domenica 14 gennaio 2018

L'essere come amore. Commento filosofico alla prima lettera di san Giovanni. Dedicato a don Federico Picchetto (seconda parte)

(Continuo in questo nuovo post il commento filosofico alla prima lettera di san Giovanni, che sto scrivendo da mesi. Il primo post porta lo stesso titolo) 

Sul possesso della verità 

2, [3] Da questo sappiamo d'averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. 

C'è una frase di don Federico degli ultimi giorni che mi ha colpito in modo particolare: 

A volte quando diciamo 
di voler sapere la verità, 
non abbiamo neanche idea 
di quello che stiamo chiedendo.


Non so bene a cosa pensasse il giovane sacerdote ligure, missionario della misericordia, quando ha scritto questa frase, ma la essa nella sua oggettività la sento come vera: noi crediamo di sapere cosa sia la verità, crediamo di sapere cosa siano i comandamenti, ma in vero si vede solo la nostra arroganza, che non si chiede chi sia l'altro, che non si chiede cosa sia la verità, che infine è persona sempre più grande. 

Dopo il mio giudizio critico nei confronti di S.E. Mons. Negri sono stato offeso più volte, a volte anche in modo molto volgare. Ovviamente si può accusare anche me di averlo offeso dandogli dell'imbecille. In vero è così che anche l'atto sessuale con una prostituta non è poi del tutto diverso dall'atto sessuale con la propria moglie e pure sono davvero due cose del tutto diverse. 

È davvero triste vedere come persone mi danno del "bonista" che non difende la famiglia, tanto per fare solo un esempio, che ingiuriano una persona che vive in missione da 15 anni fedele per grazia alla propria moglie in un contesto tra i più secolarizzati del mondo (più della Cina) con una quota di fallimenti matrimoniali altissimi; o che ti risponde, quando dico che la posizione riguardante il Papa, è per me una questione "esistenziale", che questa parola copre un atteggiamento labile e ideologo. Siamo a livello di indecenza incredibile. Ovviamente non è necessario sapere che mia moglie ed io siamo una vera e propria famiglia per l'accoglienza per ragazzi che hanno problemi di droga o di abusi sessuali, ma basterebbe la decenza di chiedersi come mai uno dice quello che dice... 

Torniamo al verso che mi propongo di commentare.  "Da questo sappiamo d'averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti." 

Testo greco: Καὶ ἐν τούτῳ γινώσκομεν ὅτι ἐγνώκαμεν αὐτόν, ἐὰν τὰς ἐντολὰς αὐτοῦ τηρῶμεν.

Qui Adrienne ci aiuta in modo straordinario, ma prima di parlare del suo commento vorrei evitare un fraintendimento. Per una tradizione neoplatonica noi siamo spesso abituati ha ridurre i comandamenti ad un divieto del sesso. 

Ovviamente questa dimensione è importante e la parola di Dio, proprio nella lettura di oggi, ci ricorda: 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinti 6,13c-15a.17-20. 

Fratelli, il corpo non è per l'impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. 
Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. 
Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? 
Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. 
Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. 
O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? 
Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo! 


Con ragione il commento al Messale quotidiano delle Paoline (quinta edizione del 2012) ci fa comprendere che nella situazione molto complessa della comunità di Corinzio, questa critica all'impudicizia è da vedere in primo luogo come critica ad un "vero e proprio peccato di idolatria". Il commento al Nuovo Testamento, anche delle Paoline (edizione del 2009) a cura di Bruno Maggioni dice che la parola greca di impurità o impudicizia è "porneia". "Dal contesto sembra che il riferimento esplicito sia quello della "prostituzione", non di una generica "impurità", come quella di cui parla Etty Hillesum nel suo diario quando dice che certi maschi interessanti le fanno venire determinate fantasie erotiche. 

A seconda di come siamo fatti certe fantasie erotiche, in modo particolare nella nostra società trasparente, sono inevitabili ed esprimono anche una forza vitale, anche se si deve stare attenti ad esse per i motivi che ho già spiegato in un post in dialogo con Etty Hillesum  - lo scarto tra idea e realtà più deludente. 

