasi non avesse mai parlato. Non partecipa „direttamente“ all’incarnazione del messaggio di Dio, come invece accade con Maria (cfr. Maria della Trinità). Quindi vi è davvero una partecipazione all’annuncio cristiano, che non passa per parole e azioni dirette (riforma dello statuto…), ma solo tramite il silenzio e la preghiera. Ma in questa richiesta vi è anche una grande tentazione: quella di confondere „silenzio“ con „mutismo“ ed anche quella di pensare che solo i responsabili portano la responsabilità del Movimento. No, tutto ciò che sta accadendo riguarda tutti noi, secondo il carisma personale (vedi San Paolo) che ci è stato donato e per alcuni scrivere è anche pregare.
Con un gruppo di amici a partire dal 2015 avevamo cercato di esprimere quello che vedevamo in CL e per quanto mi riguarda ho spesso sottolineato che c’era uno iato grande tra l’attenzione al carisma e l’attenzione alla santità; ho cercato di esprimere ciò in modo non „moralistico“, perché come sottolinea san Paolo: siamo tutti peccatori e come ho imparato da Adrienne, non vi è una linea netta tra i miei peccati e quelli degli altri. Essendo, però, io l’ultimo arrivato ed avendo forse anche un carattere non semplice, i responsabili di CL con cui ho avuto contatto io, pensavano fondamentalmente che io sono solo un rompi scatole. Ma in vero già dai primi passi mi ero accorto di questa sovra accentuazione del carisma e quando ne parlai con Ulrich, un po’ anche per sfogarmi, mi disse che avrebbe pregato perché i responsabili di Cl vedessero che le mie critiche non erano stupidaggini, di chi non si accorge di quanto siamo bravi, ma un servizio. Ora dall’alto di un dicastero vaticano viene detto con chiarezza: basta! Non credo che la colpa sia di don Carrón, che ha davvero servito la Chiesa, ma credo che ci siano state davvero carenze di governo - insomma che, non so per quale motivo, non ci si accorgeva della riduzione del carisma a gossip, perché una volta che il carisma è qualcosa di diverso dal percorso di santità diventa per l’appunto gossip. Questo a livello di linguaggio, a livello di gestione delle comunità, tante persone brave sono state del tutto maltrattate ed isolate in esse, pur avendo o meglio perché hanno cercato di contribuire in forza del dono gratuito dello Spirito Santo, ad una gestione morale del potere o ad una gestione libera e spirituale di iniziative che non si identificavano con quelle „imposte“ da chi guidava. Potrei essere ancora più preciso e in questi miei „quaderni ciellini“ lo sono stato.
In CL manca ogni forma di seria sinodalità - faccio un esempio. È vero che io ultimamente non ho più partecipato ai gesti del Movimento (perché essi sono per me bloccanti), ma è vero che non è mai finito il mio lavoro di paragone con i testi di CL, un lavoro serio che interessa solo Colui che vede nel segreto - e questo basta! Adesso abbiamo un italiano come nuovo responsabile della Fraternità in Germania, che io non conosco, ma mai mi è arrivata la domanda su chi io ritenga adatto per un tale compito, pur essendo da trent’anni in Germania e pur avendo passato di questi trent’anni vent’anni nella Fraternità. Mi ricordo che ultimamente dissi ad uno dei capi storici tedeschi alcune cose che mi stavano a cuore, mi rispose che lui con me non riesce a parlare, perché io lo criticherei in continuazione, cosa né qualitativamente né quantitativamente vera. Io risposi con calma, perché sapevo che c’era almeno un progetto che facciamo insieme nella diaspora che non doveva andare perso per la nostra incomprensione e poi lui ha preso la curva e ci siamo rappacificati; di fatto era anche l’unica persona che aveva compreso come un’iniziativa che facevo con mia moglie da vent’anni, portando gente senza alcuna confessione in ferie comuni nelle Dolomiti, fosse di grande valore, ma anche lui ha smesso, perché la mia iniziativa non era „ufficiale“ suppongo, pur avendo un carattere missionario elevatissimo. Insomma quello che ci si può dire in CL è che siamo bravi, tutto il resto sarebbe intellettualismo complicato. Discendi Santo Spirito!
In difesa di don Carrón. Adesso gli avvoltoi che odiano CL, il Vaticano II penseranno di poter attaccare il Movimento e Don Carrón con ogni sorta di malvagità. Io mi sono confrontato a lungo con il sacerdote spagnolo e lo stimo molto, in primo luogo per quanto ha scritto sul nichilismo, le mie critiche sono all’interno di una grande stima. E poi vorrei ricordare agli avvoltoi che Dio difende anche Caino da chi si vuole vendicare di Abele e don Carrón non è certo Caino.
(14.6.22) Secondo me questa è l’affermazione centrale nella lettera del cardinal Farrell su cui tutti dovremo lavorare: Don Giussani non è il punto sorgivo del carisma (ovviamente, perché lo è lo Spirito Santo), ma un amministratore o un „servo inutile“; anche di lui vale quello che mi diceva Ulrich, quando lo ringraziavo della sua presenza nella mia vita: „abbi misericordia di me peccatore, Gesù!“; mi ricordo ancora il suo volto nel letto di morte: non io, Gesù! Non Francesco, Hans Urs, Adrienne, don Gius, ma Gesù! La fase sulla forma a cui siamo stati affidati è stata sovra accentuata: se non lo comprendiamo fra cinque anni non avremo un nuovo presidente della Fraternità, ma la Fraternità non sarà più espressione della vita di Gesù nella Chiesa. Tutto qui. Cristo è la vita della mia vita!
Ovviamente come hanno sottolineato alcuni giornali la lettera di ieri del cardinal Farrell, anche senza nominarlo, attacca duramente anche don Julián Carrón. Come si può capire dai miei „quaderni ciellini“ la mia grande difficoltà con Carrón è stata sempre quella dell’autoreferenzialità e anche spesso ho scritto in questi anni che ci sono stati dei problemi di governo. In un certo momento c’era stato un punto di vicinanza quando negli Esercizi di qualche anno Carrón fa aveva citato Ullrich, nella sua interpretazione biblico ontologica della parabola del „figliol prodigo“; poi credo che qualcuno abbia bloccato questo inizio di amicizia oppure il sacerdote spagnolo aveva troppo da fare per approfondirla.
L’ultimo articolo sulla guerra di Don Carrón, quando non era già più il presidente della Fraternità, era un disastro. Sentimentalismo puro, per nulla il linea con Francesco…
Caro signor Geninazzi, grazie per il suo commento pieno di temperamento, che certamente è segno di amore per la nostra storia. Nei miei „quaderni ciellini“ mi sono confrontato negli ultimi anni sempre molto seriamente con Don Carrón, che certamente non è un eretico e che ci ha insegnato ad amare Papa Francesco e rispettare la sua autorità; ho sempre scritto con sincerità sia le cose che mi corrispondevano sia quelle che non mi corrispondevano (a queste rinvio). Nel commento di ieri ho scritto anche che un dicasterium vaticano non è infallibile (questo l’ho imparato da Balthasar), perché anche a me sembrava che la critica del cardinale a questi dieci anni di guida di Carrón fossero unilaterali, anche se io stesso, mai da Carrón, ma sotto la sua guida, ho visto che di tutto i nostri confratelli hanno fatto un „gossip“, anche di ciò che ci aveva detto il Santo Padre al 7.3.2015 e che a me sembrava di importanza vitale per la nostra Fraternità. Un saluto dalla Germania ex dell’est, Roberto PS Allo stesso tempo non ritengo opportuno uno scontro con un dicasterium romano, perché l'essenza della sua critica deve interrogarci.
Caro Renato, personalmente credo che sia giusto che la critica arrivi fino a don Giussani, perché come ha fatto vedere Adrienne nel suo libro sui santi, anche i santi, anche Tommaso d’Aquino, non erano privi di tentazioni e peccati. Stasera nel mio diario commenterò la frase del cardinal Ferrell che il punto sorgivo del carisma non è don Giussani. Da quello che so Don Giussani era uno che alle persone che lo trattavano come un guru, mi aveva raccontato una volta Bernhard Scholz, diceva, sbattendo la porta, che non aveva bisogno di loro. Ma io in tante consorelle e confratelli vedo la tentazione di fare sempre della guida, invece che un „servo inutile“, un guru senza il quale non è possibile vivere. Con gli occhi del filosofo basco Azurmendi ho imparato a vedere che certi elogi di alcune persone di CL non sono autoreferenziali, ma davvero stupore, ma non nascondo che tanti esempi di Carrón mi irritavano, perché io vedevo sempre una crepa tra la realtà che ho raccontato nei miei „quaderni ciellini“ e le cose che diceva. Ed io, perché sono un povero peccatore che ha bisogno della misericordia del Padre, ho un estremo bisogno anche di ciò che Adrienne chiama l’atteggiamento di confessione. Tuo, Roberto
(13.6.22) La lettera che ha scritto a Davide Prosperi (elogiato e confermato per cinque anni alla guida della Fraternità) il cardinal Farrell (10.6.22), da condividere con „tutti i membri della Fraternità di CL“, mi da l’occasione di esprimermi ancora una volta e spero con chiarezza su quanto ci viene detto. Ovviamente la comunicazione „petrina“ di un „dicasterium“ non è infallibile e non può saltare l’amore giovanneo né il privilegio paolino di dire anche a Pietro cose che lo correggono (Gal 2). Ma né Paolo né Giovanni sono mai interessati ad una lotta contro Pietro. In Gv 20 Giovanni (l’amore) arriva prima di Pietro (l’autorità gerarchica) al sepolcro e vede già da sé che il sepolto è vuoto, ma lascia entrare per primo Pietro e Paolo cerca continuamente il dialogo con quelli di Gerusalemme, ma non a discapito della propria missione che gli è stata chiaramente data dall’alto, perché „non est aliquid inter Deum et creaturas“ (Tommaso d’Aquino), neppure l’autorità gerarchica. Quest’ultima infine è la nostra „madre“ (Ignazio di Loyola) se è in comunione con Maria e lo è, perché Cristo prega per lei. Pietro è poi la garanzia ultima del buon cammino ed anche per lui ed in modo particolare per lui prega Cristo. Il cardinal Farrell rinvia in continuazione al magistero di Pietro, del Pietro attuale: Papa Francesco. Ora procediamo passo per passo nella lettura della lettera.
- In primo luogo vi è una „preoccupante confusione sui temi del carisma, dell’obbedienza e dell’autorità“. Il testo critica la dottrina della „successione del carisma“ che ci è stata proposta „durante l’ultimo decennio“ e il cardinal afferma che essa è „gravemente contraria agli insegnamenti della Chiesa“: „i Moderatori e i Presidenti dei Movimenti ecclesiali non ricevono per successione personale il carisma del fondatore“ e non sono „gli unici interpreti“ di esso. Neppure il fondatore è il „punto sorgivo“ del carisma. Il pericolo che si vede in tutto ciò è quello dell’“autoreferenzialità“. Questo vale anche, secondo me, per chi guida CL, da più di un ventennio a volte, nelle comunità e che lo fanno senza alcun comprensione di ciò che il Signore ci chiede oggi e che usano la loro autorità per chiedere di essere fedeli a progetti che talvolta rasentano la corruzione o che per lo meno sono del tutto referenziali (ciò mi è stato confermato per almeno quattro comunità italiane). Tutto ciò tra l’altro ha generato e genera un gossip personalistico dei propri ricordi di don Giussani e ci si fissa a pretendere una „fedeltà al carisma“, mentre il Papa parla di una decentramento dal carisma, che significa puro allineamento, senza alcuna forma di sinodalità. In questo modo vengono minacciate alcune missioni che sono date direttamente sul posto e non a Milano. Rinvio piuttosto a mia moglie che a me, che sono una persona debole e che a volte non riesce a far meno di surrogati all’amore. Non ho mai visto prendere sul serio „il cammino al vero come esperienza“ come l’ho visto da mia moglie e questo in una situazione di totale secolarizzazione (i cattolici sono il 2 %). Per fare un esempio: qualche anno fa ci fu un Meeting sull’educazione a Colonia in cui fu invitato il mio preside, molto brillante retoricamente, ma senza alcun senso del carisma. Perché hanno fatto parlare lui invece che mia moglie (è solo un esempio)? Perché in CL si parla se si ha successo o se si ha un ufficio importante. Per la questione della critica all’autoreferenzialità si può ovviamente invitare a parlare chi non ha alcun senso del carisma, ma non con questa motivazione. Mi ricordo che da giovane invitai due persone di CL a conoscere Ferdinand Ulrich a Ratisbona: l’unico loro interesse era convertire il professore al carisma e non si sono minimamente accorti che avevano a che fare con un santo che avrebbe potuto convertire loro.
- In Germania ci sono stati alcuni cambiamenti nella guida, ma di fatto il Movimento viene „governato“ dalle solite persone, che sono anche brave, che hanno per esempio capito la singolarità della nostra presenza nella diaspora dell’est della Germania e che la sostengono anche con almeno un progetto davvero sensato (il fondo papa Francesco, con cui sosteniamo nella nostra scuola famiglie che si trovano in grande difficoltà per una malattia improvvisa o per la perdita della casa dopo un incendio) ma la mia uscita dalla diaconia allargata (è solo un esempio) - che tra l’atro viene messa insieme in modo del tutto personalistico - cioè il mio chiaro no a parteciparvi non ha sollevato mai alcuna domanda seria: io sono semplicemente un rompiscatole che dovrebbe piuttosto essere grato che qualcuno parli ancora con me. E così non mi hanno più invitato: fine della comunicazione. Sul motivo per cui non prendo parte al momento ai gesti ufficiali di Cl ho già preso posizione, ma si possono riassumere brevemente: io non vedo in essi una vera sequela al Papa sui temi: fratelli tutti, ecologia, Chiesa in uscita, educazione alla pace…
- La questione degli „unici interpreti del carisma“ come l’ha posta papa Francesco il 16.9.21 è di importanza decisiva: non il „cammino al vero come esperienza“, ma solo certe persone, eternamente quasi, possono interpretare ciò che significa essere Chiesa oggi e se uno non fa parte della cerchia giusta, può essere sopportato, ma non davvero incontrato. Qui deve essere posta anche la domanda: come mai persone che davvero fanno parte del carisma, da tantissimi anni, e che seguono il Papa, non hanno per nulla intenzione di coinvolgersi con la storia di CL ora? Quando ho detto ad uno di queste persone che sarebbe bello se guidasse lui per cinque anni CL, mi ha risposto: pensavo che mi volessi bene. Quasi per dire che in un tale vespaio nessuno con buon senso ci vuole davvero entrare.
- Molto importante mi sembra l’affermazione del padre Girlanda, parlando ai Memores il 27.6.21: „Tutti (!!!) coloro che ricevono la chiamata a vivere secondo tale carisma sono vestiti della medesima (!!!) responsabilità di viverlo, custodirlo, approfondirlo e svilupparlo in sintonia con la Chiesa universale“! Per questo motivo mia moglie ed io cerchiamo di vivere il nostro cammino al vero nella diaspora, nella parrocchia e con il gesto di fedeltà all’Angelus domenicale del Papa.
Infine auguro a Davide Prosperi di mettersi al servizio di una vera sinodalità in CL, come sembra stia facendo. E chiedo la benedizione di Dio per la sua guida della Fraternità di CL. Mia moglie ed io ogni volta che preghiamo la „coroncina“ preghiamo anche per lui e le sue intenzioni.
Per quanto riguarda la risposta di Prosperi (Milano, 13.6.22) a questa lettera (nella modalità di una comunicazione ai membri della fraternità) direi quanto segue. Con ragione ci invita ad aver fiducia nella Chiesa, ma il problema non è che lui da solo risponda (o che dei responsabili rispondano), ma che ognuno di noi risponda, con l’aiuto di Maria e Giuseppe. Chiaro è che in Vaticano sono infuriati; è vero che „la sostanza della nostra esperienza“ non è messa in discussione, cioè che il „cammino al vero è un’esperienza“, nella sequela della Chiesa universale, nella sequela di Cristo. La frase di Prosperi: „In questo delicatissimo momento, invito perciò tutti ad evitare ogni atteggiamento e presa di posizione che ostacoli l’obbedienza alla Chiesa e l’unità nelle nostre comunità“ - è fortemente autoritaria (il che non ha nulla a che fare con l’autorità) ed ambigua e solo al 50% vera, perché se l’obbedienza alla chiesa deve essere incondizionata , l’unità nelle nostre comunità non esiste. E proprio questo è il motivo per cui il cardinale ci ha scritto.
(28.5.22) „Il mistero come misericordia rimane l’ultima parola anche in rapporto a tutte le possibilità brutte della storia“ (Luigi Giussani, edizione tedesca, 72). Io non vedo quasi mai questa reale e singolare concentrazione in Cristo di cui parla don Giussani e senza la quale la pace rimane solo una formula. Anche nella guerra cha accade qui vicino a noi (perché c’è ne sono tante altre, lontane da noi) il criterio ultimo con cui si identifica è il „nazionalismo“ (chi per l’Ucraina e chi per la Russia) e non l’offerta di sé alla singolarità misericordiosa di Cristo; in fondo noi non crediamo che sia Egli, Cristo, la „substantia“ e glorifichiamo tante cose, ma non Cristo. La FAZ presenta l’incontro con tre persone che stanno dalla parte giusta, cioè contro Putin e questo non può essere la meta; ma anche nel Movimento di CL i criteri usati sono il coraggio degli ucraini, etc. ma non Cristo, che è misericordia per tutti! Le mie poche esperienze nella diaconia allargata in Germania erano sempre doppie, da una parte una vera testimonianza, tante vere testimonianze di appartenenza a Cristo e poi criteri culturali che non avevano per nulla a che fare con ciò che il Papa ci stava insegnando sulla storia, sulla politica, sul dialogo con l’Islam. Obbedienza al Santo Padre non l’ho mai vista nelle serate, solamente il mettere in evidenza certe persone che dicono certe cose, che non hanno nulla a che fare con l’esperienza di chi davvero segue attentamente ciò che dice e fa il Santo Padre. La conferenza che ascoltai sull’Islam era da sparire sotto la sedia per la vergogna, le riflessioni politiche dei soliti ed unici che parlano erano „parole parole parole“ che non possono essere messe in discussione perché tutte benedette dalla parola „amicizia“ - amicizia in Cristo è qualcosa di completamente diverso. Ed in vero io non me ne sono andato dalla diaconia allargata, ma mi hanno spinto via da essa, senza chiedermi mai seriamente che cosa io pensassi e sentissi e lo stesso „visitor“ che dovrebbe mantenere il contatto tra l’esperienza tedesca e la diaconia centrale era del tutto risucchiato da chi guidava la diaconia in Germania. Io lo so che la famiglia da sola non basta, che nella Chiesa c’è sempre stato un rapporto con ordini religiosi (nella sdc Giussani cita Hildegard di Bingen e Petrus Venerabilis) - questo è il motivo per cui rimango nella Fraternità. E io cerco di essere fedele come posso, mantenendo un rapporto con alcuni (a cui sono davvero affezionato), ma al momento non mi è possibile di più senza tradire me stesso e solo chi è fedele alla missione che Cristo gli da può „dare la vita per un opera di un altro“. Se no questa è anche e solo una formula di collettivismo partitico e non appartenenza ecclesiale. Spero che queste parole non vengano lette come rimprovero, ma come espressione di autenticità - lo so che anch’io non ho un carattere facile e cerco di orientarmi sempre alle parole del Santo Padre per educare in primo luogo me stesso: „Anzitutto vi lascio la pace. Gesù si congeda con parole che esprimono affetto e serenità, ma lo fa in un momento tutt’altro che sereno. Giuda è uscito per tradirlo, Pietro sta per rinnegarlo, e quasi tutti per abbandonarlo: il Signore lo sa, eppure non rimprovera, non usa parole severe, non fa discorsi duri. Anziché mostrare agitazione, rimane gentile fino alla fine. Un proverbio dice che si muore così come si è vissuto. Le ultime ore di Gesù sono in effetti come l’essenza di tutta la sua vita. Prova paura e dolore, ma non dà spazio al risentimento e alla protesta. Non si lascia andare all’amarezza, non si sfoga, non è insofferente. È in pace, una pace che viene dal suo cuore mite, abitato dalla fiducia. E da qui sgorga la pace che Gesù ci lascia. Perché non si può lasciare agli altri la pace se non la si ha in sé. Non si può dare pace se non si è in pace“ (Regina coeli, 22.5.22).
(25.5.22) Nella scuola di comunità attuale ad un certo punto don Giussani dice che ascoltare la voce dell'autorità, quindi la voce del Papa, la voce delle dichiarazioni ufficiali della Chiesa, la voce dei vescovi, se seguono il Papa, è come un antidoto contro il veleno che ci viene iniettato ogni momento da altre "autorità", quelle dei mass-media. In questo tempo di guerra ciò è particolarmente vero. Ma ovviamente nel senso di don Giussani non si tratta di vivere un servizio di informazioni migliore di un altro, ma di vivere il mistero dell'amicizia in Cristo. L'amore gratuito del Padre è la madre di ogni autentica amicizia, e Cristo è venuto ad annunciare proprio questo. Una "chiesa dei teologi" che si voglia distanziare da questa chiesa dell'autorità è semplicemente un inganno, perché la teologia non può che essere al servizio di Cristo, che ha voluto la Chiesa come suo metodo di presenza nei secoli; certo non si tratta di vivere come teologo o come filosofo in un atteggiamento di "servilismo" nei confronti della Chiesa dell'autorità (Papa, vescovi), ma di avere quella garanzia ultima che ci muoviamo davvero nella difesa, l'unica sensata, dell'amore e non di una nostra idea. La mia decisione di concentrarmi nella presenza della Chiesa dove sono e non in continui viaggi ai gesti ufficiali di CL è fedeltà ultima a ciò che ci insegna don Giussani, mentre io spesso ho vissuto la fraternità come luogo di un gossip e non come luogo di amicizia - con chi sono davvero amico, lo sono ancora ora. Ma per quanto riguarda la compagnia al destino, mia moglie e la parrocchia, etc sono sufficienti.
(23.5.22) Ho sentito mia moglie dire solo di due persone che in loro, in quello che dicono, in quello che fanno vede Cristo: Ferdinand Ulrich e Papa Francesco, di cui seguiamo regolarmente l’Angelus. Ovviamente sa che „oggettivamente“ in tutti i Papi, in tutti i vescovi di Roma, ci parla Cristo, ma Francesco ha toccato il suo cuore. Come sa che il „si di Pietro“ è oggettivamente presente anche in un parroco che segue Gesù e se cattolico, il vescovo e il Papa, ma in Papa Francesco vede in modo particolare il „si di Pietro“ a Cristo in azione, meglio vede Cristo in azione che genera quel si. Questa mattina le ho letto alcune pagine della scuola di comunità (edizione tedesca 59-61), non è il suo (di mia moglie) linguaggio e non è neppure il linguaggio così personale del Papa, ma il pensiero di fondo è lo stesso: il cuore del mistero è misericordia (vicinanza, tenerezza) e quindi la moralità non è uno sforzo, ma nasce dall’amicizia al Mistero, che si è rivelato definitivamente nell’uomo Gesù di Nazareth.
Nel testo io ci vedo una sovra-accentuazione del si di Pietro - esiste anche un si di Maria, uno di Giovanni, uno di Paolo, ma anche a me il testo corrisponde molto e se qua e la ne prendo le distanze è solo una questione di sincerità, quella che hanno i figli con il papà. Mia moglie ed io vedono in modo particolare nei nostri figli la realizzazione di ciò che Giussani chiama un „liebevolles Anhängen“ (non so che cosa dica il testo italiano originale: forse un’adesione amorosa) - e questa deve essere sempre molto libera, non „letterale“, non da „scolaro“.
(19.5.22) Nella scuola di comunità („Dare la propria vita per l’opera di un altro“) II, 3 Giussani parla del „Padre“: il „mistero dell’essere“ è Padre, insomma Colui che dona tutto l’essere, anche quello finito, esprime „una positività radicale“ che è rivelata nell’umanità di Gesù, che a sua volta rinvia sempre alla fonte ultima ed inesauribile che è il Padre nel „cielo“ (Giussani spiega questa parola così: „la profondità radicale nella quale vengono create le cose“), a cui Charles de Jesus vuole affidarsi completamente.Ed anch’io! Mt 6, [7]: „Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole“ - mi fido semplicemente di questa positività, di questa gioia ultima che ci è stata promessa e che è il „principio e fondamento“ dell'uomo.
(17.5.22) Ho cominciato a confrontarmi con il testo della „scuola di comunità“ attuale, che però ho letto solo in tedesco, non possedendo l’originale italiano: „Dare la vita per l’opera di un altro“ (edizione tedesca del 2022). Nel suo ultimo saluto alla fraternità, nel 2004, don Giussani ci ha chiesto „di studiare precisamente la storia dell’umanità“ - il mio „diario notturno“ è un tentativo di prendere sul serio, se non la storia dell’umanità, che è una meta troppo grande per una persona sola, perlomeno l’esistenza storica in qualche suo frammento. In un passaggio della scuola, nell’introduzione, Giussani ci ricorda il pericolo di stare solo in un atteggiamento di difesa o di pensare alla Chiesa come una realtà chiusa in se stessa e parlando nel secondo punto della prima parte: „Dio è tutto in tutto“ ci rende attenti alle tentazioni del nichilismo e del panteismo, non mettendosi in difesa, ma offrendo un lavoro di reale discernimento di pericoli reali: quello di sentirsi un nulla (nichilismo) o di sentirsi un tutto (panteismo) e la riflessione del sacerdote lombardo diventa storica quando analizza queste due tentazioni nel modo con cui si uniscono, come le due facce di una stessa medaglia, in una certa concezione del „potere“ che è alternativo all’annuncio che „Dio è tutto in tutto“ e Giussani profeticamente non fa alcuna differenza, da questo punto di vista, tra sistemi democratici e quelli autocratici: Lenin, Hitler, Mussolini, gli Stati Uniti, la Russia di allora sotto Jelzin o il governo italiano di allora sono sottomessi sempre nella tentazione di pensare se stessi non come „servizio“, ma come „comando“ di un’élite sugli altri. Il lavoro di ricerca che sto facendo con alcuni giornalisti americani mi ha fatto vedere come l’élite „democratica“ americana nell’amministrazione Biden, nei servizi segreti, nei „corporate media“ è da interpretare proprio nella modalità della tentazione descritta da don Giussani e cioè del comando di pochi su tutti gli altri che sono cattivi e devono essere controllati e censurati.
In questi capitoli iniziali Don Giussani parla di una priorità dell’ontologia sull’etica, ma il testo è per me non molto preciso. Quando afferma che Dio è l’essere, dice una cosa vera, ma non precisa. Certo Dio è l’essere nel senso dell’ipsum esse subsistens (Tommaso D’Aquino), ma come „essere finito“ è non sussistente l’essere non è Dio. Don Giussani non è un filosofo, parla all’interno del pensiero analogico cattolico e con ragione parla di „partecipazione all’essere“, ma il suo lavoro su questo punto non è molto chiaro, né molto d’aiuto nel dettaglio della riflessione, anche se la tesi di fondo è buona ed anche se giustamente con essa ci vuole educare al senso del mistero. La parola „essere finito“ compare solo una volta (fino alla pagina 49 dell’edizione tedesca) e precisamente alla pagina 46. Con Ferdinand Ulrich ed in modo più preciso con la sua idea del „medesimo uso di essere e „nulla““ avrebbe potuto offrire un vero strumentario di pensiero per sconfiggere nichilismo e panteismo dall’interno. Le frasi di don Giussani sono giuste e buone, ma non sono filosoficamente stringenti, per cui rimane alla fine, pur in tutto il lavoro di discernimento, un certa tendenza alla „difesa“, proprio quella che vuole evitare. Non basta affermare che „Dio è tutto in tutto“ per comprendere e superare il nichilismo e il panteismo attuale, bisognerà approfondire precisamente cosa sia la natura ultima dell’essere finito che Tommaso definisce come „aliquid simplex et completum, sed non subsistens“. In questa definizione Tommaso ci fa comprendere che il mistero di Dio come amore è presente, proprio per partecipazione, come dice giustamente Giussani, nell’essere finito stesso, che non si fissa in se stesso, ma nella piccola via del quotidiano si „finitizza“, cioè non diventa sistema di appartenenza, ma reale amore gratuito, amore umsonst (gratis et frustra), un nulla per l’appunto che supera il nichilismo dall’interno. Ovviamente anche questi miei appunti non sono precisi, essi rinviano al grande lavoro che sto facendo di traduzione dell’“Homo abyssus“ di Ferdinand Ulrich.
(19.4.22) Devo dire che faccio fatica a leggere „Fuochi accesi“ di Perillo - è scritto con quello stile di „Tracce“ per cui sempre tutto è testimonianza riuscita, anche se alle volte si accenna al fatto che ci sono stati problemi, che sono più „tecnici“ (una meta non raggiunta a livello scolastico…) che di „testimonianza“ - quando arrivi a Portofranco non puoi che essere entusiasta della testimonianza umana che vi trovi. A me questo fa venire il nervoso. Quindi in aereo ci ho messo del tempo prima di prendere il libro in mano, ma poi quando ci sono riuscito mi sono trovato al cospetto di cose e persone davvero interessanti: accanto a certi passaggi ho scritto il nome di una ragazza o di un ragazzo a cui ho dovuto pensare leggendoli ed in treno, in Berlino, (dall’aeroporto a Südkreuz) ascoltando una ragazza che parlava delle sue difficoltà scolastiche ho pensato che sarebbe davvero utile avere un’esperienza come „Portofranco“, con la sua gratuita e libertà, e non come succede da noi come un altro punto del programma, che suona bene, ma non affronta davvero tutte le questioni umane che si trovano dietro quelle scolastiche. Leggendo le pagine su Momo, originario dell’Egitto (39-45) mi sono commosso e mi è piaciuto molto come a Portofranco si rispetti la sua identità mussulmana. Nelle pagine dedicate a Bologna con i suoi „migliaia di mondi diversi“ (Guccini) mi sono accorto che io vivo in confronto a ciò in una realtà abbastanza omogenea; durante l’accoglienza dei siriani ed afghani ci sono stati alcuni mussulmani dalla scuola, che poi sono spariti: tutto sommato noi siamo una realtà abbastanza tedesca (dell’est) ed in parte vietnamita, ed anche se la storia del Vietnam è stata molto drammatica, forse pi?ù di quella della DDR, essa è simile a quella di quest’ultima, con quel frutto di „secolarizzazione“, in cui il „senso religioso“, forse c’è, ma è bloccato e l’appartenenza ecclesiale è minima. Qualcosa di analogo vale per i tre o quattro cinesi che ho avuto in classe.
(24.2.22) "Per me i ragazzi sono una fonte di insegnamento continua" (citato in Davide Perillo, Fuochi accesi, 28) - questo è ciò che lega la mia esperienza di insegnante nella diaspora con Portofranco, questo è ciò che differenzia un insegnamento "tradizionalista", da uno che accetta il "rischio educativo". Nel libro si fa un esempio di un locale che viene rinnovato dai ragazzi (27). Da noi, da mesi, cerchiamo di rinnovare un locale per la nostra "festa di fondazione della scuola", ma è possibile solamente organizzando e un po' costringendo. Insomma lo dico solo per segnalare una differenza di contesto. Eppure da questo libro, che spesso leggo con le lacrime agli occhi, imparo e sono confermato in tante cose che mia moglie ed io abbiamo fatto in questi venti anni in Sassonia-Anhalt. La filosofia di Portofranco: "Sanno che c'è un luogo che li accoglie per quello che sono, non per quello che riescono a fare" (27). Così anche l'esperienza della bocciatura può diventare occasione di abbraccio (28). Si tratta di investire tutto in rapporti personali, "scaricamento di certi ruoli ingessati, la libertà. La gratuità" (29) - questa a noi è possibile solo come atteggiamento, visto che io vengo pagato per fare l'insegnante e vengo pagato anche bene. Ma ovviamente nessuno può pagare l'atteggiamento con cui tu incontri i ragazzi e se sei per grazia in grado di rafforzare il loro "io desiderante" e superare il loro "io insicuro" (cfr. 30). O di investire il tuo tempo libero per loro come facciamo con il viaggio nelle Dolomiti ed anche con l'essere digitalmente raggiungibile e visibile (Whatsapp, Instagram, TikTok).
(22.2.22) I contadini di Peguy, Cathedra Petri e don Luigi Giussani (15.10.22 - 22.2.22)
In un senso notevole questa è la festa del gruppo dei "Contadini di Peguy", un gruppo in Facebook con 1907 membri, che in questi anni più di altri gruppi, che nella rete si richiamano in qualche modo al sacerdote lombardo, di cui oggi si festeggia il giorno del suo ritorno al Padre, si è messo al servizio del successore di Pietro, papa Francesco. Il gruppo ha amministratori, che nel tempo di pandemia non hanno potuto vedersi, continua a fare un lavoro di amministrazione del gruppo minimo, che rispetta la libertà dei singoli amministratori. Lo dico non come lamentela, ma come constatazione: chi guida il Movimento attuale forse non conosce il gruppo, sicuro è che non vi è stato mai un sopporto o un incoraggiamento a fare questo lavoro di servizio, ma il gruppo si sente legato con tutte le persone che nel mondo (fino ad Alver Metalli in una baraccopoli a Buenos Aires) fanno un servizio analogo al nostro. Vorrei proporre oggi una breve meditazione sulle letture odierne (canone romano).
1 Pt 5, 1-4. Il sacerdozio dei pastori deve essere compiuto "liberamente, come Dio vuole"; non per una ricerca di successo personale e con la coscienza che c'é un pastore ultimo, Dio, che ritornerà sulla terra, nel secondo e definitivo ritorno di Cristo, da cui sia i sacerdoti "gerarchici", che il popolo sacerdotale di Dio riceverà la gloria della loro fedeltà al compito ottenuto su questa terra. Il cardinal Ouellet, alla presenza del Papa, qualche giorno fa, ha parlato di clericalismo come una sovra accentuazione del sacerdozio gerarchico su quello del popolo di Dio e che tra l'altro ha portato ai diversi abusi di potere. I "contadini" si sentono parte di questo popolo fedele di Dio a cui sono estranee tutte le forme di "clericalismo".
PS 23 Il vero ed unico pastore è Dio! Per cui questo gruppo così dichiaratamente a favore di Papa Francesco e che pensa sub et cum Petro, pensa allo stesso tempo che "meno Papa, più Dio" sia la vera formula di salvezza. Da Gianni Valente abbiamo imparato molto in questa direzione.
