domenica 17 febbraio 2019

Raccolta di miei pensieri in dialogo con alcuni libri di Vito Mancuso

Introduzione

La filosofia è femminile, inoltre, perché non la si acquisisce con il potere, o con l’erudizione, o con la forza della volontà, meno che mai con la violenza, ma solo con intelligenza, la dolcezza, l’amabilità, il coraggio e la capacità di generare fiducia.
Vito Mancuso, Il bisogno di pensare, 53-54

 Alle volte quando sono solo cado in astrazioni o distrazioni in cui il desiderio di felicità perde la sua "verginità", la sua parentela con il dono dell'essere come amore gratuito. Allora non basta la filosofia per risollevarmi, ci vuole una vera donna, come Etty, con il suo diario. Lei anche oggi mi ha preso per mano. Quando mi ha rimesso sulla strada, allora la filosofia ha di nuovo una chance con me. Il libro di Mancuso, di cui ho riportato qui nel post una frase, è tra le cose più belle che abbia letto negli ultimi mesi. Fa capire bene come mai la filosofia non può essere imparata, essa stessa è dono. Mancuso permette di comprendere la differenza tra il filosofo e il sofista. E fa vedere che verità, giustizia e bene sono la via in cui deve andare chi ama la sapienza. Quest'ultima ti viene donata come accade nell'innamoramento: non "come fatalità inspiegabile", ma come corrispondenza che non può essere prodotta; lo stesso vale per il dono dell'essere non è produzione. Essere filosofi è la modalità con cui possiamo vivere l'umiltà del non dover produrre...

Qui di seguito raccolgo alcuni pensieri che ho pensato in dialogo con il filosofo italiano negli ultimi giorni! 

Prima riflessione

Alcuni pensieri su Vito Mancuso 
L'altro giorno l'aver postato un twitter del filosofo e teologo italiano Vito Mancuso - tra l'altro su un tema di politica e non di teologia - ha provocato una reazione di sconcerto in un lettore del gruppo "I contadini di Peguy". 
Cosa avrebbe a che fare questo filosofo che porta "veleno teologico" nella Chiesa con i Contadini di Peguy? 
Visto che sono in Italia per una settimana di ferie sono andato in libreria ed ho comprato tre libri. 
Il libro che mi era stato consigliato non c'era (L'anima e il suo destino). Per chi come me viene da un confronto serrato con Ernst Bloch, che diceva che il meglio della religione sono le eresie, il tentativo di discernere la differenza tra Dio e Deus in "Dio e il suo destino" non mi spaventa, anzi mi sembra un pensiero che debba venire approfondito in un reale dialogo senza paure, tanto più che è evidente che vi è davvero un problema di ambiguità nella parola "onnipotenza" se non si fa comprendere ai lettori cosa essa centri con la frase di Giovanni che "Dio è amore". Poi un pensiero come quello di Mancuso, che prende sul serio l'esistenza storica, merita una risposta adeguata, che ovviamente non si trova in questo mio post. 
Il Vito che ho conosciuto io tantissimi anni fa, era ancora un giovane pensatore in "statu nascendi", il Vito Mancuso che incontro nei suoi libri: "il bisogno di pensare" e la "via della bellezza" è un pensatore maturo di cui condivido appunto "il bisogno di pensare", senza essere appiccicato a dipendenze che non hanno a che fare con il mio essere interiore, condivido la differenza che pone tra bisogno e necessità ed anche l'idea che la bellezza è una via. Non so come mai egli pensi che la sua ricerca di un "interior intimo meo", che eviti egoismo, narcisismo ed alienazione e che si oppone ad un teismo e dualismo ontologico ed allo stesso tempo al panteismo e monismo ontologico, non sia conciliabile con il pensiero di Hans Urs von Balthasar, ma non vedo in lui un'esigenza di salotto, piuttosto un bisogno di una reale amicizia esistenziale e un reale bisogno di filosofia. 
Nello scontro tra JP II e BXVI su Goethe starei con Mancuso più con BXVI per motivi che ho cercato di spiegare nel mio blog in dialogo con Romano Guardini e Massimo Borghesi: il nichilismo non è un polo opposto e fecondo all'essere come dono, ma la sua negazione. Non sono invece d'accordo che BXVI non abbia alcun senso del problema posto da Mancuso e cioè che l'uomo non sia solo artefice del peccato originale, ma sua vittima. 
Insomma mentre nel suo twitter sulla Francia non avevo alcuna obiezione, ho certamente tante domande sulla filosofia e teologia di Vito Mancuso, tanto più che nel mio cammino da Ernst Bloch a Ferdinand Ulrich io sono andato su un altro percorso, ma non vedo in lui un "veleno", piuttosto un'interessante sfida di pensiero e di vita. 
Interessante sarebbe sapere cosa Vito pensi del pensiero antinomico di Bergoglio e del suo dialogo con l'Islam che lo ha portato a firmare qualche giorno fa negli Emirati Arabi il documento sulla "fratellanza umana" con il grande imam Ahamad al- Tayyib.
PS Tutto questo è del tutto chiaro che un “figlio” di Carlo Maria Martini e uno di Hans Urs von Balthasar non si trovino nella stessa posizione filosofica e teologica.