Chiediamo al Signore di non prostituirci, di non diventare cultori della "porneia", offriamogli tutto il nostro corpo, ma cerchiamo di non essere troppo bigotti. Non basta la pudicizia per conoscere il Signore, bisogna essere vivi. 

Ed ecco che Adrienne qui ci aiuta: i comandamenti del Signore non sono solo una "dottrina", ma lo rendono presente in modo corporeo. I comandamenti non sono "una qualche forma della morte": " i comandamenti del Signore sono vivi, perché il Signore è la vita in sé; chi non lo avesse conosciuto nel comandamento, non avrebbe incontrato il Signore e il suo comandamento, ma una qualche forma della morte". E il suo comandamento corrisponde del tutto alla filosofia dell'essere come dono: "amatevi l'un l'altro" in modo gratuito. 

Non vi è nessuno che possa dire: io seguo del tutto i suoi comandamenti. Spesso vengono confusi i comandamenti con alcuni aspetti letterali di essi. La lettera però uccide. Solo il Logos dona la vita e sa integrare la vita e sa trasformare l'acqua naturale nel vino soprannaturale. 

Tutti siamo in cammino: chi comincia a seguire verrà chiamato a seguire in modo sempre più profondo. 

Solo alla fine potremmo dire di aver voluto sapere veramente chi è la verità! 


A nessun cristiano è lecita „una conoscenza puramente speculativa del Signore“ (Adrienne) 

„Chi dice: „Lo conosco“, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità“. (1 Gv 2,4)

Testo greco: ὁ λέγων ὅτι Ἔγνωκα αὐτὸν καὶ τὰς ἐντολὰς αὐτοῦ μὴ τηρῶν ψεύστης ἐστίν, καὶ ἐν τούτῳ ἡ ἀλήθεια οὐκ ἔστιν·

Il Logos di Dio viene in aiuto al logos umano della filosofia dell’essere come dono. Chi affermasse di conoscere Dio, ma non amasse Colui che dona l’essere e l’essere donato (um pomodoro, un criceto, la donna amata…) è un bugiardo. Perché questo è il comandamento di cui parla il Logos di Dio, attraverso Giovanni: amare gratuitamente Dio e il prossimo. Dio, come ci insegna Adrienne, è „il Sempre-più-grande e il Sempre-altro“; del prossimo, si può dire analogicamente, lo stesso!

Quando alcuni anni fa don Julián Carrón a Caravaggio ha parlato di uno „svuotamento dell’ontologia del fatto cristiano fino a identificarlo con un insieme di regole definite da noi“, parlava dello stesso mistero di iniquità che Adrienne ci aiuta a comprendere.

Facciamo un passo per volta. In primo luogo questa frase di Giovanni è comprensibile solo nella preghiera che percepisce la misericordia infinita di Dio, perché chi può dire di sé di „osservare i suoi comandamenti“? Nessuno, perché tutti hanno peccato e tutti peccano. 

Quando diamo un giudizio su un peccato, nostro o di altri, non si tratta mai di un giudizio assoluto, ma sempre „storico“, perché nessuno di noi può dire di aver fatto un passo di assoluto avvicinamento al „Dio Sempre-più-grande e Sempre-altro“! Possiamo constatare alcuni „progressi relativi“, mai assoluti. 

Il peccato più grande è quando riceviamo un dono da Dio, un compito, una missione e non lo prendiamo sul serio. Il mistero di iniquità si rivela nello scarto tra il „compito“ ricevuto e l’ „immagine“ che ce ne siamo fatti, dice Adrienne. Si tratta anche di ciò che affermava don Julián a Caravaggio: „il prevalere della contrapposizione di idee sull’esperienza vissuta“. Il prevalere di uno nostro „schema, che ci impedisce di riconoscere veramente Dio quando questi si rivela“.  Purtroppo noi siamo sempre nella tentazione di voler arricchire, completare il „dono“ (carisma) che ci viene fatto, mentre lo „indeboliamo“. La forma più grande di indebolimento del carisma ha a che fare con il nostro giudizio di essere in grado o meno di rispondere a ciò che ci viene donato. 

