Introduzione
I. Charles Peguy
1. "Reden wir nicht mehr davon" - in Dialog mit Charles Peguy (I contadini di Péguy) und Hans Urs von Balthasar
"Non parliamo più di ciò" - in dialogo con... (26.10.2014)
"Non parliamo più di ciò" - in dialogo con... (26.10.2014)
Deutsch
Es gibt einen sicheren Zeichen, dass unsere Gesellschaft todkrank ist: sie empfindet nicht "die Nacht als der sänftigend, stillend, aussöhnend herabsenkende Schleier über dem furchtbaren Drama des Karfreitags" (Barthaar, Herrlichkeit II,2, 868-869). Und "Karfreitag" heisst letztendlich "Weltgeschichte" als Blutbad. Wir sind alle Aktivisten, Protestanten, nicht evangelisch-lutherisch, sondern Protestanten des Geistes des Kapitalismus und der protestantischen Ethik. Hier gründet sich auch das Problem der Deflation bei den Deutschen. Die Übrigen sind verärgert, weil sie es auch möchten, aber sie können es nicht. Die Entscheidung des italienischen Verfassungsgerichtes, der sich für Entscheidungsklagen gegen Deutschland wegen nationalsozialistischen Untaten erklärt hat, ist auch ein Zeichen dieses Begehrens.
Die ganze Polemik gegen Papst Franziskus ist ein Zeichen der selben Krankheit: Traditionalisten und Modernisten sind einfach Protestanten. Sie haben keinen Sinn für das, was Peguy als Nacht meint: "Nacht als Grundgestalt des kreatürlichen Seins" (868). Wir alle, Traditionalisten und Modernisten, meinen mit unserer Bildung und Begrifflichkeit (sprich mit unserer Gnosis) einen Beitrag zur Rettung der Welt zu leisten. Aber alles, was wir tun - auch dieses Post - ist nur Unterbrechung des Wesentlichen: "Unterbrechung der Nacht des Geschlechts wie des überbegrifflichen Verstehens" (869).
Ganz Anders redet der Vater: "Reden wir nicht mehr davon. Dieser unglaubliche Abstieg meines Sohnes unter die Menschen. (...) Nun hat doch jeder Mann das Recht seinen Sohn zu begraben. Und ich allein, ich Gott, dem durch dies Abenteuer (die Menschwerdung des Sohnes; rg) die Armen gebunden waren, konnten meinen Sohn nicht begraben. Da warst du es, o Nacht, die kam..." (Peguy in Balthasar, 869).
Bald wird es Winter, vielleicht wird uns der Herr die Gnade schenken "eines schweigenden unendlichen Schneefalls", die Gnade, die Nacht als Ereignis der Stille.
Italiano:
C'è un segno sicuro della malattia mortale della nostra società: non assapora la "notte come quel velo che cade in modo dolce, silenzioso, riconciliante sul dramma terribile del Venerdì Santo"( Hans urs von Balthasar, Gloria, II,2, 868-869), e Venerdì Santo significa ultimamente "storia del mondo" come bagno di sangue. Siamo tutti attivisti, protestanti, non evangelico-luterani, ma quei protestanti dello spirito del capitalismo e dell'etica protestante per l'appunto. Qui c'é anche il motivo ultimo del problema della deflazione tedesca. Gli altri sono arrabbiati perché lo vorrebbero anche loro, ma non possono. La decisione della Corte costituzionale italiana di approvare un azione legale contro i tedeschi per i crimini nazionalsocialisti è un segno di questo desiderio di essere come...
La polemica contro papa Francesco è segno della stessa malattia. Tradizionalisti e modernisti sono semplicemente protestanti. Non ha nessuno senso per ciò che Peguy chiama la notte: "notte come figura elementare dell'essere creaturale". Noi tutti tradizionalisti e/o modernisti pensiamo di salvare il mondo con i nostri concetti - con questo post - e con la nostra formazione culturale, insomma con la nostra gnosi. Ma tutto ciò che facciamo è interruzione dell'essenziale: "interruzione della notte del senso come di un concepire sovra-concettuale" (869).
