mercoledì 29 agosto 2018

Si può "misurare" il lavoro nella scuola? In dialogo con Ferdinand Ulrich

Lipsia. Un elemento importante del successo di Sergio Marchionne è stato che ha cominciato a "misurare" il lavoro fatto in Fiat (quando la Fiat perdeva cinque milioni al giorno).  Se questo "misurare" è fatto bene non è un "controllo", ma davvero un aiuto per superare forme di gestione egoistica del proprio potere ed altre forme di arbitrario uso della propria posizione. 

Può essere fatta una misurazione simile per il mondo della scuola? Vivo da ventotto anni in Germania e la mia vita lavorativa si è svolta quasi tutta in questo paese in cui nella scuola (25 anni di scuola tedesca) ci sono diversi sistemi di "misurazione" del lavoro scolastico. Dai primi anni (per me due) di seminario didattico prima di potere insegnare in proprio, fino a forme di reciproca ospitazione tra colleghi o con colleghi di un'altra scuola.  Come insegnante di religione in Baviera si veniva per esempio visitati una volta ogni due anni fino al cinquantesimo anno di età. Anche dove insegno ora da sedici anni gli insegnanti devono fare corsi di perfezionamento obbligatori, dove vengono offerti nuovi metodi di didattica, etc. 

Sarei un bugiardo a dire che ciò mi abbia fatto esperimentare una scuola più efficiente e più umana. Spesso ho subito o ho osservato dai giovani colleghi che le persone che le "misuravano" avevano solo criteri astratti di giudizio e nessuna immedesimazione in ciò che noi filosofi chiamiamo "l'essere se stessi". Questo essere se stessi non è un'autonomia immensurabile   perché nasce dal dono dell'essere concreto del nostra esistenza. Si è realmente liberi non in una autonomia senza comunione con gli altri, ma si è liberi, si è se stessi, sempre nel contesto di un dono comunitario dell'essere. Quando si è liberi nel senso della gestione di uno spazio neutrale che ho (potere, competenza) non c'è niente da misurare perché in quello spazio vi è solo il niente narcisistico. Quando si vive nella comunione con gli altri, anche se il motivo ultimo è amore gratis, si possono ovviamente misurare alcune prestazioni. Chi ha il compito di misurare però dovrebbe avere il senso ultimo della gratuità dei doni personali di chi egli ha da esaminare, se non la fa esercita solo un compito arbitrario. In questo caso credo solo che nella reciprocità della misura si possa davvero arrivare ad una certa giustizia del rapporto. Il sistema tedesco, in cui invece chi misura diventa un po' il padrone del giovane collega, secondo me è adatto solamente a causare una concorrenza spietata in cui per arrivare al posto di chi misura è necessaria in primo luogo una grande "volontà di potenza", astratta e tecnica. 

Per quanto mi riguarda non parlo quasi mai di questi temi, perché mi annoiano mortalmente. La vera misura la imparo dalla filosofia dell'essere come dono. Quando vivo o quando non vivo le giornate nella scuola con le sfide didattiche e di insegnamento in forza di un essere già donato davvero che genera una nuova donazione o quando ho paura, perché di fatto non credo che mi sia stato donato davvero un percorso da fare per amore? 

Il giovane che nella storia di Luca 15 lascia il tetto paterno per essere davvero libero di fatto cade nella tentazione di gestire solo uno spazio vuoto (ne avevo parlato in un altro post). In questo spazio vuoto la gente non è interessata a lui, ma solamente a ciò che ha. Questo è un pericolo che corrono i colleghi giovani, che appunto hanno (!) ancora la loro gioventù, ma non sono (!) giovani. Si rimane giovani anche da vecchi quando si è coscienti che non vi è vera libertà nella sola "brama" (di sesso, di potere...). Nella brama ciò che è desiderato è un "esso", non una "persona" e quando quel "esso" è finito (i soldi, la giovinezza...) non c'é più nessuno che ti doni davvero gratis qualcosa. Solo se tu ti avvicini nello spirito della gratuità ai tuoi allievi hai la possibilità che loro si avvicinino a te gratuitamente. 

"Da nessuna parte il dono dell'essere è diventato colui che lo riceve se non nel grazie" (Ferdinand Ulrich). Il dono dell'essere non è più un "qualcosa" che si ha, ma davvero diventa, nella modalità dell'essere, identico e medesimo con colui che riceve il dono. Nel grazie (per questo lavoro, per questa ora di lezione riuscita o meno) abbiamo interiorizzato così il dono dell'essere che siamo diventati noi stessi dono, "perché (così) glorifichiamo il donatore è per questo (viviamo di) un si puro all'essere donato del dono, cioè alla volontà del donatore" (Ulrich, Dono e perdono, ibidem 487). Quando noi come insegnanti diciamo davvero si a quel allievo che ci è donato (il che non vuol dire dargli sempre ragione), quando diciamo davvero si ad un ora di lezione che ci è stata donata, pur con tutta la nostra competenza? "In forza della sua volontà il dono mi appartiene davvero, il dono è diventato "io stesso" (Ulrich). Io stesso come un essere se stesso donato e non come un astratto io = io narcisista. "Posso vivere libero in forza della donazione dell'essere. Quanto più vivo il dono come qualcosa che ho prodotto io ed io non sono me stesso in forza di Colui che mi ha donato l'essere, tanto più manco di reale libertà" (Ulrich). In queste poche parole c'è già abbastanza "misura" per tutta una vita. Agostino nella sua grande capacita retorica riassumeva: Ama et fac quod vis! 

Lo so che alcune persone troveranno questa pagina del tutto astratta, per me è del tutto concreta, perché nessuno come noi stessi è davvero in grado di misurarsi. Colui che ha come compito il misurare o valutare dovrebbe solo mettersi al servizio di questa auto misura. Dovrebbe essere in un certo senso una "guida spirituale" e non un controllore di capacità tecniche. 

Nessun commento:

Posta un commento