MT 16, 13-19 Il verso principale di questo passaggio evangelico, in caratteri di due metri, si può leggere nel cornicione della basilica di San Pietro. Dal filosofo Massimo Borghesi, che ha ricostruito la sua vita intellettuale, e da Lucio Brunelli, che ci ha fatto assaporare la sua amicizia con Bergoglio abbiamo imparato a comprendere che Papa Francesco, il Papa argentino è il vero Papa. Le farneticazioni di chi pensa che il papa sia Benedetto XVI e che quest'ultimo sarebbe un prigioniero che in Vaticano, con un codice segreto, parlerebbe in questo tempo di sede impedita, al popolo di Dio, non hanno mai avuto alcun fascino o influenza nel gruppo. Non abbiamo mai neppure temuto che qualcuno potesse affondare il papa, per quello che vi è scritto nel testo stesso del Vangelo che riporto qui sotto. Sappiamo che Pietro non parla "secondo la carne e il sangue" e noi non cerchiamo di ingabbiarlo nelle nostre analisi, che a volte invece hanno a che fare proprio con "la carne e il sangue". Per quanto riguarda me, che vivo nella terra di Lutero, non intendo il potere di "legare" come un potere giuridico assoluto, ma come un "primato dell'amore". Nei dettagli è tema per gli esperti di diritto canonico e di dialogo con le altre confessioni.
Don Giussani di fronte ad un altro successore di Pietro disse che il cuore dell'uomo mendica Cristo e Cristo mendica il cuore dell'uomo e in tutta la sua libertà si è inginocchiato in Piazza san Pietro di fronte a san Giovanni Paolo II. Il nostro modo di inginocchiarci è fare questo servizio che porta il nome di "Contadini di Peguy". Un grazie a tutti gli amministratori che con la loro sensibilità hanno portato avanti in questi anni questo lavoro gratuito.
Matteo 16, [13] Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: "La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?".
[14] Risposero: "Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti".
[15] Disse loro: "Voi chi dite che io sia?".
[16] Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente".
[17] E Gesù: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli.
[18] E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.
[19] A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".
(21.2.22) Il metodo con cui Davide Perillo scrive il suo "Fuochi accesi" è lo stesso con cui Alver Metalli ha scritto il suo "Epifanie" e Mikel Azurmendi ha scritto il suo "Abbraccio" - parlano di una "storia precisa" (Fuochi accesi, 19), di persone concrete e precise. Storie minime che sono espressione di un significato universale: il tutto nel frammento. Questo tutto ha fattori precisi ed universali: il cuore, nel senso di don Giussani, cioè "un fattore irriducibile della nostra umanità, , un complesso di esigenze ed evidenze fondamentali che abbiamo tutti, dovunque e in qualsiasi momento storico. Desideriamo il bello, il vero e il giusto" (18) Il metodo della gratuità e della libertà, basato sul fatto dell'esserci dell'essere direbbero i filosofi; insomma agisco con te perché ci sei, sei un valore perché ci sei. Tutto ciò implica un discorso ontologico e metafisico di grande portata: la "natura dell'uomo", l'essere come dono, i trascendentali dell'essere stesso. Di tutto ciò si parla estesamente nel mio blog. Qui vorrei solo concentrami su un punto: quello della storia precisa che si occupa di una cosa precisa. Il carisma di CL che investe la sua forza creativa nella scuola. Perché nella scuola? Perché i ragazzi sono li; è il loro bisogno maggiore diceva il fondatore di Portofranco, don Giorgio Pontiggia. Nella scuola vi è tutta una molteplicità di persone e popoli, nei volontari (molti di loro) non vi è, però, solamente il desiderio di fare qualcosa di buono, ma di "educare se stessi alla carità e alla fede" (19). Questo è un fatto, ma ovviamente anche i fatti implicano una "tentazione" - per il semplice fatto che dice il Papa nella "Gaudete et Exultate" (a partire dal numero 158): la vita cristiana è sempre: combattimento, vigilanza e discernimento. Sempre! Per questo il Papa ci invita a decentrarci da quella "storia precisa" e Portofranco di fatto lo fa, se vuole davvero prendere sul serio la molteplicità che incontra. Tutto accade in un "tu con te", "corpo a corpo" in cui non vi è alcuna condizione, neppure la riuscita scolastica. Auguro a questa storia di diventare un modo concreto di decentramento dal carisma, perché in vero già l'alternativa: non solo qualcosa di buono, ma... è strana, perché la bontà è la similitudine massima del creare di Dio, ci insegna Tommaso.
Alle "Epifanie", alle storie minime di Alver ho dedicato tutto un post, perché mi sono sentito più accolto nel mio desiderio di decentramento. Anche la sua storia nasce dall'incontro particolare con don Giussani, ma mi sembra molto aperto, fino ad accogliere una storia come quella del papa gesuita e dei suoi sacerdoti della villas, che sono sorte indipendentemente dal carisma di CL, per quanto il Papa dica che debba molto al sacerdote della Bassa. Non voglio fare alcun contrato, anche le storie che sono raccontate da Perillo sono aperte, ma c'è qualcosa che mi sembra anche un po' differente proprio nel punto riguardante questa meditazione odierna.
(19.2.22) "Se qualcuno ti ha educato può averlo fatto solo con il suo essere, non con le sue parole" (Pier Paolo Pasolini) - forse non è necessario pensare questa alternativa (essere/parole) in modo cosi radicale, ma è vero che ci troviamo con l'emergenza educativa nel mezzo di un vero problema e forse ha ragione Davide Perillo quando scrive: "Questa emergenza è uno dei nervi più scoperti in una società che pare assillata da un maldimare perenne, piena di incertezze e vuota di senso. E riguarda tutti e non solo gli addetti ai lavori. Forse, anzi è "il" problema di oggi" (Davide Perillo, Fuochi accesi, Cinisello Balsamo (MI), 2022, 16). E questo vale sia per la realtà agnostica/atea/non confessionale e un po' weberiana-protestante che vivo io che quella agnostica/confessionale cattolica in cui si è realizzata, a partire dal 2000, la realtà di "Portofranco" - un "doposcuola, in cui la gratuità diventa vita! Perillo ci invita a farsi due domande, che poi in vero possono essere riassunte in una: che cosa abbiamo da offrire, vero/reale e bello, ai giovani e a noi stessi? Il cardinal Matteo Zuppi, che ha scritto l'introduzione, dice che Perillo ha scritto il suo libro sussurrando e senza enfatizzare (cfr p. 10). Per questo ho avuto il bisogno di leggerlo. Il programma (sit venia verbo), mi interessa: gratuità e fedeltà (cfr. p. 12), ma c'è qualcosa di davvero profondo che mi ha spinto a prenotare subito il libro: "l'educazione rende liberi ed è frutto di tanta e vera libertà, così diversa dal vivere slegati" (Zuppi in ibidem, 9). Anche se io da vent'anni sono nella diaspora, questi mie "quaderni ciellini" sono la testimonianza che non voglio e non posso vivere "slegato". Perillo si era fidato una volta di me, facendomi scrivere un articolo su un Meeting a Colonia sul Reno in "Tracce" e così sento anche un legame particolare alla sua persona - questo è il motivo personale ultimo perché vorrei nei prossimi giorni meditare il suo libro. Non vi è mai per me un'entrata in contatto con un tema, senza il contatto con una persona.
Ma se si deve prendere sul serio la sfida universale e senza enfasi di cui si racconta nel libro devo dire che questa testimonianza educativa, che con mia moglie ho vissuto in Sassonia-Anhalt per 20 anni, non può essere riassunta con la parola "successo" - Hans Urs von Balthasar in una sua conferenza, citando un proverbio ebraico, ci ricordava che successo non è uno dei nomi di Dio. Bisogna dire con chiarezza che lo sforzo educativo è davvero pieno di sussurri. Come la storia di una ragazza vietnamita che mia moglie ed io abbiamo ospitato a casa per alcuni mesi, perché non poteva vivere più nella sua famiglia, come il ragazzo afghano che è venuto a piedi dal suo paese e cui ho dato per un certo periodo di tempo lezioni di tedesco, ma non è ugualmente riuscito a fare la maturità. Ed anche la storia con la ragazza vietnamita è rimasta piuttosto "slegata", anche se qualche volta appare e ci porta un bel regalo. Un altra ragazza tedesca che avevamo portato con noi in ferie per alcuni anni non si è fatta più viva. È vero che dopo tre anni come insegnante di classe, mia moglie nella festa di addio, è stata accompagnata con il cavallo in un ranch per festeggiare, ma è anche vero che spesso ci si trova di fronte ad un'emergenza che rimane tale, in cui si può fare piuttosto una "discesa all'inferno", che una "storia di risurrezione". Ed è possibile che tanto più il sistema è perfetto, tanto più la gratuità rivela quella dimensione della parola tedesca "umsonst" di cui parlava Ferdinand Ulrich: "umsonst" è "gratis", ma anche "frustra". Alla fine ci sarà una risurrezione e tanti semi sono stati già gettati nel terreno, la luce del faro continua a mandare il suo messaggio di salvezza, anche quando domina la burrasca, che esaminata con metodi empirici, non sembra potersi risolvere o che quando è risolta ha lasciato un deserto o disperso la sabbia così vitale per un isola del nord, come sanno gli abitanti di Wangerooge.
(17.2.22) "Mi provoca una sorda oppressione portare a spasso il mio io" (Azurmendi). "L'unità della vita è non giocare su diverse sponde"; "La generosità presenta sempre il conto , sai? La gratuità, no" (Ferran); "Più che l'eroicità ci interessa la gratuità"; "Io non posso dare loro (ai figli) la fede. Cioè non gli posso dare la cosa più importante... (i figli) imparano tutto dalle ragioni per le quali dai la vita"; "è molto doloroso che i figli verifichino l'ipotesi" (cfr Azurmendi, L'abbraccio, 207-222). Rimando al mio "diario notturno" (lo condivido alla notte prima di andare a dormire nella mia bacheca in Facebook) per la verifica di queste frasi e non per portare a passeggio il mio io. Qui solo alcuni pensieri, in questo tempo di quarantena, che durerà almeno fino a lunedì: Ieri ho compreso la perdita di forza conoscitiva di mio padre, ma almeno l'operazione all'occhio di mia mamma è andata bene. Mentre scrivo mia moglie deve affrontare una cestite che non passa con i metodi naturali. Azurmendi mi ricorda l'essenziale: l'unità ultima dell'esistenza consiste nell'essere amati, da persone concrete e da Dio, che è l'origine di questa concretezza.
„ Cristo e la vita coincidono… la fede è il riconoscimento della presenza. Non devo abbandonare il mondo, andare di fronte al tabernacolo a ricaricare le batterie“ (Azurmendi di Ferran, L’abbraccio, 218) - io non farei questa contrapposizione e comunque non si va al Tabernacolo per caricare le batterie come non si legge la Parola di Dio con un tale motivo: ma „la Parola ha in sé la forza di trasformare la vita“(Cfr. Papa Francesco GeE, 156) e non solo l’esperienza ha questa forza - sebbene questa dimensione dell’esperienza mi stia particolarmente a cuore. Tanto più che davvero permette di superare alcuni estremi: „una religiosità personale fatta di norma e trasgressione“ (Azurmendi, 216), ma anche una sovra-eccedenza della fede, così che si „obbligano gli alunni ad andare alla Messa“ (216). Nella nostra scuola „obblighiamo“ gli alunni ad andare ai Servizi della Parola, ma essi sono tenuti in modo così laico che non ne nasce davvero una forzatura e poi siamo in Sassonia-Anhalt e non in Spagna; i servizi della Parola sono parte del programma educativo. All’inizio mi ero opposto a questo obbligo.
„Se ti arrabbi con tua moglie, la soluzione non è aver ragione ma rincontrarsi di nuovo entrambi“ (Ferran in Azurmendi, 218-219) - gli amici o tuo figlio, come nel nostro caso della quarantena, possono darti un „unico aiuto“, cioè „sostenere il tuo desiderio“. Il virus più terribile in un rapporto è „voler aver ragione“ e più si è stanchi e depressi e più questo virus ha conseguenze disastrose. Il Vangelo si esprime oggi (canone romano, 18.2.22)) in modo molto chiaro: Mc 8, [34] „Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. [35] Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà“. Ecco, non si tratta di aver ragione, ma di perdere la vita perché il suo amore gratuito porti frutto!
Azurmendi ha anche il coraggio di porre una domanda importante a Ferran: è possibile vivere un rapporto matrimoniale con una persona che non prende parte della tua esperienza ecclesiale, spirituale ed umana? Una domanda del genere l'avevo letto in riferimento alle differenti confessioni in una lettera di Adrienne von Speyr, che era piuttosto scettica. La risposta di Ferran in questo caso mi convince forse di più: "Esistono coppie di questo genere, ma il lavoro consiste nell'essere leali con il proprio desiderio... non si tratta di avere un matrimonio immacolato, perfetto. Si tratta di fare il cammino della vita. A questa coppia di sposati viene data tale modalità, ma per essere felici occorrerà essere leali al proprio desiderio" (Azurmendi, 220) - Ferran sottolinea che "è un lavoro che uno da solo non può fare, ha bisogno di amici che glielo ricordino". Se penso all'amicizia comune che mia moglie ed io (che siamo della stessa "confessione" e della stessa Fraternità, ma che all'inizio del nostro rapporto ci trovavamo in due mondi molto diversi: quello protestante di Heidelberg lei e quello mio italiano) abbiamo avuto con Ferdinand Ulrich, devo dire che egli rinviando a Cristo ha posto la base di una reale comunione; comunque sottolineo con Ferran che ciò è possibile anche per una coppia che non ha tale esperienza comune, ma ci vorrà davvero molta lealtà nel dire cosa davvero desideriamo. Lealtà che comunque è necessaria anche in una coppia cristiana (cfr quello che ho scritto sopra sul voler aver ragione).
(14.2.22) La bellezza del volto di Cristo: "Volto è, dunque indice di alterità. Da questa alterità emerge la coscienza di me stesso: sono guardato quindi esisto" (Azurmendi, L'abbraccio, 204). Un altro programma da quello del "cogito ergo sum". È molto affascinante vedere Azurmendi come agnostico in dialogo con dei Memores, con l'Abate Lepori e con Ratzinger/Benedetto XVI su Cristo. Il suo programma etico: rendere il mondo più buono, "una vita passata ad abbattere i muri che ci sono tra un uomo ed un altro uomo" (201), si arricchisce ora dello sguardo di questo uomo che ci aiuta a superare ogni forma di narcisismo: un tu che si è lasciato picchiare per amore. Nel dialogo con Adrienne von Speyr e Hans Urs von Balthasar, ho imparato anche a vedere il lato "agonico" di questo volto - Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? - ma è vero quello che dice Azurmendi, non tanto nel contrapporlo ad agonico, ma nel sottolineare che stiamo guardando un "volto della misericordia più mansueta" (205). Un volto che offre speranza: "oggi con me sarai nel paradiso", un volto che infine, nelle sue ultime parole dice che "tutto è compiuto". La bellezza del volto di Cristo è la bellezza disarmata. Da qui nasce un invito a vivere la vita in modo diverso, più umano ed anche la speranza di un Suo ritorno definitivo: "Dio asciugherà ogni lacrima, nulla rimarrà senza senso" (206). "Nel frattempo, "prendete, questo è il mio corpo": la bellezza di Cristo che si da a te" (206), quindi non mi sembra giusto opporre, come fa Azurmendi, il segno puro dell'amore gratis di Cristo al "si deve" o ai "sacramenti" - questi sono a loro volta segni che sono integrabili, come "i noccioli dentro un mela", uso l'immagine di Adrienne, quando commenta Gv 8, 42, nel tutto di questa bellezza gratuita e disarmata.
(12.2.22) "Quel bambino di quattordici anni adesso è già un uomo maturo, ma non gli sembra impossibile andare dietro a Lui (Cristo), perché è Lui che seduce, Lui che si rende desiderabile, Lui che da una vita sempre più bella, Lui che sostiene, Lui che accompagna, Lui che abbraccia, Lui che sana" (Fernando in Azurmendi, L'abbraccio, 199) - il giornalista spagnolo specifica anche che il Cristo Risorto di cui parla "non è immaginato, ma reale". La testimonianza raccolta da Azurmendi è molto bella è fa vedere il percorso della vita di Fernando dalla scuola dell'Opus Dei, attraverso gli incontri dei suoi grandi (il vescovo di Cordoba Javier Martínez, che avevo conosciuto credo ad un pranzo in Madrid a cui fece parte anche Adrian Walker, don Carrón), attraverso la storia di "Nueva Tierra", fino l'incontro e l'unione con CL. Parla anche di un atteggiamento di arroganza e mancanza di umiltà da parte di loro nuovi arrivati nei primi passi di questa unione e credo che qui tocca un punto importante. Tutti noi di CL siamo affascinanti dal Risorto presente e non immaginato, ma dobbiamo imparare ad ascoltarci di più, con umiltà. Il percorso di Fernando è molto interessante, ma ovviamente è differente dal mio e dai miei grandi (Balthasar, Adrienne, Ulrich). Vengo da più di un decennio vissuto nel quartiere operaio di Mirafiori Sud, liceo nella periferia di Torino dove le Brigate Rosse lasciavano i loro volantini, sorgere della mia vita politica filosofica in dialogo con Leonardo Sciascia durante il rapimento Moro, incontro con CL attraverso Balthasar, entrata, uscita e rientro nella Fraternità, incontro con Ulrich, 20 anni di esperienza con mia moglie Konstanze in una delle regioni che facevano parte della DDR (quindi con tutto un altro rapporto da quello descritto da Fernando sulla questione del marxismo e delle sue conseguenze), eppure anche per me vale quello che ho scritto qui all'inizio. Io mi fido solo di un 'amicizia concreata con Gesù, che mi chiama per nome.
(10.2.22) „La realtà presente di Cristo è anche l’unica sorgente di pace…Che cosa sei Tu, Cristo per noi? La sicurezza della nostra speranza“ (Don Carrón, C’è speranza?, 181) - non so il sacerdote spagnolo sostiene la mia speranza con questo tipo di frasi - anche se davvero il Logos concreto ed universale, in modo inclusivo, è l’unica sorgente di pace - e con tante delle testimonianze che raccoglie, che a volte sono scritte in una modalità per cui „se ne intravede l’intento e si è di cattivo umore“ (Goethe). Il mio diario notturno testimonia forse anche una mancanza di riposo, ma anche un „manere“ di fronte all’Amico, del tutto immeritato; certo „in un luogo“, ma bisogna stare attenti a non idealizzarlo questo „luogo“ - questo è il punto di scontro ultimo con l’amato don Carrón: io non percepisco in lui un necessario decentramento dal carisma o per lo meno non lo percepisco in quello che spesso dice, quello che fa - la sua dimissione come presidente della Fraternità - è invece notevole! Ogni idealizzazione non può che capovolgersi nella non percezione del „luogo“ davvero concreto che per ogni persona è del tutto personale, sebbene in una tensione polare feconda con la „communio“.
(5.2.22) "Com'é il tuo rapporto con Cristo?...Che cosa significa che Cristo è una presenza presente" (Azurmendi, L'abbraccio 189). Per me Cristo è un amico, nel senso proposto da Gv 15, [14] Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. [15] Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi." Ecco io sono uno (!) di questi amici, piccolo, ma pur sempre uno dei suoi amici; cerco di fare quello che Cristo comanda: GV 15, [12] Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. [13] Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". Ci sono stati anche per me alcuni incontri che hanno veicolato questa amicizia. In primo luogo le preghiere di mia mamma, poi il mio parroco di Mirafiori Sud, Don Paolo. Poi ci sono state le lettere di Hans Urs von Balthasar ed alcuni incontri con lui, da questo incontro sono nati altri incontri: con il padre Servais, con il cardinal Marc Ouellet, ma in primo luogo con Ferdinand Ulrich, Cornelia Capol e con Adrian Walker. Da un incontro con il cardinal Scola, quando era ancora "solo" sacerdote, è nato poi il cammino all'interno della fraternità di CL, questi quaderni fanno vedere con quale serietà io penda il carisma di CL. In una preghiera molto intensa alla tomba di Balthasar è nato nel 2010 il mio rientro nella fraternità, da cui ero uscito anche per un consiglio di Bernhard Scholz, che non riteneva conciliabile la mia storia con quella del carisma. Mentre io alla tomba di von Balthasar ebbi proprio la sensazione contraria. Dopo questo rientro ci sono stati tutti gli incontri con i "Contadini di Peguy"(Nicola, Bruno...) e con persone che hanno qualche difficoltà con Cl pur essendo nel Movimento (Luciana, Michela, Renato...). L'importante è che tutta questa storia non diventi d'ostacolo per quella prima e semplice risposta: sono un (!) amico di Gesù, che ha rivelato nella sua carne, che Dio è amicizia, è amore. Un amore che è disceso fino all'inferno, come ho imparato da Adrienne von Speyr. La persona principale che Dio mi ha dato come segno per questo cammino è mia moglie e nell'unione con lei, i miei due figli, Johanna e Ferdinand. Con questa idea di amicizia ho affrontato il mio lavoro nella scuola e sono sorti alunni frutti, per esempio l'amicizia con Leo A. che di fatto si basa proprio sul questo "principio non negoziabile" dell'amicizia. Con il pontificato di Papa Francesco ho approfondito l'amicizia con Alver Metalli (ma anche con Lucio Brunelli e Massimo Borghesi), a cui ho dedicato tutto un post in questo blog. L'Angelus del Papa è il gesto ecclesiale più importante che compio con mia moglie. L'amicizia con Gesù è anche frequentazione fedele dei sacramenti, in primo luogo la Santa Messa. Anche il coinvolgimento in parrocchia e l'amicizia con il nostro parroco fanno parte di questa storia di amicizia con Gesù.
Credo che ci sia in ciò che penso un totale accordo con le idee che don Carrón ha espresso nella sua "bellezza disarmata". Quando ero ancora molto giovane, negli anni 80 avevo scritto una breve lettera ad un giornale di Pinerolo, in cui cercavo di presentare le mie letture balthasariane sotto la prospettiva della "bellezza disarmata". Forse qua è la io userei un altro linguaggio da quello della "proposta del libro" di don Carrón (Azurmendi, L'abbraccio, 187-189): per esempio è vero il cristianesimo non può essere ridotto a "dottrina e morale", ma ciò non vuol dire che la dottrina o la morale non siano a loro modo necessarie. Se per esempio, per quanto riguarda la morale, si chiama "attrazione per Gesù" tutto quello che fa il Movimento, si corre il rischio di coprire anche la "corruzione" con il titolo "attrattiva per Gesù". Comunque come dice Azurmendi c'è un limite in quello che possono insegnarti i libri, per nuotare bisognerà una volta gettarsi in mare e per andare un bicicletta bisognerà salirci, etc.
Alcuni temi del libro mi sembrano di importanza estrema: "l'educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa. O arricchisce o impoverisce" (ibidem, 188). La realtà non è in primo luogo una categoria filosofica ma lo è per esempio "la professione che uno svolge. Sono i compagni di classe o colleghi di lavoro. Realtà è la fidanzata, è la famiglia" (188). Sono anche d'accordo con l'approccio di Javier. Quali sono i principi non negoziabili? "Realtà, amicizia, essere guardato come una persona unica ed irripetibile, totalità, gratuità, o se volete la parola gratitudine" (191). È anche vero che il coinvolgimento con Cristo è "totalizzante", senza per questo essere "fondamentalista". La missione non è mai proselitismo, non si stanca di ripetere il Papa, ma é vero che non possiamo non porci la domanda missionaria, perché senza missione non c'è cristianesimo. Ecco la domanda missionaria per eccellenza: "Come si conquista liberamente un cuore?" Con questa domanda "si apre la questione educativa e missionaria più interessante" (193).
(3.2.22) Dopo aver parlato del "presupposto antropologico" Azurmendi ci introduce al "presupposto storico" (183-187) della "Bellezza disarmata" di don Carrón. L'evento storico che regge il tutto è che "Dio si è fatto uomo"; anche nell'espressione più geniale dell'illuminismo, Immanuel Kant, questo presupposto storico non può rispondere alla domanda sul "cosa possiamo sapere"; a differenza di forme banali di illuminismo Kant pensa che l'illusione conoscitiva religiosa sia necessaria al sapere, ma è pur sempre un'illusione (in altri autori dell'illuminismo è addirittura un inganno), e la modalità di riflessione sulla libertà dell'uomo, sull'immortalità dell'anima e sull'esistenza di Dio viene "postulata", "presupposta" per rispondere alla domanda: "cosa devo fare?" E viene postulata da una ragione che lavora "apriori", insomma che non vuole dipendere da un fatto storico. La bellezza disarmata invece parte dallo "stupore" per questo fatto storico, che implica una vera e propria "cosmo-visione", una visione di tutto il cosmo, che è in movimento non da un "caso", ma da un avvenimento d'amore e detto teologicamente è movimento dal "Padre al Padre" (Adrienne von Speyr). Questo avvenimento continua oggi nella storia: "Gesù diventa sempre contemporaneo a chi se lo proponga, nei secoli dei secoli. Un avvenimento nella vita di ogni uomo" (Azurmendi). E il proporselo non è una prestazione della ragione che lavora a priori, ma di un incontro che valorizza e purifica tutto ciò che a livello naturale gli uomini pensano e fanno. E che ha una valenza conoscitiva e non solo morale, anzi meglio ha una valenza ontologica. È la scoperta dell'interconnessione tra "Selbstsein" (essere-se-stesso) dell'io e l'altro: "così il cristianesimo impregna di ulteriore senso il buon senso finalista sempre latente nell'uomo" (Azurmendi). La teleologia antropologica non si ferma all'io, ma arriva a comprendere l'altro ed il cosmo intero come costituivo di sé.
La "discendenza di Abramo" nei "tre grandi filosofi, ... Maimonide nella cultura ebraica, Averroè, in quella islamica e san Tommaso d'Aquino in quella cristiana" evidenzia "che il sostegno ultimo del nostro senso comune finalista è Dio, garante del permanere del bene sul male" (Azurmendi, 185); anche per Kant lo è, ma come presupposto di una ragione che lavora apriori. Anche per Kant l'esperienza ha un valore conoscitivo, ma non a questo livello "teologico". Conosco troppo poco i due autori citati da Azurmendi della cultura ebraica e islamica, ma per quanto riguarda Tommaso bisogna dire che egli pensa in modo geniale non solo Dio come garante del permanere del bene sul male, ma anche l'atto stesso di donazione dell'essere finito che è in se stesso bene gratuito (Ferdinand Ulrich). Non solo Dio è "beatitudine" (Aristotele), ma anche l'essere lo è come "similitudo divinae bonitatis" (Tommaso).
Da questa proposta si arriva anche ad una critica della cultura occidentale, che non è però espressione di una negatività; certo ci sono stati degli squilibri potenti tra politica e fede, un cedimento alla volontà di potenza, che tra l'altro non è ancora finito, ma in vero la cultura occidentale è anche espressione di bellezza, bontà, libertà e verità che nella modernità perdono di evidenza. Lascio qui per il momento aperta la questione della "legittimità (!) critica del moderno" (Massimo Borghesi), o meglio lascio da parte per lo più la questione importante della "legittimità" e mi concentro su ciò che dice Azurmendi che ci propone una "critica" in tre punti. 1. "Il predominio della razionalità astratta" e la nascita dello scientismo, che glorifica la scienza come sapere assoluto. Quest'ultima è certamente "legittima", ma lo scientismo nega che "credere" sia un atto razionale e in questo modo fa cadere la fede stessa o nelle illusioni irrazionali o in quelle necessarie kantiane. Salvezza non viene più da un avvenimento storico, ma da uno sforzo scientifico, che si crede indiscutibile. Con questo non si mette in dubbio il metodo del lavoro scientifico basato su osservazioni, su calcoli, su verifiche e falsificazioni, si critica che questa sia l'unica forma di sapere. 2. "L'abolizione della tradizione" e il sopravvento del relativismo. La tradizione è la modalità storica in cui l'atto di donazione ontologica dell'essere si fa per l'appunto storia: non siamo come Adamo ed Eva che non avevano una storia a loro accendete, ma siamo in cammino con altri da secoli. Il nostro essere "fratelli tutti" ha a che fare con questo sapere tradizionale, non è un'invenzione del papa argentino. La dipendenza dall'altro è fonte di libertà e non la sua negazione. 3) "Una comprensione insufficiente della libertà", che scade in "libertarismo" - quest'ultimo è per la libertà quello che lo scientismo è per la scienza: un decadimento! La libertà non è più espressione di bellezza, bontà e verità ontologica ma è "indignata", è scaduta in infantilismo indignato.
Le precisazioni della "legittima critica del moderno" (Massimo Borghesi) da cui la "bellezza disarmata" dipende anche dal punto di vista filologico, sono importanti per non pensare che il "nemico" della ragione aperta cristiana sia esterno ad essa: insomma che il problema siano l'illuminismo, il sessantotto..., mentre il vero problema del cristianesimo è all'interno del cristianesimo stesso. Probabilmente il fattore storico della "guerra dei trent'anni" è sopravvaluto, perché non è per nulla del tutto evidente che questa guerra sia solamente o in primo luogo una guerra tra le confessioni, ma credo che il padre A. Me' colga nel segno quando dice: "Mi sembra che oggi il compito principale dei cristiani non sia l'ateismo...sarebbe una battaglia solo esteriore. È molto più utile combattere il falso cristianesimo che esiste dentro ciascuno di noi. È molto più importante. Perché l'ateismo è un esito della nostra indegnità" (citato in Giovanna Parravicini, Padre Men' e il coraggio di avere gli occhi aperti, La Nuova Europa, 28.2.22).
(1.2.22) Nella sua presentazione del "presupposto antropologico" (L'abbraccio, 180ß-183) della "bellezza disarmata" di Carrón Azurmendi fa un lavoro molto importante di inserimento del pensiero di don Carrón, e così anche di don Giussani, all'interno dello "spazio della metafisica" occidentale. In primo luogo viene posto/proposto l'atteggiamento dello stupore di fronte al reale (Platone), poi della teleologia (Aristotele): la vita ha una sua finalità. Infine viene posta/proposta la questione della libertà (Hannah Arendt): siamo liberi perché non ci siamo fatti da soli. Altri grandi vengono chiamati in causa: Karl Jasper (Dio e la libertà non sono separabili), Wittgenstein (l'attesa di un Dio che ci visiti e redima, perché noi siamo troppo fessi per guardare in alto). L'epoca post illuminista, la modernità non ne esce molto bene. Azurmendi non sembra avere il problema di Massimo Borghesi di una "legittimità critica del moderno" - la nostra epoca ha perso ogni senso di teleologia e di apertura al finito - mi sembra di ascoltare Robert Spaemann. E il capitolo sul presupposto antropologico finisce con una "severa critica alla nostra epoca occidentale": "impoverimento dell'uomo in quanto uomo" (183).
Avendo appena finito di leggere l'ultimo romanzo di Michel Houellebecq "Annientare", in cui è formulata anche una severa critica della nostra epoca occidentale (gli anziani vengono ignorati, annientati, terroristi cercano con una figura geometrica di distruggere il nostro mondo capitalista e digitale, ma anche migranti...), mi viene naturale un confronto con l'autore francese, ma in vero si tratta di un confronto con la mia vita/esperienza. Paul viene annientato da una malattia brutta all'età di cinquanta anni e vive l'esperienza dell'amore coniugale in modo tale che un cattolico devoto pensa piuttosto a "pornografia", Houellebecq preciserebbe "buona pornografia", come le ferie in Corsica passate con la sua giovane sposa. Un blowjob di tre ore, quando Paul non è più in grado di altre forme di sessualità, ha un carattere quasi cultuale. Paul rifiuta esplicitamente la "sete insaziabile di infinitezza" di cui parla Carrón in compagnia del mondo occidentale tutto, ma non solo, di tutta l'antropologia, "dalle terre di Arnhem fino agli igloo polari, dalle foreste africane a quelle amazzoniche" (Azurmendi) - Paul è un figlio della nostra epoca "trasparente" (Byung-Chul Han) e desidera vedere e toccare il sedere di sua moglie, qualche vestito erotico...Dice che è assurdo vivere le ultime settimane prima di morire con questo tipo di desideri, ma di fatto ha per l'appunto questo tipo di desideri, che sono espressione di voglia di vivere, qui, e non di apertura all'infinito.
A differenza di Paul ho un po' più di 60 anni ed ovviamente per quanto riguarda la forza erotica dieci anni di differenza non sono cosa da poco, anche in riferimento all'erezione del membro maschile, che sembra essere espressione di vita massima per Houellebecq. Ma la diminuzione della forza fallica, non è diminuzione del desiderio erotico, nelle modalità descritte dall'autore francese, per cui quando sono coinvolto dalla "sola carne" cerco surrogati che mi aiutino ad uscire dallo stallo, visto che la mia sposa, cui devo il meglio della mia vita (i miei figli) non ha la disponibilità alle modalità espressive del linguaggio sessuale della Prudence di Paul, dopo 10 anni di separazione, che finiscono proprio poco prima della rivelazione della malattia. Detto questo personalmente direi che ha ragione il padre gesuita, confessore di Ulrich, Klein, che diceva che noi moriamo tutti nei tre consigli evangelici, ma non sono disposto a cooperare alle "sublimazioni cattoliche" sul tema, perché sebbene forse il sesso non abbia per me la valenza che ha per Walker Percy e Michel Houellebecq, io non sono in grado di vivere l'apertura all'infinito senza tenere conto anche della dimensione dei sessi. Siamo una canna al vento, ma con due testicoli (per quanto riguarda noi maschi), come precisa Walker Percy, la frase di Pascal.
Interrompo qui visto che una certa riflessione sincera su tutti questi temi la sto facendo nel mio "diario notturno", raccontando fatti più che teorie.
(31.1.22; don Bosco) Nel confronto con la "bellezza disarmata" di don Carrón, Azurmendi scrive una frase da brividi: "Come se dal non senso della legge passassimo alla legge del senso" (L'abbraccio, 180). La "legge" ha bisogno sempre di qualcuno che la difenda, non può essere disarmata. La "legge del senso" o come lo chiama Ulrich "il senso necessario dell'essere" può ed è disarmato, perché o il senso si impone perché è oppure non si imporrà con alunna legge o con alcuna "icona della legge", che di fatto alla fine rimangono senza senso. Questo è anche il motivo per cui tra l'ontologia debole di Vattimo e l'icona della legge di Cacciari, il primo è più vicino al vero, che può essere oggetto solamente di una "perenne testimonianza" (179), non di una meditazione scientifica.
Presumibilmente lo scritto di "un tal Julián Carrón" (176) è scritto sia ad intra che per lettori extra Ecclesiam, ma anche per il semplice fatto che non è possibile dire univocamente chi sia dentro e chi sia fuori. Partiamo dalle tre domande del libro di Carrón che Azurmendi riassume così e a cui il sacerdote spagnolo cerca di dare una risposta: "perché il cristianesimo interessi ormai così poco, anzi, pochissimo, gli stessi cristiani. Come è possibile che siano crollate le nostre evidenze. E, ultimo, se ci troviamo solo in un epoca di cambiamenti o in un cambiamento di epoca"(Azurmendi, 179).