In modo completamente diverso parla il Padre: "Non parliamo più di ciò. Questa incredibile discesa di mio figlio tra gli uomini (...) Un uomo ha ben il diritto di seppellire il proprio figlio; solo io, solo io Dio, che per questa avventura (dell'incarnazione; rg) avevo le mani legate non ho potuto farlo. Poi sei soccorsa tu, o notte, sei venuta tu..." (Peguy citato in Gloria II, 2, edizione tedesca, 869).
Fra un poco verrà l'inverno, speriamo che il Signore ci faccia la grazia di "una nevicata infinita e silenziosa", la grazia della notte come avvenimento del silenzio.
PS Hans Urs von Balthasar precisa, (ibidem 870) , che Peguy approfondisce il tema della notte; è il poeta della speranza; non si può lasciare il tema dove l'ho lasciato ieri con l'immagine della caduta della neve. Nel mistero dei bambini innocenti, che muoiono per coprire Gesù in fuga verso l'Egitto, che muoiono oggi, perché ammazzati nel martirio dei cristiani, per esempio in Irak, il poeta vede l'ultima dimensione della notte. Non sanno ancora nulla della vita e vengono uccisi, perché si vuole uccidere Cristo o i suoi. Loro non vengono solo accolti nell'ultimo posto del paradiso (Dante), ma nel primo: qui giocano con semplicità e creatività, perché non conoscono le forme distruttive della vanità. Sono completamente liberi. Attraverso la notte della sofferenza innocente parla una speranza realmente cristiana. (27.10.14)
2. Omero; Peguy Riflessione sul terzo capitolo dell'Iliade - in Dialogo con Omero nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti
PS Hans Urs von Balthasar precisa, (ibidem 870) , che Peguy approfondisce il tema della notte; è il poeta della speranza; non si può lasciare il tema dove l'ho lasciato ieri con l'immagine della caduta della neve. Nel mistero dei bambini innocenti, che muoiono per coprire Gesù in fuga verso l'Egitto, che muoiono oggi, perché ammazzati nel martirio dei cristiani, per esempio in Irak, il poeta vede l'ultima dimensione della notte. Non sanno ancora nulla della vita e vengono uccisi, perché si vuole uccidere Cristo o i suoi. Loro non vengono solo accolti nell'ultimo posto del paradiso (Dante), ma nel primo: qui giocano con semplicità e creatività, perché non conoscono le forme distruttive della vanità. Sono completamente liberi. Attraverso la notte della sofferenza innocente parla una speranza realmente cristiana. (27.10.14)
2. Omero; Peguy Riflessione sul terzo capitolo dell'Iliade - in Dialogo con Omero nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti
1. Tra l'amore erotico per Elena e l'amore integrale di Cristo c'è solo un passo piccolissimo, forse si potrebbe dire un "nulla". Paride dice: tuo, mio. Gesù dice al padre: Tuo, Mio. Tra il fiore colto (tuo, mio) e l'altro donato (Tuo, Mio) l'inesprimibile nulla (cfr. Ungaretti).
2. Il poeta pensa il suo mondo forse non esplicitamente sotto il tema della speranza (che qui intendo come lettore del testo oggi), come fa Peguy, ma certamente la sua "esposizione" è piena di "speranza", di quella speranza che nasce dal non nascondere nulla. Come nel "Don Giovanni" di Da Ponte e Mozart vi è un certo "moralismo": il coro finale del "Don Giovanni" canta la cattiva sorte del "peccatore", Elena si pente di essere stata una "cagna". Elena rimpiange il primo marito e la famiglia e gli amici, Don Giovanni no e non si pente neppure di fronte al Commendatore che lo minaccia. In gioco è l'amore erotico - "mai così il desiderio avviluppò il mio cuore" (III, 442), neppure all'inizio, dice Paride. E sebbene quest'ultimo abbia perso il duello con Menelao, e sebbene Elena rimpianga la famiglia, "giacquero insieme nel letto". Come nel caso di don Giovanni anche qui la donna è piuttosto passiva. Nel centro dell'attenzione del poeta è la "dolce passione" dell'eros. Senza prenderla sul serio non vi è speranza per i popoli teucro ed acheo. Il saggio Priamo lo sa è dice esplicitamente ad Elena: non è colpa tua, è colpa degli dei. Anche la nostra epoca insicura tra un'etica del lavoro protestante e un certo fascino della "dolce passione", almeno quella inscenata dai film di Hollywood, non può essere colpevolizzato. La speranza me lo vieta; per questo i tradizionalisti con la loro etica farisaica che richiedono agli altri, sono per me il nemico primo. Il modernismo è una "vigliaccheria", ma esprime in modo debole la stessa cosa che dice Priamo. "non certo tu sei colpevole davanti a me, gli dèi sono colpevoli" (III, 164).
