martedì 4 giugno 2019

Lettera a mio nonno - una presenza su cui conto ancora ora

Lipsia. Caro nonno,
un amico ha scritto una lettera al suo nonno materno, che era sordomuto, scusandosi di non aver saputo incontrare, con apertura di cuore, il suo essere sordomuto. Ho dovuto pensare al mio rapporto con te ed a ciò che è rimasto, a 31 un anni dalla tua morte, in me di te. 

Per il lettore non facente parte della mia famiglia: si tratta del mio nonno paterno, Vincenzo Graziotto (1910 -1988), chiamato Nani, nato a Montebelluna ed emigrato negli anni 30 a Cervera (Parenzo), Istria. Morto a Casale Monferrato, nella casa di via san Giovannino. 
Credo avessi sessant’anni, un anno più anziano di me ora, quando subisti un ictus con cominciasti quel lungo calvario, di un morire durato16 anni - ma anche di un vivere in unità della vita e della morte, come si è espresso, in suo libro, il filosofo tedesco Ferdinand Ulrich.  Gli ultimi 6 anni li passasti a letto, una parte dei quali li condivisi sotto il tuo tetto, visto che da Casale Monferrato era possibile giungere con facilità a Pavia, dove studiavo filosofia. Mia nonna Maria Gastaldello faceva in vero tutto, io la aiutavo solo nel passaggio dal letto alla carrozzella e viceversa. Solo una volta, quando mia nonna andò a trovare per due o tre giorni dei parenti in Veneto, mi occupai di te a tempo pieno, fino alle urgenze igieniche più intime. 

Proprio perché mi sono avvicinato a quei sessant’anni che avevi al tempo del primo ictus ho deciso di scrivere nel mio blog un lungo post sulla mia vita intellettuale „Libri ed altri ricordi“, non sapendo se capitasse anche a me ciò che era capitato a te. Spero di no, perché io non ho la tua maturità umana e spirituale. 

Cosa so ancora di te? Che sei vissuto con la nonna in una casa con circa una trentina di persone (credo 28) a Cervera (Istria, oggi Croazia), una casa „diretta“ dal bisnonno Gaetano e dalla bisnonna Matilde, che dopo, in Piemonte, come profuga nella propria terra, passo con grande pazienza setti anni non vedendoci più. 

La nostra famiglia dovette lasciare il lavoro come contadini in Istria, per la salita al potere di Tito, che nei suoi primi anni non si comportò in modo molto diverso da Stalin, che divento più tardi suo nemico politico. I bisnonni non temevano tanto la perdita della vita, ma della feda cattolica, se fossero rimasti nella giovane Jugoslavia. 

Giunto in Piemonte, perché nel Veneto non c’era allora lavoro per una famiglia così numerosa, per l’intervento coraggioso di tuo figlio, mio papà, durante la visita di un politico democristiano a Casale Monferrato, diventasti autista del camion delle immondizie. 
Mio papà mi ha ricordato che lo hai educato ad alcuni principi importanti: famiglia, lavoro, onestà…

Direttamente mi ricordo che prima della tua malattia cantavi in un coro e credo di aver ereditato la tua voce, anche se non sono molto bravo a cantare in coro. 
Mi ricordo che ti vidi piangere solo due volte: per commozione, quando avevamo visto insieme il Papa San Giovanni Paolo II in televisione; da te ho imparato esistenzialmente quello che sant’Ambrogio ha espresso in maniera unica e definitiva: ubi Petrus, ibi ecclesia; ubi ecclesia vita aeterna. Un’altra volta quando ti lessi un passaggio del Vangelo di San Giovanni. 

Vicino alla mia scrivania mantengo una foto tua quando mi feci da padrino per la cresima; in uno dei miei traslochi era caduta per terra e il vetro si è spezzato tra noi due. Non l’ho mai riparata, perché ho pensato che quella frattura del vetro e simbolo della nostra distanza, tra te in cielo e me sulla terra. Le due parti sono tenute insieme da un nastro adesivo trasparente. 

Anche se non subito, spero di rivederti e di rivedere la nonna - tutto sarà compiuto in Lui, in Cristo, che ha promesso di asciugare ogni nostra lacrima, in quella Gerusalemme celeste in cui non vi è più la morte.
Un abbraccio, Tuo nipote Roberto

PS Vorrei aggiungere ancora una scena,  poco prima della sua morte; avevo conosciuto quella che sarà mia moglie, Konstanze, nel 1987. Quando non aveva lezioni all'università ad Heidelberg  passava un mese nella casa dove vivevo con i miei nonni. Una volta nonno aveva costruito un piccolo burattino nella forma di pinocchio; Konstanze giocò con mi e lui prese, pur avendo difficoltà di movimento con le braccia, la mano del burattino, mettendosi a ridere. In questa scena insignificante per il grande teatro degli avvenimenti del monodici vedo un simbolo molto forte: attenzione all'altro genera gioia! Anche se si è vecchi e malati!  

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