Ciò vale in generale: chi di noi può dire che nella sua giornata quotidiana, al lavoro o a casa corrisponde con il cuore al dono gratuito dell’essere? E vale nella specifica forma di un carisma donato: chi corrisponde davvero al dono fatto? Noi non viviamo nel carisma, ma ne facciamo un „mito“ - il mito più grave è quello del culto della personalità. Il capo che da maestro diventa „mito“. Ci immaginiamo qualcosa che non è vero. 

La vera conoscenza della verità non è né „mitologica“ né speculativa. Tutti noi uomini collaboriamo oppure diventiamo di impedimento al dono che ci viene fatto. Collaboriamo se ci mettiamo all’opera in prima persona con la coscienza che tutto è in movimento. Il Signore Sempre-più-grande e Sempre-altro non può mai rivelarsi in schematismi fissi. Il senso della preghiera è farsi attirare in questo movimento nella forma di un dialogo che è sempre „affermazione“ ed „ascolto“, meglio un „offerta di sé in ascolto“. 
Il giudizio di „non essere nella verità“ su cui il Logos divino ed umano ci fa riflettere significa comprendere che la „verità è nell’uomo l’unità della conoscenza di Dio e l’osservare i comandamenti, l’unità di esteriore ed intimo, di azione e comprensione. Quest’unità non è una grandezza fissa, ma viva e in progressione. Al Sempre-più-grande di Dio e del suo compito donato corrisponde il tentativo crescente del cristiano di conoscenza e offerta di sé“ (Adrienne). Solo la staticità o formalismo della nostra risposta non corrisponde a ciò che richiede il Dio sempre più grande e sempre altro. Può donarci anche un compito profetico e noi possiamo andarci a nascondere oppure possiamo tentare di dire ciò che il Signore ci suggerisce. Per lo più gli altri, anche i supposti amici, penseranno che sei matto e ti lasceranno cadere. Non bisogna essere amareggiati, bisogna aver compassione di chi non comprende quando il Signore ti suggerisce cose che sono così diverse. Confesso che non ho sempre questa gioia e questa compassione che nasce dal fatto che solo Lui ha salvato (perfetto!) il mondo! 

La verità non è mai „consuetudine“, è „fuoco“

Sul camminare nella verità

[6] Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato.

Testo greco: ὁ λέγων ἐν αὐτῷ μένειν ὀφείλει καθὼς ἐκεῖνος περιεπάτησεν καὶ αὐτὸς περιπατεῖν. 

La traduzione italiana non è di aiuto questa volta. Propongo: colui che dice di rimanere in Cristo deve camminare (περιεπάτησεν)  come lui è camminato (περιπατεῖν). Questo ha certo anche a che fare con il suo comportamento, ma si tratta per l'appunto di un cammino. Adrienne commenta infatti: "chi osa questa frase, non può fermarsi" (Adrienne). In primo luogo tanti osano di dire di dimorare (rimanere, μένειν) in Cristo, ma se davvero già osano dire una tale cosa non possono fermarsi. Non si può osare di dire: testimonio Cristo pensando che averlo detto sia già testimonianza. La testimonianza è un cammino che deve essere fatto tenendo presente in modo fecondo gli opposti (non contraddizioni) tra persona e comunità. Chi come persona ripete solo ciò che dice la comunità rimane fermo, chi pensa di poter dire qualcosa d'altro tradisce. 

Per quanto il cristiano debba obbedire l'autorità vi è un legame diretto con Dio. Nel silenzio o nel parlare vi è un "obbligo" e questo non viene dal capo della comunità, ma da Dio. "L'obbligo nasce immediatamente da Dio e vive nella sua anima a partire dal primo momento in cui la sua anima si è aperta seriamente alla verità di Dio (...) Gli ruba il suo quotidiano neutrale per esigere i suoi giorni per Dio" (Adrienne). Non vi è neppure un neutrale stare nella rete. Tutto ciò che li accade, come ciò che accade offline, deve essere segno di un rimanere in Cristo - solo che non si può rimanere senza camminare: "anche nel piccolo, segreto, nella solitudine il cristiano deve orientarsi a ciò che sa del rimanere in Dio e in ciò che ha sperimentato. Non gli è lecito fare una differenza tra cristianesimo e vita quotidiana" (Adrienne), offline o online che sia. 