3. Quando il vero Dio diventa carne si fa eucaristia: nutrimento per la carne. Ora il cedere a Lui è diverso solo in una cosa dal cedimento di Elena a Paride o di Paride alla "dolce passione": è più gratuito. È la stessa carne che cede, ma in modo assolutamente gratuito. Questo cedimento è possibile solamente per "grazia", che don Giussani ci chiede di chiedere insistentemente con la giaculatoria: veni Sancte Spiritus, veni per Mariam.
II Ferdinand Ulrich e Hans Urs von Balthasar
Pensieri sulla famiglia - in dialogo con #FerdinandUlrich e #HansUrsvonBalthasar (25.10.2015)
Pensieri sulla famiglia - in dialogo con #FerdinandUlrich e #HansUrsvonBalthasar (25.10.2015)
In primo luogo rimando al discorso di chiusura del Santo Padre di ieri sera, all'articolo apparso questa mattina ne "Il Sussidiario" dell'amico Federico Pichetto e all'intervista con Massimo Borghesi in vita.it, che si trovano nella mia bacheca. Li c'è il contesto grande delle mie "note al margine".
1. Sono grato di avere una famiglia. Il primo pensiero quindi sulla famiglia è il ringraziamento di averne una. Con una moglie e due figli. Due gravidanze che invece non sono andate a termine. In primo luogo nella famiglia capisco cosa sia l'atto del dono dell'essere, come "similitudo divinae bonitatis". Dio è in sé buono; l'atto gratuito dell'essere finito è similitudo di questa bontà. La famiglia permette di vedere questa bontà in atto. (Bontà e bellezza sono nel linguaggio di Platone ancora in una forte unità). Nel contesto del disastro di così tante famiglie è una "grazia" quando una si realizza nel senso del "per sempre", che è una dimensione decisiva dell'amore. Grazie significa gratuità. La famiglia è il luogo per eccellenza della gratuità. Per questo motivo chi insiste a difendere la famiglia come un diritto che si sta perdendo o chi vuole avere, sempre come diritto, nuove forme di famiglia, non coglie la dimensione ultima di cosa si sta parlando. È vero che seguendo il "diritto di natura" gli uni difendono una cosa vera e gli altri, in un certo senso, una cosa falsa, ma come ha risposto Gesù alla Samaritana, che gli chiede dove si dovesse adorare Dio a Gerusalemme o a Sicar, Gesù risponde: "Voi adorate ciò che non conoscete e noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l'ora - ed è questa in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità" (Gv 4, 22). Certo nel "diritto di natura" c'è la "verità", ma viene l'ora in cui solamente comprendendo lo spirito e la verità gratuita dell'amore di Cristo è possibile fare ciò che il "Padre" davvero vuole. Ciò non toglie ovviamente che in forza dei diversi stili ecclesiali e laicali non ci siano anche spazi istituzionali per favorire un certo modello legale invece che un altro.
2. Cosa vuole il Padre? "Senza mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri, abbiamo cercato di abbracciare pienamente e coraggiosamente la bontà e la misericordia di Dio che supera i nostri calcoli umani e che non desidera altro che «TUTTI GLI UOMINI SIANO SALVATI» (1 Tm 2,4), per inserire e per vivere questo Sinodo nel contesto dell’Anno Straordinario della Misericordia che la Chiesa è chiamata a vivere."