Vorrei sottolineare per ora che le domande stesse secondo me non sono state davvero prese sul serio. Le riformulerei così: 1. ci aspettiamo vera gioia da un blowjob, da un milione di Euro, da un posto di lavoro che soddisfa il nostro orgoglio o da Cristo? Intendo dire ci aspettiamo "ultimamente", perché entrambe le tre cose citate non sono in sé deplorevoli. 2. Quali evidenze sono andate perdute? Che le foglie di un albero sono verdi? Che non si chiudono senza motivo anziani in reparti per soli anziani? Che non si uccidono essere umani che non si possono difendere nel grembo della mamma e neppure quando non sono più efficienti? Che non si lascia crepare essere umani nel mare o nei boschi? Che non si lascia vivere persone in campi di raccolta in cui noi non vivremo neppure per dieci ore? Credo che su questo punto delle evidenze, si debba precisare che un'evidenza non è sempre pensabile a livello archetipico (tipico di una donna, di un uomo...) 3. La terza domanda è da un certo punto di vista forse troppo astratta: visto che non abbiamo idea di cosa sia un epoca, ci è anche difficile capire che cosa sia "il" cambiamento di un epoca. Vediamo dove ci vogliono portare Azurmendi e Carrón.
(29.1.22) La riflessione sulla "speranza alla prova delle circostanze" contiene anche un paragrafo sul male (C'è speranza?, 177-179). Mia moglie mi ha raccontato la scena finale di un libro di fantasia, in più volumi, di Sarah J. Maas, "A Court of Silver Flames", in cui il motivo della forza di fare il bene dipende da uno sguardo di perdono: il marito di una donna, che è suo nemico, vedendo lo sguardo di sua moglie che lo perdona, pur sapendo che le farà del male, lo motiva a fare del bene. Lo dico solo per non citare le cose che sul tema noi di CL citiamo in continuazione, per esempio il Miguel Mañara, che ha però il vantaggio di nominare il nome del perdono: Cristo. Don Julián riassume: "il male è come ridotto a zero dalla potenza infinita del perdono di Cristo". Giussani dice anche con tutta chiarezza: "La nostra speranza è in Cristo... nel rapporto con Lui il numero non c'entra, e tutta la possibilità di male che in me può realizzarsi nel futuro" (179), tutto ciò non c'entra, c'entra solo Lui e come ripete Papa Francesco Dio non si stanca mai di perdonare, noi ci stanchiamo di prendere sul serio il suo perdono. Ma il Papa distingue anche tra "peccato" e "corruzione". Ora se si parla di "male", che tutti noi facciamo in continuazione, non possiamo non prendere sul serio questa dimensione.
Nella prima lettura di oggi (canone romano): 2 Sam 15... c'´è una persona che impreca contro Davide e Davide non si giustifica, insomma non fa nulla di ciò che riassume così bene don Julián: non si sente "prigioniero dei propri errori", non si trova nell' "alternativa tra l'abbattimento di aver sbagliato, il lamento per non essere stati all'altezza, e la perenne giustificazione di sé, lo scaricamento delle responsabilità sugli altri, sulle situazioni" (177). Accetta che la gente (simboleggiata in 2 Sam da questo "uomo che si chiama Schimi... dalla casa di Saul") imprechi contro di lui, sapendo che se anche tutto non è vero, comunque è vero abbastanza che il Signore permette questa imprecazione. Noi in CL dobbiamo imparare molto da questa lettura dell'AT. Con quale acribia seguiamo lezione del prossimo presidente della Repubblica (cosa in sé non sbagliata), ma con quale poca acribia abbiamo un "atteggiamento di confessione". Neppure difronte al doppio intervento del Vaticano sui Memores e sulla Fraternità, nasce questo "atteggiamento di confessione", solo la nauseante ripetizione dell'importanza del nostro carisma. Insomma qui vedo molto da fare per migliorarsi e non primariamente a livello formale. Non si tratta di calcolo e di moralismo, ma di una semplice confessione di ciò che facciamo di "male".
(28.1.22; Tommaso d'Aquino) Le pagine di Azurmendi su un'appartenenza non ideologica e sui dogmi della sociologia moderna sono tra le cose più geniali che abbia mai letto (cfr. L'abbraccio, 158-174).
Comincio con un aneddoto. Sono a Lipsia con un amico della Renania del Nord e do, come sono solito fare quando sono in una città, l'elemosina ad una persona, guardandola negli occhi e anche parlando a volte con lei (come ci ha insegnato il Papa), l'amico mi domanda come mai faccia una cosa tanto diseducativa e che arricchisce chi è già ricco e fa finta di essere povero. Nell'aneddoto c'è in modo simbolico tutta la posta in gioco: calcolo o amore gratis?
I dogmi della sociologia moderna sono l'individualismo (Durkheim) e l'etica protestante come espressione dello spirito del capitalismo (Weber). Rimando alle pagine di Azurmendi per i dettagli, ma vorrei sottolineare questo: in Weber vi è spazio per la carità, ma come "conseguenza di qualche regolamentazione etica". Azurmendi commenta: "per lui era incomprensibile il gratuito amore per l'altro"(167). La filosofia dell'essere come donazione di amore gratuito di Ulrich è il programma filosofico alternativo a a quello di Max Weber. La ragione ontologica di Ulrich è esattamente il contrario della "razionalità...come calcolo tecnicamente possibile" (168). Il coinvolgimento dell'amore gratuito e in questo profondamente "umano" è il contrario della "burocrazia disumana" di Weber, senza cercare una dialettica con questa posizione. Insomma l'ontologia dell'amore gratuito non è una reazione dialettica alla sociologia moderna, ma qualcosa che accade prima e che storicamente viene riaffermato dopo i disastri sociologici in cui ci troviamo coinvolti. In primis la guerra, come unica modalità di esserci - e non è un caso che sia Durkheim che Weber erano per la guerra. Mentre la filosofia dell'essere come amore e la sociologia dell'abbraccio non lo sono. Se uno è abituato ad abbracciare non sguaina la spada (cfr. 174).
Nel paragrafo "uno stile di vita capace di attrarre" (158-162) Azurmendi ci insegna che la collettività ideologica è fondata sulla paura e sull'occultamento dei veri fini di un'azione. Mentre l'eccellenza identitaria di una comunità che si fonda sull'amore gratuito di Cristo e che spinge all'emulazione, non si basa su una coincidenza ideologica e non occulta il fine ultimo dell'agire, che è Cristo stesso, il Logos universale e concreto. Nel gruppo caritativo dei Bocatas ci sono i "buonisti" e i "giustizieri", ma un primo luogo ci sono cristiani, che hanno come unica forma ultima Cristo stesso. Una comunità cristiana deve rimanere in dialogo anche se i punti di vista ideologici possono essere non concordanti: "è evidente che tanto i buonisti quanto i giustizieri volevano continuare a mantenere la propria identità in-cristata" (161). Il dialogo è la forma spirituale dell'abbraccio fisico.
Per me che vivo nella diaspora tedesca dell'est è diventato sempre più vero che "solo l'amore trasforma le relazioni sociali" (Azurmendi, 163), non le analisi sul passato della DDR. "Nessuno è meglio dell'altro poiché siamo tutti uguali agli occhi di Dio" (Azurmendi, 163) - ciò significa che io non sono meglio delle persone che rimasero nella DDR e non fuggirono, anche se la mia simpatia immediata è forse più per i secondi. Una bellezza davvero disarmata, una cultura dell'abbraccio radicale non rende cechi a ciò che succede, ma non ha bisogno di nemici ideologici, per la Hillesum ciò è così vero che neppure i nazisti erano considerati da lei dei nemici che non le permettevano di comprendere la bellezza, completezza e semplicità del dono d'amore che è la vita. E questa esperienza ontologica è prima di ogni "progresso, divisone del lavoro e individualismo" (169). Etc.
(27.1.22) Se penso ai miei scatti isterici, anche solo se mi cade qualcosa a terra (sebbene per cose più complesse sono invece abbastanza tranquillo), non mi verrebbe mai in mente di commentare, ed anche don Julían non lo fa, una testimonianza come quella che riporta nel capitolo "sofferenza" (C'è speranza? 171-117). Con semplicità e con le lacrime agli occhi leggo questo diventare carne di Cristo nella vita di una "sorella", che non conosco, a cui "è stato diagnosticato un tumore molto aggressivo e in stadio già avanzato" (173). Da una persona così io posso solo imparare e sperare che in una situazione del genere anche in me Cristo si "glorifichi".
In questo capitolo vi è una frase di Papa (emerito) Benedetto XVI che mi ha davvero colpito: "nessuno di noi è in grado di eliminare il potere del male e della colpa". Nessuno (!), per questo nella mia bacheca in Facebook ho condiviso la presenza discreta ed umile di Papa Francesco ad Auschwitz (oggi è il giorno della memoria). Lucio Brunelli ha pubblicato nel suo blog una testimonianza del rabbino Elio Toaff, che vale davvero la pena di leggere in questo giorno ed anche in genere per riflettere sulla sofferenza "provocata dalla responsabilità degli uomini" (171). Don Julián ci rende anche attenti a quella sofferenza che nasce dall'intimidazione e dalla menzogna" (172).
Ci sono ovviamente modi diversi di affrontare la sofferenza; se penso a mia mamma che ha un forte mal di gambe, che ci vede solo da un occhio e che all'inizio di febbraio sarà operata nell'altro occhio, vedo in lei una fiducia ultima, che vorrei imparare. Mio padre si trova in questi giorni all'ospedale e mi piacerebbe davvero essergli più vicino anche qui a mille chilometri di distanza, ma al cospetto del suo modo "dominante" di vivere la sofferenza (dominante e poi abbattuto) non so proprio come fare. Prego per lui che trovi quella serenità che ha sempre cercato. Veni Sancte Spiritus, veni per Mariam!
(26.1.22) Il punto di massima vicinanza tra la mia esperienza e quella proposta dal carisma di CL sta nella "speranza alla prova delle circostanze". Il cammino al vero è un'esperienza. Un'esperienza che si basa su una "promessa": "chi mi segue avrà il centuplo quaggiù" (cfr. Mc 10, 29-30). Certo non un centuplo che si misura nel successo (sebbene nella mia e nostra vita non è mai mancato nulla di essenziale), ma con il metodo della gratuità. Il cuore della speranza stessa è la gratuità che deve "essere verificata nel paragone con le circostanze, nessuna esclusa" (C'è speranza?, 163).
La speranza è un'affermazione nel presente come spiega anche la lingua latina che la esprime con un ACI e non con un "ut con il congiuntivo", ma non è un "obbligo", una "costrizione" e di fatto milioni di persone vivono senza questa speranza. Come l'amore, la speranza è gratis. È ciò di cui abbiamo più bisogno: la certezza della positività della nostra vita, del nostro destino ripete don Giussani con insistenza. Questa speranza esprime "il senso necessario dell'essere" (Ulrich), ma di una necessità che non è obbligo ma il svilupparsi "automaticamente" del chicco gettato nella terra feconda. E questo anche al cospetto della morte; mi ricordo ancora, una delle poche cose che mi ricordo direttamente, quanto Giussani ci aveva spiegato il passaggio del libro della Sapienza 1, 13-15: "Dio non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi...". Dio ha donato gratuitamente l'essere come amore e lo dona continuamente in una modalità di vita come "unità della vivere e del morire" (Ulrich) o per esprimermi con don Giussani: "La vittoria di Cristo è una vittoria sulla morte . E la vittoria sulla morte è una vittoria sulla vita" (170); ed è proprio vero, nel senso dell'esempio fatto da Carrón citando una universitaria, la cui amica si era uccisa: anche di fronte al suicidio di uno scolaro le uniche persone con una speranza erano mia moglie ed io. Non per merito, ma per grazia. Qualcosa che non possiamo spiegare, ma che si è verificato anche quando c'è stato un incidente in cui sono morti tre ragazzi; il mio commento in Facebook: "triste, ma non disperato" è stato consultato più di ventimila volte. Ed è ovviamente una grazia che la mia moglie tedesca - la persona tedesca in cui io più che in ogni altra vedo realizzato il carisma di don Giussani, in lei che non ha mai assunto nessun ruolo di capo in Cl, ma in cui il carisma si è incarnato nel senso più discreto e più vero e meno autoreferenziale - mi sia compagna in questa verifica giornaliera della speranza nelle circostanze.
Ed è vero, lo confesso con grande umiltà e senso dei miei limiti: tutte queste frasi senza il Cristo vivente sono solo "parole parole parole". Una presenza quella di Cristo che si è fatta "compagnia di una Presenza che non dipende in ultima analisi dalle circostanze esterne, ma è donata appunto" - l'essere stesso è dono! Dono di amore gratuito sulla "piccola via" che accade ogni giorno: "una familiarità con Gesù nella quale si progredisce giorno dopo giorno" (Papa Francesco, citato in 170).
(24.2.21) Trascrivo dall' "Abbraccio" di Azurmendi alcune frasi che dice sul tema "caritativa" che mi sembrano di vitale importanza per chi cerca di pensare e vivere la filosofia dell'essere come dono d'amore. "La vita è per essere data" (154); "il tempo è fatto per darlo gratis"(153); "la legge della vita è la gratuità". La caritativa non è fatta per "risolvere problemi", ma per imparare la gratuità dell'essere. Forme di caritativa con le missionarie della carità di Madre Teresa sono soluzioni molto buone per vivere in modo sensato questo gesto, che non è solo condivisione di cose materiali, ma anche di "parole", della "Parola".
Ovviamente bisogna stare attenti a false "idealizzazioni" - tanti anni fa avevo conosciuto a Casale Monferrato una missionaria della carità, che lamentava una mancanza di senso dell'amicizia nell'ordine e che si sarebbe desiderata l'atmosfera che aveva conosciuto in CL. E poi come ho già detto se uno vive nella diaspora come noi non ha sempre un ordine religioso a portata di mano e forse neppure un gesto da vivere in modo sensato. Comunque anche la quotidianità può essere fatta di gesti di gratuità, per quanto piccoli: ascoltare qualcuno al bar, anche se avresti voglia di bere in pace il tuo latte macchiato, ascoltare durante una passeggiata uno studente che ha bisogno di sapere cosa pensi tu su un certo tema...
Ma in un certo senso anche leggere un libro o ascoltare Mozart è un gesto di gratuità...
(22.1.22) Decisivo è questo passaggio di don Giussani: "La memoria non è un ricordarci di noi, ma un accordarci continuo con una presenza che, una volta che si è rivelata, si è rivelata come una presenza che non va più via" (citazione in "C'è speranza?, 161). Non siamo insieme per ricordarci di noi, ma per ricordarci di Cristo. E la "vita nuova" cioè il "cristianesimo", secondo don Giussani non consiste "innanzitutto (in) alcune esperienze particolari, alcuni modi, gesti accanto ad altri, alcune espressioni o parole da aggiungere al solito vocabolario" (160) - mi ha colpito molto che ad un certo punto dell' "Abbraccio" Azurmendi dice che non leggerà una riga di Don Giussani prima di aver finito di "terminare questo manoscritto" (L'abbraccio, 151). In un certo senso don Giussani è anche solo "un autore" - se quello che voleva non si incontra oggi, non serve nulla leggere i suoi libri. La sfida è questa: "il movimento cammina esclusivamente in forza dell'affezione a Cristo che ognuno di noi ha" (C'è speranza?, 158). Certo ci vuole un luogo come insiste don Julián (153-161): "per non bloccarsi nel percorso della personale verifica occorre dentro essere un luogo che rompa costantemente la nostra misura...un giudizio permanentemente aperto e senza pregiudizi è infatti ...impossibile alle sole forze dell'uomo" (154-155). Ma il luogo è fin dall'inizio contaminato, per così dire, perché don Giussani non era un guru isolato, ma viveva di e con tante amicizie nel e fuori del Movimento e viveva cum et sub Petro. Il luogo di cui parla don Julián sono per me le telefonate con mia mamma, il matrimonio con Konstanze, l'amicizia dei Contadini di Peguy, il dialogo con Alver, Lucio, Massimo, Renato, Adrian, la vita in parrocchia, questi esercizi, il fondo Francesco per aiuto ai poveri nella nostra scuola, la nostra scuola...ovviamente c'è sempre la tentazione di "fuggire" perché la vita diventa pesante e complicata, il metodo, però, è quello di cui parla don Julián, ma in una forma per me più contaminata.
(20.1.22) Per quanto riguarda il dialogo tra Chules e Azurmendi (L'abbraccio, 147-153) direi che a parte il fatto che per me "riflettere e pensare" è qualcosa diverso da quello che è per lui, io sono d'accordo su tutto, in modo particolare sula citazione di Peguy, ma allo stesso tempo la sua frase: "la caritativa è imprescindibile" mi irrita, non perché non sia vera, ma perché lui presenta la sua via alla caritativa come l'unica possibile. Ma la sua vita come avvocato in Spagna, a Madrid, se ho capito bene, è del tutto differente dalla vita di un insegnante nella diaspora in Sassonia-Anhalt. Punto.
(18.1.22) Come può diventare mio quello che vedo in un altro? Come può diventare suo quello che lui vede in me? Come è possibile fare un reale cammino al vero e quindi di verifica? (cfr. Carrón, C'è speranza?, a partire dalla pagina 148). Come può diventare mia, sua, nostra la speranza? Dove poggia la mia speranza? Non è mi è possibile "ritornare" al Movimento, per il semplice fatto che io dopo il rientro del 2010 non l'ho mai lasciato. Allora ci rientrai, quando alcuni studenti della mia scuola incontrarono la proposta di CL, poi loro se ne sono andati, mentre io sono rimasto. Per dire solo una cosa: in vent'anni di diaspora, mia moglie ed io non abbiamo mai tralasciato di pregare l'Angelus (con il papa la domenica e la mattina quanto andiamo in auto a scuola insieme), anche se lo preghiamo in latino, con il verso centrale in greco. Gv 1, 14 "Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν".
Io sto facendo un periodo di particolare verifica facendo questi Esercizi sulla speranza, per evitare ogni forma di formalismo ed attivismo - non è possibile che la sequela si misuri nei chilometri passati sull'autostrada. Il metodo della sequela lo vivo ogni giorno con mia moglie e con la mia esperienza nella scuola. Anche se ho al momento un bisogno di autenticità estremo, che si esprime in primo luogo nel mio diario notturno, che condivido la notte in Facebook, non credo di aver smesso di dire "si" a Dio, non credo di aver smesso di essere un piccolo amico di Gesù. "La strada è seguire" - il Papa nell'Angelus, don Julían con questi Esercizi, mia moglie nel nostro cammino matrimoniale e di condivisione della scuola, il mio parroco per la vita parrocchiale, etc.
È vero che in CL nessuno ti costringere a fare qualcosa, ma è anche vero che spesso non vi è il minimo senso dell'uscita verso l'altro, di andarlo a cercare gratuitamente, come fa il pastore con la pecora e che vi è una tentazione di pensare che sono gli altri che si staccano, mentre spesso ci si stacca stando dentro formalmente. Comunque il grande criterio è quello della vita quotidiana, in cui Cristo è presente! Cristo, non in primis il carisma!
(17.1.22) Vorrei riflettere con Azurmendi sul tema della "caritativa", che lui tratta nel capitolo quarto dell' "Abbraccio", che porta il titolo "Bocotas" - faccio i primi passi sulle pagine 134-147. Ne approfitto per fare una piccola premessa - qui nella diaspora mia moglie ed io abbiamo proposto gesti come le "Lodi" e la "scuola di comunità" in questi venti anni. Ho pregato le "Lodi" nella scuola ogni settimana per anni, a volte solo con Konstanze, all'inizio con qualche studente - ma di fatto è così che anche ai colleghi "protestanti" che sono interessati alla preghiera ed addirittura una cattolica, il modo di pregare le Lodi nel Movimento non diceva nulla. Konstanze ed io siamo stati fedeli al gesto per anni e poi alla fine abbiamo preso atto che da noi questo gesto non era possibile pubblicamente, come non lo è stata la scuola di comunità, anche se ci sono stati momenti in cui sembrava fiorisse.
Per quanto riguarda la caritativa, il gesto di gratuità nel Movimento, non ho i problemi teorici che aveva Azurmendi - non Weber e la sua etica del capitalismo, ma la filosofia dell'essere come dono di Ulrich è il mio punto di riferimento e poi per quanto riguarda la situazione in cui mi trovo, il luteranesimo non è in vero paragonabile con il "protestantesimo calvinista". Capisco molto bene che si faccia qualcosa per il semplice motivo di farla, insomma gratis, ma di fatto qui nella nostra regione tutto è regolato così bene, che senza fare tanti chilometri sull'autostrada non sapremmo neppure dove farla la caritativa. Quando vivevamo ancora in Baviera, la mia allora piccola Johanna ed io andavamo a visitare nella sua camera all'ospizio una signora che non aveva parenti che la visitassero. A Monaco di Baviera avevamo fatto parte del gesto di caritativa che si faceva da dei migranti, con cui avevamo anche guardato il mondiale di calcio. Qui in Sassonia-Anhalt durante la crisi migratoria del 2015 in parrocchia abbiamo passato del tempo con gli immigrati siriani. A Lipsia ci sono i fratelli di Charles de Jesus, ma la volta che li ho incontrati, forse anche per il contesto molto borghese dell'incontro, non è nata alcuna scintilla. Ma detto ciò è vero che la caritativa la facciamo ogni giorno nella scuola, cercando di trattare i nostri allievi in modo diverso di quello che si fa in un normale rapporto studente-insegnante e alla fine settimana sono sfinito (certo anche contento, ma sfinito) ed ho bisogno di una dimensione "contemplativa" (le tante passeggiate nei boschi) e non di un ulteriore cosa da fare.
A livello "operativo", tanto per usare una parola che non mi piace tanto, Azurmendi dice che nelle azioni dei Bocotas "ci sono tanti volontari e poco da fare" - insomma pur con tutta l'azione importante per portare il cibo con un furgoncino, etc. non sembra essere operativamente sensata, ma lo è come un "manere in amicitia", come uno stare in un'amicizia. "Nient'altro". Questa dimensione mi sembra di vitale importanza, come essa sia trasportabile "formalmente", come "gesto" qui da noi, non lo so, se non per l'appunto come abbiamo già fatto: ospitando persone che avevano bisogno, etc.
(14.1.22) Negli "Esercizi" don Carrón dice alcune cose davvero molto utili sulla questione del carisma, anche se non arriva a porre con la radicalità necessaria la questione del decentramento da esso per Cristo. Mi sto riferendo al capito 5,4: "Come si riconosce questo luogo?"(C'È speranza?, 141-148). Lasciamo da parte la questione troppo biografica che spesso io non mi sono sentito guardato come descrive lui, ma piuttosto molti hanno guardato i miei limiti e solo alcune persone o momenti di persone "mi volvono bene così come ero e sono". La citazione con rifermento alla nota 31, pagina 142, dal libro "Generare tracce nella storia del mondo" su una "realtà operativamente efficace" o del diventare "operativi" dei membri della fraternità la trovo, per dirlo gentilmente: ambigua. Questo è il punto che non aiuta al decentramento, mentre quanto segue lo è.
Mi sembrano di grande aiuto le tre indicazioni che don Julián ci da nel paragrafo di cui sopra e sono il motivo per cui, per esempio, mi fido del Papa, cui cerco di obbedire in modo non cadaverico, ma vivo. E ciò non vale solo per il Papa, ma anche per persone o momenti di persone in CL: "è ragionevole fidarsi " solamente se chi ci chiede obbedienza non ci chiede fedeltà ad un gruppo chiuso, ma offre i motivi per comprendere le esigenze del cuore. Insomma non siamo in Cl per una questione elitaria, ma "cattolica". In secondo luogo deve essere un aiuto a vivere nella modalità della speranza: "guarda che dopo splende il cuore". Terzo punto, assolutamente vitale: la compagnia deve essere "gratuita": "noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede, siamo invece i collaboratori della vostra gioia" (Giussani).
Credo che bisogni però sottolineare in modo molto più evidente che Giussani può essere solo compreso nella communio sanctorum, in modo particolare dei suoi amici, che non era tutti di CL.
(13.1.22) Cosa significa educare bene? (129) Il metodo che sceglie Azurmendi per rispondere a questa domanda mi corrisponde del tutto. Non parla di progetti, ma di persone. Ed afferma con ragione che non la risposta, ma la domanda è decisiva. Una domanda che non dobbiamo smettere di porci.
La testimonianza che riporta sotto il nome di Jordi (129-133) riassume il tentativo che ha intrapreso nel capitolo "L'arte di educare" (77-133). Cerchiamo di formulare la domanda: sono solo "una pedina nella trasmissione delle conoscenze" o comunico ai miei allievi che loro ed io siamo un dono? Sono i miei allievi la mia "radice identitaria"? Che tipo di insegnante sono? Dovrebbero dirlo i miei allievi, nono io. Comunque da parte mia direi che il rapporto che descrivono quasi tutte le persone di cui parla Azurmendi hanno un rapporto troppo intimo con il loro allievi. Direi che in 20 anni di diaspora sola una mia allieva è mia amica ora e lei ha difficoltà, credo, con il mio essere cattolico, sebbene lei stessa lo sia. Ed io stesso cerco di prendere sul serio quello che dice il papa: uscire da sé, andare incontro agli altri, che per l'appunto nella diaspora non sono quasi mai cattolici. E poi vorrei cercare nella mia anima, in primo luogo in dialogo con Etty Hillesum, quali siano i criteri ultimi del mio agire, riflettendo su anima e corpo.
La scelta di Jordi come figlio adottivo per l'ultima testimonianza è interessante. Io ho solo un amico che si trova in questa situazione ed a differenza di Jordi, pur considerando sua mamma anche lui la mamma adottiva, ha deciso di conoscere i suoi genitori biologici e questo ha aperto una dimensione del tutto inaspettata: perché sono mussulmani egiziani. Il modo di scrivere di Jordi è molto interessante, ma anche molto singolare e non so se può essere generalizzato. Comunque su un punto ha in parte ragione: "el roce hace el cariño" (la continua vicinanza genera affetto). Ma non so e non credo che una continua vicinanza sia la dimensione ultima dell'educazione. Mia moglie ed io abbiamo educato i nostri figli ad una lontananza-vicinanza ed anche i ragazzi che sono stati con noi, per esempio una ragazza che è venuta con noi nelle nostre ferie estive, l'abbiamo lasciata andare ed anche con le ragazze che hanno abitato nella nostra casa non vi è un rapporto stretto. Educare è lasciar andare!
(11.1.22) Don Carrón schizza il passaggio dall'AT (La dimora dell'Altissimo) al NT (Il luogo della speranza, C'è speranza? 134-141) con una concentrazione su Gesù, Presenza del Dio trinitario e la Sua Chiesa. Il luogo della speranza è Cristo stesso: "nell'annuncio cristiano questa dimora é un uomo: Gesù di Nazareth, Dio fatto carne, un uomo che camminava per le strade, che si poteva incontrare, frequentare" (134-135). Anche per Ignazio, negli Esercizi, è importante immaginarsi concretamente il luogo dell'incontro con Cristo, Giussani aggiunge a ciò un'insistenza particolare sull'esperienza concreta di questo incontro. Alla domanda: come incontrare Cristo oggi?, don Carrón risponde: "Con quale metodo? Cristo "ha scelto come metodo della sua continuità nella storia una compagnia: la Chiesa; con un capo: san Pietro"(Giussani)" (135). Viene poi specificata la forma particolare in cui questa compagnia ci ha raggiunto; gli esempi fatti sono esempi della compagnia concreta che è il Movimento per persone come quello di una donna di 82 anni che vive da sola in Italia, ma si sente accompagnata dal Movimento ed una signora che vive come cuoca in Venezuela, in una situazione eccezionale, paragonabile a quella che ho conosciuto in Armenia, non a quella che vivo ogni giorno.
Chi ha letto attentamente queste pagine conosce già l'obiezione che faccio e che non ha a che fare con "orgoglio" o "insofferenza" - spero. Oggi sottolineo questo aspetto: conosco persone e momenti di persone anche qui in Germania che sono stati per me, nei decenni, quella presenza concreta di Cristo ed io sono rimasto fedele a loro e loro a me, anche se spesso io mi sento qui in Germania come un "rompi palle", come uno strano (ho già parlato della mia presenza nella diaconia allargata) e la "poesia" dello sguardo di don Julián come lo sguardo di Cristo, mi da sui nervi. Questo è semplicemente un'esagerazione o se volete vale per la persona che sente così - e non dico questo perché c'è l'ho con don Carrón, visto che come vedete prendo molto sul serio ciò che dice. Per me qui nella diaspora e nella mia vita non sono mai state persone di CL da sole che hanno concretizzato la presenza di Cristo. Nel libro dove c'è scritto: "un uomo che camminava per le strade, che si poteva incontrare" ho scritto: Appunto! Io posso incontrare il mio parroco, ancor di più mia moglie, non i responsabili di CL, che al massimo potrei vedere per video e comunque non sono una realtà che accade ora e non accade ora neppure ne"gli amici che seguono il carisma". La questione del "decentramento dal carisma" significa anche fare altri esempi. Non metto in dubbio quelli di Carrón, ma sono unilaterali. In questi giorni sto facendo compagnia a mille chilometri di distanza ad un amica, mamma di 5 bambini, che sta vivendo una situazione surreale in Italia. "Il tampone molecolare di M di Giovedì mattina è arrivato solo alle 22 ed è risultato indeterminato... la pediatra ha prescritto un rapido per le 22:50 di questa sera...Non ho capito esattamente quali colpe sto espiando...comunque siamo in coda" - sta mattina leggendo le ho chiesto il risultato. Risposta: "Nessuno. Dopo due ore e mezza al drive trough mi hanno mandata via, avevano finito i rapidi per la giornata o rotto la macchina, non ho capito. Quindi oggi si ripete tutti, niente lavoro per me e mio marito, uno sta con i bambini ed uno fa ore di coda nella speranza che l'esito sia negativo... Ieri mentre ero lì sono dovuti intervenire i carabinieri perché una signora che era in coda ha dato di matto. La capisco. Magari aveva a casa figli o genitori malati da assistere, un lavoro che si era faticosamente guadagnata e da difendere... non si può chiedere alla gente di vivere così. Buona giornata". Mi vergogno di essere io a mille chilometri di distanza una "presenza" per questa amica, ma voglio esserla, perché aiuta me, non perché io aiuto lei. Dobbiamo finirla con racconti che anche se veri, spesso hanno un carattere "mitologico" e non di testimonianza.
Quanto Marie de la Trinité scrive: il Signore non mi chiede di scrivere una nuova costituzione o contribuire alla sua riforma, ma mi chiede di essere fedele e dare un esempio in silenzio (riassumo non cito), devo dire che ciò vale anche per me. Credo che si debba fare la riforma dell'istituto della Fraternità, ma non è il mio compito. In silenzio ci sto, visto che nessuno entra quasi mai in dialogo con ciò che scrivo qui (forse perché scrivo troppo) e silenzio non è mutismo e questi miei quaderni sono un esempi di fedeltà - chi non lo capisce ha un problema, lui non io... Comunque va bene così, questo fa parte anche dell'assunzione di un compito in silenzio.
(10.1.22) È il primo giorno di scuola dell'anno 2022 e così anche il momento adatto per continuare il lavoro sull'educazione, in dialogo con Azurmendi. Io non sono per nulla il tipo di insegnante come Jesús Ángel (L'abbraccio, 124-129). I miei datori di lavoro, sia il mio primo, l'editore Pietro Marietti, sia il mio primo direttore scolastico in Sassonia Anhalt, Burkhard Schmitt, hanno sempre pensato che io guardassi in modo troppo serio; insomma che avrei dovuto imparare ad essere più lieto. Anche il paragone di Jesús Ángel con Ermes "serafico e angelo custode", leggero nei suoi movimenti, Dio degli incontri, del passaggio dall'infanzia alla giovinezza, delle scoperte fortunate e dei guadagni, non è certo ciò che mi caratterizza, anche se da tanti anni mi occupo, qui nella nostra regione, di una festa che chiamiamo "Juventusfest" e che ha come oggetto il passaggio dall'infanzia alla giovinezza.
Ma le sfide contenutistiche, per così dire, di cui parla Jesús Ángel sono anche per me importanti.
1. Accettare la correzione continua che sono i miei allievi, insomma rimanere bambino. Anche come ricordo di ciò che ci ha insegnato Gesù e che Balthasar poco prima di morire ha espresso in un suo libretto che regalai a Gadamer: "Se non diventerete come questi bambini... (124).
2. Cercare di amare gli alunni con i loro limiti, così come sono, rispettare i loro tempi, aiutarli a fare dei passi concreti oltre le loro paure ed anche oltre la "fretta di camminare più veloce" (125).
3. Vivere la vita come cammino al vero, vivere le amicizie come compagnia al mio cammino, come un cammino che non si può compiere da soli. (125).
4. Imparare a "lasciar andare", perché "non sono io il padrone della mia vita né di quella dei miei alunni" (127).
5. Ci sono delle esperienze drammatiche in cui non si ha una risposta, ma in cui si può tentare di sostenere ed accompagnare le persone.
6. È molto importante vivere la vita come alcunché di bello, senza che la frase: "la realtà è bella" venga ridotta ad una formula (128).
(8.1.22) Prima di inoltrarsi nell'approfondimento del tema della speranza in Gesù Cristo Don Carrón ci invita a riflettere sull'AT: "La dimora dell'Altissimo" (131-134). Il filo rosso della meditazione è da subito chiaro: Dio non ha risparmiato al suo popolo nessuna avversità. Ma se non si vuol cadere nel non senso più assoluto ci si deve porre la domanda: "Non vi è alcuna differenza tra il vivere avendo la fede e la speranza e il vivere non avendole?"E per quanto il mistero dell'essere come amore stia una "discesa", in una "finitizzazione" (Ferdinand Ulrich) e non in un trionfo dobbiamo dire che - e ciò vale per tutti i miliardi di persone che credono nel Dio Altissimo: "la differenza c'é, eccome, ma non consiste nella qualità o nella quantità delle sfide, bensì nel modo diverso di affrontarle, secondo quella novità portata da un Dio che è entrato nella storia ed ha fatto della discendenza di Abramo il suo popolo, un popolo che di fronte alle urgenze e alle avversità , avesse Qualcuno a cui rivolgersi per essere sostenuto nella speranza" (131). Dal Papa, che ad Abu Dhabi ha firmato un documento sulla fratellanza universale di tutti gli uomini con il Grande Imam Ahmad Al Tayyeb, dai trent'anni di Padre Paolo dall'Oglio passati con sorelle e fratelli mussulmani a Dair Mar Musa, dall'amicizia di don Carrón con Wael Farouk, etc. imparo che questa speranza vale anche per il popolo mussulmano e non solo per quello ebraico e cristiano. Ed in un certo senso vale per tutti gli uomini che credono in una fratellanza universale. La speranza non è mai "chiusura in piccoli mondi" (Papa Francesco, Gaudete et Exultate, 134). E per noi tutti vale che siamo deboli, fragili e che anche i segni più grandi diventano solo ricordo se non accadono ora. Credo che si debba dire con un certo coraggio che certi segni dell'AT (la sconfitta dell'esercito del faraone, le quaglie...) sono più potenti di quelli che accadono a noi: tutte le preghiere per casi disperati che ho fatto in questi ultimi anni non sono state esaudite, o almeno non lo sono state nel senso che avevo richiesto, ma è vero che avere una famiglia come quella che Dio mi ha donato, certe amicizie, etc. è anche un segno straordinario in un mondo del tutto "liquido", in un mondo in cui nessuno riconosce più "autorità"...E poi abbiamo la grazia della "contemplazione" che non è "ricordo di qualcosa di passato", ma una modalità di avvenimento ora. Una compagnia cristiana senza questa contemplazione è solo un club umano tra gli altri e spesso peggio degli altri, perché pensa di esser migliore.
