Sul mistero della Passione di Cristo e sulla nostra partecipazione ad esso
"Non comprendono il mio linguaggio e le loro parole sono come suoni morti alle mie orecchie" (Przywara, 1925)
In una meditazione sulla "passione" in primo luogo si parla di Lui, Cristo, non di noi. Tutto ciò che aveva da dire non lo abbiamo compreso: questa è stata la sua esperienza di "abbandono" e di "passione". E le nostre tante parole sono state come "suoni morti". Cerchiamo di fare 10 minuti di silenzio, durante il giorno se fossimo, per pensare a Lui.
Cristo ha sofferto una volta per tutte e non muore più, ma il mistero della Passione viene rivisitato e non solo liturgicamente. A noi è dato di "partecipare" a questo Suo mistero con delle briciole.
1. In primo luogo noi stessi facciamo l'esperienza di essere consolazione per gli altri, ma di non esserlo per noi stessi. Ed anche nella rete facciamo l'esperienza di gente che ci prende in giro e non ci comprende. Ci prendono in giro persone che sono più giovani di noi e ci prendono in giro persone che sono più anziane - ma che non comprendono assolutamente nulla di noi (e forse noi di loro). Persone che ci stimavano non ci stimano più e persone che ci stimano ci usano solo per i loro progetti, anche buoni. Quando tu sei te stesso, non ti comprendono e si permettono giudizi che sono di un' arroganza infinita. Credono anzi di doverti dire che sei tu arrogante e che non accetti aiuto. Mentre vero è che quel aiuto di cui tu avresti bisogno non te lo danno. Ti vorrebbero riempire delle loro storie e non sono capaci ad ascoltare. Padre Przywara si chiede: "È perché mi sono volto completamente a te che si volgono altrove e non mi guardano più?"
2. Ovviamente c'é il nostro peccato e la nostra incompetenza che possono dare scandalo; ma vi è anche l'esperienza che tutti facciamo, chi più chi meno, in cui diciamo al nostro sepolcro: "Tu sei mio padre" ed ai vermi: "Siete mia madre". Alla volta basta una frase che ci tiene prigionieri, una frase che una persona come Martin Luther King non avrebbe mai detto, un azione che non avrebbe mai fatto. Dire a chi perde che ha perso o vendicarsi quando improvvisamente sei in una posizione di forza.
Conosco anche giovani che si lanciano in un lavoro o in uno studio perché hanno paura che il proprio cuore dica al sepolcro: "Tu sei mio padre". Si legano a ciò che sembra dare loro sostegno e che in vero per un momento lo da. E che non ti cercano, non solo per il tuo peccato, ma anche perché hanno paura di venire confrontati con il mistero della passione. alle volte invece non ti cercano perché non vogliono venire confrontati con il mistero della risurrezione.
3. Ed infine il passaggio più sorprendente della riflessione del Padre Przywara che mi raggiunge dopo 93 anni. "Amico, se vieni per servire Dio, tieniti pronto per le tentazioni. Perché nel fuoco viene vagliato l'oro e uomini che piacciono a Dio vengono messi alla prova nel forno delle umiliazioni". Le umiliazioni sono un dono. Un dono grande nella donazione dell'essere come amore. Chi potrebbe guardare il volto del risorto senza morire? Dobbiamo guardare la sua schiena piuttosto. Questo è il motivo per cui la frase "Cristo vince", anche se è contentata in una pagina della scuola di comunità, da sola, non mi aiuta. Chi vince è l'agnello frustrato e macellato. Quella schiena deve bastarci. La sua schiena significa: "limite, miseria e inimicizia delle creature". E questa è grazia! "Che proprio la grazia di Dio che passa ci sembri schiena" e il mistero della nostra stessa miseria. Quindi chiediamo la grazia di sapere incontrare le umiliazioni, anche nel lavoro, come una sua grazia speciale. Per esempio l'umiliazione (non sto parlando di me!!!) di non essere il dirigente di una scuola sebbene tu lo sia de facto.
"Alziamo gli occhi e preghiamo:
Dio, Il Signore che uccide e fa rivivere,
che ti fa scendere nelgli inferi e
ti fa risalire,
che ti getta a chiedere le elemosine e
ti riempie di ricchezza,
che ti getta nella polvere e
ti risolleva.
"Vita" è il suo nome!"
Amore gratis è il suo nome!
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