3. Attraverso i social media e i blogs, che sono certamente un arricchimento per lo spettro democratico dell'opinione pubblica, ci sono troppe persone che parlano di cose importanti in un modo che è espressione solo di un "gusto", non delle determinazioni ultime dell'essere donato, che sono nella trilogia balthasariana la bellezza, la bontà e la verità. Certe persone o giornalisti avendo poi uno stile facile da leggere diventano delle "autorità indiscutibili", mentre ciò che dicono è spesso, almeno nel ductus che usano, "spostato" da quell'intenzione ultima espressa da 1 Tm 2,4. Quello che ho scritto questa mattina sulla "sequela di Carròn" vale infinitamente di più per i tanti guru cattolici come la Miriano, Socci e tutti gli altri.
4. Il grande nemico della famiglia è l'astrazione. Astrazione significa che invece di comprendere cosa ci vuol dire Dio con quell'uomo e con quella donna,con quei figli astraiamo da ciò per muoverci ad un livello di "logicizzazioni" di cose forse anche vere (in diverse forme di logorrea cattolica), ma che non ci permettono di amare il "prossimo" nelle modalità chiare espresse dal papa ieri sera. Questa astrazione non è in primo luogo quella di chi vuole diverse forme di "nuovi diritti", ma la nostra. Qui vale la logica evangelica: tanto più ci è donato, tanto più ci sarà richiesto. Quindi ha me può chiedere il Signore un sacrificio che ad altri non è chiesto. Di fronte a questa sua esigenza posso tradirlo ed "astrarre", anche se la mia bacheca è piena di messaggi cristiani.
Roberto, un piccolo amico di Gesù
III (Guardini e Hölderlin)
L'amore e il bisogno - in dialogo con #GuardiniHölderlin (25.10.2016)
Anche se la Chiesa offre tutto ciò di cui abbiamo bisogno per il nostro nutrimento interiore, vi sono alcuni amici nello spirito che giocano un ruolo importante per quei nodi nella nostra esistenza, che non si lasciano facilmente sciogliere, anche se forse non fanno parte direttamente dei padri e maestri della fede cattolica. Credo che in questo spirito Guardini abbia letto Hölderlin, a cui ritorno sempre di nuovo, già dalla mia gioventù.
Proprio al cospetto di tali nodi è necessario comprendere la distinzione posta da Monica Scholz-Zappa tra l'uomo quale è e l'uomo come dovrebbe essere. A me interessa unicamente il primo.
Gli istinti, tutti, le inclinazioni, le pulsioni non possono essere tradotti adeguatamente con la categoria del "PECCATO". A volte si mischia il peccato con il bisogno, con l'istinto che esso segnala. Hölderlin dice con ragione: nessuno degli istinti è superfluo, non necessario. L'amore stesso sebbene apra il cuore non nel senso di una "norma o di una idea" (Guardini), ma nel senso dell'etere, dell'aria che ci permette di respirare e vivere, risponde a quella struttura di bisogno propria all'uomo. Etere, Aria è una parola di importanza notevole in Hölderlin (Guardini, Hölderlin, edizione tedesca, 135). Essa significa chiarezza, potenza dell'altezza del cielo, il colore blu di esso, la pienezza di luce, che godiamo immensamente durante una passeggiata. L'aria esprime qualcosa di assolutamente sensato e la forza che viene dalla forma convessa del cielo, ci dona una "casa". Ma tutta questa ampiezza non toglie il bisogno. L'essere come dono è dono in una struttura di bisogno. Per ciò con ragione dice Hölderlin: il padre dell'amore è l'eccedenza di gratuità, ma i frutti di esso devono essere a volte raccolti tra i rovi. A volte ci viene offerto da bere in un giorno pesante da una brocca non particolarmente preziosa. Non dobbiamo disdegnare questa offerta, perché se il padre dell'amore è l'eccedenza gratuita, la madre di esso è il bisogno (chiasmo stilistico).