Quale è stata la prova più dura per il popolo d'Israele? L'esilio in Babilonia! "Avevano perso i tre grandi doni del Signore: la terra, la monarchia, il tempio"(133). In questa perdita vi è un programma educativo molto forte. Se non possiamo più sperare nella patria, nel potere e nel potere ecclesiale in cosa speriamo? Speriamo nell'Altissimo e nella sua dimora in questa terra ed io non vedo alcuna dimora in questa terra che non sia la fratellanza universale di tutti gli uomini, che è il compito che ci è dato da vivere in una situazione particolare. Una fratellanza universale che è attenta ai poveri e alla nostra casa comune. Questa è la promessa fatta ad Abramo! Ovviamente nella polarità tra universale e particolare, quest'ultimo deve essere integrato e non distrutto. La fratellanza universale non è da intendere come una "sfera", ma come un "poliedro", in cui italiani, tedeschi e siriani sono fratelli, ma anche cittadini della propria patria, etc. L'universalità della fratellanza si fonda nella singolarità del Dio di Abramo, dell'Altissimo. Non confessiamo un'idea, ma una Presenza, la Sua! "Dio è per noi rifugio e forza, aiuto sempre vicino nelle angoscia" (134).
(7.1.22) Prima di continuare il dialogo con Azurmendi vorrei dire che non scriverò alle persone che stanno facendo la riforma dello statuto. Il motivo me lo offre Marie de la Trinité (Le Silence de Joseph, Parigi 2007). Quello che ho da dire si trova comunque qui sotto nella data del 28.12.21 e se il Signore vorrà altrimenti troverà il suo modo di comunicarmelo. Come filosofo sono chiamato più ad un "sacerdozio personale", quello a cui tutti siamo chiamati, maschi e femmine, nella Chiesa: a testimoniare che abbiamo un solo Padre, che ha donato gratuitamente l'essere. Marie scrive il 13.8.42: "Il Signore poi mi disse: "Liberati", e compresi che io dovevo sgravare il mio spirito dalla legislazione della congregazione e dovevo liberarmi da esso - e questo non per diserzione o vigliaccheria, ma per fedeltà - per essere attento alle grazie e alle chiamate e ai doveri di ciò che è intimo". Tanto più che con l'elezione nel consiglio diocesano di Dresda ha già fin troppi compiti "esterni". Non è possibile che la responsabilità personale per il carisma che ci ha chiesto don Julían abbia a che fare con un attivismo legislativo da parte di tutti.
Poi è necessario, come ci ricorda san Giovanni nella sua prima lettera, fare un discernimento degli spiriti, non tutti gli spiriti che si occupano della Chiesa vengono da Cristo. Il passaggio di Giovanni (1 Gv 3,22-4,6) è molto duro, ma credo possa essere riassunto in un solo punto: fedele è chi confessa che il dono massimo, e non raggiungibile dal basso, di Dio è il suo Logos fatto carne, che ci invita all'amore tra noi fratelli e sorelle. Non una gnosi del Movimento, ma solo l'amore, quello testimoniato dal cardinal Matteo Maria Zuppi nella predica al funerale di Mons. Negri, è il mio compito. Bisogna ovviamente stare attenti a non leggere la lettera di Giovanni in modo fondamentalista, la sua differenza forte tra chi è di questo mondo e di chi è di Dio, non deve essere intesa come autoreferenzialità. Come ci ricordava Balthasar, commentando Agostino, non è possibile sapere univocamente chi fa parte di Gerusalemme e chi fa parte di Babilonia. Il Vangelo del giorno (Mt 4,12-17.23-25) ci ricorda che la missione di Gesù stesso parte dalla "Galilea pagana". Io mi trovo nella Galilea pagana, nella diaspora pagana e il mio compito è testimoniare la gratuità dell'amore di Dio e del suo Figlio nello Spirito Santo, pur non essendo santo.
Ed ora Azurmendi. Il José Maria di cui parla (120-124) è per me, nella diaspora pagana, troppo un "santino beato" e il principio con cui agisce: "Di norma, ciò che è grande e vero cresce" non mi dice assolutamente nulla. Ma prendo sul serio il suo desiderio di far parte di quella "gente che, nella quotidianità della vita e nella discrezione delle loro faccende, gridi che la vita non è una menzogna, che è certamente un gran mistero, ma non una menzogna che ci rende scettici" (123). Per quanto riguarda la convivenza con i miei alunni mi aiuta di più la sobrietà di ciò che dice Etty Hillesum: prendere sul serio il loro problema umano non significa sempre o normalmente creare "legami personali troppo forti" (cfr Diario, 23.3.42).
(5.1.22) Tra le tante parole che sono state dette in questo tempo di pandemia, quelle del Papa il 20.3.2020, che don Carrón riporta in "C'è speranza?", 125, hanno raggiunto davvero il mio cuore: "Su questa barca ci siamo tutti": "Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati" - tutti, significa anche i no-vax, sebbene sia importante che quest'ultimi, come ha detto il ministro degli interni della Sassonia-Anhalt, Tamara Zieschang (CDU), prendano le distanze da chi usa le loro proteste con fini violenti. Il Papa continuava: "Tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda"! Ecco questo è il punto: non siamo chiamati in primo luogo a fare delle analisi sul come mai alcuni non si fidano del sistema (politica, scienza), ma siamo chiamati ad amarci e consolarci a vicenda: e con grande probabilità ciò non ha in primo luogo a che fare con un "discorso". Leggiamo con attenzione la lettura odierna della prima lettera di Giovanni da questo punto di vista:
3, [11] Poiché questo è il messaggio che avete udito fin da principio: che ci amiamo gli uni gli altri.
[12] Non come Caino, che era dal maligno e uccise il suo fratello. E per qual motivo l'uccise? Perché le opere sue erano malvagie, mentre quelle di suo fratello eran giuste.
[13] Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia.
[14] Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte.
[15] Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna.
[16] Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli.
[17] Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio?
[18] Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità.
[19] Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore
[20] qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa.
[21] Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio...
Il messaggio primario è quello dell'amore e non quello della difesa della scienza e della tecnologia e neppure quello dell'analisi delle vie di informazione (anche perché queste sono destramente complesse come ci fa vedere per esempio Glenn Greenwald) che portano ai discorsi, che non reggono ai fatti, dei no-vax. Come dice con ragione il premio Nobel della letteratura del 2010, Mario Vargas Llosa, citato anche da don Julían: "La pandemia ha colto tutti di sorpresa perché avevano l'impressione che la scienza e la tecnologia avessero dominato la natura", mentre ciò non era vero. Certo i vaccini sono stati di grande aiuto e sarebbe auspicabile che più persone in tutto il mondo fossero vaccinati, ma il vaccino per sua natura non risponde al motivo ultimo della fragilità in cui ci troviamo che "è l'alternativa tra l'essere e il nulla" (don Carrón, 128). Don Carrón ha un messaggio - il sostegno della speranza da parte di Dio! E ciò che ci distingue dagli altri, senza nostro merito ultimo, è quello che dice Giovanni nel passaggio citato: noi siamo chiamati ad amare tutti, non ad analizzarli, per quanto una buona analisi possa essere forse utile.
Quello che mi ha colpito in queste pagine di don Julián (123-130) è una piccola parola: "forse". La speranza non supera i dubbi, perché noi speriamo in Dio, che nessuno ha mia visto. E noi possiamo riconoscere la sua presenza ora solamente dando la vita per i fratelli - per tutti! "Fratelli tutti!". E chi non crede in Dio, e chi non crede nel sistema forse si lascerà mettere in dubbio da questo "forse" - forse ci sono ragioni sufficienti per credere che la barca in cui siamo tutti insieme é Dio e non il caso. E che quindi le vie della ragionevolezza, sono più sensate di quelle fideistiche.
(4.1.22) "Ho imparato a guardare gli alunni (e, per estensione, qualsiasi persona) come un dono, come qualcuno che ti viene regalato, con una possibilità in più per amare, per donarti" (Enrique in Azurmendi, L'abbraccio, 119). Si, è quello che ho imparato da Ferdinand Ulrich e che ho potuto verificare ancora nel suo letto di morte. Cristo nell'esperienza!
Quando arrivammo a Droyssig, venti anni fa, avevamo lasciato l'amata Baviera e abitammo per nove anni in una casa che era stata tutto: scuola, teatro popolare, foresteria con tanti alberi intorno, ma anche molto buia, ora abitiamo in una villa di "lusso", che possiamo permetterci solamente perché essa si trova in un luogo soggetto alle inondazioni. È un luogo che aiuta la contemplazione. La vita direttrice della scuola elementare dove insegnavo in Baviera mi disse che la dove andavo, non avrebbe voluto neppure essere seppellita. Era un'esagerazione, perché in vero Droyssig è bella, anche se la nostra prima casa era un po' di fortuna. E noi arrivammo con tutto il bagaglio dell'incontro con Ulrich e cioè sapendo che l'essere è dono e lo è anche nell'est della Germania, con i suoi problemi, di cui i tantissimi voti per la AfD sono solo la punta del iceberg.
Non so se abbiamo ancora l'entusiasmo della prima ora. Mia moglie lo ha, io sono forse invecchiato, anche nella percezione dell'altro come dono. Mi spaventa per esempio che nella seconda parte dell'anno avrò in aggiunta due settime classe, eppure quei ragazzi sono anche un dono e chiedo con umiltà che il Signore me lo faccia percepire come tale.
La domanda di Enrique a Mikel: "E tu, Mikel, dicci: che cosa hai ricevuto da noi?" è imbarazzante e non discreta. La reazione di Mikel, che è stato certamente un'anima nobile, è stata del tutto normale: smarrimento; meno male che Irene, la moglie di Mikel, ha offerto quella bella risposta: dopo avervi incontrato ci amiamo di più e siamo rinnovati. In vero la vera ed unica domanda dovrebbe essere: che cosa ricevo dall'altro quando l'incontro? (Quindi Mikel può certamente porsi la domanda che gli ha posto Enrique). Questo è il primo passo se si prende sul serio il "decentramento" dal carisma. Non vuole dire che il nostro "Selbstsein" (essere se stesso) dipenda morbosamente dall'altro, questa è la debolezza della filosofia di Levinas. Il mio Selbstsein è a sua volta dono, non solo l'altro o il tu è dono. Ma l'urgenza dell'invito, pur nella formula di amare l'altro come te stesso, sta nella scoperta dell'altro, perché solo questo è amore, il resto è guardarsi allo specchio.
PS Nei prossimi giorni vorrei approfondire una questione che don Julián pone all'inizio delle pagine qui sopra citate: la presunzione e la disperazione (questo punto è mediamente chiaro) come nemici della speranza. Citando il CCC don Julián presenta due forme di presunzione: quella di chi spera di salvarsi senza Dio oppure di chi pensa di venir salvato da Dio senza conversione e senza merito. La questione del "merito" e del rapporto con la "grazia" è complesso. Comunque a me sembra che la disperazione e la presunzione non siano fenomeni di destra o sinistra ed in fatti don Julián non usa queste categorie, ma semplicemente "umani".
(1.1.22) Il capitolo "la certezza della fede è il seme della certezza della speranza" (C'è la speranza?, 110 -122) è molto bello - dalla citazione di Peguy fino alle testimonianze da brividi, in modo particolare quella della mamma, la cui figlia ha un tumore. Tutto mi arricchisce in questo capitolo, così "semplice" - Marie de la Trinité dice che "il Logos si è coinvolto con la nostra complessità, per aprirci un accesso alla Sua semplicità". "Per sperare...bisogna essere molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia" (Peguy). Come commento solo due note al margine. Ieri sera ascoltando il discorso di fine anno del nuovo cancelliere tedesco, Olaf Scholz, molto equilibrato politicamente, ho avuto la sensazione di un'ultima debolezza. In cosa spera il cancelliere? Nel terzo vaccino e ci ha augurato la salute. Ed entrambe le cose sono dei beni, ma non sono una certezza che accade ora, che mi è donata gratuitamente ora.
L'altra notte ho avuto il bisogno forte della Sua presenza - guardando due immagini che stanno vicino all'ingresso, una del Papa, inginocchiato in preghiera, ed una altra di Ferdinand Ulrich mi era del tutto evidente che ciò che io desidero è di essere certo come lo sono queste due persone: una ancora qui sulla terra e l'altra in cielo. Ed anche Etty, pur con tutto il suo lavoro complesso di equilibrio psicologico, è testimone questa semplice fede/speranza in una presenza che accade ora e se non accade ora, anche il papa a Roma ed Ulrich in cielo, sono solo "ricordi" o "immagini". E il diario di Etty testimonianza di una sconfitta. Spier muore, lei muore.
E questa novità che ho visto nel volto del Papa e di Ulrich deve accadere in ogni situazione, in ogni rapporto (cfr 111). E chiaro che per don Julián don Giussani è stato l'incontro, per me non è come per lui, ma questo sacerdote della bassa con i suoi abbracci generativi ha certo un'importanza decisiva nella mia vita. La sua immagine sta qui sulla mia scrivania, tra la Madonna di Crea e quella di mia moglie con l'abito da sposa, sotto il crocifisso.
(31.12.21) C'è una differenza tra "supporre/presumere" e "credere", ho spiegato in una decima classe nel mio liceo. Lo stesso dice don Julián, citando don Giussani, "La fede è una forma di conoscenza che è oltre il limite della ragione" - ma se neghiamo questo metodo di conoscenza, neghiamo qualcosa che è proprio all'esperienza (la mia esperienza personale la ho raccontata nel mio diario notturno), anche se non può essere percepito come uno degli altri "essenti" o come una cosa tra le altre cose. Insomma sulle indicazioni di fondo io non ho alcun problema, come sono anche d'accordo che "duemila hanno dopo (Gesù), noi siamo nella stessa situazione": si tratta di quei tempi che Giovanni nella sua prima lettera, che leggiamo in questi giorni, e che ha svegliato in me un grande desiderio di pace e metanoia, chiama "gli ultimi tempi". Le mie difficoltà non sono neppure, spero, in una questione di bugia o di una mancanza di affezione - questo mio "lavoro stabile" sugli Esercizi è una dimostrazione di ciò. La vera questione è quella di definire la "faccia" di cui parla don Julián, decentrandosi dal carisma. Don Julián dice: "noi abbiamo a che fare con la realtà umana in cui Cristo si rende presente, con la compagnia che ne è il Corpo nella storia, la Chiesa, secondo la faccia con cui essa ci ha toccato". Ora questa faccia per me e non solo per me non è mai stata autoreferenziale. Don Giussani ha fatto ascoltare a tutto il Movimento nascente in Germania von Balthasar e per me l'abbraccio (!) tra Balthasar e don Giussani è stato l'avvenimento che mi ha generato, come l'abbraccio tra Don Giussani e don Tantardini ha generato la comunità di Roma, etc. E questi abbracci sono fecondi: quando io venni in Germania l'incontro con Ferdinand Ulrich, amico intimo di Balthasar, e i primi passi nella comunità tedesca, procedevano in unità. Quando ho sentito il Papa che ci parlava il 7.3.2015 avevo la sensazione, a parte il fatto che si trattava di Pietro, che la sua amicizia (del papa) con Tantardini aveva generato il modo di parlarci del Papa - insomma il Papa ci parlava dall'interno del carisma per farci "uscire" fecondamente da esso nella nostra testimonianza d'amore - per grazia di Cristo - nel mondo (e non del mondo). Ed infine devo dire che "decentramento" significa incontrare gli altri in una reciprocità d'amore. Quando io telefono ai miei amici di Mestre lo faccio certo per far loro compagnia e per aiutarli, ma sapendo che il primo ad essere aiutato sono io. Quando si è spezzato il mio affetto nella diaconia allargata tedesca? Non certo per mancanza di affetto per le persone, ma perché non c'era questa reciprocità, in modo particolare nelle proposte "culturali" serali. E così quello che avrebbe potuto essere un rapporto fecondo è diventata per me un'umiliazione. Certo forse ho un carattere difficile, ma credo che non si tratti di "psicologia" - credo che di fatto nessuno abbia preso sul serio nella diaconia allargata la mia fedeltà personale al carisma, nella modalità del decentramento. Io sono visto come uno che rompe solo le palle. Ma perdono tutti, perché tutti abbiamo bisogno di perdono. Io in primis. E la nostra speranza non può stare in ciò.
(30.12.21) Mikel Azurmendi nel capitolo "Intraprendere nell'educazione" ( "L'abbraccio,110 sg.) afferma un principio di valore assoluto: "Le mie radici sono i miei figli, quelli che tutti chiamano alunni. Radicarsi nei figli è donarsi a loro. È costruire il futuro dal presente, senza utopie di liberazione e false speranze in una benefica coercizione dello Stato. L'amore c'è già ora, proprio adesso: questo è educare" (115). Il dono dell'essere come amore c'é già adesso, è alcunché di "semplice e completo", ho imparato da Ferdinand Ulrich e Tommaso d'Aquino. Il dono dell'essere come amore accade ora, ma è qualcosa di "non sussistente", aggiungono Ulrich e Tommaso. Per questo non è possibile alcuna posizione "tradizionalista" che si basi su questa ontologia dell'essere come avvenimento di amore, come non è possibile alcun posizione "utopico liberatoria" nel senso del non-essere-ancora dell'essere: l'essere è già adesso! Per questo l'alunno/figlio è un regalo ed è possibile imparare dagli alunni/figli che sono le nostre radici.
Su questa "filosofia" si fonda il tentativo educativo della "Newman" in Madrid; l'analisi di Juan Ramón mi sembra giusta: "il tipo umano generato dalla società .. è un uomo debole, senza ideali, senza speranza, che usa e si relaziona con tutto e con tutti come se nulla fosse certo né duraturo. Un uomo nel quale il desiderio di essere felice, l'urgenza umana di godersi le cose sono una chimera" (110), dicevo l'analisi mi sembra giusta ma dimentica che il dono dell'essere finito non è mai sussistente e in questo senso non vi è un godimento solo terreno, una speranza solo terrena... Ritorniamo a Ramón: è chiaro che mettendo in questione questa "debolezza" vi siano "élite di benpensanti, politiche e sindacali" che sono contrariare (112) - allo stesso però questo tentativo corre il rischio di diventare a sua volta elitario e conflittuale e per questo in forza dell'idea della "Chiesa in uscita" è necessario che sorelle e fratelli con gli stessi ideali della Newman si gettino nell'arena di scuole pubbliche o meno, che non sono gestite da una "fraternità formale", ma che diventino "fraternità reale" con le persone reali che ci sono in scuole non gestite da persone del Movimento. Insomma bisogna cercare di essere figli anche nella diaspora, anche custodendo i maiali e il ritorno al Padre non accade necessariamente in una scuola cristiana e tanto meno "del" Movimento. Per dirla con un'immagine dal mondo giornalistico: mi impressiona più Lucio Brunelli come vaticanista nel laico TG2 che nella televisione dei vescovi, anche se quest'ultima ha certamente una sua legittimità. Mi interessa di più un insegnante in una scuola nella diaspora dove non ci sono quasi cattolici che uno che lavora in una scuola come la Newman, anche se la filosofia di questa scuola mi aiuta a rinvigorire il mio ultimo intento come insegnante: l'amore che c'è già adesso. Ma l'atto d'amore non è mai sussistente (in questo l'ontologia debole di Vattimo e dei postmoderni francesi vede giusto), non è mai qualcosa per cui valga la pena "combattere" contro élite benpensanti, politiche e sindacali. In questa lotta si insedia la grande tentazione di essere meglio degli altri, mentre noi siamo inconsistenti come gli altri e solo "per gratia" possiamo testimoniare l'amore gratuito di Cristo, non per un nostro merito e la grazia accade dappertutto, nelle scuole "del" Movimento e nelle altre, in queste a volte "sub contrario" ed allora se ne dovrà portare in modo vicario le conseguenze: mancanza di successo... Per il Figlio/figlio la gloria è sempre e solo quella del Padre.
(29.12.21 Thomas Becket) Chi è interessato alla mia risposta alla domanda: "Cosa mi aspetto dal comitato per la riforma dello statuto della Fraternità di Comunione e Liberazione?" deve guardare il post qui sotto del 28.12.21. Questa è una meditazione sui temi: il tempo della convivenza, "una traiettoria umanissima" e quello di una "presenza senza paragoni" (C'è speranza?, 97-104). Disse una volta don Giussani a don Julián: "Guarda, Julián, che alla fine la differenza e tra chi ha fatto un lavoro stabile e chi non lo ha fatto" (104). Questo è il motivo per cui sto riflettendo sugli Esercizi alla/della Fraternità. Fa parte del mio "lavoro stabile"; è vero che se non ci si prende del tempo non è possibile né gustare né verificare la compagnia cristiana e il suo rimando a Cristo. Non solo nella famiglia, ma anche in un piccolo gruppo di amici io cerco di seguire. Per esempio al momento una famiglia di sette persone che hanno un caso positivo in casa e non possono isolarsi per motivi che non sto a spiegare qui. Io seguo loro, seguo mia moglie, seguo i "Contadini", seguo alcuni amici del Movimento in Germania, etc. Questa mattina ho trovato un passaggio di Marie de la Trinité, nei suoi appunti sul silenzio di san Giuseppe, che spiega una cosa che avevo capito in un certo altro modo anche con la Etty Hillesum. Accenno a ciò perché vi è una chiamata o una missione personale che non può essere superata o cancellata (tollere) da nessun carisma. "La tua vocazione non è che tu mi dai ha qualcuno, ma di accogliermi in te stessa, in modo tale che io ti accolga in me. Ti ho scelto per me. La tua vocazione non è dare, ma rapportare nella tua intimità" (non so tradurre meglio) - ho dovuto pensare a quel lavoro interiore che fa Etty e che è un po' ontologico e un po' psicologico. Un lavoro in cui le persone diventano una presenza interiore in te - come si fa con un amico, così che anche se non lo hai visto per anni, appena ci si vede si continua il dialogo come se non si fosse mai fermato e non si è mai fermato appunto. Senza questa dimensione la mia sequela qui nella diaspora sarebbe un continuo muoversi sull'autostrada e non un "lavoro stabile". Il lavoro interiore e poi sempre arricchito da una presenza anche "esteriore": nella parrocchia, nella famiglia, nelle amicizie, nella scuola...anche nei gesti di Cl se sono di aiuto.
Le cose che racconta don Carrón di Gesù (scena del paralitico) sono assolutamente singolari e non solo Azurmendi, anche noi tutti abbiamo fatto un esperienza di singolarità; la Chiesa nella sua interezza la sta facendo con il Papa. Noi l'abbiamo fatta con Ferdinand Ulrich... Ma se penso al mio parroco che ho portato agli incontri ufficiali di CL e che poi piano ha perso l'entusiasmo per la freddezza incontrata - è una personalità strana, eppure ha un amore per i miei figli che io non visto mai nella Chiesa, né nel Movimento né fuori. Non sto dicendo che non si faccia nulla nel Movimento - per esempio la madrina di battesimo di mia figlia si occupa di mia figlia in un modo con cui io non mi occupo di nessuno dei miei figliocci, ma pur nella grande generosità è una presenza troppo saltuaria e troppo "tradizionalista" per giungere fino al cuore di mia figlia. L'indicazione della "Chiesa in uscita" di Papa Francesco, anche per me che vivo nella diaspora, è in primo luogo un'indicazione interiore. Uscita dal nostro tradizionalismo o progressismo, a seconda dei casi. Uscita dalla dittatura dell'io...
(28.12.21) Cosa mi aspetto dal comitato per la riforma dello statuto della Fraternità di Comunione e Liberazione? Mi rendo conto che uno statuto deve porre più questioni di metodo che contenutistiche. Trattandosi di uno statuto di un'associazione cattolica mi aspetto una reale fedeltà alla Chiesa sub et cum Petro. Una confessione che il centro di tutta la vita e di tutto l'essere finito di CL è Cristo, che rivela l'amore gratuito del Padre e permette al mondo e agli uomini di muoversi dal Padre al Padre, invocando quotidianamente la venuta dello Spirito Santo per Mariam. Mi aspetto che esso permetta una reale "trasparenza" delle proprie mete e delle persone che guidano il processo di riforma e che guidano le diverse comunità nel mondo. Mi aspetto che esso non sia l'espressione di potentati regionali, ma di un reale cammino sinodale anche all'interno del Movimento e in dialogo con parrocchie e diocesi in tutto il mondo. Auspico che non solo la carica del presidente, ma tutte le cariche siano limitate ad un numero limitato di anni. E con Pietro desidero che il Movimento si decentri sia da una super accentuazione del proprio carisma, sia dal centralismo amministrativo. Ma anche dal centralismo dei testi della sdc - sarebbe necessario non leggere solamente don Giussani. Per esempio il testo del papa "Gaudete et exultate" potrebbe essere un ottimo testo per la sdc. Auspico che esso esprima un desiderio di reale ecumenicità nei confronti delle altre confessioni cristiane e delle altre religioni che si riconoscono nell'intento espresso dalla "Fratelli tutti" e che si incontrano nelle diverse realtà in cui vivono i membri della Fraternità. La nostra Fraternità dovrebbe essere un luogo in cui questa fratellanza universale viene presa sul serio. E in cui vengono presi sul serio anche le persone che vivono espressioni particolarmente forti (come per esempio quella di chi vice in una villa/favelas a Buenos Aires o in altre parti del mondo; come quella di famiglie che portano pesi molto grandi includendo ed accogliendo con amore figli disabili, propri o adottati; come quella di chi vive nella diaspora con presenza minima di cattolici...). Dal progetto educativo e pedagogico della scuola Newman di Madrid è possibile prendere degli spunti precisi che riguardano la missione e la visione della Fraternità stessa (cfr. Mikel Azurmendi, L'abbraccio. Verso una cultura dell'incontro, 101-104), adattandoli agli scopi di una fraternità che non sono identici, ma simili a quelli di una scuola.
PS Invoco la protezione di san Giuseppe per dire che è necessario che la gloria della Fraternità sia la gloria del Padre e non della Fraternità stessa. Gloria Patri...
PS II - Vorrei aggiungere un commento di Cristina Ghezzi al mio post, che ho condiviso anche in Fb (bacheca personale e dei Contadini):
Io mi auguro che il nuovo Statuto possa favorire un passo di maturità e di coscienza cristiana, per tutti, ma innanzitutto per me. Mi auguro che aiuti a guardare al Santo Padre - chiunque egli possa essere, anche in futuro - come un autentico " alter Christus", rispettandone rigorosamente la sua natura di segno, secondo l'indicazione magnifica di Francesco che suggerisce: " meno Papa e più Gesù!" Chiedo che mi aiuti a vivere il Movimento - che è la mia strada specifica per vivere e amare la Chiesa, presenza di Cristo qui ed ora - non come un rifugio dal carattere identitario e in fondo idolatra, ma come una possibilità di abbraccio concreto verso la realtà tutta, senza quella paura dell'esito e del mantenimento a ogni costo della struttura che, nell'impeto di mantenere le mura, di fatto riduce la fede a una consolazione inutile per affrontare le sfide drammatiche del vivere.
(23.12.21) All'inizio del capitolo 4, "Il fiore della speranza", nel paragrafo uno: "Il bisogno di certezza" C'è speranza?, 87 sg.), don Carrón pubblica due lettere di universitari molto coraggiosi. Una studentessa dice: "Ma non riesco a vedere il centro (Cristo) di questi raggi (umani), mi sembra una forzatura ed un autosuggestione". È quello che mi scrisse tanti anni fa la mia unica allieva con cui siamo rimasti amici e la mia reazione fu la stessa di don Carrón: gratitudine per "l'audacia e la schiettezza". Un'altra testimonianza perla di una "sospensione" esistenziale in cui si ha difficoltà a prendere sul serio, non la compagnia, ma Dio stesso. La risposta di don Carrón a queste richieste di certezza sarà l'oggetto delle prossimi riflessioni. Qui il primo passo: la certezza esistenziale non è una certezza diretta, ma mediata da un testimone (io direi da testimoni, che sono capace anche a lasciar andare i propri "figli"), di cui si deve verificare la credibilità. È una questione di fiducia, come i mi sono fidato di von Balthasar e di Ulrich e come mi fido di don Carrón, se no non farei così attenzione a ciò che dice. È anche una questione di fedeltà all'incontro, che io non metto in dubbio, metto solo in dubbio l'autoreferenzialità di questa fedeltà. Non ripeto ciò che ho già detto più volte. Anche con il Papa, con mia moglie, viviamo una fedeltà: ascoltando regolarmente il suo Angelus, e poi c'è l'esperienza come cammino al vero, con persone concrete, dentro e fuori dal Movimento. Etc.
(22.12.21) Dal mio diario notturno: (Wetterzeube, 22.12.21)...
La giornata era cominciata con un lungo dialogo a colazione con Konstanze, in cui abbiamo approfondito i temi della Ayelet Gundar-Goshen. È vero che anche Carrón cita autori non cristiani come Michel Houellebecq: „ho la sensazione…che anche quando si sprofonda nella vera notte, nella notte polare…persista il concetto o il ricordo del sole. Io ero entrato in una notte senza fine, eppure persisteva, nella parte più profonda di me persisteva qualcosa, molto meno di una speranza, diciamo un’incertezza…persist(eva) l’idea che qualcosa nel cielo riprenderà la situazione in mano“(C’è speranza, 58). Insomma il cuore religioso dell’autore francese non è del tutto spento; il suo pensiero può essere usato per approfondire il „senso religioso“, „anche quando si sia consapevoli di non meritare particolarmente l’intervento di una divinità propizia“ (ibidem). La Gundar-Goshen non si lascia „usare“ in questo modo, probabilmente in lei la ipofisi o ghiandola pituitaria, situata alla base del cranio, responsabile dei nostri ormoni, è più importante che il cuore, eppure anche in „Svegliare i leoni“ vi è un atto di reale amore gratuito, quello della eritrea Sirkit che non tradisce alla polizia Etan, il medico israeliano, anche se avrebbe potuto farlo. Ma come ho detto a Renato in una Whatsapp, per me le è importante perché chiama le cose per nome ed io sarei contento se nella nostra Fraternità si chiamasse cuore davvero le cose che vengono dal cuore e non le si confondesse con quelle che vengono dal cazzo e chi si chiami desiderio di denaro ciò che è tale e non lo si chiami „sostenere il carisma“. Etc.
L’articolo di Massimo Faggioli, che mi ha fatto avere Massimo Borghesi, è interessante e lo ho condiviso in Facebook, ma in vero non mi convince fino in fondo. Io non leggo la realtà con le categorie di Faggioli. Come ha detto Augusto Del Noce ne “Il suicido della rivoluzione” la vera alternativa è quella tra verità e falsità e non tra conservatore e progressista. Probabilmente è vero che vi è stata in Cl una rottura negli anni 90, tra coloro che si sono innamorati del neoliberalismo alla Berlusconi e chi invece è rimasto fedele alla linea popolare, ma io in vero non credo che la dimensione „conservatrice“ in Cl abbia a che fare solo con questa rottura, né credo che essere conservatori (questo termine fu difeso anche da Henri de Lubac in „30 giorni“) significa essere tout court neo liberali, né credo che i progressisti siano a priori meglio. Etc.
Da Marie de la Trinité imparo in primo luogo l’importanza della fedeltà (di san Giuseppe), che è fedeltà in primo luogo alla missione che ci viene donata e che non può essere „ingoiata“ dal carisma. Padre nostro…
(21.12.21) Il modo semplice in cui Azurmendi propone la priorità dell'ontologia sulla gnoseologia, me lo rende ancora una volta molto simpatico, come conquistò la mia simpatia immediatamente nel modo con cui aveva preparato le uova per Fernando de Haro: "che la conosciamo o meno la realtà c'è" (95). Questa asserzione è ciò che ha cercato di far comprendere Goethe agli idealisti, è ciò che ha motivato la scelta ultima di Balthasar per Goethe invece che per Kant, è la motivazione ultima della pedagogia di don Giussani, che Azurmendi studia nelle scuole "cielline" della Spagna. Gli esempi che fa Azurmendi, in modo particolare quello del calcio sono di immediata comprensione: "Il calcio si può vedere e spiegare e commentare..., ma il calcio è, rigorosamente, il gioco del calcio" (94). Geniale è infine che egli non fa una contrapposizione tra realtà e conoscenza, ma tra senso della realtà e la conoscenza. E il senso è il Logos della realtà, non è "realtà allo stato puro", come lo può essere il fatto che dopo un'operazione ad una certa parte del cervello, la persona non ha più gli stessi connotati psicologici di prima dell'operazione. Azurmendi ci introduce anche alla filosofia dell'essere come dono, con la semplice frase che ha letto in un asilo: "Tu sei un regalo", ma anche alla dimensione dell'essere-con: anche l'altro bambino è un regalo. E noi uomini siamo liberi di accettare o meno il regalo ed abbiamo a che fare con altri uomini che hanno accettato o meno il regalo che sono. Poi ci sono alcuni affondi geniali, come la critica a Rousseau con il suo "assioma impostore": "odio la servitù, fonte di tutti i mali del genere umano". L'impostura sta nel fatto di non percepire la postura semplice ed ontologica che il dono dell'essere e la nostra "dipendenza" dagli altri sono una realtà così semplice e completa che non vi è alcuna servitù che lo può negare. Allo stesso tempo, però, questo dono dell'essere semplice e completo (Tommaso, Ulrich) non è sussistente e non può essere reso un atto trionfalistico che ci differenzia dagli altri, quasi che la civiltà occidentale, non sia un "gran vicinato" tra altri "vicinati" ma qualcosa da difendere contro gli altri. Ciò che ha reso grande la civiltà cristiana è del tutto non sussistente, è amore gratuito - questa è la parte geniale della filosofia di Vattimo e non può essere difeso, ma solo vissuto, come grazia e nella modalità del fallimento (come intuisce genialmente Gianni Valente nel suo ultimo articolo sul papa fallito).
