vorrei ringraziarla per il suo articolo apparso in "Tracce" (novembre 2018), la rivista ufficiale del Movimento di Comunione e Liberazione, alla cui Fraternità, per grazia, appartengo: cosa vogliamo sapere? I temi sono molto importanti: il superamento della lotta tra algoritmi pro o contra nella direzione di una riflessione sul proprio cervello, la propria capacità di comprendere; il prevalere delle percezioni superato da un pensiero che sappia prendere sul serio affettività e libertà; le verità illusorie della rete (fake news), etc. Anche il rinvio ad autori come lo storico israeliano Yuval Noah Harrari o la scrittrice americana Siri Huvstedt, sono molto utili.
Ci sono, però, due passaggi che mi hanno fatto riflettere in modo particolare: un vero pensiero critico e non scettico non nasce da una nuova teoria epistemologica ma da una vera riflessione sull'essere: "tutto si gioca sul come noi percepiamo l'essere".
Questa dimensione filosofica si esplicita poi nella domanda esistenziale per eccellenza: "c'è qualcosa nella nostra esperienza che ci interessa salvare"? O per dirla con il titolo dell'articolo: Cosa vogliamo sapere?
Sto traducendo un po' alla volta nel mio blog, in modo particolare per don Julián Carrón, alcune pagine del filosofo tedesco, amico intimo di Hans Urs von Balthasar, Ferdinand Ulrich, dal suo libro "Dono e perdono. Un contributo di ontologia biblica".
Cosa ho imparato da lui, negli ultimi 28 anni? A rispondere alle domande che pone lei nell'articolo. Nella sua ontologia dell'essere come dono ho imparato il discernimento nel reale di ciò che sia una esperienza di reale gratuità. La parola Umsonst in tedesco significa sia gratis che frustra.
Ciò che mi interessa salvare nella mia esperienza è una reale esperienza di amore gratuito, che quindi sia capace di "accettare" anche il fallimento. La certezza filosofica, come quella cristiana, non è mai identificabile con il "successo". Ma è certezza di un senso ultimo che si nasconde in quell'"uso medesimo delle parole "essere" e "nulla"" di cui parla Ulrich (1). Il nulla del nichilismo può essere superato solamente, dal suo interno, dal nulla dell'amore gratuito.
Stupore che ci sia qualcosa invece che niente nasce solamente se e quando uno incontra la gratuità dell'amore, in forza della quale è anche capace a sopportare il fallimento dell'insuccesso.
Non una logistica migliore, non un sistema migliore non un algoritmo migliore, ma l'esperienza della gratuità, anche nella rete, fosse questa espressa in una foto in Instagram o in una risposta non aspettata in Facebook, potrà forse convincere il mondo che tutto non è perso, sebbene con Swetlana Alexijewitsch mi venga da dire che l'uomo sembra destinato solo a lamentarsi, invece che ad amare. L'uomo, dice la letterata bielorussa, è raffinato nel male, ma semplice nell'amore.
La filosofia di Ulrich, ancora più di quella di Martin Heidegger, è il tentativo più geniale che io conosca di andare all'origine ultima della dimenticanza dell'essere, scoprendo che ciò che viene dimenticato è appunto il suo essere un'altra parola per l'amore gratuito con cui è stato donato. Nel ductus ignaziano e mariano di Ulrich si tratta di accompagnare l'uomo nel discernimento di ciò che sembra amore gratuito, ma non lo è.
La saluto cordialmente dalla Germania,
Suo, Roberto, un piccolo amico di Gesù
(1) La polarità ultima che non deve diventare "contraddizione", ma fecondità ontologica, è quella tra essere e nulla.
Commento del prof. Esposito:
Grazie, Dr. Graziotto, di come rilancia le mie domande alla luce del profondo suggerimento metafisico di Ferdinand Ulrich (ricordo bene che lo stesso von Balthasar, incontrato da me un giorno ormai lontano a Basel, mi regalò una copia di "Homo Abyssus" di Ulrich). Che la donazione amorosa dell'essere (anzi l'essere stesso come dono gratuito) sia la chiave del nostro stare al mondo e comprendere il mondo è un dato per me chiaro e (perciò) inquieto. Il punto è scoprirlo dentro le pieghe delle nostre riduzioni, dentro il calcolo della ragione, come l'impossibile stesso che si fa possibile.
Grazie, Dr. Graziotto, di come rilancia le mie domande alla luce del profondo suggerimento metafisico di Ferdinand Ulrich (ricordo bene che lo stesso von Balthasar, incontrato da me un giorno ormai lontano a Basel, mi regalò una copia di "Homo Abyssus" di Ulrich). Che la donazione amorosa dell'essere (anzi l'essere stesso come dono gratuito) sia la chiave del nostro stare al mondo e comprendere il mondo è un dato per me chiaro e (perciò) inquieto. Il punto è scoprirlo dentro le pieghe delle nostre riduzioni, dentro il calcolo della ragione, come l'impossibile stesso che si fa possibile.
RispondiEliminaGrazie, professor Esposito. Scusi, mi sono accorto solo ora della sua risposta, con cui sono del tutto d'accordo.
EliminaPS Sto traducendo qui nel mio blog alcune pagine del "dono e perdono" di Ulrich per don Julían. Scorrendo i titoli del blog si vedono subito i post perché sono quelle meno consultati. ;-)
Elimina