Tanti discorsi ecclesiali sull'amore non tengono conto di ciò che dice Hölderlin: gli istinti, il bisogno non sono superflui - vi è una dimensione superflua forse: ciò che chiamiamo volgarità, perversione. Ma anche queste cose, solo per il moralista sono dei nemici da combattere, per l'uomo che guarda attentamente il reale sono degli indicatori del bisogno. Credo che ci si possa educare alla bellezza e alla purezza, ma non credo che si possa dimenticare la struttura ultima dell'amore, che è figlio dell'eccedenza gratuita e della povertà. Credo che si possa anche semplicemente confessare il peccato (quando il bisogno diventa veicolo di sola volontà di potenza sull'altro) e chiedere aiuto per ciò che vi è di malato in noi, ma non credo che sia possibile evitare quel "lavoro critico" del pensiero che ci permette di discernere il bisogno dal peccato stesso.
Eros tende all'etere come spiegato sopra, all'ampiezza. Agape potrà abbracciare l'eros ed aiutarlo alla sua meta, perché è capace di tramutare acqua in vino. Ciò sarà possibile solamente con quel realismo di cui parla Hölderlin: nessun bisogno è superfluo. L'amore gratis lo sa e per questo offre quel "ponte" che permette di prendere sul serio sé e l'altro: la misericordia!
Roberto, un piccolo amico di Gesù
IV Vasilij Grossman
"Il concetto, che sostiene il pensiero di Hölderlin, è la natura" (Guardini) - in dialogo con #GuardiniHölderlin (30.10.2016)
Wetterzeube. Mentre in Italia si teme il continuo ripetersi delle scosse di terremoto, dalla lontana Germania avevo bisogno in questa domenica di leggere qualcosa che mi sostenesse.
Così ritorno sempre di nuovo dal mio amico Hölderlin, guidato dalla sicura mano di Romano Guardini.
"Per Hölderlin la natura è la realtà definitiva" (Guardini, 144). Al cospetto dell'espereinza del nascere e morire delle cose o anche solo del terremoto l'affermazione di Hölderlin sembra essere strana.
Guardini spiega: "Tutto ciò che può essere nominato si trova al suo interno. Essa é ciò che è proprio e ciò che è essenziale, il santo tutto, al di fuori del quale non vi è niente. Una domanda che intendesse un'al di là della natura o un impulso che volesse andare oltre di essa, verrebbe da Hölderlin giudicato come sacrilegio. Ma con ciò Hölderlin pensa che l"uomo non è un essere naturale nel senso da noi normalmente inteso - animale, albero o stella, perché egli viene da un ambito di mistero ed ad esso ritorna." (Guardini, 144)
Hölderlin a differenza di Goethe non è un panteista: "Tutto viene dal tutto e può ritornare nel tutto. Contro questo modo di pensare Hölderlin argomenta in modo molto severo. Tra gli uomini ci sono delle differenze insuperabili e sono poste già con la nascita. Questa non è un avvenimento che dona agli esseri singoli materia vitale e forma biologica, ma un avvenimento religioso, che determina il suo destino." (Guardini 145).
C'è un modo di "superare" la "natura" che è davvero sacrilego. Dio donando l'essere non dona in modo lunatico o nel senso di un sì e no allo stesso tempo. Il dono ha tutta la grandezza del "non essere causato dell'essere come dono" (Ferdinand Ulrich). L'atto creativo dell'essere porta in se il signum divino di chi lo dona: il suo (di Dio) non essere causato.
Ancor prima di Hannah Arendt, che mette in questione l'unilaterale "esserci per la morte" di Heidegger, Hölderlin prende sul serio l'avvenimento della nascita:
"Giacché
come hai iniziato così rimani,
per quanto operi il bisogno
e la disciplina; il più infatti
lo può la nascita,
e il raggio di luce,
che incontra il neonato". (Hölderlin)
come hai iniziato così rimani,
per quanto operi il bisogno
e la disciplina; il più infatti
lo può la nascita,
e il raggio di luce,
che incontra il neonato". (Hölderlin)
Benedetto XVI parla nel suo libro su Gesù, commentando il vangelo di Giovanni, del nostro inserimento nel dialogo trinitario dell'uomo. Perché la Trinità non sia qualcosa di assolutamente astratto, non potremo che prendere del tutto sul serio il dono che essa ci fa di ciò che Hölderlin chiama la natura. Prenderemo così sul serio quel dialogo d'amore che è l'unico tema tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo. La prima lettura di oggi dal libro della Sapienza ci fa vedere cosa sia la sapienza trinitaria, che noi conosciamo nel suo essere dono "naturale" e "redentore" (Cristo): "tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure formata." Un "nulla" che potesse minacciare al "natura" sarebbe una forma di odio, incompatibile con il "Dio che è amore". "Il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose".