Ovviamente questa semplicità ontologica deve incarnarsi e non si incarna solo nella scuole "di" Cl, ma in tutto. E la letteratura, l'arte in genere sono modi in cui si comprende quale siano le modalità concreta dell'incontro con l'altro, anche se non sono l'incontro stesso. Nel suo "svegliare i leoni" Ayelet Gundar-Goshen racconta la storia di una donna eritrea che con un medico israeliano fanno per due mesi un ospedale per africani, un ospedale clandestino, in una fabbrica. Sirkit, l'Eritrea e Etan, il medico, vivono un rapporto complesso, ma quest'ultimo pian piano comincia a comprendere l'individualità unica della donna e ciò significa per un maschio anche attrazione fisica, ma vale anche per la donna - il medico non è solo un medico, ma un uomo (cosa che tra l'altro Rousseau aveva ben compreso). Ed anche se l'atto sessuale non verrà mai compiuto, se non nella fantasia, Ayelet in modo più autentico di tanti scritti cristiani mette in evidenza che un uomo/donna non pensano solo a livello ontologico, ma fanno la pipì, scopano e/o si immaginano di farlo. Sudano, lavorano, hanno dei colleghi... Bisogna stare attenti con l'ammirazione per la tribù di cristiani, perché anche questi, anche se non lo dicono, hanno voglia di scopare (non so se è la parola giusta per tradurre "ficken", parola volgare che intende la penetrazione sessuale) o di masturbarsi e devono fare la cacca. E quelli che sublimano tutto ciò in parole solo pie, sono poi quelli che non si masturbano penetrando/facendosi penetrare/ accarezzando/accarezzandosi l'organo sessuale maschile o femminile, ma organizzando un simposio.
E in questa tribù di ammirati ci sono tanti che lasciano completamente o quasi del tutto da soli non solo le persone che non hanno accettano il regalo, ma anche chi lo accetta con la sua personalità. Una persona con cui ho fatto la pace dopo uno scontro mi aveva detto che non si sentiva libero con me, perché nell'incontro con me aveva sempre la sensazione di un rimprovero. Questo è possibile anche se non è vero del tutto, perché io lo ammiro tanto, ma ciò che mi aveva dapprima ferito è che la sua insofferenza nasceva per degli incontri annuali scritti/reali/ digitali che si potevano contare con due mani (compresi i Whatsapp) - insomma il nostro quasi inesistente rapporto diretto era per lui un peso (altra invece è la situazione di persone che ti assediano con la loro presenza online o offline o di persone che ripetono solamente se stesse). Insomma vista da vicino nei decenni la tribù cristiana deve imparare anche a confessare le proprie colpe e non solo ad ammirarsi. Tutti abbiamo una nostra "credenza", l'hanno anche agnostici, atei e nichilisti (cfr 101) e non sempre essa corrisponde a quella semplicità in cui l'altro non è un peso, ma davvero un dono, anche se nella sua singolarità propria. Ammirazione e atteggiamento di confessione (del peccato, ma anche semplicemente della propria natura umana) sono due poli che devono essere vissuti in un sano equilibrio sapendo che tra il dire che do la vita per la vita di un altro e il farlo c'è la differenza che c'è tra il giorno e la notte e che le "nostre credenze" non corrispondono sempre alla semplice fede che "tutto è grazia" (Bernanos).
Ancora una nota. Molto interessante è la critica alla scienza di Azurmendi: "noi siamo la prima civiltà ad aver scelto di credere che il senso del mondo sia secondario rispetto alla conoscenza delle cose del mondo. È quello che chiamiamo fede nella scienza. E siamo arrivati a credere che la scienza garantirà la nostra risposta alla domanda sul senso dell'esistenza umana. Questa è una nuova religione, una credenza materialista che rifiuta come non razionale tutto ciò che non è empiricamente dimostrabile" (95). Vero è, come racconta la Gundar-Goshen, che la stessa malattia ad una certa parte del cervello, provoca concretamente, in due uomini diversi, diverse reazioni, quasi che gli uomini nella loro singolarità si mettessero in moto solo per dimostrare che la scienza non potrà mai capire neppure l'essenza di una mosca, figuriamoci quella dell'uomo. Etc.
(16.12.21) Una cosa deve essere detta chiaramente: io non ho nessun obiezione sul metodo dell'abbraccio e dell'ammirazione. Anch'io ammiro persone. Mia moglie Konstanze, per la sua maternità universale, mio figlio Ferdinand per il suo coraggio, mia figlia Johanna per l'amore che ha per me e per il suo romanzo, la mia mamma per come sopporta la sua cecità da un occhio e tutto il resto, Bruno per il suo amore per la musica e le foto, Maria Grazia per la cura del suo papà, Nicola per la sua esigenza di moralità, Paola per come accompagna suo marito, Rossella ed Angelo Lucio per il loro amore per la scuola aperta nel quartiere, Adrian per la sua capacità di pensare contro corrente, Renato per il suo cuore bambino, Stephan per la sua decisione per i poveri, Martin per la disponibilità alle esigenze del Movimento, Cristina per l'attenzione ai testi del Papa, Lucio per la sua bontà, Andreas per l'amore che ha per i miei figli, Michela e Michele per il modo di gestire la loro piccola tribù di bambini, Luciana per il suo desiderio di autenticità, Lilly per come gestisce il suo diabete con dodici anni, etc. È ovvio quindi che io ammiro anche Azurmendi quando cita le persone che lo hanno stupito nel mondo della scuola (Angel, Pia, Maria, Carlos, C. Garcia, José Luis, César...cfr 77-94) o don Carrón nel modo con cui si fa mandare lettere dai suoi, per preparare gli Esercizi. Ma noi tutti siamo persone, tutti siamo oggetto di ammirazione, ma anche deboli. Non esiste una realtà che sveglia solo la nostra ammirazione. E l'insistenza sui suoi di don Julián o l'inno delle scuole della Fraternità di Mikel possono essere anche interpretate in modo autoreferenziale. Se il cammino al vero è l'esperienza allora questa si gioca in una scuola di Cl, ma anche al di fuori di essa. E la grande lotta contro l'ideologia, che vede i nemici come scarafaggi, la si gioca dove sei, fosse anche nella diaspora più disperata. E il lavoro di concentrazione interiore di cui parla Etty Hillesum (20.3.42) non può essere sostituito dal alcun gesto ufficiale di una qualsiasi associazione (tanto più che in questi gesti viene ripetuto per la centesima volta e in modo noioso ciò che è già entrato nel mio cuore). Perché senza questo lavoro di concentrazione interiore, in cui l'altro cresce in me anche quando non lo vedo tutto il resto Nicola forse un carisma, ma non l'amore gratuito. E non ho bisogno di Franco Nembrini (esempio che fa Azurmendi) per ricordarmi il valore della misericordia nella scuola. Il pastore luterano Dannenmann che ha fondato in Germania il CJD nel 1947 con il motto "nessuno deve andare perso" lo sapeva anche ed addirittura prima del famoso 1954 di giussaniana memoria. Ma poi a parte Don Giussani o Arnold Dannenmann o Nembrini è l'esperienza stessa, il cui cuore ultimo è Gesù (Balthasar, Adrienne), ci ricorda che la misericordia è il cuore ontologico del dono dell'essere (Ulrich).
(15.12.21) Il confronto con Carrón e Azurmendi è per me molto importante ed imparo molto da loro. Il capitolo „L’esperienza e i criteri del cuore“ (Julian Carrón, C’è speranza? 78-85) e „L’arte di educare“ (Mikel Azurmendi, L’abbraccio, 77 sg) contengono contenuti per la mia (!) maturazione umana come uomo e come insegnante.
Il capitolo di Carrón è una presentazione sintetica del „senso religioso“ coniugato al tema dell’esperienza: „L’unico criterio adeguato per riconoscere le presenze che portano un significato adeguato alla vita è quello con cui la natura ci proietta nel paragone universale con tutto quello che incontriamo: il cuore, cioè quel insieme di evidenze ed esigenze - di verità, bellezza, giustizia e felicità - che emergono in noi quando siamo impegnati in ciò che proviamo“ (79) e con ragione Carrón distingue tra „esperienza“ ed un „mero provare“. Quello di Azurmendi riassume il suo incontro con tanti insegnanti di CL: Educare è „arrivare al cuore degli altri e lasciare che l’altro arrivi al tuo cuore“ (78). Egli differenzia tra „educare“ e „addomesticare“ - nel primo è sempre anche intesa una maturazione dell’insegnante stesso, mentre nel secondo è uno sguardo dall’altro che non si coinvolge. „Lungo questo cammino condiviso si trasforma poco a poco anche il maestro, maturando ulteriormente e rendendo più bella la propria vita“ (81). Azurmendi rende attenti ai due ostacoli più grandi per questo modello educativo: l’individualismo e il materialismo (83). Il primo è solipsismo versus dipendenza comunitaria e il secondo distrugge lo stupore nei confronti del dono gratuito dell’essere. La modalità dell’ammirazione di Azurmendi (cfr Carrón, 84) è coniugata per me con un giudizio troppo severo su di sé, perché l’amore che aveva per la materia che insegnava, fa parte anche del modello educativo, se no si rischia un’intensità senza contenuti, un’intimità solo soggettiva. In entrambi gli autori, Carrón e Azurmendi, vi è un pericolo di pensare che ciò che descrivono come esperienza religiosa o educativa sia possibile solo in Cl e nelle scuole da esse gestite e questo non è vero. Lo so che entrambi non pensano in questo modo autoreferenziale, ma gli esempi che fanno spesso sono di questo genere. Ed io vedo nella mia Fraternità, anche in persone decisamente in gamba, come fanno fatica a distinguere tra il criterio del cuore e l’appartenenza al carisma, da cui invece ci si deve „decentrare“. Così anche l’ammirazione e l’abbraccio diventano una „curvatio in se ipso“ demotivante.
(13.12.21) Ecco alcune domande che annota Azurmendi, dopo aver visitato il Meeting di Madrid che porta il nome di EncuentroMadrid: "Questa gente è pazza? Non è da fuori di testa abbracciarsi la realtà più brutta e mutilata? Non è forse felice chi nella vita ha denaro e successo? Perché mai circondarsi di bambini invalidi e vivere tra esseri emarginati in Iraq o in Siria? Come è possibile che quei detenuti brasiliani non evadano (si riferisce ad una prigione "senza guardie né armi né violenza" (cfr 66) rg)? ... Come è possibile che i volti di questa gente riflettano tanta gioia?" (70-71). La risposta è semplice: sono innamorati di Cristo ed essere innamorati di Cristo significa non fare proselitismo ("difendere la fede ... e impadronirsi di un regno"), non avere nemici o per lo meno non considerarli tali, amare la vita come un dono, essere pronti ad educare, etc. Cristo è Qualcuno e non un programma - un programma può essere sensato, Cristo è una persona gratuitamente bella, di una bellezza che non può avere anche l'esperienza erotica più bella. Questo Cristo non può essere prodotto, non è frutto di una genialità carismatica, ma è semplicemente Uno che ti si dona e tu non sai perché. Sono io innamorato di Cristo? Non lo so, spero che lui lo sia in me!
(9.12.21) Il cammino al vero è un'esperienza - questo ho imparato da don Giussani, da Ulrich, da Carrón ed ora da Azurmendi. E su questo io non ho alcun obiezione. Sono anche del tutto d'accordo - Azurmendi lo dice in riferimento ad Antonio López (ibidem 63-65) - che è il nostro stesso agire che ci perfeziona e fa si che la nostra vita sia umana. E proprio su questo punto abbiamo una grande mancanza: "la nostra società non ci insegna in nessuna aula né istituzione a creare noi stessi attraverso le nostre opere, professioni ed occupazioni. A fare con creatività tutto ciò che facciamo. A farlo come se da esso dipendesse ciò che possiamo essere" (65). Ogni parola di questa citazione è decisiva: non si tratta di lavorare secondo ciò che è prescritto - quest'ultimo serve da orientamento - ma secondo ciò che è scritto nella costituzione prima ed ultima dell'essere come dono e ciò con creatività, sapendo che gli altri non sono nemici da cui guardarsi, ma una chance (di questo parlerò sta notte nel mio diario notturno).
Con Antonio López mi accumuna anche che tutto ciò che sono mi "arriva da quell'altra, da un grande amore", che è simbolo (nel senso concretissimo del termine) di quel primo ed ultimo (alfa ed omega) amore che é Gesù. Dice López di sua moglie: "Mari ha l'anima bella e le viene tutto bello". Si, questo vale anche per Konstanze. Un anima bella e nobile, nel senso più profondo del termine.
(7.12.21) Sebbene l'intenzione di Azurmendi sia la stessa che la mia, c'è un obiezione di fondo che ho scritto ad un amico tedesco, e che riporto in tedesco - se uno ha interesse può tradurla con l'ottimo traduttore: deepl.com:
... Seit langen bin ich /sind Konstanze und ich „Ohr und Stille“ für eine Mamma, deren Kind psychisch sehr krank ist; für eine Familie, die total überfordert ist von einem der 5 Kinder, der eine sehr gravierende Behinderung hat, die auch die anderen Geschwistern sehr in Anspruch nimmt. Ich meditiere das sehr Interessante Buch von Azurmendi „Die Umarmung. Für eine Kultur der Begegnung“ - ich finde sehr schön, was er sagt, aber einige Beispiele, die er macht, sind irreführend. Eine Sache ist ein Zeugnis in einem Meeting zu halten und eine andere ist eine überforderte Familie zu begleiten, womöglich auch nur im Gebet. Einige von Azurmendi’s Beispiele sind immer in der Struktur: das Gute zu tun ist immer „einfach“, aber es stimmt nicht. Ab und zu ist es schwierig und es lässt sich daraus kein Zeugnis machen. Man darf nur Beten, dass diese Überförderung in die Überförderung des Gekreuzigten integriert wird...
In questo senso trovo anche giusto il desiderio di Javier di non applaudire, ma di porre domande a chi fa determinate esperienze di accoglienza limite (cfr 61-63).
(6.12.21; san Nicola) Azurmendi si occupa di un altro caso estremo molto impressionante: la famiglia di Carlos, medico, otto figli, ha perso un bambino con cinque anni per una malattia cerebrale. La testimonianza di Carlos può essere riassunta in due punti: anche una malattia, anche una vita breve può "essere meglio di quello che potevamo pensare". La lezione che ne ricava Mikel è: "virtù senza sforzarsi, fare il bene come se fosse un gioco". Secondo punto: "Non si può vivere contro la croce. O l'abbracci o ti schiaccia" (Carlos). Questa famiglia decide di accogliere anche altri bambini ammalati. Non metto ovviamente in dubbio l'importanza di questa testimonianza. Mia moglie ed io seguiamo però un'altra famiglia con un caso estremo che porta tra lo stesso nome del figlio morto di Carlos. Questa famiglia di sette persone, cinque figli e due genitori, sta portando da dodici anni un peso, con la disabilità forte di uno dei suoi figli, che una famiglia anche molto coraggiosa potrebbe forse portare per qualche settimana; non sempre la virtù accade senza sforzi. Anzi a volte accade nella modalità che Adrienne von Speyr chiamava: "Überförderung" (pretesa eccessiva). Ecco mia moglie ed io ci siamo decisi di seguire questa famiglia virtuosa, anche se non se ne può fare una narrazione devota come quella che fa Azurmendi della famiglia di Carlos. So che non era la sua intenzione farlo, ma credo sia importate precisare questa cosa della Überförderung".
(5.12.21) Due pensieri veloci. Sono d'accordo con Azurmendi: è necessario tradurre il linguaggio del carisma "nel nostro linguaggio" (cfr 55), cioè insomma nel linguaggio di chi non fa parte del carisma - questo è già un primo lavoro di "decentramento".
Il secondo è che accogliere, secondo me, è quasi sempre accogliere in una situazione limite (cfr 56 fg). La prima accoglienza tanti anni fa, eravamo appena arrivati a Droyssig, era di una ragazza troppo giovane ed anche malata (forse di reni, se mi ricordo bene) per stare lontana dalla famiglia durante il periodo scolastico. E qualche hanno fa, quando per tre mesi una ragazza, più matura, ma che aveva vissuto una situazione ultra drammatica, visse da noi, siamo stati confrontati con tutto: dal mutismo di chi perché ferito non riesce a pronunciare neppure una parola fino al disordine e al non aspettarsi che ci sia qualcuno che attende te per cominciare a mangiare. Etc.
(4.12.21) Il secondo incontro di cui parla Azurmendi è con "Javier", che credo di aver incontrato una volta a Rimini, ma senza che sia scattata una qualche scintilla. Capisco, però, molto bene questo desiderio che qualcuno si occupi di te, ti cerchi, ti guardi, ti ascolti. Qualcuno con cui tu ti trovi bene. E capisco anche la critica all'illuminismo e alla sua riduzione della comprensione della realtà e così della realtà stessa. Mi piace anche molto che negli auguri di Natale che Javier mandava a Mikel ci fossero sempre "l'asino e il bue" - dell'asino ho già parlato ieri in dialogo con Alver Metalli (vedi post sulle "Epifanie"). L'incontro con Javier significa per Maik tirare fuori Dio dal parcheggio in cui era stato confinato e significa anche fare un passo decisivo nella comprensione che la vita è dono, che il Mistero si dona. Per questo il mio filosofo di riferimento è Ferdinand Ulrich. E che il mistero si doni in Gesù e che Gesù si incontri nella Chiesa. Quel Gesù di cui parla Papa Francesco ogni domenica all'Angelus e di cui sta parlando anche in questi giorni a Cipro. Sia a Roma che a Cipro ha chiesto a tutto il popolo presente di ripetere per tre volte la semplice preghiera "Viene Signore Gesù": Fratelli, sorelle, il Signore Gesù passa, passa anche per le nostre strade di Cipro, ascolta il grido delle nostre cecità, vuole toccare i nostri occhi, vuole toccare il nostro cuore, farci venire alla luce, rinascere, rialzarci dentro: questo vuole fare Gesù. E rivolge anche a noi la domanda che fece ai quei ciechi: «Credete che io possa fare questo?» (Mt 9,28). Crediamo che Gesù possa fare questo? Rinnoviamo la nostra fiducia in Lui! Diciamogli: Gesù, crediamo che la tua luce è più grande di ogni nostra tenebra; crediamo che Tu puoi guarirci, che Tu puoi rinnovare la nostra fraternità, che puoi moltiplicare la nostra gioia; e con tutta la Chiesa Ti invochiamo, tutti insieme: Vieni, Signore Gesù! [tutti ripetono: “Vieni, Signore Gesù!”] Vieni, Signore Gesù! [tutti: “Vieni, Signore Gesù!”] Vieni, Signore Gesù! [tutti: “Vieni, Signore Gesù!”]".
Capisco anche che la questione di Dio ci apre ai fratelli, per un motivo ontologico e non solo etico: "Gli altri mi reclamavano" (Azurmendi, 32). Per questo motivo nel mio diario notturno cerco di parlare di quegli altri che incontro, che siano una ragazza di tredici anni o mia moglie o i miei figli o qualcuno che mi confida qualcosa. Per questo sono così affascinato delle "Epifanie" di Metalli, che non parla di sé, ma di altri. L'incontro con Mikel sta diventando molto interessante, anche se manca per ora l'incontro con una donna, come lo è per me Etty, con cui dialogo nel mio già citato diario notturno e che condivido la notte nella mia bacheca in Facebook.
Lettera aperta a Mikel Azurmendi
Caro Mikel,
visto che ora sei morto, insomma visto che ora sei nel grembo del Padre, posso scriverti dandoti del Tu, non devo neppure preoccuparmi di giungere al tuo indirizzo; mi spiace ovviamente per Irene, ma per quanto riguarda me posso confidarti direttamente che il Tuo libro "L'abbraccio", che sto leggendo in italiano nella traduzione di Chiara Serafini e Ilaria Folli, mi attira; che esso in insomma provoca in me quello stupore che tu hai provato passeggiando nella "tribù di gente rinnovata", di cui anch'io faccio parte, cercandone di portarne in prima persona la responsabilità, come ci ha chiesto il tuo amico don Julián, dalla/nella diaspora tedesca in cui vivo da venti anni con mia moglie Konstanze. Non sono una persona molto felice come Macario e se paragono il rapporto tra Miriam e Macario con quello mio con Konstanze vi sono certo punti di connessione: anche noi abbiamo ospitato per tre volte dei "figli" non nostri nella nostra casa, ma siamo in vero anche persone che amano passeggiare da sole e che per l'intensità del lavoro nella scuola, non hanno la forza fisica di fare quello che Macario fa la domenica, nella tua descrizione.
La differenza che descrivi tra la festa comunista a Parigi e l'EncuentroMadrid l'ho imparata da una lettera di Hans Urs von Balthasar, il quale, anche se in modo differente dall'illuminismo che tu giustamente critichi, nella polarità tra individuo e comunione, difende l'idea che la chiamata è sempre piuttosto individuale e non collettiva; in una delle sue lettere mi scrisse, a me che da giovane ero innamorato di Ernst Bloch: ma per chi spera Bloch? In un avvenimento politico che darà gioia ad alcuni? E che ne sarà dei miliardi di persone già morte? La gioia e la similitudine tra "pensare" (denken) e "ringraziare" (danken) come imparai da Ferdinand Ulrich ha a che fare con la semplicità e completezza del dono dell'essere come amore. Vedo che tra il lavoro del "concetto" e quello dell' "immaginazione", tu dai preferenza al secondo e l'immagine che usi per il ringraziamento è molto bella: "Dire "grazie" e far fiorire sulle labbra l'arcobaleno della realtà" (53), ma a me serve anche quel linguaggio cristallino ed ontologico di Ulrich; comunque non vedo in ciò un contrasto tra noi. In me che vivo nella diaspora, cioè in una regione tra le più secolarizzate del mondo, che dopo dodici anni di nazismo, quattro di influenza russa, 40 anni di DDR, ora ha le caratteristiche che tu descrivi come conseguenze dell'illuminismo: una società che proclama un "diritto dopo l'altro", che tutela "costi quel che costi, l'autonomia per proteggermi da tutti gli altri", circondandomi di "recinti di protezione" e in cui "ciascuno ha uno striscione; uno diventa uno striscione. E si indigna ed io mi indigno. Uno fa l'indignato, uno è contrario". Come capisco bene quella critica alla conseguenza dell''illuminismo che chiami "individualismo possessivo ed emotivismo etico". Capisco molto bene che uno ha un bisogno matto di ringraziarsi quando trova persone con cui si sta bene, tanto più se si vive come "contadini" in un cammino solitario nella natura, tu allora tra le "querce lusitane" e noi nei boschi tedeschi.
Capisco il bisogno di liberarsi da una "cultura emotivista" che ti rende schiava di qualcuno, della pretesa che altri hanno su di te. Spero che il tuo libro contribuisca a cambiare il popolo, la tribù che hai studiato e di cui ti sei innamorato. Aiutaci dal cielo a non usare il tuo libro per una conferma autoreferenziale di noi stessi, proprio ora che il Santo Padre ci chiede dei cambiamenti radicali nel modo di gestire la nostra Fraternità. Ti chiedo di darmi il tuo aiuto, da filosofo a filosofo, perché io non sia uno di quelli che sono solo contrari ed indignati, ti chiedo di darmi un cenno se nelle mie riflessioni legittimo me stesso, invece che di fare quel cammino al vero, che è la nostra esperienza. Ti chiedo infine che la tribù a cui appartengo abbia davvero il coraggio di essere quello che è: una compagnia guidata al destino, che si decentra da sé e dall'interpretazione autoreferenziale del carisma, per essere "sperimentazione di Gesù", umsonst (gratis et frustra).
Roberto, un piccolo amico di Gesù
(3.12.21) È arrivato Mikel Azurmendi, L'abbraccio. Verso una cultura dell'incontro, Milano 2020.
Avverto subito che io non lo leggo per quel "loro" che ha affascinato lui, ma per quell' "io che racconta" e in questo modo inverto il metodo di cui egli parla nelle "Avvertenze": "c'e un io che racconta ciò che di sorprendente sta vedendo in gente così mirifica ma il vero argomento narrativo sono loro. Loro, i membri della fraternità cristiana di Comunione e Liberazione" (10). Di quei "loro" di cui io faccio parte e che don Julián Carrón ha inviato a prendersi in prima persona la responsabilità del carisma, non metto in dubbio ciò che racconta Azurmendi, come non metto in dubbio ciò che racconta don Carrón, quando cita lettere che gli sono state inviate, ma ho sentito altre cose, da persone ferite nella nostra fraternità e che non la hanno percepita come espressione o ricerca di "una vita esistenzialmente unica...unificata dal dono di sé gratuito all'altro" (11). Eppure quell'io che racconta mi sembra vero ed ha acceso la mia curiosità, tanto più che ora è tornato al Padre, e di fatto sono del tutto d'accordo che in una società nichilistica come la nostra, sradicata come la nostra, egoista ed individualista come la nostra è necessaria una comunità, non primariamente di carattere "giuridico-politico", non "ideologica", ma in cui è possibile "sperimentare Gesù", in cui "l'altro è sempre un bene" e non qualcosa che sentiamo come opprimente la nostra libertà. Per chi come me ha accettato la sfida di vivere anche online si incontrano a volte nei social media persone che sono troppo invadenti, alcune che sono del tutte matte, per cui è necessario servirsi delle possibilità che la vita dei social online offrono, come quella di "bloccare" un rapporto; non è possibile dialogare con tutti e per cui si devono fare delle scelte, ma ciò non significa che io pensi che la persona con cui io non sono capace di dialogare non sia invece un bene per un altro. Io non sono tutto il cosmo, solo un piccolo frammento collegato con esso.
E per quanto riguarda il suo primo incontro, la voce di Fernando, che Mikel ha sentito come vera non è mia intenzione fare un giudizio. Ho letto qualcosa di Fernando, come in Italia ho letto alcune cose di giornalisti come Alessandro, Lucio, Renato.. è spesso mi sembrano vere, anche se sono molto differenti tra di loro. Ed in particolare per Renato lo sento vero quando parla direttamente a me, non sempre nel suo lavoro pubblico, che a volte serve solo un certo pubblico.
Accetto anche la sfida di Azurmendi sul bisogno di allontanarsi "dall'ideologia e dalla nevrotica ricerca di un campanilistico "noi", che addita l'altro come nemico" (17). Sono contento che egli abbia trovato nella nostra fraternità una realizzazione di tutto ciò, ma ciò che egli dice sulla "sperimentazione di Gesù" come "una modalità esistenziale di far spazio, nella tua vita quotidiana, a un Dio amorevole, un Dio che assume le fattezze di un qualsiasi altro uomo, di un figlio, della moglie, di un amico, di un alunno, di un collega di lavoro" (12-13), delle donne che puliscono la scuola, ciò l'ho potuto verificare quotidianamente solo in poche persone: mia moglie, Ferdinand Ulrich, ma è certo vero che ciò accade anche in molti altri e spero anche nella mia Fraternità, che però in rete ho anche sperimentato "come attizzata di sentimenti di profondo affronto, inganno e persino odio" (10), cioè quelle cose che Azurmendi vede nel nostro mondo sradicato e individualista. Ma in dire ciò non c'è in me nessun odio, nessuna arroganza, perché ho imparato da Adrienne von Speyr a non distinguere mai tra le mie e le altrui colpe, giacché io penso che solo per grazia noi siamo ciò che siamo nel suo momento positivo.
Fernando nelle trasmissioni che hanno colpito molto Mikel descriveva alla fine di esse alcune foto - la prima che sceglie Azurmendi è quella di Rita, una nigeriana che per opera di "una mafia coinvolta nel traffico di essere umana" viene portata in Spagna, con percorso mediterraneo, con la promessa di aver un posto come parrucchiera ed invece viene costretta a prostituirsi. Ovviamente hanno ragione Fernando e Mikel a sottolineare che si deve essere "porci" per comprare del sesso da una persona del genere, ma che noi non siamo quei porci è solo per "grazia": dont' judge, tanto più in cose di sesso, perché il "desiderio della sola carne" non è così semplice evitarlo. Comunque fa bene Azurmendi già alla pagina 21 a mettere il dito in quella piaga su cui insiste anche Papa Francesco: "tra l'anno 2000 e 2014 nel mar Mediterraneo annegarono ventiduesima emigranti africani" ed uno di questi avrebbe potuto essere anche quella Rita salvata dalla prostituzione dalle mani buone delle monache Adoratrici (20).
(1.12.21) Il capitoletto "Irriducibilità del fatto cristiano" (C'è speranza, 69 sg) afferma qualcosa che tutti i ciellini sanno: "persone o momenti di persone" sono quei "fatti" che dobbiamo seguire con semplicità. Io faccio fatica con gli esempi di don Julián, non perché non siano impressionanti, ma perché sono sempre unidimensionali. Prendiamo l'esempio di Azurmendi. Mi chiedo: parlano di lui perché è stato un antropologo e sociologo affermato? Il fatto è davvero il giornalista che ha sfidato la sua impostazione, etc.? Mi chiedo: il giornalista è stato attirato da Azurmendi o è solo il contrario? Certo don Julián fa anche tanti esempi con gente semplice e con quelli o meno problemi, anzi faccio anch'io così. Mi scrive oggi un'amica per Whatsapp: "Ciao oggi funerale della moglie di un caro amico. Lei 58 anni lui 61. È morta di un brutto tumore preso lavorando a Fincantieri a Marghera dove tanti si ammalano...È sorprendente vedere il miracolo della morte cristiana che ha dentro la speranza...Lui (il marito) aveva un viso trasfigurato esattamente quello che ha uno che non può più vedere il suo grande amore, ma sa che lei c'è ancora...Un viso pieno di un amore purificato"; alla mia domanda se avesse avuto figli ha risposto: "Due ragazze. Una infermiera che ha potuto fare la terapia del dolore a casa e quindi è morta nel suo salotto". Ecco tutto questo mi stupisce e quindi seguo, ma io seguo questa amica, anche per la vita difficile che fa, ma non mi aspetto che segua me, io seguo lei. E lei segue me: è il mistero della reciprocità. Etc.
PS Dal mio diario notturno: „Questi „fatti“, lo abbiamo detto spesso, sono „persone o momenti di persone“ che portano in sé una novità“ (Don Carrón, C’è speranza, 71) - sono i fatti che dobbiamo seguire docilmente.
Nei racconto tre accaduti oggi. Una mia amica che ha una storia straordinaria di sequela di Cristo, madre di cinque figli, insieme a suo marito, mi ha scritto che una sua amica è morta, dopo una malattia dolorosa, ma ho potuto morire nella sua casa, accompagnata dalla sua familia. Nel volto del marito si intravedeva la vittoria sulla morte e la speranza che sua moglie non era sparita. Io seguo docilmente questa amica e la sua famiglia, che mi rinviano a Cristo.
Una ragazza della settima classe mi spiega i tre simboli che porta al collo: una croce, regalo della mamma, una lametta da barba ed una catenella in forma di filo spinato. Domani mi spiegherà di nuovo i simboli e poi ne voglio parlare (non riesco a ricostruire precisamente gli ultimi due, anche se hanno a che fare con ferite). Lei è una ragazza autentica, come la sua sorella e suo fratello - io seguo loro „come momenti di persone“. Non sono forse persone credenti, almeno non lo sono in senso cattolico, ma vi in essi „una novità, una verità umana profondamente desiderabile“ (ibidem 71).
Poi seguo Papa Francesco che oggi su san Giuseppe ha detto due cose: Giuseppe è un uomo discreto che sa che nel male o in una difficoltà (le due seste di oggi) è in gioco la „provvidenza“.
(29.11.21) A me sembra che la lettera di Davide Prosperi, presidente ad interim della nostra fraternità, rispecchi, nel suo stile "tecnico", un grande desiderio del Vaticano che la nostra Fraternità sia davvero "chiesa in uscita",, "chiesa povera" che non adora le ceneri del carisma di don Giussani. Io mi auguro che si prenda sul serio questo desiderio del Vaticano, o meglio questo desiderio di Pietro. E spero che cominci un reale percorso "sinodale" (da non ridurre ad una questione di democrazia elettiva) per il Movimento in cui nel mondo si scoprirono e si sostengano i veri amanti del carisma e del suo "decentramento" - persone che vivono in situazioni estreme perché amano Gesù. Può essere la situazione di una famiglia, che anche nell'incomprensione delle nostre sorelle e i nostri fratelli, porta pesi che solo Gesù può chiederci, o una mamma che deve portare il peso di un figlio malato, o un Memores che non vive in un appartamento di lusso, ma in una baraccopoli. Etc.
Questo percorso sinodale ha che fare con una dimensione personale ed una istituzionale - lo Spirito Santo che invochiamo nella giaculatoria di don Giussani è responsabile per entrambe le cose. Per un rinnovamento personale (il risorgere del nostro cuore in qualsivoglia situazione in cui ci troviamo) e il rinnovamento istituzionale che non riguarda solo il presidente e la diaconia, ma il tutto sistema di capi e capetti e visitor, che hanno il compito di dar voce anche agli amanti sconosciuti. Lo Spirito Santo da la conferma istituzionale che l'amore del Padre e del Figlio è autentico (Balthasar).
Nel capitoletto "Chi afferma che l'imprevisto è accaduto" in "C'è speranza?", 64-69 Don Julián dice due cose che mi sembrano importanti, ma una non è chiara. Vero è che Gesù Cristo è un fatto verificabile oggi oppure non è niente. Come dice il volantone di Natale non è solo una questione di paradiso futuro, ma di paradiso qui, almeno come momento, pezzo. Non ho nulla di contrario che don Julián lo verifichi con i suoi studenti universitari. Ho un problema se il collegamento via zoom con la sdc sia l'unico modo di verificare una "diversità umana"; perché la vera diversità umana è spesso quella di una gratuità quasi nascosta al mondo. A me interessa molto l'esperienza di Mikel Azurmendi e per questo motivo ho prenotato il libro "L'abbraccio"- sospendo il giudizio su questo, ma vorrei dire che il motivo per cui ho deciso di comprare il libro non è la testimonianza riguardante Fernando de Haro, ma il modo con cui Azurmendi gli ha preparato le uova. A me in questo dettaglio è apparsa tutta l'autenticità di quest'uomo. Il modo con cui don Julián a volte spiega la diversità umana, mi sembra del tutto ideologico (autoreferenziale) e i miei fratelli ciellini capiscono presumibilmente solamente questo: siamo bravissimi, perché il Vaticano ci vuole cambiare?
PS (notte, dal mio diario notturno) Ho ascoltato la comunicazione live video del nuovo presidente (ad interim) della Fraternità, Davide Prosperi - alcune cose mi sono piaciute molto, in primo luogo la richiesta di esercitare la propria responsabilità al cospetto di Dio, poi l’invito alla comunione anche con quelle realtà, da Vitorchiano ai monaci della Cascinazza, alle suorine, etc. che fanno davvero grande la nostra esperienza. L’invito alla concordia è anche cosa molto buona, come lo è il richiamo a non parlare in modo superficiale delle richieste del Vaticano. Mi sembra molto importante che non si sia eletto subito un nuovo presidente, ma per ora mi sembra non molto chiaro come e con quali criteri Prosperi voglia scegliere quella commissione che deve cambiare lo statuto accompagnati dal dicastero vaticano. Mi sembra che abbia detto anche che sarà necessaria un cambiamento delle strutture di guida delle comunità (anche il cambio di persone che da più di venti anni guidano le comunità?), con cui la gente ha un primo contatto. Comunque non credo sia possibile fare una riforma indicando un indirizzo email a cui comunicare le proprie idee! Del tema dell’educazione personale e istituzionale ne ho parlato nel mio post di oggi nei „miei quaderni ciellini“. Anche Prosperi ha parlato dell’importanza centrale dell’educazione missionaria. Il tema del decentramento non è stato affrontato, se non nella collaborazione di fatto con la Santa Sede - cosa che non è poco! Comunque vediamo ed io cerco di prendere sul serio l’invito di san Paolo citato nella GeE, 114: „non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate a presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori“ (Fil 4, 6—7) che per l’appunto devono vivere in „con-cordia“. Il servo di Dio don Giussani, nella communio sanctorum, vigili su questo processo di cambiamento.
