mercoledì 8 agosto 2018

Quale è il compito della comunità cristiana? In dialogo con Julián Carrón

Lipsia. "Il compito della comunità cristiana: favorire un'esperienza del cristianesimo con pienezza di vita per ogni uomo" (Julián Carrón, Bellezza disarmata, 283). Questo è vero sia online che offline. Qualche giorno fa un amico che nella sua bacheca ha condiviso un post per riflettere sulla crescita di violenza con colore razzista in Italia è stato attaccato in modo ignobile. Sono intervenuto per difenderlo nella quasi totale incomprensione anche di persone mature del nostro Movimento di CL. 

Perché sono intervenuto? Certamente anche perché ritengo la sua riflessione politica pertinente, ma in primo luogo "per favorire un'esperienza del cristianesimo". Una comunità che non sostanza gli altri (nel contesto da cui è presa la citazione in primo luogo gli sposi in una società liquida) non è una comunità cristiana. 

"È dal rapporto con Cristo nella sua Chiesa che nasce una capacità di abbracciare l'altro nella sua diversità, di gratuità senza limiti, di perdono sempre rinnovato" (Don Carrón, 284). Nella maggior parte dei dibattiti in rete non vi è la minima traccia di un "perdono sempre rinnovato", ma semplicemente dell'arroganza del "voler aver ragione". 

È facile ora accusare una persona come me di non attenersi a quanto detto qui. Fratello Bianchi scrive nel suo twitter della notta scorsa: 

"Non lasciare che oscuri ingombranti pensieri ottenebrino la tua mente, non lasciare che il rumore dei giudizi altrui ti impediscano di ascoltare la tua coscienza, non lasciare che la cattiveria dilagante spenga la fiducia e l’amore verso chi incontri".

Certi no che esprimo in modo radicale hanno a che fare con questo "non lasciare che": bisogna smettere di frequentare pseudo dialoghi che "ti impediscono di ascoltare la tua propria coscienza". Chi si è educato con maestri che non corrispondono al cuore del carisma cui uno appartiene per grazia e della Chiesa, che non nascono dal cuore immacolato e crocifisso di Dio, non hanno nulla da dirmi, non perché io non sia disposto al perdono, ma semplicemente perché in essi non vi è alcuna richiesta di perdono.

Questo passaggio non deve essere letto in modo autoreferenziale: ieri leggendo Kafka (Il processo) e non un padre della Chiesa, nella sua descrizione di un arresto nel quotidiano, in cui si è arrestati pur potendo andare a lavorare (primo capitolo) ed in cui si è confrontati con la stupidità irraggiungibile di chi ti arresta, il mio cuore si predisponeva ad aprirsi a "quell'Unico che può rispondere alla sete di felicità che l'altro suscita in noi: Cristo" (Bellezza disarmata, 285).

Per quanto riguarda la quotidianità. Bisogna concentrarsi sui compiti essenziali - per esempio la scuola che oggi comincia anche con i ragazzi, nel far compagnia a sposi in crisi (per il tema del matrimonio rimando ad un post che ho scritto qualche giorno fa) , nel fare un corso di ballo con la propria moglie, perché Cristo passa anche attraverso un corso di ballo:

"Senza esperienza di Cristo come pienezza dell'umano, l'ideale cristiano del matrimonio (ed di ogni ideale cristiano; rg) si riduce a qualcosa di impossibile: l'indissolubilità del matrimonio e l'eternità dell'amore appaiono come chimere irraggiungibili. Ed esse sono al tal punto un frutto gratuito dell'esperienza di Cristo che appaiono agli stessi sposi come un sorpresa, come la testimonianza che 'a Dio nulla è impossibile" (286).

Facciamoci sorprendere da Cristo, con un sì chiaro a lui e con no per tutto ciò che è impedimento alla crescita del ramoscello fragile dell'amore gratuito.

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