La morte è pieno accesso al dono dell'essere come amore gratuito! Che Dio ci educhi a vedere in essa una "sorella", come ci ha detto san Francesco.
Roberto, un piccolo amico di Gesù
Apertura! #GuardiniHölderlin (8.11.16)
Und das Werden versteh; und wenn die reissende Zeit mir
Zu gewaltig das Haupt ergreift; und die Not und das Irrsal
Unter Sterblichen mir mein sterblich Leben erschüttert,
Laß der Stille mich dann in deiner Tiefe gedenken!
Zu gewaltig das Haupt ergreift; und die Not und das Irrsal
Unter Sterblichen mir mein sterblich Leben erschüttert,
Laß der Stille mich dann in deiner Tiefe gedenken!
Comprendi il divenire; e se il tempo lacerante a me
Con troppa violenza prende il mio capo, e il bisogno e la pazzia
Tra i mortali a me la mia vita mortale strapazza,
Fai che possa ricordarmi del silenzio nella tua profondità.
Con troppa violenza prende il mio capo, e il bisogno e la pazzia
Tra i mortali a me la mia vita mortale strapazza,
Fai che possa ricordarmi del silenzio nella tua profondità.
(Hölderlin)
La preghiera del breviario mi ricentra nel mistero giudaico e cristiano, ma la mia anima, che vuole apertura, che vuole considerare dietro sé la morte e davanti a sé il Dio dell'Amore gratis, vive anche del mistero greco dello stare sulla terra. Senza questa apertura tutte le preghiere del breviario mi fanno solo più farisaico, per nulla amante.
E si, come un ragazzo, guardo a terra troppo sovente,
Cerco nella caverna la salvezza da te (il tempo), e vorrei
Io scemo, trovare un posto,
Tu che metti tutto in subbuglio, dove tu non sei.
Permetti infine o Padre! di incontrarti con occhi aperti. (Hölderlin)
Cerco nella caverna la salvezza da te (il tempo), e vorrei
Io scemo, trovare un posto,
Tu che metti tutto in subbuglio, dove tu non sei.
Permetti infine o Padre! di incontrarti con occhi aperti. (Hölderlin)
Pur nell'assenso totale e incondizionato alla "nostra madre gerarchica la Chiesa" (Ignazio) sento il bisogno di parlare con Te da solo o Dio! Vero Padre, più vero della paternità del tempo!
Apertura! Lasciami andare o vero Padre anche a scuola con occhi aperti. Fammi sentire anche il Tuo silenzio nella scuola.
Un piccolo amico di Gesù e servo inutile!
PS
Grazie per la tua domanda Georg, ovviamente non intendevo accusare di chiusura il mistero giudeo cristiano in sé. Tanto più che il cuore di questo mistero è Cristo stesso! Io vedo però che a volte prego molto, ma e come se togliessi (tollere) la dimensione naturale. Ora passeggiare nei boschi, vedere i colori della natura, sentire tutta l'attrazione che viene dalla "Grecia" (eros) significa prendere sul serio un' "analogia naturale religiosa" senza la quale "la rivelazione biblico profetica" viene ridotta ad un fariseismo farisaico, che nega l'apertura che come dici giustamente tu è dimensione non negata ma affermata nella rivelazione biblico profetica. Almeno ciò vale per me! È vero comunque che comincio il mio giorno con i salmi, non con le poesie di Hölderlin!