Questo significa che deve imparare a "rinunciare a ciò che gli è proprio" - per questo parlare di sé è una tentazione. Noi dobbiamo rinunciare proprio a quel sé! Anche la Etty Hillesum parla di "oggettivarsi". Chiediamo al Signore di non perdere la gioia in questa rinuncia. Anzi sono certo che la gioia crescerà! In questa gioia donata "tutto il lavoro diventa servizio e tutto il servizio diventa un camminare in Dio"! 

Il motore ultimo è la fede! Una fede che non è uguale in tutti, ma neppure qualcosa di individualista! Mettere in dubbio che uno creda è l'offesa più agghiacciante. Neppure quando dico che in questo periodo pre elettorale si vede come poco centri Cristo con tutto ciò che si dice, non metto in dubbio che nell'intimo uno creda. Vedo che tanta parte del mondo cattolico è manipolato da persone che le vogliono convincere in un progetto internazionale di stampo "fascista", come ha capito e detto con grande coraggio Cristiano Riccardo, ma ovviamente non metto in dubbio che uno creda. Questo lo sa solo Cristo!

"Anche il compito più oggettivo (sachlich) deve essere iniziato e compiuto nell'amore" (Adrienne). 

[2, 7] Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto fin da principio. Il comandamento antico è la parola che avete udito. 

Testo greco: Ἀγαπητοί, οὐκ ἐντολὴν καινὴν γράφω ὑμῖν, ἀλλ’ ἐντολὴν παλαιὰν ἣν εἴχετε ἀπ’ ἀρχῆς· ἡ ἐντολὴ ἡ παλαιά ἐστιν ὁ λόγος ὃν ἠκούσατε


Questa riflessione comincia con un "amati" (  Ἀγαπητοί); la traduzione italiana della CEI dice "carissimi". L'insistere sull'antichità del "comandamento" (ἐντολὴ) non è invito a tornare alle norme dell'Antico Testamento, all'oggettività delle norme, perché "anche il compito più oggettivo deve essere iniziato e compiuto nell'amore" che è una persona che si può ascoltare, che gli "amati" hanno ascoltato (ὁ λόγος ὃν ἠκούσατε), il Logos che avete ascoltato. 

Il richiamo all'antico comandamento non è fatto per spaventare, ma per incoraggiare, per consolare; è il metodo con cui Giovanni, il discepolo dell'amore, sempre comincia, e il metodo che vediamo agire ora sulla scena del mondo nella figura di Papa Francesco e nella bontà di coloro che assumono compiti di apostolato, in una certa parte del mondo, in questo spirito. "È cosa buona operare in modo apostolico in forza della calma del convincere", che non ha nulla a che fare con il "proselitismo", ma è un modo di approcciare gli altri in cui essi si sentano a loro agio. Per questo scrivevo ieri nella mia bacheca: 

"Le follie che ho sentito dire in Italia sull’anima tedesca, anche da parte di vescovi, per esempio su Lutero, sono talmente catto italiche ed autoreferenziali che, dette qui, non permetterebbe più un lavoro missionario per i prossimi 500 anni. Aggiungo. Nella solitudine neopagana tedesca, i nostri eroi critici della Germania, non resisterebbero interiormente, neppure tra una settimana, figuratevi per 16 anni. Io ho potuto resistere solamente perché ho incontrato anche il cuore delizioso di quest’anima tedesca, persone come mia moglie, come Ferdinand Ulrich, ed altri amici, anche luterani".

