sabato 1 settembre 2018

Un pomeriggio a Chemnitz, per cercare la speranza

Chemnitz. Forse avevo ancora nel cuore la frase di Lucio Brunelli che bisogna "uscire dalle redazioni" per parlare di un tema con cognizione di causa: così ieri ho preso la macchina e sona andato a Chemnitz, la città tedesca di cui si parla in questi giorni in tutto il mondo. Un primo risultato del mio pomeriggio nella città della Sassonia sono le foto che ho condiviso ieri notte nella mia bacheca in Facebook (vedi qui sotto un link). Sono state scattate nella passeggiata che ho fatto nel centro della città e visitando un amica che vive in un suo quartiere problematico che porta il bellissimo nome di "Sonnenberg" (la montagna del sole). 

Prima del viaggio avevo scritto un breve post in Facebook che nasce da un dialogo che da anni stiamo facendo nel gruppo di Facebook "I contadini di Peguy": 


Cosa sta succedendo a Chemnitz?
È una città (250.000 abitanti), che durante la storia della DDR si chiamava "Karl Marx Stadt", e che dall'ultimo fine settimana nel mondo è conosciuta per essere stata lo scenario di azione di estremisti di destra, dopo che un iracheno ha ucciso un tedesco. Si trova a 40 minuti auto da casa mia (un ora mi sono accorto ieri). 
Nei prossimi giorni scriverò più a lungo sul tema. Ora una nota. Ovviamente la maggioranza delle persone che vivono a Chemnitz non sono nazisti o estremisti di destra. Nella città si è però visto in azione lo spirito di un egoismo collettivo che soffia nel mondo e che a Mosca e Washington è guidato da nomi precisi. Nulla accade per caso, tanto meno ciò che nel fine settimana è accaduto a Chemnitz. 

L'alternativa a tutto ciò ha anche un nome: Papa Francesco, che annuncia il Logos universale e concreto di un amore gratuito che dialoga con tutti gli uomini di buona volontà. 
Pubblicato oggi nei "Contadini di Peguy" (un gruppo in Facebook, di cui io sono uno dei redattori)
Dopo aver passeggiato nel centro ed incontrato persone che cordialmente mi indicavano la via o cercato in Google i salesiani della città, perché sapevo che un'amica lavorava da loro da quattro anni. 
Così sono arrivato, seguendo il percorso del tram che collega il centro con una delle periferie della città, da Padre Bernhard Kuhn SDB nella Erfenschalgerstrasse, che pur non conoscendomi, mi ha aiutato a trovare Magdalena, la mia amica, che aveva lavorato per anni nella nostra scuola e che avevo perso di vista. Gli chiedo che cosa pensi dei fatti di Chemnitz che interessano tutto il mondo. "È una catastrofe", ha sospirato. Mi fa leggere una lettera che ha scritto al mattino alla redazione di Zeit Online in cui esprime la sua preoccupazione "per l'immagine negativa internazionale" che la sua città ha raggiunto in questi giorni. 
In un articolo del 31.8.18 del giornale online Padre Bernhard avevo letto la seguente frase, che lo aveva ferito: "Quale frammento della società siede davanti a Michael Kretschmer (il governatore della Sassonia; rg) in questa ora e mezza (il giornalista sta parlando di un incontro tra i cittadini di Chemnitz e il governatore; rg)? In ogni caso si tratta di un gruppo omogeneo. Nessuno dei presenti prende la parola per condannare la violenza xenofoba o le sfilate naziste". Che questo tipo di frasi feriscano una persona che ama la propria città è chiaro. Chemnitz è (era?) in corsa per diventare la capitale culturale della regione, ha un'università con una buona reputazione nel mondo. Ma che cosa si sa della città? Che vi sono nazisti che girano in essa e fanno paura al mondo. Questo è anche il rischio che corre il mio post che ho ripreso qui all'inizio del mio articolo. Allo stesso tempo però non si può minimizzare la gravità dei fatti di cui si è parlato e si parla nei giornali, per "amore della città". Bisognerà, però, trovare un linguaggio che non scomunichi tutti i cittadini di Chemnitz come nazisti. Questo avrebbe solamente un effetto: "la paura che si diffonde sempre di più tra i cittadini di Chemnitz"(Padre Bernhard). 

