lunedì 15 gennaio 2018

Ogni tempo rispecchia un tratto del volto di Cristo: Cristo oggi, ieri ed in eternità. Przywara, 1917

Ogni tempo rispecchia un tratto del volto di Cristo: Cristo oggi, ieri ed in eternità.
Przywara, 1917 - in dialogo con #ErichPrzywara
C'è una posizione tradizionalista che cita documenti papali e del ministero curiale come se non ci fosse la realtà. Può accadere qualsiasi cosa nel mondo, ma loro rimangono "fedeli" - fedeli a quella lettera che non può che uccidere. I fan chiamano questo tipo di cristiani (vescovi ed altri personaggi) profeti, ma in vero non lo sono, sono solo astratti e molto tristi. 

La cosa ancora più grave e che dimenticano la realtà eucaristica di Cristo stesso che è sempre universale e presente, sia a livello di spazio che di tempo. Non credono insomma che il sacrificio di Cristo abbia salvato il mondo e lo salva, non credono, come diceva il padre Przywara che "ogni tempo rispecchia un tratto del volto di Cristo: Cristo oggi, ieri ed in eternità". Non credono che Cristo sia vincente. Aggiunge il padre Przywara: "Così il cristiano gioisce anche proprio delle debolezza e degli errori del suo tempo perché da essi ne possa avvincere una nuova luce". 

Certamente è un errore non vedere nel matrimonio un'indissolubile realtà - ma chi porta la colpa del fatto che oggi non è così? Credo che tanto formalismo clericale abbia contributo in modo molto forte a far si che ciò che è vero non lo sembra più. E certo il linguaggio clericale di una chiesa che predica bene ma razzola male non convincerà il mondo e non convince me. 
Roberto, un piccolo amico di Gesù

(19.1.18)

"Lavoro organizzato significa, proprio per le anime più nobili, una continua dimenticanza di sé fino al più completo auto annientamento. Sulla vetta del lavoro glorioso nella sua modalità universale si innalza la croce del Golgotha". Przywara, 1917 - in dialogo con Pater #ErichPrzywara SJ

Siamo certamente unici agli occhi di Dio e agli occhi di chi ci ama davvero. Eppure come Gesù esce dall'intimità del tabernacolo per entrare nel cuore di milioni di persone, che non sempre sono davvero aperti a Lui, così è anche con il nostro lavoro. Il rischio più grande è quello del romanticismo. Il nostro lavoro, se vuole essere sequela del Cristo eucaristico e crocifisso deve farsi "ordinare" (una parola importante per la spiritualità ignaziana) nel tutto del lavoro organizzato. Quanto il responsabile o i colleghi capiscono del tuo lavoro è secondario.

Tutto ci aiuta a dimenticarsi di sé e solo questo, non la nostra genialità in primo luogo, ci aiuta a seguire il Crocifisso! Crux nostra spes!

Mutatis mutandis vale anche per la Chiesa. Il criterio più sicuro, insieme a quello petrino, per vedere se si segue e se ci lasciamo "ordinare" nel tutto. Non vuol dire essere servili, come si vede nel mio post di ieri: "cosa significa per me Comunione e Liberazione?".

Alla fine però ciò che conta non è mai una "gnosi", neppure la più ortodossa, ma l'essere "ordinato" fino alla disponibilità ultima dell'auto annientamento.

La vecchiaia appena cominciata mi insegna ciò che Gv 21 dice chiaramente: alla fine verrai "ordinato" fino ad andare dove tu non vuoi. Spero che il Signore non mi faccia bere il calice di un'ospizio e della morte a contagocce per sedici anni come il mio amato nonno, ma chissà?

La sofferenza più grande forse è però quella del sacrificio dell'individualità della propria anima.

Roberto, un piccolo amico di Gesù

(22.1.18)

Lavoro "esteriore" eucaristico universale e particolare nella Chiesa - in dialogo con #ErichPrzywara

Tutti i lavori che facciamo come cristiani sono "lavoro eucaristico esteriore", come insegnante, come giornalista, come artista, la nostra attività in rete, come mamma, come Papa, etc.

Il Padre Przywara nel suo scritto del 1917 su lavoro ed eucaristia ci fa comprendere alcuni passaggi molto importanti, anche per la nostra epoca digitale.

"Il lavoro universale di tutte le anime nella loro interezza è possibile solamente attraverso i piccoli lavori compiuti nello spirito dell'universalità delle anime singole".

Questo significa anche che un lavoro "universale" come "rappresentante" nella Chiesa, per esempio quello di un Papa o di chi guida un ordine religioso o una Fraternità, che vengono compiuti in nome di tutte le anime nella loro interezza, presuppone tanto piccolo lavoro di singole anime, che spesso lavorano in modo nascosto, come Cristo a Nazareth e che spesso lavorano senza che se ne riconosca la valenza universale del loro piccolo lavoro o addirittura vengono maltrattate.

Questo significa anche che anche i gesti più impressionanti del Pontefice senza il piccolo lavoro nascosto (scrivere questo post) di tante singole anime non porterà frutto. Di fatto anche il Santo Padre può essere padre universale di un miliardo di persone solo in modo "rappresentativo" (una cosa simile la dice anche von Balthasar nel suo "complesso antiromano"). Se non assumo io la responsabilità paterna qui in rete o nella scuola o nella famiglia allora anche il lavoro del Santo Padre perderà in fecondità. Non perché egli non sia sincero, ma semplicemente perché senza il lavoro nascosto di tante anime singole, egli stesso diventa un "mito". Le critiche insulse che gli vengono fatte non sono ovviamente questo piccolo lavoro di Nazareth di cui sto parlando. Il "culto della personalità" non lo è neppure!