IV Vasilij Grossman
"Il totalitarismo non può fare a meno della violenza. Se vi rinunciasse, cesserebbe di esistere" - in dialogo con Vasilij Grossman (31.10.2014)
1. Nel capitolo 49 mi colpisce lo sguardo attraverso la vita di un bambino, che vive le giornate normali, come quando va a portare, perché lo voleva la nonna, la panna acida da una signora, che poi scopre essere amica della sua mamma, della tragedia che poi sarà considerata nella prospettiva di un adulto: "ci sarebbe voluto qualche decennio per capire cosa stava succedendo, ma in tanto il primo cuore di David ne sentiva giorno e notte l'orrore e la malía" (fine del capitolo 49).
2. Il capitolo 50 analizzi poi in modo spietato alcuni temi intoccabili: la "remissività della massa" nei confronti delle mostruosità naziste e comuniste. Rinvio all'articolo di Adriano Dell'Asta, che metto in fondo a queste brevi righe di riflessione per la problematica nella sua generalità.
3. Poi il tema di un' "obbedienza succube", che è l'esatto contrario dell tema dell'obbedienza nei grandi maestri cristiani: Ignazio di Loyola, Adrienne von Speyr, Hans urs von Balthasar.
4. Il tema della "speranza folle" di salvarsi, quando si é già in riga per essere uccisi, che ovviamente non ha nulla a che fare con il tema della "speranza per tutti", del grande poeta cristiano Charles Peguy.
5. Ciò che mi colpisce di più è la questione che ho messo nel titolo di questo post: "Il totalitarismo non può fare a meno della violenza. Se vi rinunciasse, cesserebbe di esistere". Grossman sa che c'é una violenza "diretta" ed una "mascherata". Ora nel sistema della "società trasparente" (Byung-Chul Han), in cui stiamo vivendo, ci troviamo di fronte ad una "violenza mascherata". Questo significa che il "discernimento degli spiriti" deve diventare più fine ed acuto e non essere confuso con uno spirito della polemica generalizzata.
V
(5.11.2014)
Datagate, lettera aperta di un mio amico a Claudio Magris, con un mio piccolo intervento sul tema
Carissimo Claudio Magris,
da Havel che lei cita all’inizio del suo articolo (Inutilità dello spionaggio universale. Cosa (non) ci ha insegnato il comunismo) sul fenomeno inquietante del Datagate abbiamo molto da imparare oggi, la sua è una lezione che entra nel merito di questo minaccioso spionaggio universale che mette la nostra vita quotidiana sotto un ferreo controllo come accadeva nella Berlino del film Le Vite degli altri.
Io le suggerirei di completare la sua citazione con questo breve ma incisivo passo del suo libro Il potere dei senza potere, là dove Havel scrive: “ Parlando di Charta 77, Jan Patocka usava il concetto di “solidarietà degli scossi”. Pensava a coloro che hanno osato resistere al potere impersonale e opporgli l’unica cosa di cui disponevano: la propria umanità”
Oggi di fronte a questo potere impersonale che registra tutto ciò che facciamo e diciamo noi non abbiamo altro da opporre se non la nostra umanità e questo scava un solco di bellezza e verità che rigenera la vita.
Lo sappiamo che siamo spiati e controllati in ogni passo, che ogni ambito di lavoro, una fabbrica come una scuola, è sotto gli occhi di un capo che registra parole e comportamenti e poi va a riferire. Per vivere bisogna cedere a qualche ricatto, questa è la logica che domina la società e il Datagate si afferma proprio per questo cedimento al controllare come all’essere controllati.
Havel ha lanciato un’altra sfida, la sfida ad esserci e non ad omologarsi. La questione vera allora ieri come oggi è come si possa esserci, come si possa vincere la stretta della omologazione.
Lo sanno tutti che vi è questa pressione, e sanno anche ben analizzarne le dinamiche, ma non si vince questo controllo sempre più opprimente con l’analisi delle dinamiche sbagliate della famiglia.
