lunedì 29 aprile 2019

Noi viviamo di speranza ed amore - in dialogo con Hans Urs von Balthasar

Lipsia. "Mettere a tacere gli istinti delle giovani generazioni sarebbe inutile; gli istinti non si mettono a tacere, anche solo il tentativo di farlo potrebbe essere criminale, perché l'uomo, anche quello cristiano, vive di speranza" (Hans Urs von Balthasar, 1970). Certo ci sono istinti ed istinti, questi di cui parla Balthasar li chiamerebbe Massimo Recalcati "pulsioni". La voglia di molteplicità che solo l'amore gratis può "aprire" e far maturare è il motore della speranza. Vi è un momento di "santità" che è la parola tradizionale per "amore gratis"che sta nel cuore di ogni uomo, un desiderio di bellezza gratuita o disarmata (Julián Carrón) che non viene soppressa, anche se ciò che dovrebbe essere evidente non lo è più. Questo "desiderio" è quello che Balthasar chiama "istinto" e Recalcati "pulsione". Mettere a tacere ciò è un atto criminale! Ed ogni sistema chiuso che santifichi solo ciò che è passato è un atto criminale, anche se dice cose giuste. 


"Chi non è mai stato amato in vita sua e chi non è mai stato affermato ed abbracciato come un Tu, come potrebbe improvvisamente iniziare ad amare da questo nulla d' amore vissuto e affermare gratuitamente un altro essere umano per stabilire un'amicizia o contrarre un matrimonio con lui?" (Hans Urs von Balthasar, 1970 - si tratta di un saggio sulla "tradizione, che ha ripreso due anni prima della sua morte nel 1986, nel volume "Homo creatus est"). Anche leggi buone a sostegno del matrimonio non hanno fermato il desiderio di autenticità che la generazione del 68 con ragione ha fatto diventare un'azione politica. Stiamo parlando degli anni in cui in Germania, come si vede in un film, basato su un romanzo di Ferdinand von Schirach, che porta il titolo "il caso Collini", venivano create delle legge in forza delle quali migliaia di criminali nazisti non sono stati processati. Gente con senso della famiglia, ma senza nessuna capacità di confessare in modo pubblico la propria colpa. 
Proprio in quegli anni Balthasar dice un no radicale alla tradizione come fatto archeologico e cerca di spiegare, anche con un linguaggio trinitario, che la tradizione autentica è movimento e non culto delle ceneri o di una persona passata o di uno stato di vita passato.  Il criterio ultimo del suo discorso è la nudità (autenticità) della santità. San Francesco si spoglia e riconsegna i vestiti al padre, come Cristo in Croce è morto nudo, assumendo su di sé anche il mistero dell'abbandono da parte del Padre - e quanti uomini oggi sono senza padri e senza madri. 
Giuda si è spaventato quando è stato confrontato con questa nudità ed ha consegnato il Figlio, che è via, verità e vita alla tradizione morta dei capi del tradizionalismo giudaico, che sono simbolo di ogni tradizionalismo, anche cristiano. Vi è anche un bacio di Giuda "modernista", quello che seleziona le frasi di Gesù a proprio piacimento, ma sarà bene ricordarsi che Cristo è il "Verbo" di Dio non solo per le sue parole, ma per il suo amore che si lascia crocifiggere e discende nell'inferno in cui tutti i peccati del mondo sono presenti come una melma senza forma. 
Per spiegare cosa sia tradizione come movimento di consegna Balthasar, nel saggio di cui stiamo parlando, fa due esempi. La procreazione/generazione e il morire. Sono atti di consegna, ci si consegna all'altro. 
Adrian Walker in un suo seggio sul "nesso indissolubile" tra la dimensione unitiva dell'amore e quella procreativa (Washington, 2019), per parlare con il linguaggio di Ferdinand Ulrich sostiene la tesi seguente: Il seme maschile è come un simbolo dell'atto, in cui l'essere si rende finito, si fa "vuoto" che diventa "pienezza", sostanza e che viene versato nel terreno ricevente della materia. Distorcere questo simbolismo significherebbe per Walker quindi decidere di bloccare il processo dell' essere come amore nella propria carne. Se si considera l'atto della donazione del seme in questo simbolismo ciò che dice Adrian è evidente, ma lo è solo per teologi e filosofi cattolici. Parlare di questo tema non è forse possibile attualmente, non perché le persone siano totalmente cattive, ma perché la loro esperienza, mediata dalla "società trasparente", è diversa. La presenza dell'amore omosessuale oggi nei media televisivi e sociali è così alta - e ciò non è solo negativo o primariamente negativo - che quell'evidenza della consegna del seme in una materia (mater) ricevente non la possiamo dare per scontata. La più grande evidenza oggi è il desiderio di essere amati; ci sono persone giovani che odiano il loro corpo e non hanno la minima fiducia che qualcuno, in modo etero- o omosessuali li ritenga "amabili". 
Se si prende sul serio il simbolismo della consegna del seme maschile, si dovrà tenere conto che il seme viene donato in modo sovrabbondante, anche solo poche gocce basterebbero, in unione con l'ovulo femminile, per far nascere un bambino. Quindi vi è  certamente una "distorsione" sessuale, quella pornografica, ma né la masturbazione né l'amore omosessuale sono di per sé questa "distorsione". La consegna del seme senza che produca un bambino è anche immagine della gratuità dell'amore, se questo è vissuto come apertura alla percezione reciproca della molteplicità del corpo e dell'anima e dello spirito di una persona. Poi si deve tenere conto che il legittimo piacere della donna nell'atto sessuale è stato per secoli ed in certi contesti lo è ancora, talmente sottovalutato o taciuto, che il discorso della materia ricevente, dovrà essere espresso in modo tale che non sia una legittimazione di nuove forme di maschilismo come volontà della propria potenza, per l'appunto solo maschile. 
Sul tema eros e pornografia ho scritto ieri nella mia bacheca in Facebook: 
Byng-Chul Han nel suo libro "Transparenzgesellschaft" sostiene che l'eros (pulsione nel senso di Recalcati) è qualcosa di importante per affrontare la vita, ma dice anche che la nostra società trasparente ha tratti pornografici e non solo nella pornografia. In queste tendenze si verifica in realtà una distorsione perversa: il corpo, soprattutto della donna, viene distorto e visualizzato in modo tale che non sia qualcosa di più profondo e bello e più pericoloso e selvaggio che emerge, ma qualcosa profondamente non erotico. La pulsione ci apre alla diversità, nella pornografia essa è ridotta al "ritorno dell'eternamente uguale". Purtroppo ne siamo quasi tutti contagiati, ma grazie a Dio c'è la trasparenza della confessione, che è un evento misericordioso.
Per quanto riguarda il sesso (ed è bene che il teologo né parli e non si lasci l'importante tema del sesso e della nudità solo all'industria pornografica, che per lo meno in questo coglie un bisogno reale) nel suo saggio Balthasar dice che è una "parte subordinata" delle forme espressive. Come dice Ursula K. Le Guin (1): il sesso viene spesso sopra- e sottovalutato, per cui è bene che Balthasar sottolinei anche questa sua "subordinazione", dopo averne precedentemente sottolineato la sua dimensione di altra espressione: "Quando l'ondata di vita è salita più in alto che nell'atto di procreazione?". I criteri che, però, Balthasar ci lascia sono umili ed utili: l'amore è vero quando è fedele e gratuito. E questo vale anche per l'amore omosessuale. 
L'amore eterosessuale ha una forza simbolica, per spiegare l'amore trinitario di Dio, più originale e più biblico, ma non contro altre forme di amore, piuttosto solo nella sua fecondità di un "molteplice", di un "altro" indipendente dal mio sé", che è pura grazia; ma anche esso viene superato dall'amore vergine in cui non conta se si è uomo o donna, ma solo un recipiente attivo dell'amore gratuito di Dio! E l'amore non è una "produzione", un "fare" (facere, da cui deriva l'inglese moderno volgare fuck).
L'altra grande consegna è quella della morte - e le ultime parole di uno che sta morendo sono importanti: quelle di Gesù sono note! Amatevi come il Padre ed io ci amiamo! Solo questo potrà convincere il mondo. E questo messaggio, questa buona novella, il Signore non lo ha consegnato solo in parole, ma in primo luogo nell'eucarestia, nell'atto di ringraziamento a Dio, in cui offre il suo corpo e il suo sangue. La carne eucaristica dona la vita eterna, mentre la carne sessuale muore! 
Recita il prologo di Giovanni al capitolo uno del Vangelo: 