PS II - Dal mio diario notturno (30.11.21) Una conoscente mi ha parlato della malattia di suo marito che ha la mia stessa età: l’urina viene raccolta in un sacchetto, non può portare pesi, fine della vita sessuale. È vero che il fatto che un giovane abbia una paraplegia, non significa che un altro che non l’abbia non possa più godere dei piaceri del mondo, ma è vero che questo racconto mi ha interrogato molto, proprio perché non sono più giovane. E forse l’Avvento è il tempo liturgico, come anche la Quaresima, in cui ci si può esercitare - per quanto ciò sia possibile - ad una certa astinenza, perché i piaceri del mondo non sono eterni. Nel commento ai versi 8,33 e 34 del Vangelo di Giovanni Adrienne ci fa comprendere che in vero noi cristiani siamo chiamati ad una libertà abissale. Anche nell’astinenza la meta non è l’astinenza stessa, ma questa libertà e gioia abissale. Noi siamo chiamati ad una „libertà che è illimitata quanto la grazia e la volontà stessa di Dio“ (Adrienne von Speyr, I discorsi polemici, Milano 1989, 163; traduzione di Carlo Danna). Il cristiano non è legato da nessun „formalismo“. Ovviamente „il Signore non vuole l’anarchia e l’assenza di forme, ma la libertà come superiorità su tutte le minuzie umane“, ma anche su ogni „programma“: „la vita cristiana sembra loro (ai giudei dei due versi citati, che siamo noi stessi) l’attuazione di un programma“. Ma non è così: non siamo chiamati a nuove regole; anche nella riforma dello statuto della fraternità di CL non sono in gioco regole, analisi, sistemi, chiarificazioni, norme giuridiche, - ciò sarebbe del tutto non cristiano. Un dicastero vaticano può intervenire solamente per dare un più di libertà. Mentre il peccato non ci rende liberi ma schiavi. L’inaudito che ci aspettiamo dal peccato è in vero „noia“, „schiavitù“ - e ciò vale in senso stretto anche per i „surrogati“. Il grande Desiderio, come lo chiama Etty, viene costretto „nella piccola realtà del corpo“(13.3.42), nella piccola realtà dell’uso del denaro, etc. Alcuni surrogati sono umanamente non superabili, ma non dobbiamo innamorarcene, così come se non potessimo vivere senza di essi - quasi che il Signore nostro Amico non possa davvero invitarci ad una libertà assoluta, che si può realizzare anche in una malattia come quella descritta qui all’inizio.
(27.11.21) "Un imprevisto è la sola speranza. Ma mi dicono che è una stoltezza dirselo" (Montale, citato in "C'è speranza?, ibidem 56-64) - su una cosa sono del tutto d'accordo con don Carrón e don Giussani: "la ragione secondo la sua natura e il suo impegno originale" è "finestra spalancata sulla realtà e non misura". E il primo "imprevisto" chi ci accade è che "ci sia qualcosa invece che niente" (Balthasar) e che questo qualcosa abbia la modalità di un dono gratuito. La "possibilità" è un avvenimento dentro questo imprevisto ontologico. E questa questione ontologica non si gioca in un'accademia o in una scuola, ma nella vita, nell'esperienza. ""Ragionevole" designa colui che sottomette la propria ragione all'esperienza" (Guitton). Indica una mancanza di lealtà soccombere al nichilismo, allo scetticismo che pongono il sospetto e la dipendenza sulla gratitudine che ci sia qualcosa invece che niente. Su questo io non ho obiezione e mi interessa anche la questione dell'abbraccio, per questo ho appena ordinato il libro di Azurmendi. Non voglio essere ingrato, so che ci sono persone in CL che cercano un reale dialogo con me e con cui negli anni ho fatto cose sensate, ma sono allergico ad ogni "proselitismo" ed "autoreferenzialità" ciellina. Seguendo un consiglio del Papa mi sono coinvolto più addentro nella vita parrocchiale ed anche in quella diocesana e sento tutto l'abbraccio di mia moglie e dei miei figli e di alcuni amici - con una di questi stamattina abbiamo parlato di un articolo sulla scuola apparso in "Tracce", del tutto autoreferenziale ed a dimensione unica, quasi che in una scuola pubblica o non di CL non sia possibile "l'imprevisto". Non penso di sapere tutto e so che un imprevisto e non un'introspezione portano la salvezza, ma sono allergico ad ogni formalismo, perché il Signore ci ha chiamato a testimoniare la sua presenza lontano dalla presenza ufficiale di CL e sarei desideroso di far capire che chi vive un'esperienza estrema come la nostra avrebbe davvero bisogno di una reale compagnia, ma non solamente se tu parli ciellino o fai dei gesti ciellini o dici le cose che loro si aspettano. Mia moglie lo dice che semplicità e nessuna rabbia: queste persone, a parte qualche rara eccezione, non hanno alcuna rilevanza nella nostra vita, al massimo si aspettano che noi prendiamo parte a qualche gesto ufficiale. Un amico mi ha scritto: "Per me davvero nella storia di Cl, che non frequento più da anni dal punto di vista associativo, conta ed interessa solo ciò che il Buon Dio suscita oggi. Penso a singole persone, come Alver, o a gruppi spontanei di amici come voi Contadini o la fraternità di Frangi a Milano o di Gex a Roma. Chiunque guida, senza questi fatti di grazia, sarà onestamente solo un buon liquidatore. Anche io ti voglio bene" - sono d'accordo con lui, ma da Balthasar ho imparato che lo Spirito Santo ha certamente questa dimensione "personale", ma esso è anche il cuore dell'istituzione, per cui chi guida istituzionalmente non ha solo il dovere di proteggere e conoscere quelle esperienze personali, ma deve rispondere a sua volta alla domanda: "mi ami tu?", gratuitamente (!) come gratuitamente Dio ama noi. Senza questo punto l'istituzione scade in formalismo, ma in vero il momento istituzionale dello Spirito Santo è testimonianza oggettiva dell'amore del Padre e del Figlio e dell'amore dei "fratelli tutti" e non solo di quelli che sono attivamente presenti nell'associazione come tale.
(26.11.21) Il sintetico e profondo commento di Lucio Brunelli, che viene dalla storia domanda de Movimento di CL, in "Jesus" sulle dimissioni di don Julián Carrón è di grande aiuto, anche se io non sono d'accordo su tutto. Scrivo immediatamente su cosa non sono d'accordo per finire con ciò che trova il mio consenso e che è molto di più. Non sono d'accordo con il giudizio: "Tre lustri fa l'immagine pubblica di CL era ancora legata alle vicende del Movimento popolare e della Compagnia delle Opere. Un'identificazione ingiusta" - premetto che ovviamente in sé l'identificazione di un movimento ecclesiale con i sui momenti politici e sociali, attuali o passati, è ovviamente ingiusta e che io non ho fatto uno studio sistematico sul tema, ma ho ascoltato alcune persone che mi hanno in dettaglio raccontato come, non una volta, ma oggi alcune (molte?) comunità non sono guidate nel senso spiegato da Lucio Brunelli in riferimento a don Carrón, ma sono luoghi in cui tutto è piegato agli interessi politici di CL o dei suoi capi (con comportanti, contro chi si oppone, molto simili al mobbing). Questa iper-politicizzazione non è una questione del passato, ma è oggi ancora attuale e pur nei suoi sforzi non è stata spazzata via dal sacerdote spagnolo. Anche l'identificazione con la politica di centro destra (che è però solo una delle possibilità di identificazione) è oggi del tutto attuale ed è rappresentata da persone di spicco di CL (non so se si facesse un' inchiesta tra i ciellini di lunga data della Lombardia su chi ritengono essere espressione più autentica del carisma di Cl se vincerebbe don Carrón o Roberto Formigoni). Etc. Detto questo è vero che don Carrón si è opposto a tutto ciò, anche se le sue non decisioni di governo hanno prolungato la sofferenza di alcuni (di molti?) e che i suoi continui riferimenti alla "nostra" straordinaria esperienza hanno avuto un effetto molto "autoreferenziale" e poco di "chiesa in uscita" e di "stile evangelico". Verissimo è che don Carrón come primo ha obbedito tra i responsabili dei Movimenti al papa e che ciò rivela la sua "umiltà ed obbedienza". Vero è che lui ha sottolineato sempre "la differenza tra militanza e testimonianza", vero è che il "centro" per don Julián è "l'incontro con Cristo", la 'bellezza disarmata' della vita cristiana, l'apertura verso l'altro. Molto vero è anche ciò che dice Brunelli alla fine del suo commento/analisi. La scelta di don Carrón è "un'occasione di crescita... di preghiera, di mendicanza di Dio". E forse sarà l'occasione perché conti "meno chi guida... e di più ciò che lo Spirito suscita nella vita delle persone, nella sua sovrana libertà". E per me nella diaspora con 2 % di cattolici, proprio lo Spirito d'amore trinitario è l'unica speranza di fecondità, quando e come Dio la pensa e la vuole.
(25.11.21) Con interesse ho letto l'articolo di Alver Metalli, L'alambicco del Generale (confidenze sui carismi di un futuro papa) in Alvermetalli.com, 24.11.21) - questo articolo ci riporta delle confidenze sul tema del cardinal Bergoglio, allora arcivescovo di Buenos Aires ed anche alcune cose che disse in un incontro su un libro di don Giussani del 2008. L'articolo è importante perché fa vedere che ciò che il papa ha detto nel settembre di questo anno sul tema carismi, ma anche ciò che ha detto a noi di Cl nel marzo del 2015 non era una affermazione estemporanea ed improvvisa (spontanea), ma ha le sue radici fino nel suo ministero "nell'altra diocesi", come si esprime il Papa stesso. Qui sotto ho parlato di una polarità feconda tra le affermazioni sul carisma di don Giussani, riportate nella Lettera della diaconia dell'altro giorno e ciò che ci aveva detto il Papa sul decentramento dal carisma. L'articolo fa vedere come per Bergoglio sia una tentazione ridurre l'eredità di un fondatore in un manuale di regole da seguire e ci chiede di essere aperti al nuovo. "Per salvaguardare un'eredità da cui in maniera sorgiva sono nate forme educative e di presenza, quelle stesse forme devono essere "approfondite sempre meglio, riflettute ed incarnate nelle nuove situazioni"(Bergoglio, 2008). Atre forme, per meglio esprimere la sostanza" (Metalli, 24.11.22). Forse perché io vivo in una situazione estrema di secolarizzazione - anche la città di Colonia lo è, ma vi sono ancora quasi 50% di battezzati, mentre da noi c'è ne sono ca. 16 % - sento il bisogno di sottolineare in modo molto forte l'appello urgente che il Papa ci ha fatto nel 2015 sul decentramento. In questi venti anni di diaspora ho cercato di implementare le forme delle Lodi, della scuola di comunità, delle vacanze... ma pian piano ho scoperto che il mio Signore e mio amico vuole da me una sequela vicaria per gli altri, nel nascondimento-presenza, senza la quale qui da noi ogni forma non può che essere presa come "proselitismo". Se e quando e dove porterà frutto lo vedremo e se noi (mia moglie ed io e miei figli) ne saremo all'altezza lo vedremo. Essere "chiesa in uscita" vuol dire davvero pensare e vivere "altre forme", senza dimenticare l'appartenenza in una parrocchia e in una diocesi in situazione di diaspora (vedi il mio diario notturno in Facebook).
(23.11.21)
Caro (...), grazie per l’invio dell’articolo di Pier Luigi Banna e del tuo rimanere in dialogo con me. Sono anch’io pieno di rispetto per la scelta e per la lettera che ci ha scritto don Carrón. Avevo già fatto gli Esercizi con gli appunti di Renato Farina, ma li sto rifacendo leggendo il libro „C’è speranza?“ proprio perché io voglio bene a don Julián, che tra l’altro ha preso molto sul serio le cose che gli ho raccontato di Ulrich. È il mio modo per prendere in prima persona la responsabilità del nostro carisma. Banna ha ragione a sottolineare la questione dell’esperienza come criterio ultimo - lo è anche per me qui nella diaspora. Allo stesso tempo anche don Carrón è solo (sit venia verbo) un „servo inutile“. Molto problematica per me è la lettera che hanno scritto i diaconi della diaconia centrale. Questa lettera è la testimonianza di un’assoluta incapacità di prendere sul serio quello che ci ha chiesto il Papa sul „decentramento dal carisma“ il 7.11.21; ovviamente dovremo muoverci in una polarità feconda tra la frase di don Giussani la citata (nella lettera della diaconia) e quello che dice il Papa, che tra l’altro don Julián prende sempre sul serio. Essa esprime anche il motivo per cui io non posso al momento prendere parte ai gesti ufficiali di CL, senza tradire l’obbedienza a Pietro che la cosa sul decentramento non l’ha detta tanto per dire, ma l’ha sottolineata con un „non dimenticatelo mai“. In quesi gesti si insiste troppo e solamente sul carisma e sulla sua ripetizione - io lo so non per testimonianza indiretta. La diaconia esprime solo se stessa e se loro non si dimettono io dovrò stare all’ultimo posto e cercare di essere fedele a Cristo e al suo manifestarsi nell’esperienza la dove sono, tenendo conto per l’appunto della modalità dell’esperienza. Ti saluto, Roberto
(22.11.21) Nella sua lettera don Carrón ci chiede di prendere responsabilità in prima persona per il carisma di Comunione e Liberazione - per questo motivo mi sono messo a meditare gli Esercizi (C'è speranza?) - questo è il mio modo di essere grato a chi a tenuto un peso molto grave per sedici anni dalla morte di don Giussani. Chiedo scusa per il mio carattere se a volte reagisco in modo troppo diretto e forte, ma la posta in gioco al momento è troppo grave. Ne va della fecondità del carisma stesso. Per questo motivo e solamente per questo ho ripreso le parole del Papa sul decentramento del carisma, Perché un carisma è fecondo solo se lascia lo spazio all'amore!
Nel capitolo "Se tu squarciassi i cieli e scendessi" non è inteso il ritorno in terra di don Giussani, ma l'arrivo del Mistero nell'ambito in cui lo possiamo percepire. Il Papa ci chiede un rinnovamento di fiducia per non adorare le ceneri e don Carrón giustamente ci ricorda che "l'attesa è rivolta a qualcosa che non conosciamo, che oltrepassa ogni identificazione, ogni misura" - allora per favore non ripetiamo in continuazione le stesse parole, perché appunto si tratta di qualcosa che non conosciamo! E quello che fanno i potenti (Ottaviano ed Antonio, e i nostri Ottaviano ed Antonio) è infinitamente meno importante di cosa facciano una donna ed un uomo anziano nel tempio (Simeone ed Anna); quindi quello che faccio io, quello che attendo io come anziano qui nella periferia ha bisogno proprio di quel "mistero inatteso-atteso" di cui parla don Julián. E l'unica cosa di cui dobbiamo temere, lo dice in modo molto chiaro il sacerdote spagnolo citando il Papa ed Agostino, è "ho paura che Gesù passi ed io non me ne accorga" (53) - Gesù! Non Giussani, non Francesco! Gesù! "Timeo Jesum transeuntem". Mica si dicono queste cose ad un popolo in preghiera per rimanere fedeli allo statu quo. E di fatto gli Esercizi proseguono con: "L'imprevedibile sussulto".
(21.11.21 Festa di Cristo Re) Ieri ci è arrivata questa lettera della diaconia della Fraternità - non solo a me ovviamente, ma a tutti i membri della Fraternità, con un' introduzione del segretario. Riporto entrambe qui sotto. Purtroppo questa lettera mi mette del tutto in crisi, nel senso brutto del termine, in questione di obbedienza, per i motivi che spiego qui sotto.
Caro ROBERTO,
oggi, sabato 20 novembre 2021, la Diaconia Centrale della Fraternità di Comunione e Liberazione si è riunita a Milano per prendere atto delle dimissioni irrevocabili del Presidente, don Julián Carrón, e per l’affronto di alcune tematiche relative alla vita della Fraternità, fra cui una prima condivisione della bozza di revisione dello Statuto in ottemperanza alle direttive del Decreto vaticano che disciplina l’esercizio del governo nelle associazioni internazionali di fedeli.
Il Vice presidente, Davide Prosperi, ha informato i membri della Diaconia di essere stato convocato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita per un colloquio nei prossimi giorni ragion per cui la deliberazione circa la carica di Presidente è stata rinviata a una nuova riunione della Diaconia - che si svolgerà immediatamente dopo il colloquio -, durante la quale proseguirà anche il lavoro sul testo della bozza di revisione dello Statuto.
Sul sito della Fraternità, nella sezione Documenti, è stata pubblicata una lettera a tutti gli iscritti della Fraternità (vedi qui sotto, dopo il nome del segretario) da parte dei membri della Diaconia Centrale, riguardante le dimissioni di don Julián Carrón da Presidente della Fraternità.
Nei prossimi giorni pubblicheremo la lettera anche nelle seguenti lingue: inglese, spagnolo, portoghese, brasiliano, tedesco, francese, russo, romeno e polacco.
Un caro saluto
Giovanni Toffoletto
Segretario Generale della Fraternità
Ecco la lettera:
Milano, 20 novembre 2021 Cari amici, di fronte alle dimissioni irrevocabili di don Julián Carrón, la Diaconia centrale della Fraternità di Comunione e Liberazione, riunitasi oggi, 20 novembre 2021, gli esprime una gratitudine senza confine per quello che ha rappresentato in questi anni, da quando don Giussani lo ha chiamato a condividere con lui la guida del movimento. E gli siamo grati fin da ora dei contributi di testimonianza che potrà continuare a dare. Da presidente della Fraternità ci ha accompagnato a immedesimarci con l’esperienza viva di don Giussani e con il suo metodo di educazione alla fede ˗ che la Chiesa ha riconosciuto come strada alla santità ˗, vivendo «una obbedienza di cuore a quella forma di insegnamento alla quale siamo stati consegnati» (J. Ratzinger). Perciò avvertiamo l’urgenza di fare scendere nel nostro cuore queste parole di don Giussani, per non sprecare il dono ricevuto: «Il carisma è un intervento dello Spirito di Cristo per aumentare l’appartenenza a Cristo nel mondo: è un dato della storia in cui si nasce, in cui lo Spirito ci sorprende, ciò in cui il Padre ci ha messi. Il disegno del Mistero originante, del Padre, ci ha messi in un determinato corso, su una determinata via dentro la Chiesa, ci ha immessi nel fatto di Cristo, ci ha fatti partecipi nel renderci suoi come conoscenza e come affezione» (Dare la vita per l’opera di un Altro, pp. 173˗174). Nel cammino di questi anni abbiamo sperimentato che «il carisma è come una finestra attraverso cui si vede tutto lo spazio. La riprova di un carisma vero è che apre a tutto, non chiude» (Generare tracce nella storia del mondo, p. 129). In questo senso, vogliamo accogliere fino in fondo l’invito contenuto nella lettera di don Carrón: vivere questa circostanza come occasione di crescita della nostra autocoscienza ecclesiale. Domandiamo allo Spirito Santo di rinnovare in noi l’esperienza della grazia del carisma che ci ha investito attirandoci a Cristo, dentro la vita della Chiesa nostra madre e seguendo Pietro, per essere collaboratori attivi della volontà del Padre all’opera nell’oggi della storia. I membri della Diaconia Centrale della Fraternità di Comunione e Liberazione
Purtroppo questa lettera è solo formalmente obbediente e non corrisponde minimamente a ciò che ci chiede il Santo Padre (Pietro), per almeno due ragioni. La prima: è vero che si deve essere grati a Don Carrón, umanamente. Teologicamente lui è stato solamente un "servo inutile". La seconda: l'insistenza sul carisma è proprio il contrario di ciò che ci ha chiesto il Santo Padre, in un discorso del tutto ciellino (sull'incontro con Cristo e sulla misericordia) di cui riporto qui solo un passaggio:
Dopo sessant’anni, il carisma originario non ha perso la sua freschezza e vitalità. Però, ricordate che il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù, Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere “decentrati”: al centro c’è solo il Signore! Per questo, quando Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi parla dei carismi, di questa realtà così bella della Chiesa, del Corpo Mistico, termina parlando dell’amore, cioè di quello che viene da Dio, ciò che è proprio di Dio, e che ci permette di imitarlo. Non dimenticatevi mai di questo, di essere decentrati! Papa Francesco, 7.3.2015
Probabilmente sarà necessaria, proprio per rispettare la forma di appartenenza a cui siamo stati consegnati vivere in una polarità feconda tra ciò che dice la frase di don Giussani e ciò che dice il Santo Padre, ma in questo momento quello che ci chiede quest'ultimo è per il punto decisivo: persone che non ne tengono minimamente conto non possono chiedere l'obbedienza ai membri della Fraternità, se davvero vogliono seguire Pietro, per cui proporrei che tutta la diaconia centrale dia le sue dimissioni.
(20.11.21) Confrontarsi seriamente con il libro di don Carrón, "C'è la speranza?" significa confrontarsi seriamente con il "senso religioso" di don Giussani. Il capitolo: "l'affezione a sé" (42-48) deve essere letto con molta attenzione in modo da non confondere l'attesa dell'infinito con una "volontà di potenza infinita". Insomma bisogna stare attenti a non confondere il "protagonismo", l'affezione a sé, con un "servizio al nostro ego", "ritenendoci indispensabili", come ha spiegato il Papa nel suo discorso "ai partecipanti dell'incontro delle associazioni fedeli, dei movimenti ecclesiali..." del 16.9.21. Con il senso religioso Giussani intende un'esigenza, un bisogno profondo del nostro cuore, che siamo, non che abbiamo e per parlare con il Vangelo si tratta di "una povertà di spirito", di "una fame e sete di giustizia" - non si tratta di "un attaccamento a qualcosa che abbiamo definito noi, ma qualcosa che ci definisce"; e non è alcunché di astratto che ci definisce, ma "la percezione di una figura concreta" che ci chiama concretamente. La libertà infinita che desideriamo ci si rivela in una figura concreta: la volontà di Dio è "sempre una volontà concreta, determinata e determinante con precisione" (Adrienne von Speyr, I discorsi polemici, Milano 1989, 162). Senza la percezione di questa figura concreta il bisogno infinito diventa un'intensità senza contenuti e che non forma nulla, non governa nulla. È puro arbitrio, che non sostiene al primo assalto della "pura carne" - dicendo non do un giudizio sugli altri, ma su di me. È inevitabile che usiamo dei surrogati - ne ho parlato ultimamente nel mio diario notturno - ma bisogna identificarli come tali.
Per noi della fraternità di CL la "volontà concreta, determinata e determinante con precisione" passa attraverso la decisione del Papa e quella di obbedienza di don Carrón - nessuno è indispensabile, non lo sono le mie riflessioni e non lo sono gli Esercizi di don Carrón, anche se io ora che mi è arrivato il libro li prendo del tutto serio; un primo approccio ad essi erano stati gli appunti che mi aveva mandato Renato Farina. Ma prenderli sul seri non significa ripeterli come un pappagallo. Non bisogna ripetere neppure come pappagalli il papa, perché il singolo uomo ha, come dice con ragione Peguy, "giudica come un Papa, poiché esercita nella realtà una giurisdizione che è la suprema giurisdizione" (citato in Agostino Molteni, Il pensiero di Cristo. La logica dell'incarnazione redentrice secondo Charles Peguy, Siena 2021, 25).
(19.11.21) Molte volte nella mia vita ho cercato di trasmettere nella scuola le premesse al senso religioso di don Giussani, ma leggendo il capitolo "noi siamo in attesa" (in C'è speranza? 36 sg), mi sono chiesto se in ultima istanza l'intento ultimo del "senso religioso" non mi sia rimasto estraneo, anche se io credo di far parte con grande sincerità all'esperienza del Movimento di Comunione e Liberazione. Non credo che l'attesa del singolo sia un motivo ultimo del senso della mia esistenza, piuttosto credo che noi siamo attesi, ma lo siamo nell'essere chiamati e nell'essere invitati non tanto ad un'affezione a se stessi, ma ad un affezione a quell'atto minimo/massimo che è il dono gratuito dell'essere. Certo non c'é contrapposizione tra ontologia e antropologia e l'uomo, anche in Ferdinand Ulrich, è il tema ontologico per eccellenza e l'uomo è un "abyssus". Credo che l'incontro con uomini e con la natura, l'esperienza di comunione siano decisive per la nostra esistenza, ma vi è un modo di parlare dell'attesa - non sto discutendo, ma riflettendo - che è del tutto infecondo. Pavese pone la domanda, meglio due domande: "Qualcuno ci ha mai promosso qualcosa? E allora perché attendiamo?", ma il porre questa domanda non gli ha evitato il suicidio, che consiste in una tragica non percezione dell'atto semplice del dono dell'essere, come "semplice e completo" (Tommaso d'Aquino, Ferdinand Ulrich), un atto non sussistente, perché non è sostanza: nel dono dell'essere, non l'atto di donazione dell'essere è sussistente, ma la rosa regalata. La speranza cristiana non è un "desiderio" e di fatto nella lingua latina il verbo sperare richiede l'ACI e non una costruzione con l'ut. La speranza afferma, non desidera. Desiderare che? Però è vero che un qualche di improvviso può rafforzare la nostra speranza ed è vero che anche la crisi più tragica può non oscurare il dono dell'essere, nella sua gratuità d'amore. Infondo non l'attesa, ma lo stupore che qualcosa ci sia invece che niente è la vera dimensione ultima dell'amore e questo è davvero un "dato inestirpabile". Sognare l'impossibile può essere anche una malattia, ma la vera calma sorge nell'uomo, quando esistenzialmente percepisce come bello, buono e vero il dono dell'essere finito, che per l'appunto non è solo "segno", ma metafora di qualcosa di semplice e completo. E il nostro cuore ha bisogno solo di questa completezza del dono e il senso religioso o l'attesa non sono il primo passo, ma accadono dopo: l'incontro con il dono dell'essere fa nascere nell'uomo il suo desiderio di giustizia, di amore, etc... Ma una volta, se mi ricordo bene, don Carrón stesso ha espresso un pensiero simile.
18.11.21 Un’amica mi ha mandato l’intervento di Vittadini tenuto a Cremona il 24.10.21 - alcune cose che dice sono molto belle, anche se le domande fatte dall’assemblea rivelano una crisi molto intensa nell’intendere il senso di un’appartenenza ecclesiale. Vorrei fissare alcuni punti che mi sembrano decisivi. 1. Quando Vittadini dice che è importante obbedire al Papa, aggiunge che lo è, perché il movimento esploda, ma in vero il Papa nel marzo del 2015 ci aveva dato un’altra indicazione. E cioè quella del decentramento dal carisma. Bisogna obbedire al Papa, perché Cristo fiorisca, certo se si vuole anche con quella nostra modalità di insistere sull’esperienza. Ma ciò che in gioco è la nostra appartenenza al Padre, non ad un maestro, fosse questo anche il fondatore del Movimento. Un Padre che ci dona gratuitamente l’essere. 2. La critica di Vittadini a Formigoni ed in vero a tutte le persone che hanno guidato CL sulla questione del potere è buona, ma non sufficientemente coraggiosa e di fatto la decisione di „limitare“ il potere in CL l’ha presa il Papa e non il Movimento. Certo Vittadini è molto più autentico di Formigoni che si richiama a tutti, addirittura a von Balthasar, per giustificare la sua volontà di potenza, avvallando una confusione molto grave: non si è giudicato seriamente una prassi immorale ed anche illegale partendo da un giudizio diffuso per cui per sostenere le nostre opere, tutto è lecito. E questo giudizio non è presente neppure in Vittadini che parla di una „montatura“ a riguardo del modo illegale di finanziare le nostre opere. Speriamo che abbia ragione lui. Io non sono la magistratura e quindi non ho il dover né la possibilità di entrare nei dettagli, ma desidero su questi temi una trasparenza che non vedo, neppure in Vittadini. 3. L’altro giudizio diffuso che viene fuori dall’Assemblea di Cremona è che CL è diventato debole e rinunciatario e non è più una presenza politica rilevante. A questa critica Vittadini risponde in modo autoreferenziale (Meeting di Rimini…) - e non indica con chiarezza le indicazioni del Santo Padre, che ha preso posizione ben chiara su tanti temi politici, così che chi lo segue non è un intimista: il Papa ci ha dato delle indicazioni molto precise a livello di „teologia della politica“ (non di teologia politica): sulla questione della migrazione, su quella ecologica, sulla questione dei poveri, sulla questione della pace e del dialogo… Quindi non è per nulla vero che non ci siano indicazioni „politiche“ precise. 4. Per quanto riguarda don Carrón e il suo libro sulla speranza direi che egli ha compreso, rinviando a don Giussani, con chiarezza più di quasi tutti, il problema del nichilismo, come fuga dalla realtà, vista come alcunché di inconsistente, liquido (invece che come dono)… Per quanto riguarda il mio stile filosofico l’insistenza esagerata sulla trascuratezza dell’io (cfr C’è speranza?, 27-32) non mi aiuta molto e forse essa è la causa di un certo giudizio sulla mancanza di chiarezza politica del sacerdote spagnolo. Io direi che ci farebbe un gran bene, almeno per un anno, fare la scuola di comunità sui testi di Papa Francesco e non insistere sempre ed in modo ripetitivo sui nostri temi. etc.
15.11.21 Gianni Mereghetti mi ha mandato il libro di don Carrón, C'è speranza? Il fascino della scoperta, Milano 2021, che mi è arrivato nel giorno in cui è stata pubblicata anche la lettera di dimissioni, come presidente della Fraternità di CL, dell'autore del libro. Per me si tratta di perdere sul serio la responsabilità che ora ogni persona ha nei confronti del carisma e del suo "decentramento" nel senso indicatoci dal papa nel 2015. Il libro di don Julián ci pone una domanda davvero essenziale: c'è speranza? E questa domanda risuona "in momento così delicato della vita del movimento" e del mondo. Qui in Germania l'ondata nuova del virus ci ripropone la questione della "certezza" e della "speranza" - sebbene 56 milioni di tedeschi siano vaccinati in modo doppio gli ospedali sono stracolmi. In Sassonia ed in Turingia in modo particolare, così che alcuni malati vengono portati nei nostri ospedali in Sassonia-Anhalt. Certo si può dire che gli ospedali sono pieni in modo particolare delle persone che non si sono fatte vaccinare, ma come mi ha spiegato ieri un medico, ci sono anche motivi seri perché addirittura medici sono scettici nei confronti del vaccino. Comunque non solo nelle villas miserias di cui parla Alver nel suo libro "Epifanie", ma in tutto il mondo, siamo confrontati con "una peste che uccide ancora" (Alver Metalli, Epifanie, 20). La cura c'é ora, ma viene messa in discussione e di fatto anche in me, che venerdì prossimo riceverà il terzo vaccino, c'è la tentazione di "rimuovere il dato" (Carrón, 13) - insomma la tentazione del contrario di ciò che ci chiede Aristotele nelle sue quattro massime della conoscenza; la prima suona: "assicurare i fenomeni".
Il libro di don Carrón parte con chiarezza estrema: per un cristiano non vi è speranza senza Cristo; solo Cristo rende il duello tra vita e morte, un duello "aperto". Senza Cristo il duello è vinto dalla morte, con Lui possiamo imparare quello che mi ha insegnato Ulrich: "vivere nell'unità della vita e della morte". E questa è davvero l'unica novità. Se no vince il nulla! Ma questo duello non è una lotta ideologica, ma quella dimensione del "medesimo uso di essere e nulla" di cui parla Ulrich. Il nulla della gratuità dell'amore vince il nulla del nichilismo. E per quanto alcuni o tanti abbiano visto in don Carrón il padre necessario per fare questo percorso di speranza, ora la lettera di dimensioni ci insegna che dobbiamo guardare oltre: all'unico Padre! Che non è don Giussani, ma il "Padre celeste": Cristo ci insegna a pregare che la Sua (del Padre) volontà "accada in cielo, come in terra", anche riflettendo con più precisione su cosa sia l'autorità "che non scegliamo ma riconosciamo"!
27.9.21 Lettera aperta alle sorelle e ai fratelli della Fraternità di Comunione e liberazione
Carissime sorelle e carissimi fratelli,
Ho conosciuto il Movimento, non facendone parte, quando a Torino, nelle riunioni di Cl della fine degli anni 70, si invitava a leggere le opere di von Balthasar, con cui a 18 anni ho avuto quello che noi in CL chiamiamo „l’incontro“; fidandomi di Balthasar poco alla volta ho cominciato a fidarmi anche di don Giussani, sebbene il Movimento negli anni del rapimento Moro non mi piacesse: troppo democristiano, troppo fautore di „teologia politica“…In una lettera del 79 Balthasar mi chiedeva di cosa io mi fidassi veramente (con altre parole), poi subentrò una crisi molto profonda, e solo con il secondo „incontro“, Ferdinand Ulrich, della mia vita ho potuto vivere la mia appartenenza alla Chiesa, di cui non mi fidavo più. Sto parlando dell’inizio degli anni 80. Alla Pasqua del 78 ritrovavo un percorso che mi ha portato al cuore di Gesù, nella Chiesa cattolica, che mi annunciava la vita eterna dalla morte. Gli anni a Monaco di Baviera con Robert Spaemann mi hanno donato alcuni temi intellettuali importanti, ma in vero sono gli anni dell’amicizia con Ferdinand Ulrich in quegli stessi anni, che mi hanno permesso di comprendere cosa sia la bontà come attributo ontologico dell’essere. Nel Movimento apprezzai molto lo sforzo di dialogo del Meeting e poi alcune amicizie che sono nate quando ho cominciato ad usare Facebook, circa 10 anni fa. Non ho tempo ora di raccontare tutto ciò che si può comunque leggere in un post del mio diario sul mio percorso intellettuale e di vita, per cui vorrei giungere alla grande prima delusione, dopo il mio ritorno nella Fraternità del 2010 (ne ero uscito perché mi sembrava del tutto autoreferenziale cosa accadeva in essa e vi ero poi rientrato dopo un’esperienza forte alla tomba di Balthasar a Lucerna): il 2015 il Papa ci incontra e dice alcune cose che io avevo imparato negli anni con Ulrich e di cui CL in rete e non solo ne fece oggetto di un gossip generalizzato. Don Carrón è sempre stato fedele al Papa, ma non si tratta di questo - scrivo a voi, perché in un certo senso don Carrón non c’entra. La Fraternità è viva se confessa Cristo, non se confessa don Carrón, come tra l’altro quest’ultimo ci ha ricordato nella giornata di inizio anno con una frase di don Giussani del 1976.