Ora può anche darsi che anche a noi venga richiesta una partecipazione non solo al lavoro di Nazareth di Gesù, ma anche a quello pubblico in cui una schiera più o meno grande di persone cominciano a vedere in noi una luce "universale" cominciano ad applaudirci, come facevano anche con il Signore.

Padre Przywara ci ricorda che alla fine della corsa sulla vetta della "popolarità", piccola o grande che sia, c'è la croce sul Golgotha, fosse questo anche solo nel momento della nostra morte, il nostro ultimo assenso eucaristico, cioè di ringraziamento, per la vita donata!


Roberto, un piccolo amico di Gesù

(26.1.18)

Che cosa è il lavoro comunitario (a partire da una comprensione dell'eucaristia)? - in dialogo con #ErichPrzywara SJ 
Il primo passo lo si può ricordare in modo sintetico: "l'eucaristia opera nel lavoro e il lavoro opera attraverso l'Eucaristia. Entrambi i due misteri operativi sono contenuti nel lavoro comunitario" (Przywara). Con la parola lavoro si intende sia lavoro interiore che lavoro esteriore, come abbiamo visto in precedenti meditazioni. 
Nell'eucarestia si incontra Cristo da soli - questo vale anche per un membro di una fraternità ecclesiale. Ma se ci si lascia "aprire" allora il nostro lavoro diventa comunitario. Cristo è uno e il corpo di Cristo è uno e ciò vale per i miliardi di persone che costituiscono la "cristianità". 


"Il lavoro comunitario è un continuo tentativo di conciliare due opposti. L'unità del lavoro in comunione deve essere salvata nel "rimanere" della particolarità del lavoro singolo". 
Come insegnate lavoro da solo, ma in un collegio di professori e in una comunità di scolari e genitori. Né un dirigente scolastico né il collegio professori né gli scolari né i genitori e in un certo senso neppure gli ordinamenti della scuola possono distruggere la particolarità del mio lavoro singolo. Allo stesso tempo il lavoro del singolo vuole integrarsi ed ampliarsi nella comunità. Etc. 
Come insegnante facente parte di una fraternità ecclesiale non posso pensare che questa lavori per me nella specificità del mio impegno nel mondo, ma il mio lavoro singolo vuole certamente essere integrato nell'universalità dell'agire della fraternità in tutto il mondo in unione con Cristo. 
Come membro di una fraternità (ma lo stesso vale per la Chiesa tutta) rendo presente, nel mio partecipare singolo alla vita della fraternità, in primo luogo la volontà di Cristo per tutta la fraternità, in unione di obbedienza amorosa con chi la guida. Senza nessun culto della personalità del capo e senza pensare che egli faccia per me ciò che devo fare io. Dapprima, nella comunione, Cristo si dona a me, è il mio Cristo. Allo stesso tempo però è "questo stesso Cristo il Cristo della Cristianità nella sua interezza". 
Se uno vede che fratelli nella comunità soffrono non può aspettare solo che il capo se ne accorga, perché il "tuo" Cristo vuole da te un "tuo" compito, anche profetico. Profezia però non è mai individualismo, ma servizio alla comunità. 
Infine tutto ciò vale per le comunicazioni in rete. Sono le mie comunicazioni , ma come cristiano devo esserne responsabile al cospetto dell'unico Cristo di tutta la cristianità. 
Roberto, un piccolo amico di Gesù

(3.2.18 San Blasius; Armenia)

Carissimo Federico, ovviamente tu sei un sacerdote famoso e tanti ti applaudono per questo, non per quello che dici (altri ti odiano per questo). Tu conosci il mio amore per padre Christian de Chargé e sai come lui certo è stato in Cristo attendendo un cenno dal cielo, ma anche ha saputo imporsi, con la sua "missione" sia nella sua comunità, sia nei confronti dei terroristi. Leggendo il tuo articolo, a cui ho messo il "cuore", mi sono chiesto cosa significhi essere davvero in Cristo ed aspettare la sua mossa, anche in questo tempo prima delle elezioni. Il Padre Przywara, mi ha aiutato questa mattina, in forza di quel metodo che da decenni uso per farmi formare da Cristo: la meditazione quotidiana. In suo commento del 1922/23 sul seminatore, Matteo 13 dice 1. che colui che semina non sempre dice la parola giusta, ciò quella che servirebbe all'anima di chi ascolta, non a quella di milioni o migliaia. Ciò che conta è la sua mossa e noi, seminando (sacerdote e laico) facciamo quello che possiamo perché il mondo è vasto e proprio questo mondo deve essere fecondato con l'amore gratis. 2. Ci sono persone che sono solo "via" e che non hanno un vero amico ed un vero nemico. Si fanno tutto a tutti come dice san Paolo, ma lo fanno per aver successo e non con l'intenzione di san Paolo di portare Cristo a tutti. Di fatto non sono capaci di "rimanere," sono solo "via": "Ma se tu non puoi rimanere "per te", non puoi rimanere neanche "per il Signore"". (Przywara). 3. Poi vi sono i cristiani pii, che hanno paura dei conflitti, che pensano che il loro essere pii li salvi dal peccato Che scambiano il loro bisogno di armonia con Cristo e che danno consigli e pensano di correggere fraternamente (sit venia verbo, usata in questo contesto) gli altri ma in vero il Signore non parla di pace (o almeno non di quella che da il mondo) ma di "fuoco" e "spada" e chi non sopporta questo non porterà frutti. Il Signore è venuto a sconvolgere la sapienza dei potenti, fossero anche vescovi. La conseguenza è quella che dici tu: il martirio, l'essere rifiutati. E in questa sequela ognuno ha il suo cammino - che il Signore ci aiuti e non ci faccia perdere la fede! Tuo, Roberto

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