Seconda riflessione

Come orientare il desiderio? - in dialogo con Vito Mancuso (cfr. Il bisogno di pensare, Milano 2017, 19-33)
La critica al desiderio di Mancuso è "sincera", anche se vi vedo anche dei corto circuiti. 
Lui è infinitamente più dotto di me; io sono un'insegnante di paese, che di fatto ha pensato solo unicamente un pensiero: quello della gratuità del dono dell'essere, che non è, però, il dono di un Deus avaro "che ama senza mai uscire da sé" (23), ma quello di un'amante che dona alla sua amata "pro nihilo" una rosa. Questo è secondo me il corto circuito più forte nella pagine di cui stiamo parlando. L'indifferenza ignaziana non ha nulla a che fare con questa idea di Deus, ma è un orientamento del desiderio, come fa capire bene il "Suscipe": prenditi tutto o Dio, ma dammi l'amore gratuito! Quindi proprio nel senso di Mancuso, figlio spirituale di un gesuita , il cardinal Martini, il Suscipe di Ignazio è orientamento del desiderio: "orientandolo in modo tale da innalzarlo e trasformarlo in aspirazione" (33). 
Il libro è scritto con la modalità letteraria di una discorso diretto ai suoi lettori che vengono invitati a prendere posizione, spesso, però, le alterative sono astratte, tanto più per chi è stato educato a pensare con un pensiero antinomico, come quello presentato da Massimo Borghesi, interprete di Guardini e Bergoglio, per cui, per esempio, distacco e comunione non sonno una "contraddizione", ma una "polarità feconda". Anche il non avere desideri ed avere un desiderio che orienta gli altri non sono necessariamente una contraddizione, come il buddismo e il cristianesimo nell'amicizia tra Luigi Giussani e Shodo Habukawa non lo sono, anzi si rapportano reciprocamente come il fiore che si apre e la farfalla che arriva. 
Detto questo, però, vi è una "sincerità ferita", una "passione" in Mancuso che mi attirano. Il suo "principio passione", il suo "l'amore è un legame totale", non hanno nulla di piccolo borghese. Per questo Mancuso capisce bene il cuore di Etty Hillesum, anche se la donna con il suo pensare femminile non si mette a filosofare sull'amore "nella sua dimensione razionale e ancor più irrazionale", ma ci "passa in mezzo", più di quanto noi maschi siamo capaci a fare. Leggevo in una pagina del diario di Etty questa mattina: "I sentimenti di amicizia, stima, amore di noi donne in quanto persone sono tutte belle cose, ma in fin dei conti non vogliamo che l'uomo ci desideri come donne?" (4.8.41). Etty sa che anche questa domanda non è del tutto "sincera", perché in fondo la passione si gioca sempre dentro una storia e non nella filosofia o nel resoconto di un diario che è sempre solo "avvicinamento". Per quanto io ritenga necessaria la filosofia per comprendere "il senso necessario dell'essere", ma necessario nel senso della lunga tedesca, come alcunché che sappia orientare e superare il bisogno in cui ci si trova, essa non appagherà mai il desiderio ultimo, senza il quale come dice Mancuso non possiamo che "assiderare". 
È vero che il "tutto è grazia" (Bernanos) non è del tutto vero, ma non lo è perché qualcosa è "disgrazia", ma perché manca la dimensione del futuro in quella frase: "tutto diventa grazia" (Giacomo Tantardini) mi sembra la scommessa che ci fa fare Cristo in forza della sua croce e della sua discesa all'inferno! Io amo molto Goethe, in modo particolare quello delle "affinità elettive", ma Faust stesso non viene salvato dal brivido come migliore parte dell'umanità (cfr. 33), ma dagli angeli (Faust II) e più in profondità dal cuore capace di "entsagen" di Ottilie che è figura di quel Cristo che Goethe non ha mai saputo fino in fondo "amare", "quia Deus meus est" (Francesco Saverio) - ma non nel senso del Deus mancusiano, ma della Trinitas, figura ultima dell'Amore gratuito! 