Ho incontrato delle persone davvero affascinanti nel Movimento, ma tutte le indicazioni del Papa, sia quelle del marzo del 2015 sia quelle dell’incontro nel dicastero della famiglia qualche settimana fa, non sono state prese da noi - da noi, non da don Carrón, che è anche solo un uomo - prese sul serio: noi pensiamo ancora che il nostro noi autoreferenziale sia la grazia, ma questo è un errore grave, che ha portato ad un „provvedimento grave“ contro i Memores tra cui ci sono anche i „santi della porta accanto“, ma che blocca la vita di tutta la Fraternità, in cui non vi è un vero dialogo con gli altri, tanto meno la proclamata amicizia. Se uno osa dire qualcosa che ha nel cuore viene visto immediatamente come un rompi scatole, non come un fratello che vuole giungere al cuore di altre sorelle e fratelli. Noi pensiamo che è il carisma che ci salvi, ma questo non è vero: Cristo ci salva. E nei nostri (di mia moglie e miei) 19 anni nella diaspora, sebbene noi abbiamo cercato di fare ciò che don Giussani vuole, in una situazione molto forte di diaspora (in un certo senso ancor più forte di quella di Don Milani a Barbiana), quasi nessuno si interessa davvero al nostro cuore, se non quando appoggiamo un’opera di CL. Chi davvero vive la Chiesa in uscita è lasciato da solo dalle sorelle e dai fratelli nel „nido“ - le ferie che abbiamo vissuto noi di CL sono insopportabili, sono luoghi in cui l’importante è arrivare al tavolo del capo. Le scuole di comunità sono un noioso ripetere di frasi, che devono essere sentite come eccezionali. E per arrivare al punto: è vero che ci sono state date tutte le grazie necessarie, ma è anche vero che la grazia stessa in un certo senso è imperfetta (Tommaso d’Aquino), non ci rende uomini perfetti a cui tutti devono guardare; quando accade come nel caso di Azurmendi è un dono e non qualcosa da usare come pubblicità della propria opera.
Credo che noi dobbiamo abbattere i bastioni di Cl: non leggere solo cose del carisma, non leggere solo Giussani - altri lo hanno capito meglio di noi, anche se forse si esprimono troppo ad un livello „essenziale“ e troppo poco nel piccolo della nostra via ciellina: ma questo è il nostro compito. Per favore facciamo un dialogo umile ed attento con persone che ci incontrano nella nostra vita, non per portali nel nostro nido, ma per vivere meglio: Questo altro può essere Etty Hillesum (letta nella sua integralità e non solo nelle sue frasi teologiche); questo altro può essere anche uno sconosciuto che incontriamo per caso.
E per favore aiutiamoci ad non inscatolare gli altri nei nostri schemi. Parliamo un minuto, dopo aver ascoltato dieci minuti.
E se il Papa ci richiama a Cristo, allora non facciamo di Pietro un oggetto del nostro infinito gossip. Non pensiamo che se uno appoggia le nostre opere, automaticamente fa del bene alla comunità: si possono fare le nostre opere anche tradendo ogni senso di bontà ed eticità del reale (e questa non è una questione moralista).
Vi abbraccio di quel abbraccio di cui parla Azurmendi, so che nel tono così severo non ho considerato le cose in cui siamo speciali, ma in vero, come mi ha scritto un amico: „se la casa sta bruciando, si sente il bisogno di gridare: al fuoco!“. Scusate se non potrò rispondere a tutti, sono solo un uomo.
In Domino et Maria, Roberto - un piccolo amico di Gesù
(25.9.21) Lettera aperta a don Julián Carrón,
Caro don Julian, una volta avevi detto che per te sono importanti anche i "nuovi" nel Movimento ed io intesi questa frase: non solo sei guida dei soliti, dei vecchi, ma anche di quelli che sono fuori dalle cerchie importanti del Movimento. Per questo ti scrivo, come un "piccolo nulla" nel Movimento. Ho letto in un giornale che non ti sei presentato ad un incontro con il Papa dei vertici dei Movimenti organizzato dal "Dicastero dei laici, la famiglia e la vita". Non so come mai e prima di accettare la spiegazione degli altri: c'è una tensione tra il Movimento e il Vaticano, vorrei sapere cosa ne pensi tu.
Vorrei dirti anche con onestà che la questione dei Memores Domini (ho degli amici tra di loro che stimo moltissimo) mi ha affaticato, in modo particolare l'affermazione dei Memores che non capiscono cosa il Vaticano vuole da loro, ma che obbediranno. Non ho nessun culto particolare per i dicasteri vaticani; il mio grande maestro, Hans Urs von Balthasar, era molto libero nei loro confronti, ma proprio da lui ho imparato un'obbedienza al papa, anche quando gli era chiaro, come nel caso della sua nomina cardinalizia, che gli sarebbe costata la vita. Da lui, da Ferdinand Ulrich, dal padre confessore di quest'ultimo: padre Klein SJ ho imparato la frase di sant'Ambrogio: ubi Petrus, ibi ecclesia, ubi ecclesia vita aeterna!
Io ho ti criticato qualche volta per una mancanza di governo in CL (in alcune comunità da decenni le stesse persone fanno il bello o meglio piuttosto il cattivo tempo) e per una continua esaltazione della straordinarietà della nostra fraternità, che non corrisponde a ciò che ho letto (ora ho smesso di farlo) nella rete (dove i ciellini spesso sono eccellenti solo nel gossip di cattivo gusto, anche nei confronti del papa) e a ciò che conosco di alcune comunità; anche la mia esperienza in Germania, sebbene abbia qualche amico e sebbene abbiamo fatto alcune cose grandi (per esempio un fondo Papa Francesco in una delle zone più secolarizzate del mondo), direi che è semplicemente "bloccata".
Anche da te ho imparato l'amore per Pietro e secondo me sei una delle persone che più profondamente ha compreso il dramma odierno del nichilismo. Ti assicuro la mia preghiera, ma se quello che ho letto è vero, questa volta non ti capisco. La Chiesa, come diceva, padre de Lubac è "complexio oppositorum" e non è detto che un dicastero vaticano sia il luogo migliore per fare discernimento, ma qui si tratta del Papa che ci dice cose che secondo me non sono state per nulle recepite nella nostra storia: decentramento dal carisma e maggior fiducia che non un guru, ma solo un "semplice operaio" può guidare - per un tempo limitato - con obbedienza e libertà la nostra "Fraternità".
In CL ho amici tra tutti, anche tra chi una volta era importante ed ora non lo è più, per motivi non ben comprensibili, ma le persone che mi colpiscono sono quelle che soffrono, potrei fare alcuni esempi, ma ne cito solo uno: una famiglia con un figlio disabile, che dal Movimento ha avuto solo il supporto di consigli arroganti.
Ti abbraccio con affetto, come quella volta che ci siamo incontrati per caso al Meeting. Non dovrei dirlo esplicitamente, ma questa lettera è un atto di amore gratis.
Tuo, Roberto - un piccolo amico di Gesù
Alla sera dopo aver scritto la lettera, nella mia bacheca in Facebook ho scritto quanto segue. Tra l'altro vorrei aggiungere che la mia amica, che cito al fondo della lettera, mi ha detto, pur non negando le frustrazioni a cui accennavo, che alcuni Memores della sua città, l' avevano aiutata molto in uno dei suoi parti.
(27.8.21 - santa Monica) Sulla polarità di un Dio che ha bisogno dell'uomo, pur non avendone bisogno e l'apertura dell'uomo a Dio. Il testo dell'intervento di don Giussani al Meeting del 1985 a cui si ispira il titolo del prossimo Meeting, a differenza del titolo (ma ovviamente non si può chiedere troppo ai titoli) contiene una polarità feconda: quella del bisogno di Dio dell'uomo e quella del bisogno dell'uomo di Dio. Quindi quella della passione di Dio per l'uomo e quella della passione dell'uomo per Dio - una polarità non significa, però, movimento sincronico, perché come si può vedere nel testo Dio è il "sempre più grande" e in questa sua grandezza sa farsi piccolo. E l'uomo è risposta a questo Dio che è e rimane Mistero.
Il testo è anche un concerto di citazioni du autori che solo in parte ci si aspetterebbe da un sacerdote cattolico: Sartre, Moravia, Weil.. non fanno certo parte della cultura cattolica, ma anche quest'ultima è rappresentata da grandissimi autori come Charles Peguy, con la bellissima citazione dai "Santi innocenti", su un padre che vuole essere amato da un figlio adulto.
I grandi motivi di don Giussani, che me lo fanno sentire un padre che mi genera, ci sono tutti: l'implicazione del Mistero nel dinamismo della ragione, Cristo come il coinvolgimento carnale di Dio con l'uomo e la Chiesa che nella sua unità (non certo nei suoi scandali) è "ambiente" in cui Dio è presente in modo eminente!
Vi è anche il grande motivo della critica al potere dominante e dimentico della presenza di Dio come misericordia ed amore gratuito. Credo non sia bene declinare questo aspetto critico come sostegno e collateralismo con una certa tendenza politica, di destra o di sinistra che essa sia. La critica al potere dominante deve essere mantenuta, qual pur sia il potere che al momento determina l'andamento del mondo e non si può neppure fissare la figliolanza a don Giussani a certi aspetti di criticità che sono storicamente datati.
Ma la cosa che più mi sta a cuore è la polarità non sincronica, non riducibile ad una via di mezzo tra Dio e l'uomo; certo si può accentuare di più, per motivi di contingenza storica, un certo polo, ma in vero quando Giussani dice che con solo con "timore e timore" usa la formula: Dio ha bisogno dell'uomo, bisogna prenderlo sul serio. Sarebbe una pazzia non feconda ridurre don Gussani ad un'antropologia docile al mondo. Come Papa Francesco, anche don Giussani, può essere ridotto ad alcuni temi alla moda (che sono in parte diversi perché vivono un tempo in parte diverso), ma in vero solo chi si apre al Mistero di un amore non riducibile a quello che noi uomini comunque anche da soli avremmo inventato comprende qualcosa di questi due "fratelli nello spirito". La passione dell'uomo di don Giussani (e del Papa) non è adeguamento alla mentalità del secolo, sebbene egli cerchi di comprendere ed amore questo secolo: ma di un amore sempre più grande! Appunto, Mistero!
(13.8.21) L'amicizia tra il sacerdote cattolico Luigi Giussani e il professore buddista Shodo Habukawa può essere descritta come l'incontro reciproco tra la farfalla e il fiore che si apre ad accoglierla. In un intervista del 2012 Habukawa invitava a non guardare in primo luogo alle differenze tra cattolicesimo e buddismo: "Il mio invito è a non guardare alle differenze, ma al rapporto molto stretto tra cristiani e buddisti, e che si manifesta non in superficie ma nella profondità della verità di entrambe le religioni" (Il Sussidiario, 20.08.2012). Questo è possibile perché Habukawa con Don Giussani vede il Mistero come Dio. Ma leggendo l'opera di padre de Lubac "Buddismo ed occidente" non c'é consenso nel buddismo su questo punto (sebbene anche in essa vengano presentente posizioni come quella di una coincidenza tra Gesù e il fondatore del buddismo Shingon, Kobo Daishi Kukai) , così che esso è stato percepito come una religione senza Dio. Non sono per nulla un esperto e sono aperto a tutto ciò che presenta gli uomini come "fratelli" (non solo in riferimento al buddismo, ma anche all'Islam). Questa mattina, però, una riflessione di Schopenhauer mi ha fatto riflettere, riguarda il "solus Christus" e i "mille Buddha": "Una religione che ha per fondamento un unico evento" - come il cristianesimo presentato da don Giussani - "accaduto qui o là, e pretende farne il periodo critico del mondo e di tutta l'esistenza, è una religione con un fondamento così debole che le è impossibile assolutamente resistere, quando appena gli uomini incomincino a riflettere un poco. Quanto è sapiente invece, da parte del buddismo, l'accettare i mille Buddha...I molti Buddha sono una necessità, perché alla fine di ogni "kalpa" il mondo muore e con esso la dottrina. Un nuovo mondo esige dunque un nuovo Buddha. La salvezza è sempre attuale" (citato in de Lubac, ibidem 148).
(20.07. 21) Sull'esserci fisico o tecnico dentro la fraternità di CL.
Negli appunti dell'assemblea delle comunità dell'Eurasia (cfr. Tracce, 07/21) and un certo punto si cita un passaggio degli interventi di don Carrón, in cui secondo me egli arriva molto vicino al vero: quando parla (risposta ad Anna Kim) di un modo meccanico e automatico di esserci fisicamente nella compagnia che non aiuta "la nostra autocoscienza" (14). Poi secondo me si allontana dal vero parlando delle possibilità tecniche e digitali di far parte di CL in qualsiasi parte del mondo. Ma se l'esperienza di don Giussani è vera ora, che è in cielo, allora il contatto con lui non è una questione solo (ne primariamente) di appartenenza fisica o tecnica. Forse lui ora in cielo è diventato amico di Ulrich (è solo un esempio che riguarda me) e vede le cose in modo anche diverso su certi punti (e viceversa, cioè vale anche per Ulrich). Vero è che tutti e due sono ora in Cristo, come lo sono io, pur nei miei peccati. Perché il Signore non è mai lontano da noi.
(18.6.21) L'unica cosa è l'esperienza cristiana. Due frasi di Don Giussani del 1984, in un intervista a Luigi Accattoli: il senso di Cl:
«Non è da cercare nelle forme espressive. L'originalità sta nel contenuto profondo di CL, espresso proprio dal suo titolo. Il riverbero più immediato di questa originalità di contenuto sulla regola della Fraternità è duplice: il valore che viene dato alla sequela dell'autorità, delle indicazioni che vengono dalle funzioni autorevoli; e la necessità di una comunionalità di vita tra gli aderenti. Come i primi cristiani, abbiamo la consapevolezza della presenza del mistero di Cristo tra noi. Da qui nasce il riconoscimento della unità tra noi, e quindi l'aspirazione a 'portare l'uno i pesi degli altri' e ad aiutare insieme gli altri uomini. La nostra vorrebbe essere un'amicizia determinata dalla coscienza della partecipazione alla pienezza di Cristo e quindi dall'attenzione all'attività comune, alla condivisione dei passi della vita».
«Riteniamo che abbia una grande importanza per la vita di oggi l'esperienza cristiana che facciamo, non il nostro movimento come tale. Riteniamo per esempio che abbia una grande importanza il messaggio del Papa, cui noi cerchiamo di adeguarci, da cui cerchiamo di trarre l'alimento per la nostra vita personale e collettiva. Siamo ancora del parere di Dante Alighieri: 'Avete il pastor della Chiesa che vi guida / questo vi basti al vostro salvamento'. Siamo anche persuasi che ciò che cambia il mondo non è ciò che statisticamente sembra prevalere. L'importante è che siamo purificati nella verità, perché è la verità che vince nel tempo, o che vince il tempo, anche se non toccasse a noi di vivere la gioia di vedere un suo trionfo terreno».
Su questo io sono stato fedele, anche se a certi gesti in Germania non ho più preso parte (a parte la questione che le sdc sono molto lontane da dove abito e più volte ho preso su di me la fatica di visitarle, senza un reale guadagno spirituale), perché quello che io avevo visto nella diaconia allargata, non corrispondeva al mio cuore, proprio per una separazione tra cultura e fede. Nel senso di uno scarto tra la proposta di fede (buona) e la proposta culturale (che viveva di criteri che non hanno preso sul serio le grandi sfide del nostro tempo, come esse vengono interpretate in modo autorevole da Papa Francesco).
Nonostante ciò ho tenuto sempre il contatto con alcune singole persone di CL in Germania, a cui devo molto sia come compagnia nella fede, che come soluzione di problemi pratici (Fondo di Papa Francesco per la nostra scuola...). Comunque se l'unica cosa che veramente conta è l'esperienza cristiana, questa la sto vivendo in modo molto preciso con mia moglie e il mio parroco (ed anche, ultimamente, con un giocane prete e con il mio confessore a Erfurt): con un'interazione tra scuola e parrocchia (Roma, Armenia, Dolomiti, Juventusfest...), con la preghiera eucaristica e i vespri del martedì, con l'aiuto per i migranti, etc. sono stati toccati tutti i punti nodali della proposta di CL, come li intende don Giussani.
Il gruppo a cui devo più di tutti in questi anni sono "I contadini di Peguy" ed in modo particolare alcune persone che stanno all'inizio di questa esperienza. Ad alcune persone, con una storia particolarmente difficile, mi sono affezionato e cerco di essere presente nella loro vita. Ed ho seguito molto da vicino le proposte di don Carrón.
(16.6.21) "E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste" (Mt. 23,9)
Questo post fa vedere tutta la serietà con cui ho preso la persona e la missione di don Julián Carrón. Credo che sia anche una delle persone che abbia compreso in modo più preciso l'attuale nichilismo come perdita di ogni evidenza, in primo luogo l'evidenza della gratuità dell'amore divino, il primerear di questo amore, con ricadute morali, giuridiche fatali. Allo stesso tempo mi sono permesso di criticare una certa incoerenza nel governo di CL e poi alcuni degli esempi che spesso fa e che sono per me troppo auto-celebranti CL.
Se ho capito bene il decreto del Dicastero per i laici del 11.6.21, che non riguarda solo CL, né soprattutto CL, sembra che la Chiesa gerarchica, la nostra madre (Ignazio di Loyola), ritenga necessario non superare i dieci anni alla guida di un'associazione. Una delle obiezioni che vengono fatte e che in un percorso sinodale, necessario per tutti, può essere fatta e che un "padre non si cambia". Spesso, però, nell'uso della parola "PADRE" vi è una flagrante contraddizione con Mt 23, 9. Gli altri padri, lo sono solo a livello "rappresentativo" per la maggioranza delle persone.
Per quanto riguarda la nostra storia ritengo che in tante comunità, per un periodo troppo lungo, siano sempre le stesse persone che guidano e questo crea una situazione catastrofale di credibilità (identità, missione...). Vale di meno per le persone che guidano bene, ma vale anche per loro. Chi guida deve sapere, non in teoria, che guida come servizio e per grazia - cosa questa che don Carrón sa molto bene. Guida per obbedienza (vedi la lettera che don Carrón ha scritto come risposta a questo documento). Guidare significa ascoltare di più che solo parlare. Per un ascolto reale non deve essere cambiata solo la vetta della guida, ma anche tutto un tessuto di guide, che deve essere rinnovato da un atteggiamento dell'ascolto (il Signore chiama le singole persone, non le masse) e della presenza umile; chi guida deve obbedire lui stesso e per noi cattolici in ultima istanza si tratta dell'obbedienza al papa (mentre spesso noi facciamo delle sue parole dirette o indirette un gossip). Credo che sia necessario sia un'obbedienza a Pietro sia un radicale percorso sinodale all'interno di CL (ma non solo ovviamente) in cui anche chi per motivi "buoni" è caduto in disgrazia o viene dimenticato nelle periferie possa esprimersi, liberamente!
Una presenza ecclesiale che non sia immagine della bonitas e della pulchritudo divine non è credibile, non è educativa, né formativa di spiriti liberi ed obbedienti, di discernimento concreto.
Auguro al "Decreto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, Le associazioni di fedeli che disciplina l'esercizio del governo nelle associazioni internazionali di fedeli", etc. di essere l'inizio di un reale percorso sinodale all'interno della mia amata fraternità di Comunione e Liberazione: Auguro la stessa cosa anche alle altre associazioni.
(18.4.21) Per il motivo spiegato ieri e che ha trovato, con mia sorpresa, tanto motivo di "vicinanza" alla mia persona, di cui sono grato, ho ricevuto le due lezioni del Sabato, dall'amico, che a sua volta mi ha sorpreso con questo gesto di amore gratuito. Con questo suo gesto di dono gratuito dei suoi appunti ho sentito più vicina la "compagnia vocazionale" come "luogo della speranza" di cui ha parlato don Carrón nella lezione del pomeriggio. Gli appunti del mattino erano oggetto di dialogo e silenzio nella lunga camminata di ieri con mia moglie, che con i miei figli è da tantissimi anni "compagnia vocazionale". Non faccio ora una sintesi di una sintesi, ma cerco di mettere in pratica quello che ha detto ieri don Carrón, le domande devono essere poste e non si deve censurare nulla.
Passeggiando ieri abbiamo incontrato un primo "imprevisto" (lezione del mattino): le viole con i loro diversi colori; certo ci si può immaginare che vi siano le viole ad aprile o a maggio (canzone di Mozart: "Komm lieber Mai und mache"), ma l'altro giorno ha nevicato e le viole erano coperte. E poi l'incontro con le viole vere, non con la nozione delle viole, è sempre una sorpresa. Il molteplice con i suoi colori provoca in noi una sorpresa di gioia, come l'imprevista telefonata di mio figlio, in cui la vocazione si sta facendo spazio pian piano nei suoi piani.
Mi ha ha fatto grande gioia anche il fatto che Don Carrón abbia citato l'articolo dell'Osservatore di Lucio Brunelli: "Le chiese vuote e la fantasia di Dio" (https://www.osservatoreromano.va/it/news/2021-04/quo-081/le-chiese-vuote-br-e-la-fantasia-di-dio.html?fbclid=IwAR2ElOJANClJm6wbgJb6pmj4oRxGJ9ITWIo97vG3_YFuRxFIx1S93SlBSUk); con le parole dell'amico che mi ha mandato gli appunti il punto che ha interessato don Carrón era: "chi ha che fare con i giovani sa che non c'è nessuna spinta inerziale verso la fede cristiana. La verità della fede non è una promessa ovvia". Un altro amico commenta in Facebook questo stesso articolo, mettendolo in correlazione con la grandiosa predica che il frate cappuccino, cardinal Cantalamessa ha tenuto il Venerdì Santo: L'articolo di Lucio Brunelli, che ha avuto forte eco sia qui (nel gruppo "Contadini di Peguy"; che in generale nella Chiesa, nella prima parte dice, con grande senso di misericordia, la stessa cosa di Cantalamessa. Riporto una frase:"Ha ragione Pier Giorgio Gawronski: di fronte all’entità di questi fenomeni, la dialettica fra “conservatori” e “moderni” nel cattolicesimo appariva ed appare come una cosa risibile, priva di vera rilevanza fuori dagli ambienti ristretti dei militanti o dai mondi fittizi del web («Le chiese vuote e l’Umanesimo integrale», «L’Osservatore Romano», 22 febbraio 2021)."Cantalamessa è più duro. Se per un giovane è una cosa risibile, per un cardinale è un vero tradimento, un peccato.Però poi Lucio dice anche come i suoi (e nostri) maestri hanno tracciato la via per cui la Chiesa è sempre uscita dalle crisi. E' la via dell'"expertus potest credere". La via di una fede che non attinge a battaglie culturali, che non si poggia, o addirittura fonda, su posizioni politiche. Quando guardo il mio nipotino gattonare a fatica ma con entusiasmo per raggiungere un giocattolo colorato dall'altro lato della stanza, mi ricordo di come nasciamo con il desiderio di conoscere e di capire. Un desiderio che noi attribuiamo alla stessa natura della creazione umana. L'incontro gratuito con Cristo avviene e permane a questo livello del desiderio oppure si svuota. Lo scontro politico vissuto con acrimonia, la ricerca spasmodica dell'ultimo nemico da combattere nascono invece ultimamente dalla frustrazione di quel desiderio. L'odio nasce da un amore deluso. Nasce dal desiderio insoddisfatto."
Quanto dice qui questo amico è stata negli ultimi anni una grande obiezione per me, per vedere nella nostra "compagnia vocazionale" un "luogo di speranza" - ho visto spesso in essa un luogo di scontro tra posizioni. Se questa compagnia vocazionale è sparsa in tutto il mondo è assolutamente necessario prendere sul serio quello che ha detto teo-drammaticamente il cardinal Cantalamessa nella predica citata:
La fraternità cattolica è ferita! La tunica di Cristo è stata fatta a pezzi dalle divisioni tra le Chiese; ma – quel che non è meno grave – ogni pezzo della tunica è spesso diviso, a sua volta, in altri pezzi. Parlo naturalmente dell’elemento umano di essa, perché la vera tunica di Cristo, il suo corpo mistico animato dallo Spirito Santo, nessuno la potrà mai lacerare. Agli occhi di Dio, la Chiesa è “una, santa cattolica e apostolica”, e tale rimarrà fino alla fine del mondo. Questo, tuttavia, non scusa le nostre divisioni, ma le rende più colpevoli e deve spingerci con più forza a risanarle.
Qual è la causa più comune delle divisioni tra i cattolici? Non è il dogma, non sono i sacramenti e i ministeri: tutte cose che per singolare grazia di Dio custodiamo integri e unanimi. È l’opzione politica, quando essa prende il sopravvento su quella religiosa ed ecclesiale e sposa una ideologia. È questo, in certe parti del mondo, il vero fattore di divisione, anche se taciuto o sdegnosamente negato. Questo è un peccato, nel senso più stretto del termine. Vuole dire che “il regno di questo mondo” è diventato più importante, nel proprio cuore, che non il Regno di Dio.
Credo che siamo chiamati tutti (!!! : anche io;RG) a fare su ciò un serio esame di coscienza e a convertirci. Questa è per eccellenza l’opera di colui il cui nome è “diabolos”, cioè il divisore, il nemico che semina zizzania, come lo definisce Gesú nella sua parabola (cf. Mt 13, 25).
Vivo da quasi vent'anni nella diaspora (due percento di cattolici) e dopo tanti anni è nata una compagnia vocazionale in parrocchia, del tutto imprevista (insomma quei fatti nella vita ordinaria della Chiesa di cui parla Lucio Brunelli) siamo in quattro, che il martedì alle 18 si incontrano: una piccolissima fellowship, che non ha il nome dei gesti del Movimento: un giovane sacerdote, il parroco, mia moglie ed io ci incontriamo per vespri, Santa Messa, adorazione eucaristica, pizza e risate (qualche volta si parla di cose teologiche, ma leggendo in questi giorni una meditazione del cardinal Marc Ouellet sull'adorazione eucaristica mi sono reso conto di quanto noi con questo gesto siamo nel cuore trinitario di Dio). Io ho portato il parroco ai gesti ufficiale del Movimento, ma di fatto nessuno ha saputo integrarlo, perché è un po' "strano"; cioè il fatto che e strano è un criterio più importante di quei criteri ecclesiali di cui parla don Carrón a suo modo e il cardinal Cantalamessa nel suo. E per mia moglie la i gesti ufficiali della nostra compagnia vocazionale sono solo "parole, parole". Certo vede anche lei in alcune persone o momenti di persone (lezione del pomeriggio) uno sguardo diverso, ma tutto sommato per lei non è un concreto luogo di speranza e poi non essendo online attiva, lo è ancora meno che per me. Per la sua attività di "mamma" dei propri figli e di ragazzi a scuola è a volte così stanca che non riesce a stare neppure sveglia, come sanno gli amici che hanno fatto le ferie con noi. Le lunghe passeggiate dell'estate scorsa - il covid ci aveva impedito di viaggiare - sono state per lei e per me davvero luogo di speranza, in cui l'attività fisica, di silenzio e di preghiera ha sconfitto anche la stanchezza.
Poi ci sono alcune persone che si confidano con me e che non hanno per nulla trovato nella nostra compagnia una reale aiuto per le loro situazioni drammatiche, piuttosto discussioni, parole e a volte "parole offensive". Non sono stati un aiuto per quell'assenso reale e senza condizioni di cui parla san John Newman nella sua "grammatica dell'assenso".
Eppure con don Carrón vorrei confessare e lo posso "realmente", non solo come "nozione da ripetere", uso le parole degli appunti dell'amico: "C’è un bene più prezioso di qualsiasi altro bene, la certezza che il Signore mi sta davvero cambiando. La tua grazia vale più della vita. Il miracolo che sta accadendo in me”. Mi sta cambiando per esempio con la traduzione in italiano dell'ultimo libro di Ferdinand Ulrich: Virginitas foecunda, ma anche nel dialogo con le persone che mi sono "prossime" e a cui io spero di essere "prossimo". Don Carrón ha detto nella lezione del pomeriggio: "Il luogo della speranza. La fede in Dio non ha risparmiato al popolo di Israele le prove. Esempio - esilio in Babilonia, fece perdere i i loro doni: terra, monarchia, tempio. Lì si vede la differenza tra il Dio di Abramo e gli dei. Gli altri popoli abbandonavano il loro dio a causa dell’esperienza della sconfitta. Perché Israele no? Non gli ha risparmiato l’esilio e sono rimasti attaccati lo stesso. A causa della speranza che suscita... “non tremiamo se trema la terra, se crollano i monti sul fondo del mare”. Perché c’è la santa dimora dell'Altissimo. Questa dimora è per loro il luogo della speranza. Nell’annuncio Cristiano è un uomo. “Sono io, non abbiate paura” dice il Vangelo di oggi. Come rimane Lui? Cristo ha scelto la compagnia. Con un capo, Pietro. “Sono in un luogo dove la speranza ci tiene per mano. Non mi saprei darmi da sola né certezza né speranza”. Una infermiera: “Il grido di fatica, mi sono trovata stanca, ma non disperata” abbiamo bisogno di un luogo dove tornare. L’avvenimento di Cristo permane nella storia attraverso la compagnia dei credenti. Don Gius: “c’è un luogo in cui Cristo è presenza continua, fonte inesauribile della speranza. La compagnia vocazionale. Messi insieme dalla Spirito” (circa...). La cuoca venezuelana. La speranza c’è, l’incontro ... più pronta ... a dire si." (Appunti dell'amico)
Io non ho altro da aggiungere, se no che non dobbiamo ridurre queste cose a pura "forma": come vi è una comunione spirituale, quando non si può partecipare a quella fisica, vi è anche un'appartenenza "spirituale" che ha volte non viene integrata nei gesti ufficiali e di queste "testimonianze spirituali" dovrebbe occuparsi anche "Tracce", se davvero si vuole prendere sul serio il "nulla deve essere censurato" di Don Carrón. Buona domenica e un grazie particolare all'amico che mi ha mandato gli appunti.
(17.4.21) Gli Esercizi della Fraternità sono stati e sono per me sempre il momento più importante per la mia appartenenza alla fraternità stessa e così a Cristo. Quest'anno per via di un'acufene non posso partecipare alle lunghe sedute zoom, che già viene usato troppo per la quotidianità, per cui posso partecipare ad essi per il momento, fino a quando non uscirà il volumetto ufficiale, attraverso gli appunti di un amico e questi sono ovviamente solo i "suoi" appunti. Ed attraverso il silenzio in me.
Mi giunge l'annuncio pasquale: Cristo ha vinto la morte, ma ciò non elimina la nostra libertà. Mi giunge l'invito a non censurare nulla (come cerco di fare in questi miei quaderni ciellini), a prendere sul serio i fatti, l'esperienza, anche l'esperienza della Pandemia: peggio di essa vi è solo lo sprecare la sua venuta come domanda a noi. Mi giunge l'invito a non contentarsi delle soluzioni "seconde": la speranza terrena che vada tutto bene, la solidarietà, il vaccino.
Mi giunge la proposta di prendere sul serio il senso religioso, cioè il fatto che noi stessi siamo domanda di senso. Di non ridurre la vita in attivismo (anche all'interno del Movimento).
Sono stati citati alcuni autori. Bernanos: distrazione come dissociazione da noi stessi, come fuga da noi stessi. Quindi una critica del desidero di ritornare alla normalità, come fuga da noi stessi. V. Grossman: la tentazione di non prendere sul serio la novità che ci spezza le ossa. S. Weil: i beni più cercati vanno attesi.
Infine l'invito a prendere sul serio il desiderio del mare e non rimane nel porto sicuro: "Il Signore punisce chi non rischia. Giocare la partita del vivere. Prendere sul serio la nostra esigenza di pienezza. Prendere sul serio l'affezione a sé", riassume il mio amico.
Il Mistero bussa alla nostra porta! Cerco di farlo entrare, anche in questo modo di vivere gli Esercizi non in diretta, ma prendendo sul serio "il silenzio". Anche questa mia breve riflessione nasce dal silenzio.
(15.4.21) Tracce, la rivista di CL, contiene sempre qualcosa di buono; ieri ho segnalato in Facebook per esempio questo:
"È scomparso l'uomo vecchio, inchiodato alla croce: lui è diventato una creatura nuova, liberata dal quel desiderio di perfezione che la soffocava, liberata da quegli sforzi incessanti. Si domandava di come poter smettere di guardare sempre a sé, è scopre che è semplicissimo: basta guardare a qualcos'altro, guardare quel #Cristo che lo ama. ... La #rivoluzione è di una semplicità estrema, ma totale".
(14.4.21) (Ho scritto ad un'amica che aveva pubblicato in Facebook, nel gruppo dei Contadini, una frase di don Giussani dal libro di Savorana sul primerear - Cristo - di don Giussani stesso; era il 1968): Io non ho dubbi su lui (Don Giussani) personalmente. Mi chiedo se non avrebbe dovuto alla fine della sua vita avere il coraggio di chiudere di nuovo tutto per ricominciare di nuovo da Uno come aveva fatto nel 68 (ma forse era troppo malato e lo ha fatto nella malattia come offerta di sé). E un po' lo ha fatto pubblicamente scegliendo uno spagnolo come suo successore. Ed io stimo molto don Julián, ma credo che sia troppo filologicamente e psicologicamente legato ad una ricostruzione del passato di don Giussani, per cui aveva messo tutto in discussione; ma credo che anche oggi bisogna rimettere tutto in discussione, come ci ha chiesto il papa nel marzo del 2015: decentrandoci dal carisma (come figli e non allievi di don Giussani) e questo non accade, ma forse mi sbaglio. E poi infine Savorana non è del tutto credibile; ha scritto tanto, troppo, è informatissimo, ma alcuni punti nodali sono rimasti senza alcuna luce ed in primo luogo che don Giussani non è un eroe solitario, etc.
Grazie Cristina. Si io credo di essere d'accordo su tutto. Per sconfiggere questo che chiami un"borghesismo naturale" ho cominciato un lavoro sull'antologia appena uscita con la prosa di Peguy (Il fazzoletto di Véronique), a cui è dedicato questo nostro gruppo. Credo che il libro di Massimo Borghesi su Giussani e il primo sulla via intellettuale di Bergoglio offrano tutto il necessario per comprendere l'essenziale del primerear che interessava anche a don Giussani. Ma io vedo che le persone che mi affascinano del Movimento di fatto non hanno nessun compito nel Movimento stesso e credo che pur con tutto il grande lavoro di Don Carrón (in modo particolare con i giovani) dal Movimento non uscirà alcun frutto speciale per la Chiesa e per il mondo. Spero di sbagliarmi, ma per me è così. Non esco dalla fraternità, perché non si lascia la nave che affonda e che affonda mentre chi guida pensa che tutto va bene. Io non vedo né in Italia né in Germania qualcosa che davvero mi colpisca nel cuore (anche se ci sono ovviamene azioni buone e sensate come il banco alimentare, Support International in D...). Si citano solo intellettuali che dico bene di CL, ma di fatto se si parla con la gente che in CL ha bisogno, si ha tutto un altra vista del tutto. E io penso che la santità non si gioca auto-glorificandosi e neppure in un lavoro filologico sul solo Giussani, perché il solo Giussani non interessava neppure a Giussani. Necessario è quel barlume di amore di cui ho parlato questa mattina nel gruppo chiuso dedicato ad Adrienne.