In questi 16 anni in Sassonia Anhalt ho incontrato persone che mi hanno messo a mio agio e che io messo a loro agio. Perché nel lavoro missionario e apostolico ciò che veramente conta è "far vedere l'amore". Giovanni stesso, che ha scritto l'Apocalisse, sa molto bene, che Dio può avvicinarci con altri metodi: "l'essere scossi attraverso il rivelarsi di una pena", l'essere scossi dal fuoco apocalittico. "E Giovanni è così nell'amore che egli accetta ogni forma e metodo , che il Signore gli fa vedere", per comunicare il suo amore! 

Non si tratta di negare l'uragano della croce e dell'apocalisse - ho appena ricevuto una telefonata che la nostra ragazza vietnamita è stata coinvolta in un incidente automobilistico molto grave (spero che l'uragano qui non sia troppo forte) - ma nessuno è giustificato a fare lavoro di apostolato con la falce nella mano. Come primo atteggiamento, anche se non l'unico, c'è sempre l'atteggiamento del "consolare". 

Cosa significa nuovo per un cristiano? 

 (2, 8) E tuttavia è un comandamento nuovo quello di cui vi scrivo, il che è vero in lui e in voi, perché le tenebre stanno diradandosi e la vera luce già risplende. 

Testo greco: πάλιν ἐντολὴν καινὴν γράφω ὑμῖν, ὅ ἐστιν ἀληθὲς ἐν αὐτῷ καὶ ἐν ὑμῖν, ὅτι ἡ σκοτία παράγεται καὶ τὸ φῶς τὸ ἀληθινὸν ἤδη φαίνει.

In primo luogo bisogna superare lo schema eretico di Ernst Bloch: Padre (AT) e Figlio (NT). Bisogna ritornare all'origine. La novità del comandamento del Figlio non è nuovo in rapporto al Padre e nuovo in rapporto alla storia che Dio ha avuto con il suo popolo fino alla pienezza dei tempi. 

L'essere come dono è novità continua, ha una dimensione antica, ma è novità continua e del tutto personale. L'ontologia come conservazione di un tesoro geloso non è mai l'ontologia cristiana. L'essere si da sempre è solo come dono personale e singolare. A livello ontologico non vi è nulla da difendere. 


Persone lo si è per il semplice fatto di essere stati creati. Personalità cristiane lo si diventa in quel continuo dono dell'essere che è azione comune del Padre e del Figlio. Si diventa "personalità" attraverso la donazione del Signore" (Adrienne). "È una novità che diventa nuova ogni giorno, ma non senza un legame da giorno a giorno, senza negare ciò che è stato, ma in una trasformazione, in un'apertura, che porta avanti. La fede rimane la stessa, ma prende sempre più possesso in profondità dell'uomo e si rivela come alcunché che non può essere contraddetto" (Adrienne). 

La novità è insomma una personalizzazione del dono dell'essere. Nell'inizio, nel Logos e in ciò che egli comanda - non bisogna dimenticarsi che il dono gratuito dell'essere contiene una necessità logica ultima: "un senso necessario dell'essere" (Ferdinand Ulrich) - la verità è semplice e piena, perfetta, in noi "diventa", tendendo a questa perfezione. 

Questo implica un crescere della luce e un diminuire delle tenebre. La diminuzione delle tenebre è però un lavoro: quest'ultimo permettere alla luce di comunicarsi e permettere alle tenebre di diminuire. Non ci si deve fissarsi nelle tenebre, ma si deve permettere loro di svanire. 

Questo può essere difficile, come nel caso della ragazza che nell'incidente della settimana scorsa era stesa vicino al cadavere dell'amica più cara. 

Ci sono luci false, dice Adrienne. Io dire ci sono luci secondarie o relative come l'eros. Si vede come questa luce possa pochissimo quando si è nel buio, ma non per questa è una luce falsa. Falsa lo diventa se si pensa che possa sostituire la luce del dono dell'essere come amore. Solo questa luce cresce con la vita in tutte le sue prospettive, l'altra ad un certo punto non ha più forza necessaria per far svanire le tenebre. 