Come orientare il desiderio? Guardando a quella persona che è il Logos universale e concreto, capace di integrare, includere tutto, come ha mostrato Papa Francesco negli Emirati Arabi!
Terza riflessione con una risposta di Massimo Borghesi
Sulla filosofia come idea femminile di amore incondizionato - in dialogo con Vito Mancuso (cfr. Il bisogno di pensare, 35-53)
Le pagine citate contengono una chiarissima spiegazione dei termini: sensazione, percezione, concezione e pensiero. Sono pagine molto belle ed anche utili per insegnare filosofia nella scuola. Il pensiero viene poi presentato come un'attività della mente e del cuore in un dialogo intenso con la filosofia greca e con tante tradizioni religiose. Il viaggio intrapreso porta all'idea della filosofia come idea femminile di amore incondizionato. Quindi sono una reale "sfida" per la filosofia dell'amore come dono gratuito dell'essere, che ho cercato di sviluppare In questi anni in modo frammentario nel mio insegnamento e nel mio blog (anche nei mei articoli per il Sussidiario). 
Come anche in Luigi Giussani, il modo di pensare di Vito Mancuso è più "conoscitivo", mentre il mio è più "ontologico", nato da una confronto serrato con il pensiero di Ferdinand Ulrich. Il mio è un confronto con il Logos universale e concreto dell'amore gratuito di Cristo, espresso in termini ontologici. In un certo senso si tratta di un lavoro più maschile e che quindi intende come arricchimento il lavoro "femminile" di Mancuso. Perché la polarità maschile e femminile è sempre fecondo. 
Il mio è un lavoro più monastico e che identifica nel cuore del mondo un movimento di finitezza che è ciò che veramente mi sorregge. È la grazia che mi sorregge e che mi rende vivo. Analogamente a ciò che dice Mancuso per l'idea femminile di cui parla. Insomma per me "ipsa philosophia Christus est", ma ciò non mi impedisce un atteggiamento di "integrazione" (Balthasar), di "inclusone" (Bergoglio) nei confronti di tutto il resto. 
Con Mancuso mi unisce in modo particolare, nel seno di tutta la storia della filosofia, la critica all'opinione "come emozioni espresse a parole". Sebbene le emozioni siano importanti, esse nel loro caotico e narcisista innamoramento di sé come io = io, quando vengono espresse sono solo "opinioni" utilizzabili e manipolizzabili dal primo tiranno populista che entra nella storia del mondo. 
Mi unisce anche il bisogno di pensare in modo chiaro e pulito, come piccola parte del mondo, nel senso che ho bisogno, come tutti, della sinergia degli altri, tanto più se sono "mondi" (puliti). In Cristo vi è una chiara confessione del peccato del mondo, sulla croce e nella discesa all'inferno. Ma egli stesso cerca il polo femminile (la chiesa universale, cioè cattolica) per esprimersi sulle vie del mondo. Questa è solo "ancella del Signore" (Maria), ma come lo é anche la filosofia, che se è assolutizzata, diviene gnosi sterile. Come ancella ci permettere di discernere cosa sia davvero "amore gratis".
Caro Roberto su questo tema la riflessione, quella cattolica in particolare, deve camminare molto. La teologia è stata tradizionalmente, così come la filosofia, un'opera "maschile". Il polo femminile è rimasto sotto traccia. Qui la rivoluzione di Cristo è stata grande al punto che Paolo, nonostante i residui di misoginia, può scrivere che in Cristo non c'è più nè uomo né donna... Il limite di tante trattazioni è, in sede teologica, l'idealismo mistico. Il momento mistico emerge solo alla tangenza della realtà, come eccdenza di senso e non come sublimazione-idealizzazione del reale.Quando si idealizza troppo poi la psicologia si rivolta. Massimo Borghesi

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