(10.4.21) È vero che poche altre persone come don Julián Carrón hanno capito come il nulla sia in continua dilatazione, ma credo che spesso CL (ed anche il presidente della fraternità) pensi di essere talmente la risposta a questa "lotta senza quartiere col nulla" (La generazione dell'affezione a Cristo, Triduo pasquale degli universitari, Aprile 2021) che dimentica quella che Ignazio chiama l'indifferenza. Non è mai detto che la nostra risposta sia "la" risposta", perché di fatto solo Cristo è la risposta e lui a volte tace.
Nell'incontro tra Balthasar e Giussani, che mi ha generato, c'era in gioco l'indifferenza, ma ad un certo punto penso che Giussani si sia spaventato di ciò che Balthasar indirettamente gli chiedeva e che è quello che il Papa ci ha chiesto il marzo del 2015: dobbiamo decentrarci dal carisma. L'attrito che c'è stato alla fine della vita tra Giussani e Balthasar (purtroppo non documentato a sufficienza) è stato ricomposto in cielo, perché in cielo vi è solo "communio sanctorum". E i santi guardano a Cristo e non a loro stessi. Tanto più che Giussani stesso, come mi dicono chi lo ha conosciuto personalmente, "non richiamava a se, ma alla semplicità dell'origine cristiana, negli ultimi anni mi è stato più evidente" (mi scrive un amico). Quando nel 2010 pregai sulla tomba di von Balthasar mi fu interiormente chiaro che i due ora in cielo erano del tutto d'accordo (mi riferisco all'attrito di cui parlo), il mio ritorno nella fraternità era animato dal desiderio di testimoniare ciò, ma questa testimonianza di fatto non interessa a nessuno (o quasi) e va bene così, perché anch'io devo imparare l'indifferenza. Una persona della fraternità tedesca, con l'intenzione di farmi un complimento, mi ha scritto per il mio compleanno, che io sono un "ribelle", ma questo non è per nulla vero. Sono rimasto semplicemente fedele ad un'intuizione: come Adrienne von Speyr, Hans Urs von Balthasar e Ferdinand Ulrich si trovano in un'unità, Luigi Giussani ne fa parte con il meglio di se stesso, quello che lo ha portato ad essere una farfalla-testimone fino in Giappone. Il piccolo amico di Gesù non è un professore che parla solo bene di CL, ma ve ne fa parte con una piccola missione: quella di ricordare che senza l'indifferenza ignaziana e senza l'amore gratuito di cui spesso parlo e che è un altro nome per il primo termine, Cl diventa un partito ecclesiale da cui non nascerà nulla di realmente fecondo, anche se ora tutti penseranno che io sono pazzo o ribelle a pensare così; ma in vero è solo "obbedienza amorosa". Anche quella che il cardinal Cantalamessa ha chiamato l'opzione politica come criterio ultimo che porta zizzania nella chiesa è espressione di questa mancanza di indifferenza e non è per nulla un caso che CL ne sia infettata anche oggi così gravemente. Comunque la speranza è l'ultima a morire.
(22.3.21 Sul volantone di Pasqua) La frase di don Giussani che ci viene proposta è molto bella ed è vero che noi abbiamo bisogno di una "certezza" - per questo motivo ho cominciato a studiare la "grammatica dell'assenso" di San Newman. Ed è anche vero che la risurrezione è una conferma che la realtà è qualcosa di positivo, in un certo senso una conferma sorprendente, non deducibile dalla nostra ragione, ma verificabile da essa. È anche vero che l'alternativa alla risurrezione è il nulla nichilista (vi è anche un nulla amoroso). Cristo, però, grazie a Dio non può essere ucciso dal nulla nichilista ed è presente, in modo particolare nei suoi santi, in tutta la storia. E sia gli individui, che i gruppi che la storia nel suo insieme possono far esperienza di questa presenza. Infine è vero che questa esperienza è quella di un "radicale cambiamento", di una "radicale conversione", come quella accaduta a Giovanni ed Andrea o a Pietro (cfr. Immagine).
Allo stesso tempo credo, però, che questo radicale cambiamento è solamente quello dell'amore umsonst (gratis et frustra) e non ha mai caratteri trionfalistici o di proselitismo ed a volte per vederlo bisogna stare molto attenti, perché il successo non è uno dei nomi di Dio, come ho spesso ricordato. Poi bisogna specificare che anche dopo il radicale cambiamento rimaniamo peccatori e uomini, che non agiscono sempre per grazia...
Anche la contrapposizione tra pensiero e avvenimento non è sempre di aiuto. Dire che Cristo è presente come avvenimento e non come pensiero, aiuta solo fino ad un certo punto, perché questa preposizione che lo afferma, è anche in un certo senso solo pensiero, espresso da una preposizione, che può essere ripetuta anche come pura nozione. Newman su questo punto è di grande aiuto: l'assenso reale ha una sua priorità su quello nozionale, come quello religioso lo ha su quello teologico (vedi mio post di ieri su Newman), ma è vero che anche il pensiero è di grande aiuto, perché il presupposto assenso reale non sia un'intensità senza contenuti.
(16.03.21) Con ragione nel Movimento si insiste in questi tempi sulla questione educativa come risposta alla crisi nichilistica in cui ci troviamo. Faccio parte del mondo dell'educazione da una vita e negli ultimi 20 anni in una delle regioni pie secolarizzate del mondo, la Sassonia-Anhalt. È del tutto vero che "in una società come questa non si può creare qualcosa di nuovo se non con la vita" (Don Giussani, citato in Tracce, 3/20021); non basta un'istituzione, bisogna in mettere in gioco la vita; questo, però, significa che l'opera di Cristo nel mondo, la vittoria sulla morte e sul male, non accade se certi gesti di un'istituzione, neppure della nostra, vengono fatti o meno. In questo venti anni ho cercato qui di proporre Lodi, scuola di comunità e vacanze estive, ma i risultati che si vedono sono pochi (non niente, ma pochi). Un battesimo in venti anni. E io credo che si ci fosse stato don Giussani qui, con quel suo di più in santità, in carisma, in intelligenza non avrebbe avuto il "successo" che ha avuto in Spagna o in Italia. Comunque il mio incontro con Balthasar mi ha spiegato una volta per tutte che il "successo" non è uno dei nomi di Dio; è vero che dovrei essere più santo, più buono, più intelligente, più carismatico, ma ciò non cambierebbe probabilmente nulla sul piano visibile: perché la vera vittoria sulla morte e sul male è un semplice atto di amore gratuito - e gratis in tedesco, umsonst, significa gratis et frustra! Non è male che ci siano delle case di "Memores Domini" in Baviera, ma sarebbe un grade dono se c'è ne fosse una a Lipsia, con persone vere e discrete e che non si aspettino che appena arrivati loro fioriscano scuola di comunità, caritativa e gruppi di preghiera. Sarebbe bello se ci fossero come presenza senza pretese di alcun genere. Da vent'anni ci sta un famiglia, senza pretesa e in un certo senso senza giudizio sugli altri: la mia, per grazia.
(15.02.21, nella notte)
(La lettera che ho pubblicato oggi sul libro di Robi Ronza che mi hanno mandato nasce dal desiderio di non parlare male di nessuno, come ci ha chiesto il Santo Padre per la quaresima che nel rito romano comincia dopo domani. Ma tra il parlar male e il giudizio che uno ha sulle cose, in forza di un discernimento degli spiriti, c'è una grande differenza. In vero questo libro di Ronza non mi piace, come non mi piace la prefazione di Cesana, per motivi che ora non voglio spiegare, ma che si riassumono in una sola parola: disobbedienza. Certo essendo intellettualmente curioso le cose che ho detto nella lettera sono vere, ma non credo che in un simposio - se non con rare eccezioni - si possa vivere la vicinanza, la tenerezza e la compassione che il Santo Padre ci consiglia da qualche giorno con grande calore umano, fino a far ripetere queste tre parole alla gente in piazza, domenica all'Angelus. Non c'è dubbio che don Giussani sia stato un grande uomo, come ve ne sono alcuni nel XX secolo, e come ci sono alcune grandi donne. Eppure questo tentativo di separare Giussani dal Movimento, perché di fatto ed in ultima istanza, di questo si tratta è una cosa del tutto pericolosa. Certo bisogna decentrarsi dal carisma, ma non facendo diventare il don Giuseppe un oggetto di studi di simposio (per quanto quello di Lugano sembra essere stato buono). In cosa è grande questo uomo? Nel modo con cui parla di sua mamma, nel modo in cui ha sopportato le malattie e le disobbedienze del Movimento. È grande per le sue amicizie e per il suo amore per Pietro e in primo luogo per il suo amore per Cristo che ci educa al senso religioso (senso ultimo di misericordia e giustizia) e non viceversa. Ci sono alcuni uomini e donne anche nel XX secolo per cui Gesù era tutto e per cui hanno subito tante "nullificazioni", sono passati attraverso quel fuoco che è l'amore gratuito. Per cui la Chiesa è davvero una vita, l'unica vita per cui hanno impegnato tutto se stessi e per cui sono stati disposti a morire, perché la Chiesa è la continuazione dell'amore di Cristo oggi. Guerre contro la secolarizzazione, contro le canzoni dei Beatles, tanto per fare un esempio, possono avere interessato Giussani kata sarka, ma certo non nel suo cuore curioso di tutto. Quando qualche tempo fa ho pregato con alcune persone una novena a don Giussani per un uomo che stava morendo, padre di quattro bambini ho sentito un legame con lui, lo stesso che ho provato nel 2010 alla tomba di von Balthasar, quando avevo perso molto di ciò che mi premeva, in primo luogo il mio amato padre confessore. Io sono l'ultimo in CL, ma questa vicinanza con il don Gius non me la toglie nessuno. Come spero che nessuno mi tolga la mia amicizia con Gesù, nemmeno il mio peccato.)
(15.2.21)
Caro (...), grazie di avermi fatto leggere il volume di Robi Ronza su Giussani; mi è piaciuto molto il capitolo sul convegno di Lugano e sui rapporti di Giussani con Guardini (Zappa-Scholz) e Balthasar (Jerumanis) e de Lubac (Servais). Molto bello anche che prenda sul serio il testo di Borghesi, che insiste molto sull'attrazione di Gesù (come del resto Benedetto XVI e Papa Francesco). Ulrich mi aveva detto che lui sentiva molto vicine le cose che aveva scritto don Giussani sul "senso religioso" e aveva addirittura pensato di tenere un corso sulla traduzione tedesca appena uscita allora del "senso religioso" in uno dei suoi ultimi semestri nell'università di Regensburg. La filosofia di Ulrich stesso è un tentativo di annunciare Cristo in modo filosoficamente stringente. Mi piace molto anche la discrezione di Giussani, meno il fatto che se ne faccia un guru indiscutibile, tendenza questa anche un po' presente in Ronza, ma questo si capisce vista la sua affezione personale personale per il prete della Bassa (anch'io faccio lo stesso con Ulrich). Personalmente credo che CL dovrebbe confessare alcune sue colpe con più precisone (e la mia fonte non sono i giornali, ma persone che hanno sofferto molto in CL) e parlarne in modo meno apologetico, ma detto questo molto di quello che ho letto fino ad ora rende il volume di Ronza molto interessante. Tuo, Roberto
PS Ancora una nota al margine: è vero che Erasmo non ha saputo rispondere alla sfida di Lutero e che con Pico della Mirandola ciò sarebbe stato possibile, ma Lutero deve essere integrato nella Catholica - le stupidaggini che si dicono su di lui in Italia, anche nell'ambito di CL, sebbene il fondatore abbia lavorato sul serio sul protestantesimo americano, sono immondizia.
(8.2.21)
Caro (...),
Leggo sempre con grande profitto il tuo "filo rosso" nella "Scuola di Comunità". Tu sei (non solo tu) questa persona concreta, che mi permette di mantenere un legame storico con la forma specifica dell'insegnamento di CL. Anche Bruno è qualcosa del genere - solo che egli continua con insistenza a portarmi da Papa Francesco. Ma ancor più lo è mia moglie - quando ho sentito don Julián parlare di educazione, ho pensato che quello che dice nel video e che tu hai tradotto in tedesco (l'ho ulteriormente postato anche nella pagina Facebook di CJD, anche se cita un po' troppo i papi per il mio contesto evangelico e ateo), proprio questo, lo vedo compiersi ogni giorno davanti ai miei occhi: qualcuno che non fa scuola solamente secondo ciò che richiede la "legge", ma molto personalmente introduce tanti bambini a tutta la realtà. E quando prego il rosario con Konstanze, vedo l'intimità che ha con il Signore e con Maria. Un'altra persona molto concreta è don Tober, che è così aperto al nostro carisma: il modo in cui accompagna i morenti e i vivi è proprio quello che tu scrive nel tuo filo rosso:
"L'essenza del carisma di Comunione e Liberazione si potrebbe riassumere così: Vogliamo proclamare con passione e meraviglia che Dio si è fatto uomo e che quest'uomo è presente nel "segno" dell'unità, comunione, communio, l'unità di questo popolo. Solo in Dio incarnato, solo nella sua presenza, e quindi solo attraverso qualsiasi forma assuma la sua presenza, l'uomo può essere uomo e l'umanità umana. Questa è anche la fonte della moralità e della missione".
Certo, il confronto con i testi di don Giussani non avviene in lui tanto, perché è un uomo che può arrivare ai testi, solo attraverso persone concrete.
Ho sempre detto che ciò che mi ha "generato" è stata l'amicizia tra Balthasar (che significa anche un rapporto stretto con Adrienne e Ulrich, con padre Servais e Adrian) e Giussani: quando molti anni fa parlai con Angelo Scola e gli chiesi se potevo avere un posto nella Fraternità con la mia storia, lui disse di sì. E poi ho fatto quel passo perché il carisma mi corrispondeva. E credo anche di la responsabilità personale dell'esistenza o dell'affondamento del Carisma: altrimenti non si capirebbe perché le persone che sono in questa storia cercano il mio consiglio: spesso hanno problemi enormi con il personale di terra del Carisma sul territorio in cui vivono, ma irradiano solo questa appartenenza specifica come quella che è decisiva per la loro persona, anche quando sono malati o quando si trovano di fronte a problemi che sono più grandi delle loro capacità.
Do la mia vita per l'opera di un altro? Non voglio giudicare io stesso; sono a volte forte, a volte malato (stanco, instabile...), ma LUI che vede nel mistero vede e prega per la mia obbedienza finale.
Anche il mio amore per papa Francesco, che come nessun altro (a parte don Julián) ha preso totalmente sul serio il confronto con don Giussani, è in definitiva forma della mia obbedienza. E lo stesso vale quando dico (ripeto quello che ci ha detto il Papa nel marzo 2015) che dobbiamo "centrarci" non nel carisma ma in Cristo.
In Domino et Maria, Roberto
Tradotto con www.DeepL.com/Translator (e rivisto da me)
Lieber (...),
"Das Wesen des Charismas von Comunione e Liberazione könnte man so zusammenfassen: Wir wollen leidenschaftlich und voll Staunen verkünden, dass Gott Mensch geworden ist und dass dieser Mensch gegenwärtig ist im „Zeichen“ der Eintracht, der Gemeinschaft, der communio, der Einheit dieses Volkes. Nur im menschgewordenen Gott, nur in seiner Gegenwart und daher nur durch die wie auch immer geartete Form seiner Gegenwart kann der Mensch Mensch und die Menschheit menschlich sein. Das ist auch die Quelle der Moral und der Mission."
Freilich der Vergleich mit den Texten von Don Giussani findet in ihm nicht so sehr statt, weil er ein Mensch ist, der zu den Texten, nur durch konkrete Personen kommen kann.
(31.1.21) Quando nella sdc si parla, come attualmente, del carisma, a me viene sempre il sospetto che vi sia una disobbedienza di fondo a ciò che ci aveva chiesto il Papa il marzo del 2015 ed anche l'immagine del carisma come finestra da cui guardare tutto non mi convince. Perché noi possiamo guardare tutto solamente da quel primerear che è l'amore gratuito di Dio che dona anche il carisma. Mi sono chiesto nel gruppo dei "Contadini di Peguy" (Facebook) come mai il carisma di Cl genera persone grandiose come don Pigi, ma anche fondamentalmente disobbedienti come Mons. Negri (questo nel gruppo non lo ho detto esplicitamente) e come quei tanti che ritengono il Papa un eretico o per lo meno uno di cui si può fare a meno, perché avrebbe cambiato la Chiesa. Alcune persone (Cristina Ghezzi, Luciana Gianni, Rossella Viaconzi, Giovanni Breda...) hanno risposto in modo molto interessante ed adeguato, ma non credo che si sia arrivati al punto di fuoco (forse chi ha parlato di testimonianza ci è arrivato molto vicino: il testimone non parla di sé, ma dell'Altro/altro). È il punto per me è il primerear dell'amore gratuito di Cristo: solo esso è "casa" e lo si deve far diventare realtà in ogni momento. Quindi è necessario un reale decentramento dal carisma, per mettere Cristo al centro. È vero che per un certo stile ecclesiale si ha una preferenza, ma se incontrando me non si incontra l'amore gratuito di Cristo, allora l'incontro si è (pseudo) istituzionalizzato in modo sbagliato; l'istituzione non è più concretezza dello Spirito Santo, ma un suo sostituto, per cui si rimpiange sempre il fatto che una guida (del Movimento o della Chiesa) non sarebbe più come era una volta. Etc.
(13.1.21) Ricevo regolarmente l'invito alla sdc da un amico in Germania, che ne ha fatto un buon riassunto per i partecipanti. Un tema importante della sdc attuale è che l'appartenenza a Cristo è appartenenza a concreti volti che abbiamo incontrato. Poi si parla della "casa" e del "monastero" - sto ritraducendo in italiano dal tedesco. Nella casa di una famiglia, o nella casa dei Memores o in un convento le persone ci sono date per ricordarci Cristo concretamente. Infine si parla della "verginità" come consiglio anche per le famiglie. Ho parlato a lungo ieri, camminando in un bosco, di questi temi con mia moglie. All'amico che reagiva ad una email di ringraziamento da parte mia ho risposto nel seguente modo, ne faccio anche una traduzione in italiano:
Was ich begegnet bin war aber nicht CL pur, sondern die Freundschaft zwischen Balthasar und Giussani und an die bin ich immer treu geblieben (auch in der Zeit, in der ich der Kirche fern war: 1980-1987); dann kam die Freundschaft zwischen Ulrich und Balthasar. Mein Eintritt in der Fraternität ist glaube ich vom Himmel gewollt, aber das ist auch Frucht einer Freundschaft der Communio sanctorum und nicht einer einzelnen Person. So kann ich überhaupt nicht denken und sentire, aber ich habe mich immer bemüht auch einigen konkreten Menschen, die mir begegnet sind auch treu zu sein. Und mit don Carrón fühle ich mich besonders einig. Und was ich mit Konstanze erlebe ist gerade die Konkretisierung von dem, was du und der SdG „Haus“ nennt. Jetzt mit 60 bin ich vielleicht mehr bescheiden geworden in der Verwendung von Worten wie „Jungfräulichkeit“, aber in der Tat denke ich wie Pater Klein SJ, dass wir alle jungfräulich werden sterben müssen und hoffentlich auch wollen.
Quello che ho incontrato non è stato CL allo stato puro, ma l'amicizia tra Balthasar e Giussani, alla quale sono sempre rimasto fedele (anche durante il periodo in cui sono stato lontano dalla Chiesa: 1980-1987); poi è arrivata l'amicizia tra Ulrich e Balthasar. Il mio ingresso nella Fraternità è, credo, voluto dal Cielo, ma è anche il frutto di un'amicizia del Communio sanctorum e non di una sola persona. Non riesco a pensare e sendire in questo modo, ma ho sempre cercato di essere fedele ad alcune persone concrete che ho incontrato. E con don Carrón mi sento particolarmente unito. E quello che sperimento con Konstanze è proprio la concretizzazione di quella che tu e la sdc chiamate "casa". Ora, a 60 anni, sono forse diventato più modesto nell'uso di parole come "verginità", ma in realtà, come p. Klein SJ, penso che tutti noi dobbiamo e speriamo vogliamo morire vergini.
Il commento non ha nessun intento polemico, ma è semplicemente un tentativo di appropriarmi di ciò che ho colto nella sdc. La "chiesa gerarchica nostra madre" (Ignazio) è vergine e feconda, come Maria; per questo è una cosa gravissima che lei sia e sia stata anche una "meretrix", ma noi tutti siamo un po' "meretrix", per cui non dobbiamo scandalizzarci in modo esagerato. Giussani faceva parte di questa chiesa ed era vergine (a differenza di tanti sacerdoti del suo tempo, davvero vergine), questo non deve essere dimenticato quando invita tutti alla verginità, ed in un certo senso ha ragione, perché solo nella "distanza" e solo ricordandosi che l'altro è e rimane non solo un tu, ma anche un egli o una lei, che non possiamo ingurgitare, possiamo vivere un amore autentico; allo stesso tempo se noi laici parliamo di sesso, ma anche di rapporti, di casa... è giusto che non lo facciamo solo con le parole dei vergini. Il corpo di una donna e di un uomo hanno un'innegabile attrazione che può essere "gustata" e non solo nello scopo di aver dei figli e questo anche dopo la menopausa. Certo la realtà relazionale deve essere presa in tutti i suoi fattori: il rapporto tra una donna e un uomo è anche dialogo, è anche camminare insieme, mangiare insieme, ridere e piangere insieme... Il linguaggio sessuale è un linguaggio, ma non l'unico linguaggio, purtroppo è anche malato, perché noi siamo malati, perché non riusciamo a godere della carne senza menzogna ed egoismo. Ed anche tra due persone che si vogliono tanto bene non sempre il rapporto sessuale è davvero "conoscenza", "linguaggio", "godimento" così che, nella presenta dell'istinto sessuale, può essere che anche l'onanismo sia una forma per non pretendere dal partner quello che non può dare. Essere obbediente alla chiesa gerarchica e vergine è necessario, senza questa obbedienza non esiste più la "catholica", ma è importante che non si parli in modo solo teologico di sesso o di eros. Tante cose che dice il NT sono misteri profondi in riferimento alla Chiesa e a Cristo (lo dice san Paolo), ma una eccessiva teologicizzazione è pericolosa, come abbiamo visto negli scandali della pedofilia (che sono l'inversione dialettica di un'eccessiva teologicizzazione e non aiuta i laici che concretamente cercano di vivere il loro essere "casa". Tutte le parole della sdc non servano a nulla se non si prende sul serio la presenza della nostra sessualità (così come è ) e non dobbiamo essere tutti troppo "clericali", ma aiutare l'altro nello specifica situazione in cui si trova: di menopausa, di crisi, di invecchiamento, nei suoi primi passi con il sesso. E questo senza giudizio e senza limiti, senza condanne clericali.
Ovviamente il peccato deve essere confessato e non giustificato, ma spesso i peccati sessuali sono solo espressione carnale di peccati ben più profondi: il nostro egoismo nel rapporto con l'altro nella sua interezza o la nostra pigrizia nel comunicare ciò che ci fa bene e ciò che ci fa male.
(03.10.20) Nella giornata di inizio anno (26.9.20), "Vedi solo quello che ammiri", don Julián Carrón ci ha proposto di ascoltare e vedere l'intervista di Fernando de Haro a Mikel Azurmendi, che ho guardato con molto interesse ed ammirazione anch'io (anche per alcuni dettagli: come cucina per e come spiega la sua città a de Haro); a me piace molto questo sociologo spagnolo e sono d'accordo con lui che non vi è una posizione cosiddetta oggettiva che sarebbe più vera di una posizione in cui noi ammiriamo qualcuno. Come sono d'accordo con don Julián nel sottolineare in modo critico la frase di Nietzsche: non ci sono fatti, ma solo interpretazioni. Sono anche d'accordo, come ho detto più volte che don Julián, più di tutti gli altri che leggo vede il cuore del problema: il nichilismo quotidiano che ci pone senza contrapposizione nella contrapposizione più grande: quella tra nulla ed essere. Nella scuola l'unica cosa che al momento sembra interessare i ragazzi sono i voti: per i voti diventano attivi, forse perché li vedono un giudizio utile o pericoloso. Qui in Sassonia Anhalt abbiamo un gruppo molto forte (anche se minoritario per ora) di negazionismi del virus, anche perché la nostra regione i casi sono stati pochissimi ed anche in loro c'è un momento di verità (io non li attaccherei così frontalmente come fa don Julián), ma anche in loro vi è solo un giro a vuoto di interpretazioni. La riduzione della realtà scolastica ai voti o il negazionismo forse sono un grido disperato per fuggire un giudizio: la vita è pericolosa. Ma lasciamo a parte l'analisi. Quali sono i fatti che sollevano la mia ammirazione oggi? Non l'utilità, ma l'ammirazione.
In primo luogo le passeggiate con mia moglie nei boschi tedeschi. C'è un punto nella catastrofe del nichilismo quotidiano in cui non servono parole. Grazie a Dio che anche il mio padre confessore dell'ordine degli Agostiniani ad Erfurt lo ha capito: qualche tempo fa non potevo concludere la giornata con la compieta, perché avevo già lavorato tutto il giorno al computer o leggendo e lui i ha detto: faccia una passeggiata, basta così. Nell'estate dopo aver fatto per dire anni una discesa nel nichilismo quotidiano per aiutare una famiglia senza alcun successo (o diciamo con un piccolissimo passo in avanti almeno per un membro di questa famiglia), eravamo del tutto annichiliti. Allora abbiamo cominciato a passeggiare a lungo (si possono vedere nella mia bacheca in Facebook le foto dei luoghi in cui eravamo). Nella passeggiata ci sono stati momenti di preghiera (il rosario e le letture della Santa Messa del giorno), poi momenti di silenzio e di dialogo, momenti in cui abbiamo fatto colazione con il pane che avevamo fatto noi stessi. Tornando a casa abbiamo letto la "Laudato si'", etc. ecco tutto questo ha fatto rinascere la possibilità dell'essere, di un'esperienza in cui l'ammirazione è diventata la piccola via del quotidiano, in cui abbiamo imparato anche a tacere quando un'ammirazione non era possibile, come spiega bene Etty in una pagina del diario del 28 ottobre 1941: in giorni in cui non si può ammirare "devo semplicemente staccarmi da tutti con i pensieri e con le emozioni...e non pensare: devo fare ancora questo, quello e quell'altro ancora", non si tratta neppure di dover partecipare ad un gesto come la scuola di comunità Anche la nostra recita del rosario non era un dovere, piuttosto una necessità. O le Lodi pregate raggiungendo in macchina un certo luogo (recitate da chi non guidava).
PS Ho sottolineato più volte che il momento che ci ha indicato il Papa sul decentrarsi dal carisma (7.3.2015) è stato preso poco sul serio nel Movimento ed anche la stupenda intervista a Mikel Azurmendi può (!) essere interpretata anche come una centrarsi nel carisma. Può, non deve.
(02.10.20. Santi angeli custodi) Il "brillio degli occhi" finisce con due citazioni molto belle: quella di Ratzinger del 1984 ed una di Balthasar del 1961. Cita per un momento l'incontro di Papa Francesco con CL del 7.3.15 e poi ci presenta tre citazioni, queste due che ho appena menzionato ed una di Giussani. Le citazioni di Ratzinger e Giussani possono essere fraintese, per questo don Julián osserva; non sono da intendere "per una forma di esclusivismo o presuntuosamente"; quella di Balthasar non permette una tale interpretazione, perché afferma esplicitamente che non dobbiamo "rinchiuderci in una forma speciale" - appunto, questo è ciò che ho cercato di dire fino ad ora, in questi miei appunti ciellini: "perché per il mondo solo l'amore è credibile". "L'apostolo dichiara che anche i carismi migliori sono nulla senza l'amore, e che questo medesimo amore è la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace". Santa Teresa di Gesù bambino e del Volto Santo, manoscritti autobiografici, Lisieux 1957, 227-229.
(30.09.20 San Girolamo) Grazie, Roberto Graziotto....forse ti sorprenderà, ma in tutta sincerità voglio esprimerti la mia gratitudine per quanto testimoniato col tuo post. Non tutto mi è chiaro e mi trova d'accordo - e, magari, di ciò ti scriverò in seguito ma, dopo averti letto con una attenzione e curiosità forse mai avuta in precedenza, il sentimento che subito mi ha segnato è stato quello della gratitudine. Grazie per quel "cammino al vero che si è fatto esperienza" nella vostra storia, in quella realtà così diversa e lontana. Per l'umile e paziente disponibilità ad essere seme di grazia-in Cristo -e segno concreto di quella "Chiesa in uscita", tanto cara a Papa Francesco, con quel sguardo aperto e attento al diverso, per storia e fede, da voi. Grazie, per come hai vissuto e testimoniato cosa sia una vera figliolanza, tutta ascolto e obbedienza pur nella schiettezza critica verso chi guida il tuo e nostro cammino e il fondamento di questa figliolanza, Dio Padre. Una curiosità: cosa vi ha portato, spinto a catapultarvi in quella realtà così diversa, nella consapevolezza di essere "piccolo gregge" e carne di quella paternità (e maternità) cui ci richiama Carrón! Cosa vi ha dato, in cosa vi ha segnato? Sarebbe bello e costruttivo approfondire ciò. Una preghiera ed un saluto anche a tua moglie! (...)
Caro (...), La nostra avventura nella ex DDR è cominciata perché un amico sacerdote ha conosciuto l'allora preside della nostra scuola, che cercava un insegnate di religione e filosofia; nel frattempo insegno anche latino e storia. Noi parlammo con il cardinal Ouellet chiedendogli se fosse opportuno andare per un cattolico in un contesto luterano ed ateo. Ci incoraggiò. Il cardinal Schönborn scrisse un lettera di raccomandazione al mio direttore (avevo tradotto in italiano i suoi esercizi a papa San Giovanni Paolo II). La persona con cui parlammo più attentamente, come sempre abbiamo fatto per decisioni importanti, è stato Ferdinand Ulrich. Lasciavamo un posto di lavoro sicuro in Baviera per un'avventura. Ci incoraggiò dicendo che avremmo dovuto tenere conto anche della possibilità di vivere del nostro orto, se le cose fosse andate storte. Questo si alla avventura ci ha dato un lavoro, una missione in uscita, alcuni amici, pochi. Ci ha segnato perché ci siamo esposti fino all'estremo: essere un segno di speranza quando un ragazzo di 15 anni si uccise con il fucile del patrigno... Solo credendo profondamente che il cammino al vero è un'esperienza ci è stato possibile rimanere fedeli alla Catholica, anche se totalmente immersi in una società tra le più secolarizzate del mondo. Ultimamente l'incontro con un parroco ci ha reso più visibile il volto della chiesa. Adesso vorrei dire i primi vespri per la festa di santa Teresina e così smetto; spero di averti risposto a sufficienza. Roberto
PS (01.10.20. Santa Teresa del bambin Gesù e del volto santo). Come ho spiegato in un recente articolo de "La nuova Europa", 18 anni nella Sassonia Anhalt mi sono serviti anche a comprendere che l'immagine che abbiamo della DDR, noi dell'occidente, è del tutto unilaterale, senza contesto storico e "mitologica". Per la mia presenza missionaria qui dove abito, questa conoscenza è estremamente importante: giudizi storici unilaterali impediscono una presenza realmente missionaria.
(29.09.20 Festa dei santi arcangeli)
Leggendo (pregando) i salmi si capisce che Giussani e don Julián hanno ragione con il "centuplo quaggiù", che poi è una frase di Gesù: quando io sottolineo la gratuità dell'amore che è sempre non solo gratis, ma spesso anche "frustra" non voglio dire null'altro di quello che dice don Giussani: "Cristo non è venuto a dire: 'chi mi segue soddisferà tutti i suoi capricci, i suoi pensieri, i suoi interessi'. No! Ma ha detto: "chi segue cambi i criteri, incominci a mutare i criteri di valutazione, di giudizio, di valore". La sequela di Cristo e solamente essa può donare la letizia di cui abbiamo noi bisogno per non soccombere ai vari fantasmi della letizia che offre la nostra società trasparente e pornografica, insomma nichilista. E in certi casi abbiamo bisogno più di fare una passeggiata con la propria moglie e mettere giù qualche chilo che fare tre ore di strada per andare alla sdc (il nostro caso). Anche l'indicazione della "scuola di comunità" non è sbagliata, ovviamente, ma per me e per tante delle cose che so, così detta, mi sembra "miracolosa". "Il cammino del vero è un'esperienza (!!!): il genio del metodo educativo di don Giussani sta tutto qui" (don Carrón, ibidem 143) - ma allora se "sta tutto qui" si dovrà lasciare un po' più di libertà ed ascoltare anche le persone che non sono "fedeli" alla sdc nella modalità di una formalità (e per chi legge è così anche se per chi scrive non si tratta per nulla di una formalità. Le testimonianze scelte così fanno venire solo in mente una poesia di Goethe: man spürt die Absicht und man ist verstimmt (se ne percepisce l'intenzione e si è di cattivo umore).
Amo tanto questa foto di don Giussani che porto con me a scuola:
(28.09.20)
Le testimonianze che sceglie don Julián spesso mi fanno innervosire: sono ripetitive e miracolose: basta che uno partecipi alla "scuola di comunità" e tutti i problemi sono risolti. Comunque è vero che le testimonianze di vita aiutano alla conversione, di cui io ho tanto bisogno.
Questa estate con mia moglie abbiamo camminato tanto insieme, detto ogni giorno il rosario, letto le letture della Santa Messa, il martedì andiamo insieme all'adorazione eucaristica e leggiamo quasi ogni giorno l'enciclica del papa; Laudato si'. Quindi il "metodo" è quello proposto da don Julián nella prima testimonianza che cita nel capitolo "Il centuplo quaggiù" (p. 141), ma il lungo silenzio nelle ore di cammino, i chili persi camminando ci hanno fatto tanto bene, perché eravamo in crisi per una storia di aiuto che mia moglie ha dato ad una famiglia con risultato del tutto fallimentare (amore gratis) e che significò per me tante ore da solo, proprio nel periodo della chiusura dei confini.
Una vera testimonianza spesso non può essere neppure raccontata e il suo svolgimento non è quello progressivo: prima i problemi e poi la soluzione magica. Tantissimo viene donato per grazia e senza questa ogni metodo, anche la scuola di comunità, è del tutto inutile.
Che io prenda sul serio la sdc lo si vede per esempio nell'intensità di questo mio confronto con don Julián.
Roberto, upadG
PS Questo non significa per che le persone che scrivono a don Julián non sia autentiche: chi sono io per giudicarle. :-)
(27.09.20)
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