[12] A quanti però l'hanno accolto, 
ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 

[13] i quali non da sangue, 
né da volere di carne, 
né da volere di uomo, 
ma da Dio sono stati generati
Questa generazione di Dio ha un nome: grazia! Nella carne e nel sangue possiamo solo fare un'esperienza di deserto, a volte necessario, ma ciò che conta è ciò che si desidera e non in primo luogo la modalità in cui viviamo il desiderio: 
Deus, Deus meus es tu; ad te de luce vígilo.
Sitívit in te anima mea, te desiderávit caro mea. 
Per lasciare l'ultima parola al monaco di Bose, Enzo Bianchi, nel suo Twitter odierno: 
Nella nostra vita quotidiana noi dobbiamo lottare innanzitutto contro la sofferenza sia fisica che morale,sia individuale che collettiva: Se riusciamo ad alleviare le sofferenze degli altrie a dare frammenti di gioia a chi soffreabbiamo realizzato il compito più importante.

(1)


Sui singoli atti del sesso

Caro Adrian,
Io non nego l'importanza dei singoli atti! Perché in quell'atto, in ogni singolo atto ci si avvicina al mistero "incarnato" dell'essere come dono: ad una persona che è altro da me. La mia esperienza mi dice, però, che vedere in ogni singolo atto un "co-atto" unitivo e potenzialmente procreativo è una forzatura "sistematica" di quello che è possibile, se Ursula K. Le Guin ha ragione con la sua osservazione sul sesso (troppo sotto- e sopravalutato). Certo il sistema tecnocratico è molto più sistemico, ma noi dobbiamo stare attenti a non pronunciare teorie che servono solo alla nostra coerenza (o presunta tale). Quello che dice san Massimo è vero ( l’opera è la manifestazione efficace dell’atteggiamento interiore): ho scritto il lungo racconto, "Libri ed altri ricordi", della mia vita, perché sia alla luce del sole ciò che sono, pur nelle mie contraddizioni (da confessare, non da legittimare). Tutto quello che dico, lo dico sempre in dialogo con qualcuno e non perché le mie frasi diventino a loro volto "sistema". Se ho il coraggio di dire alcune cose è perche le so in dialogo, ora per esempio con te. "Ciò che diciamo di voler fare e ciò che facciamo sono spesso due cose ben diverse" - questo è vero sempre. Perché non tutti i singoli atti di gestione dell'autorità nella chiesa, non i tutti i singoli atti intellettuali, non tutte le nostre singole letture, non tutte le nostre singole lezioni, sono espressione di Cristo. Chi è senza peccato, scagli la prima pietra. La cosa forse più importante che ho imparato da Papa Francesco, dopo il primerear, che avevo già imparato da Ferdinand Ulrich (il dono dell'essere come amore), è che di coerenza/purezza, per lo più presunta tale, si muore. E si fa morire gli altri. Tuo, affezionatissimo, Roberto 



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