Nel frattempo abbiamo trovato il numero di lavoro del telefonino di Magdalena, che lavora nella "Casa don Bosco" nel quartiere di Sonnenberg, vicino al centro della città.  Facendo una passeggiata nel quartiere vengo introdotto in tutta l'attività "salesiana" del "Casa don Bosco": un "lavoro aperto" con bambini e giovani. Conosco anche la responsabile del settore giovani che mi fa assaggiare un fico molto saporito e mi racconta come gestiscono questo "lavoro aperto". In una grande stanza, appena rinnovata, possono venire i giovani quando vogliono. C'è spazio per giocare e parlare, per cucinare... Una cappella, in cui i giovani non entrerebbero mai, è stata trasformata in una stanza del silenzio, in cui le pareti hanno forma di una caverna. Parlando della situazione degli ultimi giorni un giovane mi fa vedere in Instagram l'invito di un fan di Erdogan in Germania che invita a protestare con decisione contro il nazismo tedesco (insomma un'altra forma di estremismo). La responsabile del settore giovani mi ha detto che molti giovani hanno partecipato alla proposta di domenica scorsa, perché la persona uccisa era un loro amico o conoscente e non perché siano nazisti. 
Cammino poi con Magdalena verso la scuola elementare in cui le lavoro come assistete sociale.  Vengo a conoscenza anche degli altri settori del lavoro salesiano: un luogo di incontro per famiglie, un offerta di aiuto per l'educazione, un lavoro educativo con i più piccoli che porta il nome di "Birikino" e il lavoro di recupero dei giovani che non sono stati capaci ad integrarsi nel sistema scolastico tedesco (Startklar in die Zukunft - pronto alla partenza per il futuro). Magdalena mi dice che quest'ultimo progetto non sarebbe necessario se il lavoro nella scuola funzionasse davvero. In questo lavoro, però, nel quartiere sono lasciati davvero da soli (come si esprimeva un editoriale della FAZ di ieri) dallo stato: gli edifici sono in ordine e ben pitturati, ma non vi sono insegnati a sufficienza e non vi sono insegnanti che siano capaci di affrontare una situazione di emergenza educativa radicale, causata non solo dai tanti allievi stranieri, ma anche e forse soprattutto da quelli tedeschi, che a differenza dei primi non hanno spesso neppure una famiglia che li sostenga. La morale della favola è che spesso non è possibile tenere una lezione: anche dopo due anni di elementari molti bambini non sanno ne leggere ne scrivere. In cosa consiste la tua attività, chiedo a Magdalena? Nell'abbracciare i bambini, mi risponde. Nell'essere presente nel quartiere per loro e di fatto  i due ragazzi (un maschio della Siria  e una ragazza tedesca) che incontriamo la salutano per primi e con gioia. L'impegno di Dio per il mondo accade così, con la presenza di testimoni in situazioni di emergenza. In questo caso l'emergenza è la miscela esplosiva del contatto tra due forme di povertà quella degli stranieri e quella dei tedeschi del quartiere. 
Alla fine andiamo in un ristorante, in cui Magdalena è stata quattro anni fa: l'aveva portata il suo capo nel colloquio di assunzione. Non si ricordava più i prezzi né lo stile molto signorile, con piccoli assaggi di cibo che il cuoco ti manda personalmente dalla cucina, si vergogna di avermi portato li dentro, perché nella porta accanto vive la signora L. dalla Siria, che ha "una faccia come Cristo sofferente" e che fa fatica ad arrivare alla fine del mese per mancanza di soldi. 
Ecco pian piano, nel pomeriggio di ieri, la città assumeva il volto della speranza, quella della presenza del dono dell'essere gratuito nella testimonianza di chi lavora e vive in un quartiere da cui invece la gente vuole fuggire per avere scuole più efficienti. Forse ciò non basterà per evitare quell'ombra di morte dell'egoismo collettivo gettata nel mondo dai potenti di cui parla il mio post iniziale, ma il sole del "bo num diffusivum sui" (Tommaso) non garantisce il successo, ma certamente la presenza di un Dio che ha davvero salvato il mondo, non in primo luogo con parole, ma sulla Croce e nella discesa all'inferno. Per essere sorpreso la, dalla luce di risurrezione. 

Ecco le mie foto: 


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