Vicente Durán Casas si alza per porre un’altra domanda: «Santo Padre, di nuovo grazie per la sua visita. Insegno filosofia e mi piacerebbe sapere, anche a nome dei miei colleghi docenti di teologia, che cosa si aspetta dalla riflessione filosofica e teologica in un Paese come il nostro e nella Chiesa in generale».
Direi, per cominciare, che non sia una riflessione di laboratorio. Infatti, abbiamo visto che danno ha finito col fare la grande e brillante scolastica di Tommaso quando è andata decadendo, decadendo, decadendo…: è diventata una scolastica da manuale, senza vita, mera idea, e si è tradotta in una proposta pastorale casuistica. Almeno, ai nostri tempi siamo stati formati in questa linea… Direi che era piuttosto ridicolo che, per spiegare la continuità metafisica, il filosofo Losada[1] parlasse dei puncta inflata… Per dimostrare questo tipo di cose si cadeva nel ridicolo. Era un grande filosofo dell’epoca, ma decadente, volava rasoterra…
Dunque: la filosofia non in laboratorio, ma nella vita, nel dialogo col reale. Nel dialogo col reale troverai, come filosofo, i tre trascendentali che fanno l’unità, ma con un nome concreto. Ricordiamo le parole del nostro grande scrittore Dostoevskij. Come lui, anche noi dobbiamo riflettere su quale bellezza ci salverà, sulla bontà e sulla verità. Benedetto XVI parlava della verità come incontro, ovvero non più una classificazione, ma una strada. Sempre in dialogo con la realtà, perché non si può fare filosofia con la tavola logaritmica, che peraltro è ormai in disuso. E lo stesso vale anche per la teologia, ma questo non vuol dire «imbastardire» la teologia, al contrario. La teologia di Gesù era la cosa più reale di tutte, partiva dalla realtà e si innalzava fino al Padre. Partiva da un semino, da una parabola, da un fatto… e li spiegava. Gesù voleva fare una teologia profonda, e la realtà grande è il Signore. A me piace ripetere che per essere un buon teologo, oltre a studiare, bisogna avere dedizione, essere svegli e cogliere la realtà; su tutto questo bisogna riflettere in ginocchio. Un uomo che non prega, una donna che non prega, non può essere teologo o teologa. Sarà il volume del Denzinger[2] fatto persona, saprà tutte le dottrine esistenti o possibili, ma non farà teologia. Sarà un compendio, un manuale dove c’è tutto. Ma oggi la questione è come esprimi Dio tu, come esprimi chi è Dio, come si manifestano lo Spirito, le piaghe di Cristo, il mistero di Cristo, a partire dalla Lettera ai Filippesi 2,7 in avanti… Come spieghi questi misteri e li vai spiegando, e come stai insegnando quell’incontro che è la grazia. Come quando leggi Paolo nella Lettera ai Romani, dove c’è tutto il mistero della grazia e vuoi spiegarlo.
Approfitto di questa domanda per dire una cosa che credo vada detta per giustizia, e anche per carità. Infatti, sento molti commenti – rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati – sull’Esortazione apostolica post-sinodale. Per capire l’Amoris laetitia bisogna leggerla da cima a fondo. A cominciare dal primo capitolo, per continuare col secondo e così via… e riflettere. E leggere che cosa si è detto nel Sinodo.
Una seconda cosa: alcuni sostengono che sotto l’Amoris laetitia non c’è una morale cattolica o, quantomeno, non è una morale sicura. Su questo voglio ribadire con chiarezza che la morale dell’ Amoris laetitia è tomista, quella del grande Tommaso. Potete parlarne con un grande teologo, tra i migliori di oggi e tra i più maturi, il cardinal Schönborn. Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica. Aiutatele a rendersi conto che il grande Tommaso possiede una grandissima ricchezza, capace ancora oggi di ispirarci. Ma in ginocchio, sempre in ginocchio…
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