Allora cosa significa nuovo per il cristiano? Non arbitrarietà, ma un passaggio dalla psicologia all'ontologia, dalla percezione del dono al dono stesso dell'essere che ci crea come personalità forti (non per nostro merito). Di questa forza parla Etty Hillesum nel marzo del 1941: la sorprende il fatto di agire a partire da un "centro", che non è la una forza caratteriale psicologica, ma un atto ontologico in cui si permette alla luce di crescere e alle tenebre di diminuire. 

Come? Permettendo alle parole di non essere più solo nella testa, ma nel cuore. 

"L'essere nella luce non conosce nessuna ripulsa e nessuna esclusività" (Adrienne)

"L'essere nella luce non conosce nessuna ripulsa e nessuna esclusività; conosce solamente il desiderio sempre più grande di integrare tutti nella luce" (Adrienne). 

2, [9] Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. 

Testo greco: ὁ λέγων ἐν τῷ φωτὶ εἶναι καὶ τὸν ἀδελφὸν αὐτοῦ μισῶν ἐν τῇ σκοτίᾳ ἐστὶν ἕως ἄρτι. 


La convenzione ontologica dell'essere come dono è luce che si dona a tutti. Nella storia ci possono essere dei motivi di conflitto, si può addirittura di fatto "odiare il fratello" a cui è stato donato l'essere con la stessa gratuità, ma ciò a che fare con la nostra debolezza. 

Adrienne interpreta questo verso dell'epistola di san Giovanni dapprima nella modalità della misericordia. Chi dice di essere nella luce pur odiando il fratello si trova in una "contraddizione", in una contraddizione ontologica. "Ma forse non è più a lungo nelle tenebre, perché ha già il bisogno di dire di trovarsi nella luce". In qualche modo consce il mistero della luce e non solo per convenienza, ma per un reale desiderio anche se desidera che tutti gli immigranti ritornino al loro paese (mi riferisco al commento fatto da una persona all'articolo lettera di don Federico sugli immigranti molesti dell'altro giorno). 

Ma vi è anche un'interpretazione dura del verso: "uno può anche affermare di essere nella luce senza attribuire a questa frase neanche il più piccolo valore di verità; essa viene fatta solo per ingannare e per attirare l'attenzione su se stesso" o per guadagnare voti, come certi politici che usano addirittura il rosario per propagare la loro politica estranea al Vangelo. 

Per quanto riguarda l'amore gratis di cui parlano i cristiani traduco questo passaggio di Adrienne che non ha bisogno di alcun commento: "A partire dalle proprie forze l'uomo è capace solo di un amore che in qualche modo ricada su se stesso. L'amore vero che si dona prodigamente, senza aspettarsi un amore ricambiato, ma anche senza rifiutarsi per nulla e che rimane sempre disponibile a ricevere con gratitudine, e non calcola mai: questo amore nasce solamente dal Signore"!!!

L'essere donato nella sua semplicità non è mai una "prestazione", vive del mistero più grande dell'essere donato stesso che è quello di non essere "causato". È gratuita pura che feconda, genera, ma non "fa" nulla. 

L'amore gratis vero non origina da noi

2, [10] Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v'è in lui occasione di inciampo.

Testo greco: ὁ ἀγαπῶν τὸν ἀδελφὸν αὐτοῦ ἐν τῷ φωτὶ μένει, καὶ σκάνδαλον ἐν αὐτῷ οὐκ ἔστιν· 

Il testo di Giovanni diventa sempre più sintetico e sempre più semplice. Non bisogna fare tanti discorsi: si dimora nella luce se si ama il proprio fratello e se non si decide chi sia il nostro fratello. Come il dono dell'essere è appunto un dono e non una produzione così nell'amore ci viene donato il nostro fratello come un dono e non come una costruzione dei nostri pensieri 

Adrienne commenta anche in modo molto chiaro e semplice: "Se uno ama davvero, cioè non in forza di un amore che origini da lui e di cui possa disporre, ma da un amore che origina dal Signore e che da lui è stato svegliato e sul quale solo il Signore può disporre, allora rimane nella luce". 