La strada per vincere non è l’analisi, è un’altra, è una forza interiore che fa fiorire l’umanità: questo è il segreto di chi ha osato sfidare il potere, che hanno capito che la loro forza non è una loro particolare genialità, ma quell’Uno cui danno la vita interamente. Disporre della propria umanita’, saperla coltivare, intuirne l’unicità, qui sta la leva che vince ogni potere, qui sta il potere dei senza potere, qui nella capacità che ogni essere porta con sé, nel giudizio che il cuore sa dare e sa opporre al’omologazione che ci opprime, a questo controllo che arriva a soffocarci con una stretta quanto mai forte. Contro questo potere noi abbiamo solo la nostra umanità, la coscienza del valore unico che ognuno di noi è; qui si incunea il solco che può percorrere solo chi è serio con se stesso, solo chi prende sul serio la sua umanità. E’ una strada che attrae l’umano, è la strada che percorre il cuore fino ad arrivare a riconoscere che ciò di cui consiste l’io è ciò di cui consiste ogni altro, è la tensione che spinge l’io a quel Tu in cui si compie. Oggi di fronte al Datagate che ci opprime c’è quanto mai l’urgenza a riconoscere il valore di cui siamo fatti, quel legame originario con la trascendenza che rende capaci di stare di fronte a chi ci controlla, così liberi da non temere quel potere impersonale che pensa di sapere tutto di noi, ma che in realtà non sa che ciò di cui viviamo è più grande di quello che sappiamo fare. Qui sta il segreto che può vincere il Datagate, è il segreto di Havel, che lui aveva un potere più forte di quel potere che pensava di controllarlo, è il potere della sua umanità, quella tensione insopprimibile al vero e al bello, una tensione che ci libera.
Il Datagate è quanto mai inserito dentro i legami che viviamo, arriva persino dentro gli affetti più veri, come un rivolo si incunea in ogni piega del tessuto sociale, ma nulla può contro la forza originaria dell’umano, quella apertura al vero e al bello che scardina ogni controllo, che lo vince.
E’ la lezione di Havel, e lei caro Magris la può apprendere per intero, sorprendendo così ciò che abbiamo da opporre a questo spionaggio universale, il nostro cuore. E se non ci fa paura, è perché sappiamo che sta in noi la forza per affrontarlo!
Abbiategrasso
Caro Gianni, sulla parte propositiva non ho nessuna obiezione (anzi te ne sono grato), sull'analisi si. I dati che interessano ai servizi segreti americani sono dati di terrorismo e guerra (quasi tutti), come ha fatto notare la "Frankfurter Allgemeine Zeitung" nel fine settimana. Ovviamente si può obiettare che ciò non è necessario. Ma se non si fa questa obiezione di coscienza radicale, legittima e possibile, allora è chiaro che i sistemi di difesa nella nostra epoca cibernetica, sono altri che nell'epoca analoga (non so se si scrive così in italiano). L'esagerazione dell'interpretazione del Datagate è tipica degli intellettuali europei - ma da questi non mi vorrei farmi difendere dai terroristi islamistici. Tuo, r
In dialogo con Etty Hillesum
(4.1.18)
"Quando si tratta di problemi della vita, posso spesso apparire come una persona superiore: eppure, nell'intimo, mi sento prigioniera di un gomitolo aggrovigliato, e malgrado tutta la mia lucidità di pensiero a volte non sono altro che una poveretta piena di paura" (Etty Hillesum, Diario. Edizione integrale, Milano 2012, 31.) - in dialogo con #EttyHillesum
Era tempo che volevo cominciare un dialogo interiore con questa donna giovane, morta ad Auschwitz all'età di 29 anni.
Vorrei scrivere come lei: in modo più fluido, meno frenato teologicamente o filosoficamente (sebbene la filosofia in sé non sia un freno, ma un esigenza di precisione). Vorrei scrivere in modo pubblico, perché questa è la nostra epoca, appunto trasparente.
I miei tentativi di essere aperto nel passato si sono scontrati con persone che mi hanno scritto subito una predica - e di queste non ho bisogno, come non ne ha bisogno nessuno.
Etty scrive in modo aperto, anche sulle sensazioni erotiche che le danno certe persone. Non è inibita. Non è neppure perversa e sa distinguere ciò che è oggettivo, anche in un incontro più intimo, da ciò che diventa troppo invadente.
Desidero essere più libero! Come lei!
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