Tutto ciò che dico in dialogo con Adrienne, sia in questo commento filosofico alla prima lettera di Giovanni sia nei miei commenti nel "gruppo chiuso" di Facebook non è Adrienne al cento per cento, sono io in dialogo con lei; ma vi sono alcune cose in cui io non ho nessuna obiezione, per esempio su quanto detto nella citazione appena fatta. L'amore è un dono, non una produzione. Chi lo usa per scopi ideologici si avvicina in modo molto pericolo al peccato contro lo Spirito. 

Ecco la logica dell'amore: esso viene donato come è donato l'essere e sveglia in noi amore per il fratello. Questa logica ci permette di essere nella luce. Vi è ovviamente anche una dialettica vicino e lontano - non posso amare uno che ho appena veduto nella metro come amo mia figlia. Allo stesso tempo però vi una verità più grande di questa e nell'amore cristiano anche la persona più lontana può diventarmi prossima. Se non fosse così non potremmo lasciare i nostri genitori per andare a vivere con una persona che diventerà una carne con noi. 

A chi vive dell'amore viene impedito di peccare - noi non viviamo in continuazione d'amore, per questo pecchiamo. Anche quando viviamo però davvero d'amore rimane una "possibilità ed un'inclinazione al peccato" dice Adrienne, ma veniamo impediti nell'esercizio di questa possibilità ed inclinazione, "perché ogni peccato si volge contro gli uomini e contro Dio".  

"In un primo attimo il peccato può sembra essere solamente una pulsione o un'istinto; ma se uno è nella luce riconosce che anche questo peccato offende e danneggia il prossimo" (Adrienne). Su questo punto nei mei commenti vi è una presa di distanza da Adrienne. Io credo che pulsioni e istinti debbano essere presi più sul serio anche come dono stesso, allo stesso tempo però so che la confusione su questo punto è rischiosa. Non vi sono infatti istinti e pulsioni allo stato puro, ma sempre mischiati (civitas permixta) al peccato della porneia o a quello della corruzione. Quest'ultime sono sempre peccato! 

Se siamo in una vera "compagnia della luce" allora il prossimo stesso diventerà un avvertimento a non peccare. Quando la luce ci investe in modo più forte vediamo noi stessi come siamo stati spesso protetti dall'esercizio del peccato. Io dico sempre, con gratitudine, che sono stato spesso sotto il mantello della Madonna. Il Papa parla di uno che ti ha tenuto bassa  la testa. 

Vi è anche una "comunità del peccato" (contrapposta a quella della luce) in cui ci si attrae a vicenda nel peccato (soldi o sesso o potere che sia). 

La parola usata nel testo greco è molto forte: non essere occasione di scandalo - καὶ σκάνδαλον ἐν αὐτῷ οὐκ ἔστιν· .Piuttosto che dare scandalo ai bambini sarebbe meglio mettersi una macina sul collo dice Gesù. Certo vi sono persone che danno "scandalo" ad altri con la loro atteggiamento pio e farisaico (tantissime di quelle persone che oggi voteranno per determinati partiti sono per me σκάνδαλον). Ma vi è anche uno scandalo libertino, non lo voglio negare anche se sono forse più libero nella questione del giudizio su impulsi e pulsioni di tante persone pie e tradizionaliste. 

Lo scritto della "Congregazione della fede" (Placuit Deo) uscito questa settimana mette la luce sul tema del neopelagianesimo individualista e sul neo gnosticismo e propone la concreta appartenenza a Cristo come unica via d'uscita. La logica dell'amore di cui ho parlato prima non ha tracce né pelagiane né gnostiche, perché vive e parla di un essere e di un amore donato. Di un essere che è analogia del Logos che "pur essendo di natura divina non ha considerato ciò un tesoro geloso", ma ha assunto la "forma dello schiavo", propria quella che pelagianismo e gnosticismo, anche nelle nuove varianti, odiano. Schiavo qui non è contrario di amico, ma un avvertimento molto forte: l'amore gratis non è una nostra produzione, perché se vero non origina da noi.   









Nessun commento:

Posta un commento